martedì 4 novembre 2014

Favelas, topi alla griglia, CD e sussistenza locale

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Il disvalore dell'ignoranza
- "Critica del valore" tronca come ideologia di legittimazione di una nuova piccola borghesia digitale -
di Robert Kurz

*Nota precedente all'edizione stampata* 1. Dalla critica del valore all'ideologia del circolo digitale* 2. La sorella della merce e Internet come "macchina di emancipazione* 3. Forma del valore, sostanza del valore e riduzionismo della circolazione* 4. "Scambio giusto" e relazioni d'uso capitalistiche* 5. L'anima della merce in azione: dal "ben pagare il non serio" all'antisemitismo strutturale* 6. Produzione di contenuti, costi capitalistici e "riproduttività senza lavoro"* 7. Lavoro produttivo ed improduttivo nel contesto di riproduzione capitalistica* 8. Verso un'ontologia del lavoro secondaria* 9. Il carattere sociale totale della sostanza del valore e l'ideologia del capitale "produttivo" e "predatore"* 10. Svalorizzazione universale e teoria degli stadi di un'emancipazione simulatrice* 11. Falso universalismo ed esclusione sociale. L'ideologia dell'alternativa digitale come eldorado degli uomini della classe media trasformati in casalinghe* 12. Il punto di vista degli idioti del consumo virtuale* 13. Autoamministrazione della miseria culturale* 14. L'esproprio dei produttori e delle produttrici dei contenuti come abnegazione sociale e risentimento* 15. Termiti e formiche blu. La biopolitica della "intelligenza del formicaio" digitale* 16. Realpolitik di pauperizzazione dei candidati a capo dell'amministrazione di crisi nella cultura*

13. Autoamministrazione della miseria culturale

Da tempo si sa che il concetto di "software libero" non ha niente a che vedere con il superamento della forma merce, ma che, al contrario, è inserito nel contesto della valorizzazione capitalista e reca in sé i suoi propri aspetti commerciali. E' dentro la forma sociale, così come lo è la cosiddetta pirateria delle scarpe da tennis e di altri prodotti d'uso (nella quale Meretz, significativamente, vuole vedere qualcosa di positivo). Lo stesso Meretz sostiene che "... la 'svalorizzazione' attraverso la liberazione nel contesto della produzione di merci", significherebbe, "da subito, semplicemente una riduzione dei costi". Per "costi" si intendono, naturalmente, quelli sotto forma di denaro e la cui riduzione sarebbe in primo luogo un vantaggio per il capitale e per lo Stato, mentre per i produttori immediati un tale beneficio è più che dubbio.
Con l'estensione di questo concetto alla produzione di contenuti culturali, un tale dubbio diventa certezza negativa. Si nota qui che, per questi beni specifici ed anche per i loro produttori, si apre una lacuna nel sistema di riproduzione, dal momento che non vengono semplicemente ridotti i costi in rapporto al ripetuto ingresso nella circolazione merce-denaro, ma per questi prodotti, al contrario di quanto accade con il software, l'ingresso nella circolazione viene puramente e semplicemente negato. Nella sua "teoria degli stadi", Meretz lo esalta come secondo passo nel superamento della forma merce. Tuttavia, dato che tutti i beni materiali rimangono ancora "con serietà" nella forma merce, e rimangono anche come "rivali", come ciò che a avviene non a caso per il "pane", questo presunto "passo emancipatore" ha per i produttori di contenuti delle disastrose conseguenze immediate, che si verificano, con tutta serietà, a loro spese.
Anche sotto tale aspetto, tutta questa concezione si situa nella linea discendente della degradazione sociale dei produttori di cultura nel capitalismo di crisi. Dappertutto, i budget per la cultura subiscono tagli, alla radio e nell'editoria, programmi di qualità diventano sempre più rari, artisti, così come autori, vengono trasformati in imprenditori della miseria. Questa precarietà della produzione di conoscenza in senso lato non viene criticata in forma radicale, né viene presentata come un momento dell'imbarbarimento nella crisi, ma, al contrario, viene convertita affermativamente, dal "movimento per la cultura libera", in una sorta di autogestione della miseria culturale, più o meno nella forma di "Licenze Creative Commons". Quello che si riflette in tali visioni, non è più il problema di non potere, o di poter difficilmente reintegrare prodotti di contenuto culturale nella circolazione merce-denaro, ma di ottenere allo stesso tempo in qualche modo la propria riproduzione sociale e la base materiale per questa produzione di contenuti. Poiché il "pane" continua a costare denaro, proprio come i mezzi di produzione culturale.
Principalmente, il modo in cui gli artisti in situazione precaria cercano di salvarsi (questa è una coercizione brutale generata dal capitalismo di crisi e non è in nessun modo un "disaccoppiamento emancipatore") viene descritto da Meretz come ambivalente ma, anche, visto come il (primo) passo in una giusta direzione: "uno studio fra gli artisti ha rivelato due ragioni principali per l'utilizzo di licenze creative commons: i diritti d'autore ("copyright") tradizionali sono troppo complessi e cari nella loro applicazione, e con le licenze CC si può trarre un miglior profitto dagli effetti del lavoro in rete, per una miglior commercializzazione della propria opera creativa. Anche in questo caso possiamo osservare l'effetto di 'svalorizzare per valorizzare'... Il risultato si rivela paradossale. Sulla base della logica della valorizzazione, la merce perde la sua forma a causa della carenza, viene liberata e con questo viene svalorizzata di fatto, per ottenere inoltre una specie di 'rendimento secondario' proveniente da donazioni, introiti pubblicitari, vendita di prodotti relazionati con il mezzo, esecuzioni di eventi dal vivo ecc." (Meretz, idem).
Proprio perché in un settore culturale schiacciato dalla crisi, gli artisti verrebbero direttamente rinviati al mercato totalitario, e così si trasformerebbero forzatamente in clown dell'intermezzo della concorrenza universale, dal momento che non possono più vivere della loro opera, ma possono solo sostentare la propria miserabile vita grazie ad effetti commerciali collaterali. Ma ciò che nel campo dell'arte permette ancora un qualcosa di simile ad un reddito monetario precario, rasenta l'impossibile per quel che riguarda la produzione di contenuto nei testi.
Raccolta di fondi ("Fundraising") è la terminologia utilizzata per definire l'accattonaggio presso i "mecenati" o le fondazioni commerciali ecc.. Già oggi, la pubblicazione di teoria critica non sopravvive senza sussidi finanziari da parte di associazioni di appoggio alle persone individuali interessate ("donazioni"). Tutto questo, ovviamente, non è un passo in direzione del "disaccoppiamento", ma è semmai un indicatore della precarietà sociale nella quale si trova la produzione di teoria critica. E' questo vale ancora di più per altre forme di "reddito secondario", che sono una realtà nella vita precaria nell'ambito artistico, ma che diventano del tutto assurde quando si tratta di produzione di testi teorici. Stiamo solo aspettando che le pubblicazioni di "Krisis" residuale offrano annunci per le auto di lusso di Daimler o per i preservativi ("ricavi provenienti da pubblicità"), magliette stampate con sopra ritratti di Meretz a prezzi d'occasione ("vendita di prodotti relazionati con il mezzo") o che realizzino "feste popolari della critica del valore" ("organizzazione di eventi dal vivo"), nelle quali Lohoff, nello stand della birra, intrattenga un pubblico gozzovigliante, che rimanga a pendere dalle sue labbra che leggono le sue opere di "Economia Politica".
Dal momento che questa sorta di "reddito secondario", anche precarizzato, è qualcosa di utopico per la produzione di testi, Meretz dirige il suo sguardo "emancipatore" verso gli artisti che conducono una vita miserabile in America Latina: "Attorno alle Licenze creative commons sono sorte forme assolutamente nuove di sussistenza. Così, nelle favelas del Brasile viene prodotta ogni giorno musica, che viene registrata su CD e venduta esclusivamente nel commercio di strada" (idem). Siamo sinceri: non è esattamente così che ci immaginiamo l'emancipazione dalla forma merce, segnatamente come un modo di vita fatto di miserabili affari da venditori ambulanti che cercano di imporre ad una popolazione non meno miserabile i propri prodotti, stampati (o registrati) da loro stessi. Abbiamo qui la pura "forma embrionale" della vera libertà degli individui liberi e della vera libera produzione di beni liberi. E' vero che il piccolo commercio universale, in connessione con la corrispondente ideologia della circolazione, è un muro maestro che sostiene la vita nelle favelas; però, lo fa più sotto forma di lattine di coca-cola, di lacci per scarpe e talvolta anche con ratti alla griglia. Salute e buon appetito. Assumiamo e poniamo allora la precarizzazione e la miseria, in quanto tali, come "fattori di emancipazione", secondo Meretz, anche se sono un tutto-niente "dentro le relazioni merce-denaro" (id.), tuttavia non possiamo essere dogmatici, in realtà già è un "buon passo avanti" sulla strada degli eccellenti "percorsi per l'uscita dal capitalismo", come Meretz sa indicare con rigore concettuale: "... 'l'eliminazione degli intermediari' viene così riferita nella comunità all'ampliamento della cooperazione attraverso la costruzione di reti punto per punto, cosa che non necessita (!) della sfera autonomizzata della 'economia', direi" (idem).
E' stato per questo che abbiamo fatto tutto lo sforzo di elaborazione teorica, per evidenziare l'autonomizzazione del valore come "soggetto automatico" nei confronti dei suoi vettori umani e per determinarlo come un momento essenziale della costituzione feticista! Se il commercio auto-organizzato di strada "non necessita già della sfera autonomizzata dell'economia", allora possiamo realmente risparmiarci lo sforzo del concetto. Che solo il denaro col quale vengono realizzati gli atti di scambio - che nell'ottica di Lohoff sono certamente "seri" - possa avere origine ed essere espressione di  questa "sfera autonomizzata", provando che "l'economia" controlla anche l'informalità della rete di commercio di strada, non ha già quasi più nessuna importanza, perché Meretz è già persino "oltre", sotto tutti gli aspetti. Tuttavia, talvolta il denaro è ancora in grado di "essere eliminato dalla cooperazione", di modo che la presunta situazione primitiva in cui "x merce a = y merce b" venga ricostruita in tutta libertà, per esempio sotto forma di scambio naturale di CD auto-registrati o di patate auto-rubate o di sesso misero auto-determinato sul ciglio della strada. Lohoff avrebbe letteralmente il suo "reale passaggio di mano" dei due beni sostanziali e "l'economia autonomizzata" sarebbe sicuramente perduta; non avrebbe più feticci, da nessuna parte.
Meretz è completamente inebriato dalle sue prospettive auto-scoperte: "Fenomeno di crisi e nuove forme di sussistenza e di autonomia locale al di là del "normale lavoro salariato" sono strettamente legati. In Brasile, forse come in molti altri paesi in via di sviluppo, le condizioni per far risorgere le autonomie locali sono favorevoli (!): la crescente disponibilità di computer e di accessi ad Internet è in linea con una cultura tradizionale di condivisione" (idem). Purtroppo, la miseria di massa ancora non ha avanzato nella parte occidentale dell'Europa centrale, come ha fatto in Brasile, e forse è questo il motivo per cui noi, qui, ancora non disponiamo di queste "condizioni favorevoli" per quello che è sempre stato l'obiettivo della "critica del valore": per il superamento del capitale mondiale, in particolare per mezzo di "sussistenza ed autonomie locali" - o forse sto confondendo qualcosa?  Ci resta solo da fare un piccolo sforzo per per progredire nella miseria, in modo che, in "condizioni favorevoli", potremo saper apprezzare l'allegria trascendente della sussistenza locale.
Che in tali condizioni si avrà, a maggior ragione, una "crescente disponibilità di computer e di accesso ad Internet", Meretz lo sa semplicemente perché sì. Basta vedere l'Uganda per capirlo. E quanto ai paesaggi fiorenti delle baraccopoli degradate e delle favelas, questi rappresentano ancora un'altra "condizione favorevole", vale a dire, il dominio da parte di una mafia terrorista di traffico auto-organizzato di donne, di armi e di droga; infatti, già sono anche "oltre lo Stato" e, insieme ad una gran quantità di piccoli commercianti di strada, costituiscono, ancora in forma disuguale, un secondo pilastro di una riproduzione che, secondo Meretz, "non ha più bisogno di quella sfera autonomizzata dell'economia" (quando in realtà questa riproduzione già da molto tempo è diventata un fattore significativo del mercato mondiale e del capitale finanziario). E' probabile che, in tale contesto, si trovi anche la "cultura tradizionale della condivisione", un'invenzione della mafia detta fraterna, come è ben noto.
Se Meretz idealizza in tal modo la vita nelle favelas, si allinea quindi alla propaganda del "pensiero positivo", cui viene dato impulso principalmente dall'amministrazione di crisi e dai suoi musici del coro mediatico: state male, vi sentite sempre peggio? Non vi lamentate e, soprattutto, non vi difendete, non rivendicate niente, al contrario, accettate la vostra precarizzazione come una "opportunità"! Come il fallimento totale o la caduta nei programmi sociali, il cancro ai polmoni o la perdita di entrambe le gambe in un incidente di viaggio, anche la precarizzazione dei contenuti e l'imbarbarimento culturale sono, prima di tutto e principalmente, una "enorme opportunità"; quindi c'è da afferrare, essere grati, e sfruttare al meglio la situazione... Se volessimo ridurre queste prospettive di "appropriazione" ad un comune denominatore sociale, che contenesse in sé già i concetti sviluppati da una variante del soggetto maschile bianco occidentale e della classe media precarizzata, allora si dovrebbe designarla come l'ideologia di un'auto-affermativa imprenditoria ambulante della miseria, che ha già "assunto" surrettiziamente le sue condizioni di vita nel capitalismo di crisi.
Naturalmente, per Meretz si tratta solo del primo passo. L'idealizzazione delle licenze creative commons, passando per la raccolta fondi ecc. fino all'imprenditoria della miseria dei venditori di strada, rappresenta, in un certo senso, una sorta di propedeutica per la vera vita dopo la forma merce, in pieno capitalismo di crisi. Il fatto che quei "redditi monetari secondari" precari continuino ancora soprattutto in forma di merce è, quindi, il motivo per cui Meretz li definisce come "ambivalenti". Alla fine anche la vendita ambulante di CD auto-registrati diventerà obsoleta, se i suoi contenuti potranno essere riprodotti a volontà ed essere scaricati da Internet. Si estingue così la possibilità di generare ancora "redditi secondari" seguendo questa strada. "In realtà" una cosa del genere non dovrebbe nemmeno esistere; il salto verso il "regno della libertà", qui ed ora, con tutte le altre rimanenti "normali" condizioni del capitalismo, potrà avere successo solamente se con la produzione di contenuti non si otterranno più redditi monetari. Ed è così che il punto di vista ideologico viene sviluppato fino alla sua piena identificabilità.

14 – segue -

Robert Kurz

fonte: EXIT!

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