lunedì 15 dicembre 2014

Le rovine del mondo nuovo

colonna di ferro

TABULA RASA
- Fino a che punto è auspicabile, necessario o lecito criticare l'illuminismo -
di Robert Kurz

Il vero oggetto della critica negatoria
Ora, in Anselm Jappe, l'accusa di iconoclastia si trova inserita in un contesto associativo assai più ampio, caratterizzato da temi come "far tabula rasa" ecc.. Il tentativo di rigirare la frittata vede il carattere illuminista della critica soprattutto nel fatto che, a suo giudizio, questa logica implicherebbe: "rottura pura e dura, a partire da domani niente più sarà come prima". E' avvenuto già nel passato che gli attacchi alle immagini si riferissero sempre solo a determinati simboli, e non a "tutto"; insomma, la rottura con la devozione illuministica della modernità può solo riferirsi al modo feticista di pensare e di agire, e non in modo generale ad ogni e a qualsiasi prodotto di tutta la storia precedente.
Quindi si tratta di un qui pro quo se, nell'ambito dell'equiparazione di una critica dell'illuminismo radicale e "iconoclasta" allo stesso illuminismo e alla sua relativa logica, leggiamo quanto segue: "Chi è posseduto dall'idea di poter fare tutto meglio e di essere capace di ricreare il mondo sulla base della ragione stessa, o di ciò che si ritiene lo sia, è facile che dia espressione alla ‘hibris’ ed al meccanicismo della società industriale della merce, per la quale il mondo non è altro che il materiale col quale in forma pura si può realizzare la merce nella sua migliore valorizzazione. Di conseguenza, i movimenti rivoluzionari degli ultimi 210 anni, nella loro qualità di espressione più concentrata della logica illuminista, hanno anche portato al parossismo la concezione di un inizio del tutto nuovo (e così riuscivano più simpatici in confronto ai riformisti che insistevano nel considerare che molto di quello che proveniva dal passato meritava di essere salvato); è stato questo il caso della Rivoluzione francese con il suo nuovo calendario, lo è stato di quella russa con ‘l'uomo nuovo’, o di quella spagnola, nel corso della quale Buenaventura Durruti vaticinò che il proletariato avrebbe ereditato solo rovine, ma che questo non lo spaventava, è stato il caso della rivoluzione culturale cinese con il suo rifiuto dei "quattro vecchi: idea, cultura, usi e costumi" e con le sue orge di distruzione. Le riforme di Atatürk, che interessavano perfino la scrittura e la lingua, nel nome della famiglia e del calendario ufficiale, hanno costituito un altro esempio. Invariabilmente, il nuovo Stato voltava le spalle, 'pieno di rabbia e disgusto', a tutto il ciarpame del passato al fine di creare un mondo nuovo a sua immagine e somiglianza".
Qui, i momenti iconoclastici sono mischiati con una caratteristica fondamentale del pensiero illuminista e della logica moderna della valorizzazione, che non si riferisce ad una mera manifestazione della rottura trasformatrice, ma alla forma distruttiva, specificamente moderna, di riproduzione. Ma quello che qui viene messo nello stesso sacco dev'essere attentamente distinto. La rottura, immancabilmente iconoclastica, con la devozione verso uno stato che si cerca di superare, è sempre un assunto temporale e tematicamente limitato, legato ad un determinato, e niente affatto permanente, processo transitorio.
Però, la rottura illuminista ha liberato e scatenato, col principio di valorizzazione, un programma demoniaco di distruzione del mondo che si svolge in forma permanente come forma di riproduzione: la dissoluzione del mondo sensibile nell'astrazione reale della forma del valore. Per questo, i momenti più iconoclastici della rottura borghese e rivoluzionaria con la società agraria sono stati quasi insignificanti ed innocui, per quanto riguarda i loro aspetti distruttivi, se si paragonano alla realizzazione riproduttiva permanente del capitalismo sulle sue proprie fondamenta, al di là delle transizioni rivoluzionarie di un tempo. Il moderno sistema produttore di merci è la prima società che, nel suo "normale" funzionamento quotidiano, produce più devastazione di qualsiasi altra nascita, compresa la propria, di una nuova formazione del passato, per quanto difficile tale nascita sia stata.
Dopo tutto è un po' strano accusare la critica di una tale logica riproduttiva di distruzione, e della rispettiva forma di riflessione - critica che si accompagna ad un empito iconoclasta contro il corrispondente eroismo intellettuale dell'illuminismo - di produrre in ultima analisi un programma identico che avrebbe come fine addirittura quello di estinguere tutti i contenuti culturali: "Ci sono motivi in abbondanza per girare le spalle all'illuminismo, con un sentimento di rabbia e di noia. Ma non necessariamente a tutto ‘l'Occidente’. Cosa si vuole dire con questo? Ai suoi filosofi? Un tale atteggiamento è assai spesso giustificato. Ma anche alla sua musica? Alla sua letteratura? All'architettura tradizionale?" (Jappe, ibidem).
La catena associativa dell'anti-critica e della relativizzazione sembra che si chiuda su questo punto: Chi rifiuta l'illuminismo in maniera radicale ed iconoclasta, così viene suggerito, non solo vuole distruggere, alla maniera dei talebani, simboli validi ed oggetti d'arte, ma vuole danneggiare la storia culturale ed intellettuale nella sua totalità, censurare la letteratura secondo le modalità di una sorta di indice papale e proibire la fruizione della musica di Beethoven o di Mozart; a ben vedere, vuole abolire forchetta e coltello e, in maniera generale, "ritornare all'età della pietra". La palla può essere rinviata al mittente, visto che questo genere di anti-critica in regime di libera associazione evidentemente è stata da sempre proprio la specialità della coscienza borghese, ed aveva la funzione di prestare alla vergogna della modernità, la benedizione del progresso e della necessità. Aveva la stessa forma, quello che hanno sostenuto gli apologisti, sia contro i luddisti "macchinoclasti" dell'inizio del XIX secolo sia contro i critici dell'energia nucleare alla fine del XX secolo: si vuole tornare alla natura, alla selve, al macaco; in sostanza, si nega, insieme alla nostra logica d'azione, la ruota, l'alfabeto, l'arte della fuga di Bach e la puleggia.
Ma sicuramente il nocciolo della questione non consiste nel rimandarsi la palla. Qual è esattamente il problema che si nasconde dietro questa catena di associazioni e di contro-accuse rispetto al desiderio di tabula rasa? Sembra che ci sia un fatto indiscusso, considerato necessario da entrambe le parti, nel contesto della critica della logica illuminista, per cui questa logica, come derivato e come forma di riflessione del principio capitalista della valorizzazione, ha messo in moto una ruota di Juggernaut che macina e annichila tutti i contenuti culturali, tutti i momenti di una "buona vita" e perfino le basi biologiche naturali del pianeta. Il pomo della discordia consiste evidentemente nel sapere a che cosa può e deve riferirsi la critica di questa forza distruttiva senza essere, da parte sua, distruttiva. Che cosa deve, pertanto, essere per certo criticato, negato, distrutto a sua volta e superato per fare in modo che si fermi la distruzione in corso?
Le formule controverse della "spazzatura intellettuale dell'Occidente" e dei "guidatori di bulldozer" devono aver provocato la ribellione di tutti gli architetti di interni del buon gusto nel campo della critica del valore esercitata finora. Avviene, tuttavia, che sia chiaramente ed inequivocabilmente indicato a cosa si riferiscano tali formule. Non si riferiscono ad un "tutto", né ad ogni e qualsiasi creazione umana e naturale (come fa la logica del valore con il suo potenziale distruttivo), ma in maniera molto determinata si riferiscono alla forma auto-riflessiva del principio di distruzione stesso, segnatamente alle "rovine inabitabili della soggettività occidentale" (Robert Kurz, Ragione sanguinosa. 20 Tesi contro il cosiddetto illuminismo ed i "valori occidentali", in: Krisis 25/2002). Continua a sorprendere e a lasciare perplessi come questo riferimento chiaro venga allargato, in regime di libera associazione, alla musica e all'architettura, alle forze produttive e alle conquiste di ogni tipo, così come alla cultura in termini generali. A quanto pare, qui c'è bisogno di fare qualche chiarimento.
Non è neanche accettabile che le metafore forti e polemiche possano essere ritenute responsabili di simili interpretazioni peggiorative, in modo tale che l'associazione abbandona l'oggetto realmente designato, a causa del loro "suono" e perché, del resto, potrebbero spaventare, a causa del loro inasprimento polemico, i rappresentanti che si presume siano disposti a discutere; quelli, ad esempio, provenienti dalla cerchia dei seguaci ortodossi di Adorno. Tutto quello che non piace e che non si conosce bene "suona" sempre precisamente nel modo che si vuole sentire al fine di facilitare il rifiuto, facendo passare come "inosservato" tutto quello che renderebbe difficile lo stesso rifiuto, perfino se è l'oggetto stesso. Esiste una specie di modo borghese per discutere (inclusa soprattutto la parrocchia pentecostale adorniana, fattasi affermativa) che, col pretesto delle abitudini linguistiche e dello stile e dei suoi modi, pretende di stabilire determinati limiti protetti da tabù, delimitare le loro proprietà e proteggere la loro identità insieme a quelle loro due icone, senza dover affrontare la disputa circa il nocciolo della questione.
Non ci soffermiamo, pertanto, sulle catene associative delle interpretazioni peggiorative, ma unicamente ed esclusivamente sul vero enunciato, che può essere controllato nero su bianco, al fine di arrivare apertamente al cuore della questione. Tale cuore è la forma moderna del soggetto, borghese e strutturalmente maschile. Questo è ciò che, a ben dire, è in questione, e non la musica, l'architettura ed ogni tipo di contenuto culturale, ecc.. Perciò, la discussione dev'essere centrata precisamente su questo punto, e non su qualcosa di diverso con cui avrebbe a che vedere, nel migliore dei casi, in forma indiretta e mediata, o che addirittura non avrebbe alcuna rilevanza per la questione.
Se questa forma borghese del soggetto della modernità dev'essere sradicata insieme alle sue radici, radicalmente negata e superata in modo definitivo ed inappellabile, oppure no - è questo il punto. La posizione contraria consiste nel presumere che tale forma di soggetto conterrebbe, in quanto tale, dei momenti emancipatori che dovrebbero essere "recuperati", di modo che, dopo essere passati attraverso la critica, rimarrebbe "qualcosa", forse perfino di essenziale, di questa forma di soggetto. Il che, naturalmente, ridurrebbe la critica ad un fatto mezzo apologetico e la convertirebbe, innanzitutto, in un "progetto di salvezza". Salvare oppure abolire, questo è il problema. Oppure salvare un poco ed abolire altrettanto, e quanto è "un poco" rispetto al resto, e sotto quale aspetto?
La forma del soggetto non è altro se non questo modus generale della relazione di valore moderna e capitalistica, la forma generale di pensare ed agire della socializzazione del valore. Si tratta qui, da una parte, di questa forma che si presenta agli individui come contesto generale dominatore autonomizzato o come totalità feticista del "soggetto automatico" (Marx) oggettivato: il principio formale astratto e incredibilmente vuoto di contenuto, il cui movimento spontaneo, implacabile ed oggettivato che strazia, sotto la forma di questa ruota di Juggernaut della valorizzazione del valore, la natura e la società. Ma dall'altra parte, questa forma è anche e simultaneamente quella dei portatori di azione individuale ed istituzionale; e, in quanto tale, essa costituisce, nel senso più stretto, la forma del soggetto o la "forma soggetto". Questa forma dei portatori di azione, da parte sua, è strutturalmente maschile e dissociatrice: il soggetto della logica del valore e della dissociazione.
In quanto processo, il divenire di questa forma di soggetto può essere fatto risalire fino alla "economia politica delle armi da fuoco" dei primordi della modernità e al loro potenziale distruttivo; ma come costituzione e come forma di riflessione teorica cosciente la si può trovare solo nell'illuminismo, e con diversi accenti. Così, l'illuminismo scozzese ed anglosassone, per esempio nei teoremi di un Adam Smith o di un Jeremy Bentham, mette in evidenza soprattutto l'aspetto economicista reale di un tale soggetto, la figura dell'homo oeconomicus, così come la forma globale del "soggetto automatico" (in Adam Smith, la "mano invisibile" del mercato). L'illuminismo francese - da Montesquieu a Rousseau e perfino ai predicatori della virtù della rivoluzione del 1789 - tuttavia, si concentra più sull'aspetto statale e giuridico, nella figura dell'homo politicus della modernità. L'illuminismo tedesco, infine, con Kant sulla linea del fronte ( e con Hegel in un certo qual modo a completare l'architettura del sistema ), ripudia la forma astratta del soggetto, che si trova alla base di questa apparente polarità tra homo oeconomicus ed homo politicus, in quanto tale, come forma essenziale, così come le sue conseguenze sistemiche, in una maniera tanto positivista quanto sostenitrice militante di una difesa aggressiva.
Se la costituzione oggettiva e propria della società reale risale originariamente alla "economia politica delle armi da fuoco", in vigore approssimativamente a partire dal XV secolo, i momenti filosofico-ideologici della sua costituzione primordiale si possono trovare - prima del rispettivo perfezionamento concettuale nel discorso illuminista - non solo nel protestantesimo dei primordi della modernità, ma possono farsi risalire, sotto certi aspetti, perfino all'antichità greco-romana. Detto questo, però, dev'essere chiaro che l'antichità non può semplicemente essere incorporata a posteriori nel processo costitutivo moderno; dapprima, questo ha cercato lì solo gli elementi apparentemente adeguati creando così, in primo luogo, la comprensione moderna dell'antichità. Come presunta continuazione di una "civiltà" del valore e della dissociazione, il cosiddetto Occidente è evidentemente una costruzione storica fatta dallo stesso illuminismo. Nella misura in cui questa costruzione, e la sua ideologia di legittimazione che risale fino all'antichità occidentale, ha concorso alla costituzione della forma del soggetto moderno, capitalista, maschile e intriso dell'ideologia del valore e della dissociazione, allora si può parlare con qualche giustificazione di una "forma del soggetto occidentale". Ed è facile dimostrare che la forma di riflessione ideologica di questa relazione, già a partire dal protestantesimo, ma definitivamente con l'illuminismo, si definisce essenzialmente per mezzo dell'oggettivismo e della misoginia, per mezzo dell'omofobia, del razzismo e dell'antisemitismo aperto o latente.
Si tratta pertanto, unicamente ed esclusivamente della negazione, o del grado o del "come" e talvolta perfino del "perché" della negazione di questa forma del soggetto, e bisogna insistere su questo punto tanto più implacabilmente dal momento che questo piano primario della critica (contrariamente alla critica delle affermazioni formali secondarie del marxismo del movimento operaio) - nello sviluppo che la teoria critica del valore ha raggiunto fino ad oggi - semplicemente non è stato ancora in alcun modo disboscato in maniera soddisfacente. La critica della forma del soggetto, di questa "forma soggetto" così come è stata adottata dal marxismo del movimento operaio che lo ha prelevato dal pensiero borghese - dal momento che anche in Adorno la si trova definita in maniera abbastanza equivoca e, in fin dei conti, torna ancora ad essere affermata, e a comportare, ancora oggi, connotazioni positive per la sinistra - non è stata portata fino in fondo, nemmeno lontanamente, in modo soddisfacente e conseguente, come critica del nucleo della forma moderna del feticcio.
Un primo anticipo teorico in direzione di una critica fondamentale del soggetto (Robert Kurz, Dominio senza soggetto. Per il superamento di una critica sociale riduttiva, in Krisis 13/1993) non ha poi avuto seguito nel contesto della critica del valore. Questo si deve soprattutto al fatto che la relazione tra i sessi come relazione di dissociazione sistematicamente non viene contemplata dall'elaborazione teorica della critica del valore. La critica del valore e la critica della dissociazione si stanno sviluppando in parallelo e in un modo in larga misura non mediato. Com'è proprio della relazione di dominio della modernità carica di connotazioni sessuali e, con essa, della struttura della maggior parte delle scuole moderne di pensiero, il contesto della critica del valore è stato in origine un'associazione maschile, da cui deriva il fatto che l'elaborazione teorica si trovi ad essere fortemente segnata dall'oggettivismo e dotata di una caratteristica contemplativa.
(Nota: Anche in questo saggio del 1993, viene già indicato il contenuto affermativo della riflessione kantiana, la quale continua ancora ad essere integrata in una storia intellettuale segnata da uno sviluppo progressivo della "conoscenza", per mezzo  del quale si mantiene un momento di quell'iconizzazione che nasconde il modus oggettivista. In quanto componente della stessa costituzione, però, la riflessione kantiana deve diventare oggetto di una critica radicale anziché di un "riconoscimento" del suo contenuto riflessivo; solo allora potrà essere infranta la positivizzazione del soggetto di conoscenza maschile, e fedele alla logica di dissociazione, che ancora si mantiene attivo in Adorno.)
Tuttavia, non si può esercitare una critica radicale del soggetto senza includere sistematicamente la critica della dissociazione nella critica del valore, facendola finita così una volta per tutte con le tendenze oggettivistiche più proprie al pensiero delle associazioni maschili. E' in tal senso che dobbiamo riflettere sulla nostra provenienza in maniera cosciente ed inequivocabilmente esplicita (non limitandoci, in qualche modo, a presupporla, con una strizzata d'occhio, come qualcosa di scontato) e nutrire una certa diffidenza riguardo allo stesso processo di elaborazione teorica nei confronti della sterpaglia non ancora sufficientemente ripulita del modus dell'ideologia illuminista. La relazione di dissociazione è la relazione centrale della moderna costituzione del feticcio che in primo luogo rende in qualche modo possibile una relazione di valore. Dal momento che la forma del soggetto si trova essenzialmente determinata dalla dissociazione sessuale, essa non può essere criticata, in maniera fondamentale, nel modus di elaborazione teorica strutturalmente "maschile", vincolato a questa stessa forma di soggetto, in quanto si tratterebbe di una mera critica apparente che non può non essere superficiale (o che, comunque, dovrebbe essere verificata caso per caso).
Questo modo "maschile" di elaborazione teorica moderna è stato senza dubbio fondato dalla filosofia dell'illuminismo, che così non si limita in alcun modo a riflettere un oggetto "oggettivo" e casuale, per così dire, in maniera neutra e contemplativa; essa lo rappresenta unicamente nel suo proprio modus, la cui azione si prolunga fino all'attualità e (almeno nei primordi) perfino all'interno della critica del valore delle associazioni maschili. In primo luogo, la filosofia illuminista ha contribuito anche alla costituzione del soggetto moderno, strutturalmente "maschile" e distruttivo sotto ogni aspetto, così come solamente i processi strutturali ciechi, insieme alla riflessione apologetica, costituiscono interamente il processo storico reale. Allo stesso tempo, la costituzione filosofica della "forma soggetto" non configura, in alcun modo, solo un aspetto dell'illuminismo - la cui sottrazione critica, una volta avvenuta, lascerebbe un qualche elemento positivo e redentore nel suo nucleo - ma costituisce l'essenza della totalità del pensiero illuminista che deve quindi essere respinto in maniera corrispondentemente essenziale.
La critica della dissociazione, la critica del soggetto e la critica dell'illuminismo costituiscono un'unità indivisibile, dal momento che non è possibile alcuno di questi momenti senza gli altri due. Ed è in una maniera corrispondente, che prescinda dalle semplificazioni abusive, che la critica deve procedere se vuole completare un nuovo paradigma critico del valore e della dissociazione - il che non equivale alla conclusione dell'elaborazione teorica in termini generali, ma unicamente alla conclusione preliminare della "distruzione creativa" del vecchio paradigma. Possono e devono esistere, senza dubbio, diverse posizioni, accentuazioni ed aspetti nel contesto della teoria critica del valore e della dissociazione; ma non possono esistere fianco a fianco, in una casualità quasi postmoderna, dal momento che sono irrimediabilmente opposte le une alle altre, prima di essere vicendevolmente compatibili ad un livello fondamentale, cosa che significa anche che devono avere un carattere di legame comune.
Una coesistenza pacifica con il modus dissociativo "maschile" dell'elaborazione teorica, è esclusa. Per la forma del soggetto moderna, capitalista e "occidentale", che in ogni caso esiste già solo nelle rispettive forme di decadenza, non deve svilupparsi niente che per mezzo dell'emancipazione dalla coazione distruttrice del mondo - che è la socializzazione del valore - possa costituire una seria alternativa. Probabilmente questo non solleva polemica; ma si dice che in questo caso la critica del soggetto non solo dovrebbe essere mantenuta coerente, ma dovrebbe anche essere delimitata con cautela, in termini concettuali, nei confronti di altre questioni che riguardano le conquiste culturali dell'umanità in maniera generale. Insomma, bisogna fare tabula rasa della forma del soggetto capitalista ed occidentale e del legame con la forma di feticcio in termini generali, ma, proprio per questo, non di ogni e qualsiasi cosa che l'umanità ha prodotto fino ad oggi nonostante il suo legame feticistico e per mezzo di esso.

- Robert Kurz -

- 4 – continua… -

fonte: EXIT!

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