sabato 16 agosto 2014

il sangue e la macchina

postone

Moishe Postone, "Critique du fétiche capital. Le capitalisme, l’antisémitisme et la gauche", Paris, Puf, 2013

E' la vitalità di un interrogativo marxista contemporaneo quello che emerge immediatamente da quest'opera così complessa, eppure di una complessità commisurata ai temi che affronta. Non sarà una tale complessità a intimorire il lettore di Marx, di cui riprende gli elementi unici propri de "Il Capitale", dove storia, economia, teologia, politica, vengono mescolati senza alcuna paura. A questo, il libro di Postone fa riferimento, in quanto estensione di un pensiero totale in movimento.
Costituito da diversi testi sul capitalismo, sul nazismo, sull'antisemitismo, sui movimenti identitari e sulla crisi del lavoro, si unifica intorno ad un asse particolarmente inquietante: i movimenti anticapitalisti si basano per la più parte su dei momenti costitutivi del capitale, i quali momenti non servono altro che a rafforzarlo. Il capitalismo non genera un esterno, un di fuori, né nella figura di un proletariato mondiale che deve ricondurlo alla sua verità, né sotto la forma di gruppi identitari ultra-violenti che gli oppongono il loro potere di regressione sociale. Sia in un caso che nell'altro, queste esplosioni rivendicative non fanno altro che verificare la totalità in marcia del capitale, di cui ripetono le opposizioni costitutive. Lo stesso antisemitismo - non solo quello del nazismo, del quale l'autore cerca di sottolineare la specificità assoluta rispetto ad altre forme di genocidio, ma anche quello generato dagli attentati dell'11 settembre o dai gruppi armati in Medio Oriente - appare in ultima analisi come una figura del capitale e appartiene al suo potere di riproduzione.
Ma cos'è allora questo concetto di capitale che sembra riuscire a sventare le contestazioni più feroci? Nient'altro che quello che si è letto in Marx - per quanto poco ci si sia data la pena di leggere l'opera di maturità che porta il nome stesso di capitale - senza sottometterlo ai saggi militanti, meno elaborati, dello stesso autore. Perché Postone, professore all'Università di Chicago, ma a lungo studente all'Università di Francoforte, appartiene a quella categoria di lettori di Marx che non si risparmiano la lettura di Hegel e che sono capaci di trovare l'ambizione sistematica presente nelle analisi di Marx sull'automatismo del Soggetto-Capitale. Ma a differenza di un Kojève il quale pensava che questo hegelismo sottraesse il capitale alle sue contraddizioni, o di un Althusser che pensava che la "scienza" marxista fosse un privilegio proletario, Postone mostra che la produzione capitalista è una produzione feticizzata che importa i suoi modelli di negazione su tutte le pratiche socialmente determinate, a partire dalle pratiche rivendicatrici, al punto che la socialità totale contemporanea può solo avere la doppia caratteristica sia falsa che violenta, cosa che deluderà sia gli apologeti del capitalismo postmoderno pacificato che gli agitatori interessati delle masse.
La potenza di quest'analisi si concentra sulla questione dell'antisemitismo, che non arriva nel libro come se fosse un incidente, né come un'illustrazione, ma costituisce la forza stess dell'argomentare. Perché qui bisogna sostenere che l'antisemitismo è il volto più intimo di un capitalismo che non cessa di opporre l'universalismo astratto del suo processo di valorizzazione alla pratica concreta del suo produttivismo. Brandendo un ritorno al concreto nel nome dell'anti-intellettualismo, il nazismo è lontano da una nostalgia pre-moderna, piuttosto esso illustra un momento del capitale e, denunciando il dominio delle forme astratte in mano a degli "apolidi", rafforza il momento astratto della circolazione del capitale. Queste due facce del dominio capitalista non possono essere separate l'una dall'altra e appartengono al medesimo concetto alienato di lavoro. Da quest'analisi (in particolare quella sul "sangue" e la "macchina"), l'autore conclude che il nazismo è "un movimento anticapitalista tronco" che porta a fare dell'antisemitismo una "biologizzazione del capitalismo colto sotto la forma di un tratto fenomenico".
Queste analisi non piaceranno a tutti, dal momento che pongono la dialettica del feticismo laddove si tende piuttosto a feticizzare la sacralità dell'innominabile. Così come la formula shock: " Auschwitz è stata una fabbrica per 'distruggere il valore', cioè a dire per distruggere la personificazione dell'astratto". Non piaceranno per lo spostamento dell'accento, dalla contraddizione all'automatismo, che viene operata nella lettura del Capitale e della celebrazione proletaria del lavoro, fino al disvelamento della natura fondamentalmente alienata del lavoro. Urteranno per la critica dei movimenti rivoluzionari nel mondo, infastidiranno perché si oppongono soprattutto alle guerre di liberazione in Asia e alle pratiche terroristiche fondamentaliste. Ma non si può che rimanere colpiti dalla libertà per cui questo ritorno a Marx non smette di trasgredirlo, nell'idea che bisogna sempre preferire una critica attiva delle nuove categorie sotto cui opera il feticismo, ai giochi semplicistici fra super ed infrastrutture.
Ci si chiede però se Postone porti fino in fondo le sue intuizioni sul feticismo, respingendo così vigorosamente nelle sue analisi tutti gli elementi metafisici. Si è detto che rifiuta di fare della Shoah un problema "metafisico", ma quali sono queste categorie di auto-movimento, di automatismo, di autovalorizzazione, e anche di auto-comprensione, che sono alla base del concetto di feticismo e che sembrano essere così dipendenti dalla vecchia "causa di sé"? Queste osservazioni non sono tanto delle obiezioni quanto registrazione del fatto che il "feticcio capitale" nasconde delle profondità insospettate che i vecchi percorsi segnati da Foucault, Derrida o Bourdieu - per non parlare degli eccessi di Badiou e di Zizèk - non possono più spiegare.

Bruno Pinchard

fonte: Critique Radicale de la Valeur

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