martedì 30 aprile 2013

alcol e cannoni

french75

Casablanca si svolge in un bar, e questa è già di per sé una ragione sufficiente, anche se non l'unica, per cui i personaggi che si aggirano dentro la pellicola di Michael Curtiz indulgano a consumare alcolici. Ed è qui che entra in ballo il "French 75", un cocktail che prende il nome da un cannone di artiglieria!
Utilizzato durante la prima guerra mondiale, il Matériel de 75mm Mle 1897 fu l'arma che praticamente stabilì lo standard del "fuoco rapido": era talmente stabile che non richiedeva che venisse puntato di nuovo, dopo ogni sparo.
Ovviamente, intorno al cocktail c'è una leggenda che racconta di un gruppo di soldati, asserragliati in una trincea, che tirano fuori ghiaccio e limoni, oltre a gin e champagne, in mezzo al fuoco delle mitragliatrici. Decisamente suggestivo, anche se, forse, meno consistente della voce che, più prosaicamente, riporta, ed attribuisce, l'origine della bevanda ad Harry MacElhone, mitico barman del leggendario "Harry's New York Bar" di Parigi. Insomma, da Harry MacElhone a Rick Blaine, ed i loro bar, da Parigi a Casablanca, seguendo la traiettoria del colpo sparato da un pezzo d'artiglieria, e bevendoci sopra.

lunedì 29 aprile 2013

La storia sono loro!

storia

1947, le elezioni per la prima Assemblea regionale in Sicilia vedono una forte affermazione del Blocco del Popolo (Blocco del Popolo:590.870; Democrazia Cristiana: 399.125; Liberali e Uomo qualunque (c'erano già i grillini!): 308.567; fonte L'Unità, 23 Aprile 1947). Il PCI ne trae nuovo motivo per ribadire che il suo compito è la lotta per il risanamento del Paese. Intanto, però, a Milano, non viene applicato il decreto prefettizio di ribasso dei prezzi, che stanno continuando ad aumentare, mentre, a Potenza in seguito ad un moto contadino, i carabinieri sparano, facendo un morto e quattordici feriti.
E' il 21 aprile, quando la Celere, a Venezia, si scaglia contro le maestranze del Cotonificio in sciopero, manganellando anche il segretario della Camera del Lavoro ed il sindaco comunista della città. Si arriva così al 1° maggio, a Milano, dove la tensione è altissima. La partecipazione al comizio separato, organizzato dai comunisti internazionalisti e dagli anarchici, è notevole. Ed è lì che arriva la notizia dell'eccidio di Portella della Ginestra. L'Unità, in risposta, sostiene la parola d'ordine "Sciopero Generale"; precisando però che, a Milano, lo sciopero durerà ... mezz'ora!!!
Poi, qualche giorno dopo, sempre trionfante, si felicita che "l'occupazione delle centrali elettriche, provocata dall'intransigenza della Pedruzzi e della Edison, di fronte alle richieste dei lavoratori", è stata, grazie al cielo, scongiurata, grazie all'opera dei tre partiti di massa!!!
Così, mentre il Sindacato "contiene" l'esasperazione operaia, la polizia ha mano libera nell'arrestare Commissioni Interne e scioperanti.
A fronte della violenza dello Stato, che cresce in maniera esponenziale, il 7 maggio, i direttivi della FIOM si riuniscono e garantiscono, per l'ennesima volta, che la parola d'ordine del Sindacato è "SVILUPPO DELLA PRODUZIONE"!!!

28 aprile 2013

Gaetano Bresci
di Luca Mirti

Nella landa di Coiano, nel Fabbricone tessile
Sono diventato uomo come mio padre prima di me
Con il marchio del ribelle, il reato di anarchia,
sono stato confinato da uno Stato di polizia

Emigrai in America, lavoravo a Paterson
ma la mia terra mi mancava dio solo lo sa, dio solo lo sa...
E la mia gente soffocata da miseria e carestia
fu sfamata dai cannoni di un generale e del suo re

Dentro me scoppiò l'inferno, il mio cuore si annerì
tornai indietro, tornai indietro con chi fu assassinato lì.
Monza ventinove luglio, tre pallottole con me
e un nome per ognuna: Giustizia, Pace e Libertà

Respirai, trattenni il fiato, al mio popolo pensai
mi feci largo tra la gente e sparai...e sparai
Fui picchiato, processato, l'avvocato non bastò:
assassino dichiarato e l'ergastolo arrivò.

Non ho mai chiesto perdono, ora dormo un sonno che
non può essere svegliato né da loro, né da me.
Mi chiamo Gaetano Bresci, chi sia stato non lo so
ma so che ovunque sia un oppresso ritornerò. Ritornerò.

luigi

domenica 28 aprile 2013

squilibri

attentatore
Lo "squilibrato", Luigi Preiti, sarebbe un muratore di Rosarno, emigrato da 20 anni ad Alessandria, ogni anno tornava al suo paese natale; pare - afferma il fratello - che recentemente avesse perso il lavoro e si fosse separato.
Sarebbe stato perfetto, come suicida su cui versare lacrime e cordoglio, e invece ha rotto le uova nel paniere un po’ a tutti.
Che squilibrato!!!

sabato 27 aprile 2013

costituzioni

costituzione

Forse, per prevenire la cattiva impressione che poteva essere stata data dalla votazione assai poco unitaria del primo articolo della Costituzione, il 26 marzo 1947 Togliatti annuncia che "i comunisti voteranno per salvare la pace religiosa", vale a dire la continuità dei rapporti fra chiesa cattolica e stato italiano, così come sono stati sanciti, nel 1929, dal fascismo e dal Vaticano. La presa di posizione di Togliatti, appare ancora più clamorosa se si pensa che in un'intervista di qualche giorno prima, Ruggiero Grieco aveva affermato: " Noi comunisti che siamo sempre stati rispettosi della libertà religiosa, non pensiamo che si possano inserire nella Costituzione i patti lateranensi, patti sottoscritti dal fascismo e che contengono anche principi contrari alla Costituente stessa."
Come giustificazione, per la nuova posizione di Togliatti, si arriva a ritirare fuori la minaccia fasulla della questione romana, di un ricatto da parte della Chiesa. Poi, visto che la giustificazione non tiene, si ricorre a Pietro Secchia (il quale continua ad usurpare una fama di "sinistro") che spiega come stanno le cose:
"Vi sono delle forze, non già di sinistra (per quanto certe correnti di sinistra, nel loro rigidismo teorico ed astratto piccolo borghese, facciano talvolta il giuoco delle destre), che avrebbero desiderato fare dell'articolo 7 una formidabile manovra politica interna e internazionale, un'arma pericolosa di guerra civile."

venerdì 26 aprile 2013

artistica/mente

arte

Scrive Blanchot, nel suo "Il libro a venire", che "ogni volta che si preferisce l'artista rispetto all'opera, tale preferenza, questa esaltazione del genio, comporta una degradazione dell'arte, un arretramento di fronte ai poteri che le sono propri." Per esempio, continua dicendo che, né Mallarmé né Cézanne fanno pensare all'artista come ad un individuo più importante degli altri. Non cercano la gloria, entrambi sono modesti, non rivolti verso sé stessi, ma verso un'oscura ricerca. Cézanne non fa l'esaltazione del pittore, e neanche della pittura. Salvo che per mezzo della sua opera. E Van Gogh dice di non essere un artista. "E' grossolano il solo pensarlo, di sé stessi" - aggiunge. E poi: "Dico questo per mostrare quanto io trovi stupido parlare di artisti talentuosi, o senza talento."
L'artista non è una persona più importante, o più visibile, degli altri. Al contrario, continua a svanire nella sua opera. A tal riguardo, risulta interessante - oggi - vedere come Coetzee, in una recente intervista, riprenda quest'approccio per affermare che rifiuta l'idea di "un artista visto come un privilegiato in grado di dire delle verità".

giovedì 25 aprile 2013

nell’ombra

The Partisan di Leonard Cohen
Quando furono arrivati, varcando la frontiera,
mi avvisarono di arrendermi,
ma non potevo;
ho preso il mio fucile e sono sparito.
Ho cambiato nome così tante volte
e ho perso moglie e figli
ma ho molti amici,
qualcuno è qui con me.
Una vecchia ci ha dato asilo,
ci ha nascosto in soffitta,
poi sono venuti i soldati;
è morta senza un respiro.
Questa mattina eravamo in tre
Questa sera ci sono solo io
ma devo continuare;
la frontiera è la mia prigione.
Oh, il vento, il vento soffia
soffia dentro le tombe,
verrà la libertà;
e allora verremo fuori dall'ombra.
C'erano i tedeschi a casa mia
Mi hanno detto "Consegnati!"
Ma non ho paura
Ho ripreso il fucile
Ho cambiato nome un centinaio di volte
Ho perso moglie e figli
Però ho molti amici.
Tutta la Francia.
Un vecchio, all'ultimo piano,
ci ha dato asilo per la notte
I tedeschi lo hanno preso
E' morto, e non era sorpreso
Oh, il vento, il vento soffia
soffia dentro le tombe,
verrà la libertà;
e allora verremo fuori dall'ombra.

mercoledì 24 aprile 2013

lacrime

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"Preferirei indire una mattinata di supposizioni"! Così dichiarava Majakovskij, in un suo componimento a proposito della tendenza a lasciarsi andare ai ricordi, alle rimembranze, belle o brutte che siano. Però, a volte succede, e succede senza nemmeno volerlo, senza punto indugiare, succede per caso. La concatenazione è divertente, e vale la pena riportarla. Sei a parlare di un gatto che ha dei problemi agli occhi, in via di guarigione, ed è giocoforza, per dei siciliani, ma non solo, ricondurre a Santa Lucia tutti quei problemi che attengono agli occhi, e alla vista. Così, in risposta a chi, per la guarigione del proprio gatto, è perfino disposto a far voto di pellegrinaggio alla città natale della santa, rispondo, senza nemmeno pensarci, che dopo lunghi anni, a Siracusa, proprio in Piazza Santa Lucia, è stato riaperto il "Sepolcro" dove si trova l'unico pezzetto della santa, riportato a Siracusa, con un espediente, da Venezia, dove giace tutto il resto.
Un bel posto, da vedere, il Sepolcro. Un luogo intorno al quale aleggiano leggende di cunicoli, tunnel sotterranei, catacombe che addirittura arriverebbero fino a Catania, e su cui si sussurrano storie che parlano di intere scolaresche, con annesso insegnante, che vi si sono incautamente inoltrate, per mai più ritornare.

Statua-S.-Lucia-presso-il-Sepolcro-1


Vabbè, dicevamo ....Ah, ed ecco che per risposta alla mia informazione turistica mi sento dire che a Siracusa, la malcapitata è stata condotta a vedere il ... "Santuario". Certo, alla base vi è anche un piccolo equivoco, perché il santuario trae origine non da Santa Lucia, ma dalla Madonna. Insomma, per farla breve, ma mica tanto, nel periodo che va dal 29 agosto al 1° settembre 1953 la Madonna, in persona, ha pianto a Siracusa, in piazza Euripide. Tralasciando il fatto che nello stesso anno sono nato io, ed è morto Stalin, è successo che mi sono lasciato ad andare ad esprimere tutto il mio odio viscerale nei confronti di quella che giudico essere una delle costruzioni più orride mai realizzate.

siracusa_madonna_lacrime

Il fatto è, che come potere vedere nella prima foto, a seguito del "miracolo", poco dopo nella piazzetta dove aveva avuto luogo il "pianto", era stata tirata su una costruzione, a mo' di pagoda, fatta con tubi innocenti , una chiesetta all'aperto, senza pareti. Insomma, una cosa deliziosa e divertente, un'immagine di chiesa - e di miracolo - che fin dalla mia infanzia mi ha accompagnato, anche perché il caso ha voluto che la chiesetta in questione sorgesse proprio di rimpetto all'edificio in cui andavo per frequentare la scuola media, prima, ed il liceo, dopo. Così, per far capire quanto carina fosse la chiesa senza pareti, mi sono dato da fare per trovare, in rete, delle immagini che potessero suffragare le mie opinioni. Prima, quella in bianco e nero, fotoscioppata (senza photo shop) con dei fiori finti, in cui si vede perfettamente la costruzione. Ma quando si innescano simili meccanismi, accade che non sei mai pago, e continui, in preda ad una sorte di febbre, a cercare, a cercare. Così torniamo all'inizio del post, ed alla foto che ho messo in apertura, e che ha avuto l'effetto di scatenare l'ondata di rimembranze di cui parlavo prima.

euripide

Fatto sta che quella cartolina, con tanto di madonnina a protezione, è una foto d'insieme di un pezzo per me importante della città dove sono nato e dove ho imparato a muovere i primi passi. Ed ecco che questa fotografia mi ha saputo raccontare un po' di storia mia. La foto è scattata, senza dubbio, da una finestra all'ultimo piano del Liceo Scientifico Orso Mario Corbino. In primo piano, il ponte della ferrovia (che ora non c'è più) e, ai lati del varco per le automobili, i due ponticini per il passaggio pedonale, oltrepassati migliaia di volte, ogni mattina, provenendo dalla Borgata, per andare a scuola. Al di là dell'insegna pubblicitaria della Motta, la piazza Euripide, con la chiesa a pagoda di cui ho parlato. Quel luogo, quella piazza, quei ponticini, quella scuola, hanno visto il mio '68. I ponticini venivano usati per i picchetti, per impedire, anche con la forza, agli studenti di andare a scuola, quando era sciopero. La maggior parte del traffico studentesco proveniva dalla piazza, e noi (che eravamo nati strateghi!!!) piazzavamo il picchetto dalla parte del liceo, all'uscita dei ponticini.
Sotto quei ponticini che non ci sono più, sono avvenute delle risse gigantesche, degne dell'Iliade. La nostra Iliade.

politici

Monaco

E' il 28 settembre del 1938, a Monaco, tre giorni prima della firma dell'accordo. Il mondo sta col fiato sospeso. Hitler appare minaccioso come non mai. I cechi sono consapevoli che se lasceranno ai tedeschi quella che è a tutti gli effetti una barriera naturale, la regione dei Sudeti, potranno considerarsi già morti. Chamberlain dichiara: "Non è spaventoso, incredibile, inaudito, che siamo tutti a scavare trincee, a causa di una controversia sorta in un paese lontano, fra gente di cui non sappiamo assolutamente niente?"
Saint-John Perse ha accompagnato Dadalier, a Monaco, in qualità di segretario generale del Quai d'Orsay. Davanti all'ingresso dell'hotel di Monaco presso cui alloggia, un giornalista gli chiede: "Mi dica, signor Ambasciatore, questo accordo è quanto meno un sollievo, giusto?". Silenzio. Poi il segretario del Ministero degli Esteri francese, sospira: "Suppongo di sì, un sollievo, certo ... come quando uno si piscia nei pantaloni!"

Poi, saranno i giornali, a riportare le diverse ultime parole famose. Quelle di Chamberlain, che al balcone, a Londra, proclama: "Miei cari amici, per la seconda volta nella nostra storia, abbiamo di nuovo ottenuto una pace onorevole fra la Germania e Downing Street. Credo che stavolta la pace durerà per tutta la vita."
Quelle di Daladier che, dopo essere sceso dall'aereo, acclamato dalla folla, dichiara: "Ah, quegli stronzi! Quegli stronzi, ora, sono stati avvisati!..."
Solo Churchill, alla Camera dei Comuni, avrà il coraggio di ammettere che "Abbiamo subìto una sconfitta totale e assoluta." (Urla di protesta) "Siamo nel bel mezzo di una catastrofe di enormi proporzioni. La strada che dalla foce del Danubio passa per il Mar Nero, è ora aperta. Uno dopo l'altro, tutti i paesi dell'Europa centrale e del bacino del Danubio verranno travolti dalla politica nazista di Berlino. E non crediate che questa possa essere la fine, no, questo è solo il principio ..." Chioserà poco tempo dopo, sintetizzando: "Dovevate scegliere fra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore. Avrete la guerra."

Nel 1946, a Norimberga, il rappresentante della Cecoslovacchia domanderà a Keitel, capo dello Stato Maggiore tedesco, "Se le potenze occidentali avessero appoggiato Praga, il Reich avrebbe attaccato la Cecoslovacchia, nel 1938?". Al che, Keitel, risponderà: " Certamente no. A livello militare, non eravamo abbastanza forti."

martedì 23 aprile 2013

Tutto compreso

turismo

Nel corso della guerra civile spagnola, man mano che l'esercito franchista andava guadagnando terreno, vennero organizzate una serie di escursioni turistiche nei principali campi di battaglia e nei punti chiave della guerra, una volta che cadevano sotto il controllo del bando nazionale. Un decreto del maggio 1938, permetteva al Servizio Nazionale del Turismo di stabilire un circuito per i tour, denominato "Ruta de Guerra del Norte". L'obiettivo era duplice, procurare denaro, da una parte, sotto forma di valuta, considerato anche che la maggior parte dei "turisti" erano stranieri, e svolgere un lavoro di propaganda, dall'altra. Il progetto si mise in moto nel mese di luglio. Da Irun a Oviedo, andata e ritorno, passando per San Sebastiano, Bilbao, Santander e Gijón. C'era anche un secondo percorso, orientato verso il Portogallo, che partiva da Tuy e arrivava a Santiago de Compostela e, poi, da lì a Santander.
I tour venivano effettuati a bordo di autobus del Servizio Nazionale del Turismo che, naturalmente, avevano al seguito delle guide che parlavano i diversi idiomi dei turisti. Non erano fatti del tutto di battaglie e guerra, dal momento che era stato considerato che la propaganda sarebbe stata più efficace se, all'aspetto bellico, si fosse accompagnata un'azione "culturale"; ad esempio, una serie di visite delle cattedrali. L'iniziativa andò avanti per diversi mesi e, una volta che anche il sud della Spagna cominciò a diventare territorio franchista, venne stabilita anche una "Ruta de Guerra del Sur".
Questi percorsi turistici, che continuarono ad essere proposti alternativamente, andarono avanti e vennero abbandonati vari anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945. Sembra che siano passati, attraverso tali percorsi, circa 20 mila viaggiatori, con un incasso complessivo di circa otto milioni di pesetas.

lunedì 22 aprile 2013

parlamenti 2

basta tauride

6 Gennaio 1918, Palazzo Tauride, Petrograd.

Quando Chernov cominciò ad affrontare il secondo punto all'ordine del giorno della sua Agenda - la discussione di un disegno di legge di riforma agraria - sul viso dei compagni vicini si disegnò un'espressione di sincera sorpresa. "Perché continuare questa farsa?" Queste parole caddero come un triste acquazzone autunnale. Le tribune si stavano svuotando lentamente. Era scesa la notte. Solo i soldati ed i marinai rimanevano in galleria. Non contavano di poter tornare a casa: "Dormiremo qui." Nell'auditorium era caduto il silenzio. Ogni passo rimbombava sordamente nei corridoi, ogni fruscio riecheggiava nei palchi, mentre saliva, palpabile, nella sala, un terrore, non sacro, ma empio.
Anche Chernov, per un po' non venne ascoltato da nessuno; perfino lui era in preda allo stesso terrore. Faceva uno sforzo visibile per riuscire a mantenere una calma di facciata, come sempre, spostando e mescolando fogli sulla sua scrivania di presidente e facendo finta di studiarli.
Questa Assemblea Costituente stava morendo lentamente, senz'agonia. Quello che hanno raccontato a proposito del fatto che sarebbe stata sciolta con la forza, è una volgare sciocchezza. Chi avrebbe mai voluto sollevare un tale clamore su quella che era una reliquia vivente che si trasformava velocemente, sotto gli occhi di tutti, in un cadavere? Guardatela, adesso ... il battito cardiaco si sente a malapena, appeso a un filo sottile ... un altro battito ... sempre più debole ... si affievolisce fino a sparire del tutto ...
Un silenzio sepolcrale pervade la sala. Le luci elettriche insopportabilmente brillanti che sovrastano l’auditorium, rendono questo silenzio, questo mortorio, ancora più evidente. E senza nemmeno accorgersene, il delegato che relaziona su una legge di riforma agraria senza fine, abbassa la sua voce fino a trasformarla in un sussurro.
"BASTA!"
Calmo e fiducioso, come un colpo sparato a bruciapelo, il grido del marinaio squarcia il sussurrio della relazione. I deputati, istintivamente si abbassano dietro i loro scranni, alzando gli occhi impauriti a guardare in alto, verso la galleria. E c'è talmente tanto terrore animale, in questo riflesso, che un marinaio appoggiato alla balconata, sputa disgustato verso le panche vuote dietro di lui.
"Ehi, voi ..."
"BASTA!"
Chernov solleva la sua testa brizzolata e avvicina a sé il campanello, ma non lo suona. Capisce che non è il momento di suonarlo. Fa un gesto verso il relatore, che si era interrotto, come di continuare. Lui stesso, ostentando un'aria di nonchalance, china gli occhi su quello stesso pezzo di carta che si trova steso davanti a lui da diverse ore. Ma deve rialzarli quasi subito, perché dietro di lui, qualcuno, in piedi, gli sta bussando leggermente sulla spalla: il capitano delle guardie, il marinaio Zheleznyak, leggermente piegato, sta dicendo qualcosa che non si riesce a sentire nella sala ...
Chernov, indignato e perplesso, ricade sulla sua sedia.
"Ma ... Anche tutti i membri dell'Assemblea Costituente sono molto stanchi, ma nessuna stanchezza ci impedirà di portare a termine il nostro compito: di lavorare alla riforma agraria che la Russia si aspetta da noi."
Ed ecco che la voce del marinaio, con calma sprezzante, senza nessuna minaccia, risuona per tutta la sala: "Le guardie sono stanche. Suggerisco che lasciate la sala."
Chernov si appoggia al tavolo e si volge a guardare direttamente negli occhi dei componenti del suo partito che, immobili e incupiti, sembrano incatenati ai loro scranni - non un segno, non una parola ... E, guardando con la coda dell'occhio la schiena del capitano che si allontana, Chernov borbotta: "E' stata presentata una mozione, al termine di questa sessione, circa l'accettazione della legge di riforma agraria, senza dibattito; il resto della discussione può essere trasferito ad una commissione ..."
"Ma che cosa sta dicendo?"
Intorno a me, i marinai si stanno strozzando per le risate. "Cos'ha detto quel pagliaccio? Una mozione? Una barzelletta ..."
Intanto stanno votando. La mozione è stata accettata. Chernov si guarda attorno: il capitano delle guardie non si vede.
"Propongo anche che venga rivolto un appello al mondo civile ..." Ingoiando le parole, qualcuno legge, impaurito, l'appello.
La galleria attende con pazienza: l'allegria provocata dalla furbata di Chernov non si è ancora dileguata.
La mozione viene accolta. Zheleznyak non c'è.
Con la stessa velocità, la dichiarazione a proposito della 'politica di pace', è approvata.
Stringendo i tempi, Chernov sta provando a continuare a seguire la sua Agenda. Facendo frusciare i suoi fogli, un altro delegato si dirige verso la tribuna. Di nuovo, i volti dei soldati e dei marinai si fanno scuri e cupi. Sono le 4 e 30 del mattino ...
"BASTA!"

basta marinai

Un brivido attraversa la sala. Poi, una tempesta di grida. Non si riesce a sentire una parola della relazione, si può solo cercare di leggere il movimento delle labbra esangui che si contraggono spasmodicamente intorno a parole inaudibili.
"Fuori! Basta! BA-A-STA!"
In sala non c'è più solo terrore. Ora c'è anche pura follia. Non si riesce a riconoscere nei marinai quelli che fino a pochi secondi fa stavano ridendo. Le loro grida si fanno sempre più alte, mentre le sopracciglia si incontrano minacciosamente sopra i loro occhi. Le pupille dilatate, i nervi tesi come una molla pronta a scattare, il respiro trattenuto dolorosamente, il marinaio accanto a me, lentamente, in silenzio, solleva il fucile che finora teneva stretto fra le ginocchia.
Da qualche parte si sente il rumore secco dello scatto di una sicura ...
"BASTA!"
Giù in basso, dalla galleria, si possono vedere, umoristicamente vulnerabili, le teste accuratamente pettinate dei delegati.
Ancora un minuto, un secondo ...
Chernov bruscamente spinge indietro la sua sedia, si alza e si allontana dalla tribuna come compiendo un frettoloso passo di danza. Le canne dei fucili baluginano. "Qual è il problema?"
"Questa sessione dell'Assemblea Costituente viene dichiarata chiusa."
"E' venuto il momento ..."
Rumorosamente e felicemente, quasi fosse stato tolto un peso da ciascun cuore, i soldati si chiamano fra loro, stirandosi e sbadigliando, qualcuno a bocca spalancata, "Attento, ti entrano le mosche."
"Bene, siamo stati quasi per fare un bel mucchio di cadaveri ... " dice un giovane marinaio, strizzando gli occhi mentre ride, come per scacciar via i recenti pensieri di sangue. "Ancora un po' e avrebbero fatto di noi dei peccatori."
"E non ci saremmo certo congratulati per questo, credimi."
"Stai scherzando? Per questa spazzatura? noi, marinai di Kronstadt?"

Intanto, in un solo gruppo, stringendosi gli uni agli altri come un gregge di pecore, i deputati si affollano intorno alla porta. Ognuno cerca di passarci. Ognuno prova a passare da una porta, quella destra, sebbene quella a sinistra sia perfettamente sgombra. Non vogliono separarsi, apparentemente ...
Dopo, all'uscita, nel vestibolo. Camminano insieme sempre come un gregge di pecore, cercando di non guardarsi intorno, come bambini nel buio.
A braccetto, inciampando nella neve, in mezzo alla strada, il più lontano possibile dai portoni bui e dai cancelli, camminano. Tutto il partito insieme. Fino alla Prospettiva Tauride. In silenzio. Spaventati. Indifesi.
Oltrepassandoli, si sente Zenzinov (se ne riconosce la voce) dire a quello accanto a lui, mentre struscia mestamente le sue galosce contro i cumuli di neve, "Beh, onestamente, bisogna ammetterlo, ci siamo comportati con dignità."

Così escono di scena, le ultime ombre vacillanti della Rivoluzione di Febbraio.

bastaJeleznakoff

domenica 21 aprile 2013

fatica

bara

In un qualche posto sperduto nella Spagna rurale della guerra civile, quattro uomini trascinano una bara fatta di povere assi di legno grezzo inchiodate insieme. Su un terreno sassoso di pietre affilate e di polvere, gli uomini tirano con forza il pesante fardello; un peso fisico e morale, quasi. Un padre, un figlio, un fratello, un amico, un compagno, chi lo sa! Se ne può quasi sentire il suono, della cassa trascinata sullo sterrato del paese.
Clac, clac, clac.
Come un rintocco di morte che sale dalla terra, solo quello, nient'altro, nemmeno l'ansimare della fatica; ché al lavoro è gente abituata.
Niente funerale e niente campane per quel morto, chiunque esso sia, dentro quella cassa, comunque sia morto, quel morto.
Vanno a seppellirlo, insieme alla speranza.

sabato 20 aprile 2013

Parlamenti

cromwell

"Cromwell, quando sciolse il Long Parliament, si recò da solo in mezzo ad esso, cavò di tasca l'orologio, affinché il parlamento non vivesse un minuto di più di quanto egli avesse fissato; e scacciò ogni singolo membro con oltraggi serenamente umoristici."

Karl Marx - Il 18 Brumaio di Luigi Napoleone Bonaparte - Capitolo 6° -

e se …

battaglia navale nel porto di Siracusa

Il fisico David Deutsch sostiene che se gli esseri umani non sono ancora immortali, questo è perché Atene perse la guerra del Peloponneso!!!
Partendo dal presupposto che una copia del cosiddetto "software cerebrale" potrebbe essere trasferito ad un nuovo cervello che, a sua volta, andrebbe a controllare un nuovo corpo, e considerando che non vi sono leggi fisiche che impedirebbero un simile procedimento; vuol dire che se non lo stiamo facendo, è perché non abbiamo sufficienti conoscenze. Vale a dire, quello che abbiamo è un problema tecnico. Se il progresso continua, la soluzione di qualsiasi problema tecnico diventa solo questione di lavoro e di tempo. Il conseguimento dell'immortalità dipende solo dalla continuità del progresso.
Ed il progresso è, di fatto, un'accumulazione esponenziale di conoscenze risultanti da una rapida successione di innovazioni. Un milione e mezzo di anni fa, gli esseri umani scoprirono come fare ad affilare una selce per ottenere un coltello. Poi, ci volle un altro milione di anni perché qualcuno si rendesse conto che la pietra poteva essere affilata da entrambi i lati, e che se ne poteva ottenere una lancia. Così, nel 1903, i fratelli Wright passarono alla storia per aver effettuato un volo della lunghezza di un centinaio di metri. Solo 13 anni dopo, il Barone Rosso combatteva nei cieli della Francia e, nel 1969 - 66 anni dopo il volo dei fratelli Wright - Neil Armstrong passeggiava sulla Luna. E sono passati appena 25 anni dal momento in cui venne inviato il primo messaggio attraverso Internet. Insomma, il progresso!
Ma il progresso, come lo concepiamo oggi, comincia con l'Illuminismo del diciassettesimo secolo e si caratterizza per la sua multidimensionalità: scientifica, tecnologica, sociale e morale. Il progresso, insomma, sarebbe potenzialmente illimitato, proprio della civiltà occidentale e ... fragile. La fragilità deriva dal fatto che, per estrinsecarsi, il progresso necessiterebbe di una società che sia aperta (nel senso di Popper) ed ottimista (nel senso di Deutsch). Non può esservi progresso in una società chiusa, retta dal principio di autorità, nella quale i temi sopra i quali si può dibattere, e l'interscambio di idee, siano strettamente limitate. Non vi può essere progresso in una società pessimista, nella quale le innovazioni non vengono percepite come opportunità, ma addirittura come minacce.
Il progresso abbisogna di una società aperta, con verità provvisorie, dove si possa discutere se è vero che Dio gioca a dadi o se sia conveniente il matrimonio omosessuale. L'importante non è il tema, ma che si possa svolgere il dibattito.
Volgendo lo sguardo indietro, però, ci si rende conto che finora tutte le società nella storia sono sempre state società chiuse e pessimiste; salvo due eccezioni! La Firenze dei Medici, che fu molto effimera, e l'Atene dell'Età dell'Oro, il cui ottimismo venne schiacciato da Sparta, nel corso delle guerre del Peloponneso. Cosa sarebbe accaduto se Atene avesse vinto? Cosa sarebbe successo se l'ottimismo ateniese fosse durato per molto più tempo?
Saremmo immortali ed avremmo visitato le stelle?

venerdì 19 aprile 2013

la classe

mussolini boldrini

Antropologhi, sociologhi, fotografi marxisti e non ... qualcuno dovrebbe fare un'analisi di questa foto. Un'analisi di classe. Un'analisi comportamentale e vedere dove si annida il nemico vero. Quello che ti schianta, e poi alza la manuccia e atteggia la boccuccia, dicendoti che lo fa per il tuo bene. Alle Boldrini, come alle Fornero, preferisco le Mussolini, almeno ci si può sparare l'un l'altro, a viso aperto.

un segno col gesso

1919

Charles Proteus Steinmetz. E' il nome del curioso personaggio al centro della foto, e guardandolo non si può certo fare a meno di considerare che le due persone immediatamente alla sua destra si chiamano Nikola Tesla ed Albert Einstein. Aveva diversi problemi, evidentemente, Steinmetz, problemi fisici che andavano dal nanismo alla deformazione della colonna vertebrale, oltre a tanti altri diversi problemi legati a quella che viene comunemente chiamata "salute"; tutte cose che non gli impedirono di essere considerato uno dei più importanti ingegneri del suo tempo. E anche la sua vita, come la sua immagine, non fu affatto comune. Coltivava anche delle eccentricità, Steinmetz, piccoli vezzi come portare occhiali antiquati e non farsi mai vedere senza un sigaro in mano. Non poteva certo, uno così, avere in caso un gatto, o un cane, come tutti: il suo animale domestico era un "mostro di Gila". Ma nel corso della sua vita, ha accudito anche corvi, scimmie e caimani. Testardo e determinato, era tuttavia un uomo divertente e affabile. Alla General Electric, dove lavorava, era sempre pronto ad aiutare i colleghi, i quali nutrivano per lui un sincero affetto.
Una volta, Steinmetz ebbe a che fare con Henry Ford. Nello stabilimento Ford di River Rouge c'era un problema tecnico con un generatore di grandi dimensioni, e gli ingegneri della fabbrica non riuscivano a capire dove fosse il problema. Fu lo stesso Ford a chiedere l'aiuto di Steinmetz. Quando il "piccolo gigante" arrivò in fabbrica, pretese un quaderno, una penna ed una branda; e che tutti andassero fuori dai piedi. Passò due giorni e due notti nella fabbrica, ascoltando il rumore del generatore, mentre eseguiva strani e complicati calcoli. Poi, d'un tratto, chiese che gli portassero una scala, un metro a nastro e un gessetto da lavagna. Compiendo un notevole sforzo, si arrampicò sulla scala, fino ad arrivare alla sommità del generatore. Poi, usando il metro, calcolò un punto preciso sulla superficie dell'enorme macchina, dove tracciò un segno col gesso. Fatto questo, scese dalla scala e, rivolgendosi agli scettici che lo attorniarono, disse che bisognava rimuovere la piastra laterale, smontare la bobina del generatore e da questa eliminare sedici giri di filo, a partire dal punto esatto in cui aveva tracciato il segno col gesso. Gli ingegneri seguirono alla lettera le istruzioni di Steinmetz e, ovviamente, il generatore prese a funzionare perfettamente.
Ben presto, venne recapitata a Ford una fattura per diecimila dollari, firmata da Steinmetz della General Electric. Ford la rimandò indietro, con una nota in cui diceva che era molto grato per l'ottimo lavoro svolto, ma che avrebbe rispettosamente gradito una fattuta più dettagliata.
Cosa che Steinmetz esaudì, rimandando a sua volta ancora la fattura, cui aveva aggiunto il seguente dettaglio:

Segno di gesso sul generatore:     $ 1
Sapere dove fare il segno    :     $ 9.999

Totale da pagare             :     $ 10.000

Il conto venne pagato. Senza storie.

giovedì 18 aprile 2013

VIRUS

virus

Per qualche tempo, Phil Dick si misurò con la teoria del "Virus del Linguaggio", elaborata da William Burroughs nel quadro del suo pensiero a proposito della cosiddetta "informazione vivente". La teoria di Burroughs lo intrigava e lo disturbava allo stesso tempo, come emerge dalle lettere in cui ne fa una lode, in quanto è riuscita a porre il giusto problema. Però, allo stesso tempo, si trova in disaccordo per quando riguarda la natura dell'entità. Così Dick coglie l'occasione per chiarire la propria posizione, in contrasto con quella di Burroughs. Come al solito, Dick è ... dickiano, e procede andando oltre la questione teorica, per speculare sulle sue proprie esperienze. Ne viene fuori un quadro teso e avvincente, quasi lovecraftiano nel descrivere quella che è allo stesso tempo attrazione e repulsione nei confronti delle idee di Burroughs a proposito del "paradosso dell'informazione".

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"Non riesco ad accettare il punto di vista di Burroughs, il quale sostiene che siamo stati invasi da un virus alieno, un virus dell'informazione, però, da un altro lato, non posso semplicemente respingere questa bizzarra teoria, definendola una sua mera paranoia. Penso che vi sia qualcosa di reale e di importante, e che le sue dichiarazioni facciano più bene - molto più bene - che male (cioè, egli affronta il problema correttamente, anche se forse la sua analisi è difettosa; come se fosse troppo consapevole del problema per poter raggiungere un buon risultato). Ora, io sono stato in grado di trovare prove, narrazioni, nei tempi antichi, di quello che sembra essere un pensiero, o una disfunzione percettiva, o forse il pensiero di una disfunzione percettiva.
... Burroughs potrebbe aver rilevato davvero un "virus dell'informazione" o qualcosa di simile ad un virus dell'informazione, ma la mia supposizione è che se se ne ammette l'esistenza, esso è una cosa di lunga data. Tutta la mitologia del mondo lo sostiene. Non solo quella cristiana.
Dove Burroughs ed io siamo nettamente in disaccordo ha a che fare con la mia supposizione riguardo al fatto che se - SE - esiste una forma di informazione vivente (e questa è davvero una supposizione bizzarra e selvaggia), questa forma di vita è benigna; non ci danneggia; al contrario: ci informa (o forse, invece, non ha nessun interesse a farlo, si limita semplicemente a cavalcare il nostro traffico di informazioni, utilizzando i nostri media come vettori; questo è del tutto possibile. Gli è che io stesso, nella primavera del 1974, ho visto questa informazione vivente, e non è qualcosa che vorrei rendere noto; d'altra parte, non voglio negarlo. La questione è importante, vitale e, allo stesso tempo, elusiva. Se si ammette un virus occludente dell'informazione, allora anche tu sei occluso nell'analisi che fai di esso, così come della percezione della tua esistenza. C'è un paradosso in questa faccenda. Sono sicuro che tu puoi vederlo. Ed io cercherò di affrontarlo in "VALIS".

da Selected Letters of PKD 1980-1982, p.146

mercoledì 17 aprile 2013

Il ministero della Paura

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Nel 1959, mentre era impegnato a scrivere la storia del cinema, con film come "Psycho", che sarebbe uscito nelle sale da lì ad un anno, Hitchcock si era un po’ rotto le palle di tutte le vittime maschili in fuga, che si muovevano sulle pellicole. Con "Intrigo internazionale (North by Northwest)", aveva già messo a punto quello che lo sceneggiatore Ernest Lehman descriveva come "il film di Hitch che la faceva finita con tutti i film di Hitch": sarebbe stato l'ultimo suo film  in cui un innocente doveva provare la propria innocenza; un tema che aveva cominciato ad affrontare nei suoi film inglesi degli anni '30, a partire dal primo "L'uomo che sapeva troppo", quello del '34 con Peter Lorre, di cui poi avrebbe girato il remake con Jimmy Stewart, con "Giovane e innocente", del '34 e, soprattutto, col migliore del mazzo: "Il club dei trentanove (The 39 Steps)", del 1935. "Intrigo internazionale" è come una sorta di rivisitazione, senz’altro magistrale, di quel passato che era ormai diventato come un marchio di fabbrica del cinema di Hitchcock.

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Hitch ha sempre negato l'influenza di Fritz Lang, sul suo cinema; arrivando perfino a dichiarare a François Truffaut, nel famoso libro-intervista di quest'ultimo, di non aver mai visto "M - Il mostro di Düsseldorf (M)". Lang, da parte sua, invece, si era proprio basato su Hitchcock per il suo "Il prigioniero del Terrore (Ministry of Fear)", del 1944, un thriller di spie in tempo di guerra. I film di spie che Hitchcock gira negli anni '40 ancora una volta si basano su innocenti in fuga e vanno incontro ai gusti dell'Office of War Information, per i loro contenuti volti a demonizzare le potenze dell'Asse.
In quanto immigrato britannico, bene a conoscenza della minaccia di una guerra lampo, Hitch riesce a proporre un intrattenimento coercitivo che potrebbe, idealmente, servire a sostenere la compravendita delle obbligazioni di guerra. Invece Lang, un emigrato che è sfuggito ai nazisti, si schiera contro la potente follia che ha invaso il suo popolo, scegliendo il bene. Eppure, il film di Lang, come quelli di Hitchcock, fa del nazismo niente più di un'ombra (diversamente dai suoi primi film anti-nazisti come "Duello mortale (Man Hunt)", del 1941, e "Anche i boia muoiono (Hangmen Also Die)", del 1943).

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Un po' meno di quanto riesca a fare "Confessione di una spia nazista" di Anatole Litvak, del 1939, il film di Lang intrattiene assai più di quanto predichi. Assai abile, fin dall'inizio della sua carriera, a mischiare arte ed intrattenimento, Fritz Lang conferisce fascino e suspence al romanzo di Graham Greene. Giocato sullo stesso registro di un film come  "Il fuorilegge (This Gun for Hire)" di Frank Tuttle, del 1942, anch'esso adattato da un romanzo di Graham Greene. Alan Ladd è un killer che si trasforma in vittima/fuggitivo. Ironicamente, Frank Tuttle, nel suo film, rimuove l'ambientazione bellica del romanzo, spostandolo, da un'Europa dove si trova un paese comunista senza nome, in differenti città della California.
Il film di Lang ritorna così al concetto di "innocenza punita", caro a Hitchcock, con Stephen Neale (Ray Milland) che si trova a dover affrontare la pena per omicidio, non in seguito ad un efferato delitto, ma per aver messo misericordiosamente fine alle sofferenze della moglie gravemente malata.

martedì 16 aprile 2013

These Boots Are Made for Walkin'

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Jacques Derrida insiste. Nessun carattere fantasmatico, né tantomeno spettrale, nelle due scarpe dipinte da Van Gogh. Eppure - continua - esse oscillano fra due spettralità, una giocata sull'assenza e un'altra giocata sulla presenza; addirittura, la scarpa come il suo proprio spettro, lo spettro di sé stessa: nel suo abbandono, nella sua materialità che, letteralmente, si svuota. La scarpa, come indizio, se non come prova, di uno spettro assente, esterno alla scarpa. Quasi una soglia, la scarpa, che chiude il visibile.

scarpeWalserQuesto discorso di Deridda (scritto in opposizione allo sproloquio di Heidegger a base di "chiamate della terra") si può ampliare, dirigendolo verso un'altra immagine, successiva di settant'anni al quadro di Van Gogh. Natale 1956, l'ultima passeggiata di Robert Walser, le impronte della scarpe sulla neve, il percorso tracciato a segnare la progressione del corpo fino al punto in cui è crollato, la mappa di una messa in scena di un'ambivalenza insolubile giocata fra la presenza e l'assenza. L'immagine di Walser mette in scena tanto gli aspetti contraddittori della spettralità, quanto la vocazione a camminare di Walser. Gli stessi elementi che si trovano dentro le scarpe di Van Gogh. Sebald racconta questa tensione temporale che percorre l'immagine dei passi di Walser nella neve, senza però indicare come essa possa essere l'immagine più emblematica dell'opera e dell'uomo Walser. La vede come una presenza minore, subalterna, la definisce "a bassa frequenza" nella sua relazione con il mondo, con l'esterno. E così utilizza termini simili a quelli che utilizza Meyer Schapiro nella sua querelle con Heidegger, nel suo testo, sempre a proposito delle scarpe di Van Gogh.
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E Derrida parla di Meyer Schapiro (l'altro critico delle stronzate di Heidegger) come se si trattasse di un detective. Marshall Berman, nel suo saggio del 1994 su Schapiro, incluso in "Adventures in Marxism", va ancora oltre, fino a chiamarlo "detective ontologico": un detective che fa domande sui quadri di Van Gogh alla ricerca di prove; prove che attestino il crimine di Heidegger, il crimine di aver preso il quadro come un esempio a sé stante, sganciato dal contesto dell'artista. Da un'altra parte, invece, in Walser non c'è delitto, ma una scena di morte, di abbandono. Le tracce nella neve non portano verso il futuro. Ma verso il passato, ad una lettura retrospettiva della vita e dell'opera di Walser, a partire da una scena ambivalente e desolante, ma anche emblematica e poetica.

lunedì 15 aprile 2013

attualità

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“... studiare i problemi dell'insurrezione così come si studia l'economia politica, la scienza delle finanze o la politica estera. L'insurrezione, alla quale i nostri sforzi sono obbligati a tendere, sarà il risultato della preparazione e della capacità di molti. La realtà delle insurrezioni che in questo studio vengono ricordate è che, quando si presenta l'ora favorevole all'azione per la presa violenta del potere politico, non si ha il tempo di mettersi a studiare la teoria o la tecnica. Ognuno, in ogni settore, è improvvisamente costretto a fare quello che può, per mettere in pratica quello che sa. Perciò, per poter fare qualcosa, bisognerebbe saperne molto e bene.
La situazione italiana non offre altre soluzioni: o il proletariato riesce a prendere il potere politico o noi non vedremo mai la fine del regime. E il proletariato italiano, oggi, all'infuori della violenza, non potrà disporre di altri mezzi per la conquista del potere. Quanti pensano, creando combinazioni di stile parlamentare, di accelerare il processo di dissolvimento del fascismo, involontariamente non fanno che prolungarlo.
Contro il fascismo italiano non v'è, in prima linea, che una classe: il proletariato; che una tattica: la rivoluzionaria.”

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Emilio Lussu - Teoria dell'Insurrezione -

domenica 14 aprile 2013

nel labirinto

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Un altro racconto, ed un altro labirinto dentro la guerra civile spagnola: quello della guerra nella guerra. La guerra, condotta dalla CNT, contro i disfattisti, i disaffezionati, gli allarmisti e contro la quinta colonna, messi tutti insieme in un mazzo. . Ma anche il racconto degli infiltrati dentro la CNT stessa. Un racconto fatto anche di bugie, di menzogne, di divergenze, come quelle raccontate da Max Aub. Leggende indimenticabili, come quella del porto di Alicante, dove i cenetisti mangiavano prosciutto, mentre i comunisti dovevano accontentarsi delle lenticchie; e le navi non arrivavano…
E sempre parlando di navi e di porti del levante - e questa volta, purtroppo, niente leggende - c'è la storia dei pedaggi milionari che incassava la CNT-FAI, a Valencia, dov'era padrona e signora, per imbarcare i vari capetti sulle navi dirette a Marsiglia. La stessa CNT-FAI che, attraverso il Comitato di Salute Pubblica del Comitato Esecutivo Popolare, esigeva ed imponeva le pene più severe contro chiunque fosse sospettato di disaffezione e di "destrismo". Come faceva a Barcellona, per mezzo delle Pattuglie di Controllo di Aurelio Fernández (braccio armato del Comitato delle Milizie, inventato da Garcia Oliver), per non parlare di Madrid ...
Ma il paradosso consisteva nel fatto che la CNT era sì il maggior pericolo per il nemico, ma era anche il modo migliore per ottenere salvacondotti, credenziali, licenze; dal momento che abbisogna della maggior forza, e del più alto numero di affiliazioni, possibile, per le sue colonne e i suoi battaglioni, questo la portava ad aprire le proprie porte senza andare troppo per il sottile. Però, c'è anche da dire che chi veniva sorpreso ad ingannare la sua buona fede, la pagava assai cara. Come accadde a Raimundo Campos, tipografo del giornale della CNT di Madrid, il quale, scoperto come falangista, si sparò in testa quando vennero a prenderlo; o come nel caso del bibliotecario Florián Ruiz Egea, spia franchista, che venne spedito al "pollaio" del Comitato di Difesa.
Ma ci furono, in certi casi, anche degli eccessi di "zelo rivoluzionario", come nel caso della fucilazione di Gardeñas, avvenuta per ordine di Escorza e con il plauso di Federica Montseny e, ovviamente, dell'ineffabile Esgleas; e questo perché Gardeñas aveva il vizio di andare a visitare le case dei borghesi di Barcellona e appropriarsi delle loro borse e delle loro vite. Così come con troppo zelo vennero incarcerati i miliziani della "Checa" della Chiesa del Carmine, e venne fucilato il loro capo, "el Olmeda", insieme alla sua compagna "la Patro". E come dimenticare il vecchio libraio Antonio Rodríguez Sanz, “el Antoñito”, che si era fatto prendere un po' la mano dalla giustizia rivoluzionaria, nella "checa" di "Campo Libre" di Madrid, dove c'era un allevamento di suini che venivano nutriti ... dai controrivoluzionari? Un po' troppi, forse. Finirà in un battaglione di punizione, agli ordini di Gregorio Gallego, il quale, al ricordo dei tanti libri che da lui aveva comprato, prima della guerra, per pietà lo tolse dalla prima linea. Ma “el Antoñito” si lamentava ...
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Però, bisogna non perdersi niente, per cui è bene dare un'occhiata a queste due fotografie. Quella più in alto, ci mostra Melchor Rodríguez,"l'angelo rosso", solo che è circondato, senza saperlo, da una corte di falangisti. Gli stessi che, dopo la guerra, posano felici con il braccio teso nella foto appena sotto. Fra loro, il suo "fedele" segretario, Batista, e il suo autista, Curro, lo stesso che gli guardava le spalle, dall'inizio alla fine della guerra. Una coppia che si incaricava di andare a prelevare chi veniva segnalato da Melchor. Ma come criticare Melchor, se proprio Manuel Salgado, l'eminenza grigia dell'intellighenzia cenetista, proteggeva nella propria casa un "cucciolo fascista", liberato dal carcere Modello, un cucciolo con denti di lupo, come non tardò a dimostrare, consegnando ai franchisti tutti quelli che lo avevano accolto, per ottenere protezione dopo la sconfitta della Repubblica. Lo stesso Salgado che, all'inizio della rivoluzione e della guerra, organizzava false spedizioni di rifugiati nelle ambasciate, e che aveva come primo aiutante tale Manuel Ramos, che diverrà capo di una delle "ceche" più famose e più sanguinarie di Madrid, la cecha di Ferraz.
Del resto, la quinta colonna riuscì ad avere qualche successo, per esempio con Juan Tebar Terrasco, che ottenne la segreteria del Sindacato degli Insegnanti, a Madrid, e riuscì a far infiltrare una dozzina di membri di Acción Popular y Falange, specializzati in sabotaggi di ogni tipo. Ma anche, Antonio Bouthelier, uno degli appartenenti alla quinta colonna più famoso e segnalato, il più ricercato, che si ritrovò a scrivere articoli, come infiltrato, su "Frente Libertario", il periodico del Comitato di Difesa!! E quelli che lo sapevano, dicevano che Salgado proteggeva Bouthelier; però non sapevano perché.
Nel frattempo di tutto questo, uomini della FAI, mentre la fame era al culmine, si facevano ritrarre in una foto "maledetta" in cui si vede un certo numero di agnelli macellati, con grande gioia di Bouthelier. Fortuna volle, che nessuno commettesse l'errore di pubblicare la foto sui giornali.
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Solo al poeta libertario León Felipe era concesso di raccontare fatti del genere, sebbene più di uno mise mano alla pistola, quando lo sentì declamare, a Valenzia, il suo componimento poetico, La Insignia:
"Spagnoli, spagnoli rivoluzionari, spagnoli della Spagna legittima, ascoltate:
Sono qui - guardateli - sono qui, li conoscete bene.
Camminano per tutta Valencia, stanno nella retroguardia di Madrid,
ed anche nella retroguardia di Barcellona. Stanno in tutte le retroguardie.
Sono i comitati, i partitini, le fazioni, i sindacati,
i guerriglieri criminali della retroguardia cittadina.
Stanno, abbracciati al loro ultimo bottino, guardandolo, difendendolo,
con un'avidità che non ha mai avuto nemmeno il borghese più degradato.
Al loro bottino! Abbracciati al loro bottino! Perché non hanno altro che il bottino.
Lo chiamano perfino confisca."

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E così, anche passando per questo, si arriva alla vigilia della sconfitta, e si arriva all'esercito di Cipriano Mera che fece pelo e contropelo ai comunisti, a Fuencarral, e si arriva al colonnelo Casado che negozia la resa, supplicando Franco. E si parla di rispettare quelli che non si erano macchiati le mani di sangue, e di dare un passaporto ed aprire le porte dell'esilio a quelli che le mani se le erano macchiate. E qualcuno ci crede! Ma era troppo tardi per poter tornare indietro, e Mera inghiotte e manda giù tutta la sua amarezza e comincia a parlare alla radio. E’ lui il paladino, il campione del Consiglio di Difesa di Casado, il quale lo guarda, da vicino, quasi incuriosito. Nel mentre, Salgado e Garcia Pradas sfumano nella penombra e nel segreto. Nella foto qui sotto non compare, ma non lontano doveva esserci il colonnello José Centaño de la Paz, quintacolunnista della "Lucero Verde" nonché capo di stato maggiore della repubblica e strettissimo collaboratore di Casado, con cui rimane in massima confidenza, per tutta la guerra.  
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sabato 13 aprile 2013

radio fantasma

radio fantasma

L'organizzazione della quinta colonna in Spagna, durante la guerra civile spagnola, si deve ad Arturo Bocchini, capo dell'OVRA. Questa, insieme alla Gestapo tedesca, fornì il quadro tecnico che servì da base. Il quartier generale retto dalla Gestapo, aveva sede a Salamanca, mentre quello dell'OVRA si trovava, dapprima, a Burgos, e quando questa cadde in mano ai repubblicani, passò a Siviglia. La parte di quinta colonna controllata dall'OVRA, con centro a Roma, era principalmente dedicata a compiti, a livello nazionale, quale la demoralizzazione della retroguardia e il consolidamento dello spirito di ribellione anti-repubblicano e, a livello internazionale, il discredito del governo di Madrid. La base di tale azione, era la Radio. Tutti i circoli disponevano di un radio ricevitore e, talvolta, di un trasmettitore che dipendeva dalla stazione chiave di Siviglia, dalla quale Queipo de Llano camuffava le comunicazioni clandestine per mezzo delle sue ciarle buffonesche, apparentemente innocenti. La quinta colonna poteva contare sulla consulenza di Walter Nicolai.
Tutti i partiti e tutti i sindacati spagnoli peccarono di ingenuità, spalancando le loro porte all'infiltrazione del nemico imboscato nella retroguardia: non c'era un quintacolunnista veramente pericoloso che non avesse in tasca la garanzia di un qualche sindacato. Le radio del quadrilatero Siviglia-Lisbona-Roma-Berlino facilitavano, per mezzo delle loro onde corte, la trasmissione di tutto quello che era necessario al lavoro quotidiano della quinta colonna. I centri di fabbricazione di notizie, per la propaganda clandestina, erano ubicati nei rifugi situati dentro le ambasciate straniere, al riparo della loro extra-territorialità e dell'esercizio abusivo del diritto di asilo.

da - “La quinta columna española” di Manuel Uribarri -

venerdì 12 aprile 2013

giallo

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Negli anni '30 del secolo scorso, in Italia, il Minculpop dettava le sue regole per letteratura, teatro, cinema, ecc. Fra queste regole c'era quella che imponeva che l'assassino non poteva mai essere italiano. Ciò nonostante, Augusto De Angelis, giornalista e scrittore, in quegli anni inventò praticamente il giallo italiano, ambientando i suoi intrighi proprio nell'Italia fascista, dove si muoveva il commissario De Vincenzi, che anni dopo sarà protagonista di una serie televisiva interpretata da Paolo Stoppa.

 

Si sa che, prima della rivelazione di Giorgio Scerbanenco, il più valido autore di gialli italiani è stato Augusto De Angelis, il creatore del commissario De Vincenzi, il funzionario di polizia non conformista che ebbe un certo successo in epoca fascista. Insomma, Augusto De Angelis lavorò e si affermò quando dire la verità era ancor più difficile di oggi…
Ma Augusto De Angelis era un vero scrittore e ogni vero scrittore, anche se si mette a raccontare la storia di Cappuccetto Rosso nel bosco, finisce per essere realista: così nei suoi libri intorno all'affascinante figura di Carlo De Vincenzi (umanissimo come il commissario Jules Maigret di Georges Simenon, romantico come il privato Philip Marlowe di Raymond Chandler, intellettuale come il dilettante Philo Vance di S.S. Van Dine, eppure ancora caparbiamente italiano tanto da poter essere considerato un immediato predecessore e un parente piuttosto stretto del commissario Ciccio Ingravallo di
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda), intorno a questo eroe da ciclo poliziesco la nostra realtà di allora, e, ahimé, per tanti aspetti di ora, emerge viva nella sua stessa purulenza.
Augusto De Angelis nacque a Roma nel 1888 da una famiglia agiata. Studiò legge, ma la sua passione era il giornalismo in cui esordì giovanissimo. Fu redattore e inviato speciale di vari quotidiani, tra cui anche il “Corriere della Sera”. Le sue capacità di giornalista erano fuori discussione, avrebbe potuto fare una gran carriera, se solo si fosse piegato un poco ai tempi in cui gli toccò vivere. Ma aveva un sogno d'onestà (ne parlano continuamente le lettere conservate dalla figlia Franca), non seppe mai rassegnarsi all'abdicazione, anche se questo significava dover subire restrizioni e patire affanni. Lavorò sempre moltissimo, sia come giornalista sia come autore di romanzi o di teatro.
Alla caduta del fascismo nel 1943 fu redattore capo de “La Gazzetta del Popolo”. Lui che aveva sempre visto chiaro nelle vicende italiane non poteva illudersi che fosse miracolosamente finita. Troppi segni allarmanti marchiavano quel periodo. Restaurato il fascismo, Augusto De Angelis venne naturalmente incluso nelle liste di proscrizione e fu costretto a vagabondare in cerca di un rifugio. Credeva di averlo trovato a Bellagio. Ma fu arrestato, messo in prigione a Como, dove si ammalò seriamente. Quando tornò fuori dal carcere era in condizioni penose. Fu picchiato a morte da un fascista, e gli toccò sopportare una terribile agonia. Lo fece con grande dignità. Morì a cinquantasei anni nel 1944.
Di quanto aveva tentato e di quanto avrebbe tentato di fare ci restano quasi esclusivamente i romanzi gialli. Ma anche questa conferenza sul giallo tenuta in tempo fascista di cui la figlia ha conservato amorosamente gli appunti.

- Oreste del Buono -

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giovedì 11 aprile 2013

Appuntamento a Città del Messico

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Antonio Rexach y Fernández de Parga. Un nome impegnativo, sufficientemente lungo e con quel "Rexach" ... così basco. E infatti era nato proprio a Burgos, nel 1900, in seno ad una famiglia ben inserita nella tradizione militare spagnola. E Antonio Rexach, non dirazzò. Divenne aviatore ed anche famoso, uno di quei "temerari sulle loro macchine volanti", un'esibizionista che con le sue avventure aree causò anche diversi incidenti e vari feriti. Poi, nel 1931, con l'avvento della Prima Repubblica - quand'era già comandante, il massimo grado militare - si buttò in politica, con il Partido Republicano Revolucionario, dimostrandosi un veemente oratore, in qualche occasione perfino incendiario. Poi quell'esperienza fallì e Rexach conobbe incarceramento ed esilio. Sebbene non fosse troppo in sintonia con il governo repubblicano, di fronte al sollevamento franchista decise di tornare in Spagna e di combattere con i lealisti, prendendo parte a numerose azioni aeree. Entrato nelle grazie del governo, si diede a frequentare il Ministero della Guerra e convinse il ministro Largo Caballero circa la necessità di comprare nuovi areoplani, offrendosi - date le sue conoscenze - di gestire l'acquisto, in Francia. Venticinque milioni di franchi, fu la somma che gli venne consegnata, a tal proposito. Il comandante partì per Parigi ... e nessuno più lo rivide.
Sapere, però qualcosa si venne a sapere: Rexach si era piazzato a L'Avana, dove aveva aperto un negozio di abbigliamento femminile, dopo esser riuscito a vanificare la denuncia di appropriazione indebita, sollevata dall'ambasciatore spagnolo a Cuba. Poi, era salito agli onori della cronaca, quando si era trovato coinvolto in un'oscura vicenda che si era conclusa con la morte di un agente di polizia. Incarcerato, nel 1940 la Corte Suprema l'aveva assolto dall'accusa di omicidio, accettando la tesi della legittima difesa. Durante la sua prigionia, per ingraziarsi quelli che nel frattempo avevano vinto la guerra civile in Spagna, si era dedicato alla stesura di un libro, "Lo que yo sé de la Guerra Civil", nel quale non risparmiava le critiche - se non peggio - ai responsabili politici della Repubblica; magari gli avrebbero concesso di tornare in patria!

rexach

Ma Antonio Rexach non era un tipo tranquillo, con ogni probabilità, e così successe che nel novembre del 1944, nel corso di un'altra rissa, gli spararono, ferendolo. Non tirava un'aria buona, per lui, a Cuba, così decise di abbandonare l'isola. Passò per la California, dove si sposò e dove mise a frutto la sua perizia di pilota, anche se solo a scopo commerciale: contrabbandando ogni merce possibile con il Messico. E, proprio per questo, alla fine decise di stabilirsi laggiù. Ma a Città del Messico, dove adesso risiedeva, c'erano parecchi rifugiati spagnoli. Anarchici, comunisti, socialisti, poumisti. Ma Rexach non demordeva - era il suo carattere, oltre che il censo  - e manteneva la sua arroganza ed altezzosità. Soprattutto con una persona in particolare: tale Juan Duarte Camacho, anarchico della FAI.

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Le discussioni con "El Duarte" salivano sempre di tono, e l'anarchico non era per niente impressionato dall'aggressività del "comandante". Anche perché c'era un piccolo particolare: aveva riconosciuto Rexach, e sapeva che su di lui pesava un accusa di diserzione e di appropriazione di una grossa somma di denaro. Così, il 29 settembre del 1955, alle due del pomeriggio, nella calle López della capitale messicana, di fronte all'Hotel Toledo, El Duarte mise in atto la vendetta. Ci fu l'ultima discussione, e quando i toni arrivarono al massimo, l'anarchico estrasse la pistola e sparo sei colpi a bruciapelo contro Rexach, che morì immediatamente. L'aviatore rovinò a terra, morto, e il rumore del botto che fece si sentì fino in Spagna. Poi, el Duarte andò a consegnarsi alla polizia e, nella sua confessione, raccontò tutta la storia.
Ancora una volta, un piccolo pezzo del gigantesco puzzle della storia finiva con l'andare al suo posto.

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mercoledì 10 aprile 2013

Consigli

rivol tedesca

Questo libro, quasi definitivo, raccoglie manifesti, discorsi, articoli e lettere della Rivoluzione tedesca - fra gli altri, Rosa Luxemburg, i "Revolutionäre Obleute", e Gustav Landauer - tutti introdotti e commentati dal curatore. Molti documenti, fra i quali il resoconto esauriente della Repubblica Bavarese dei Consigli, fatta dall'anarchico Erich Mühsam, vengono pubblicati per la prima volta. Il volume include anche materiale sull'Armata Rossa della Ruhr, che impedì il putsch reazionario di Kapp, nel 1920, e sui banditi comunisti che, fino al 1921, vagarono per la Germania dell'est.
La Rivoluzione tedesca fu come un'eruzione vulcanica scaturita dalle ceneri della prima guerra mondiale, innescata dai marinai ammutinatisi perché rifiutarono di essere sacrificati nella carneficina finale. Mentre i socialdemocratici andavano al potere, i radicali si radunavano in tutto il paese  per instaurare una società comunista per mezzo dello slogan "Tutto il potere ai Consigli!". La Lega Spartachista scatenava un'insurrezione a Berlino, repubbliche dei consigli venivano proclamati a Brema e in Baviera e rivolte operaie avvenivano in numerose città della Germania.
Ma, con un'azione che avrebbe drammaticamente plasmato il corso di tutta la storia, il governo socialdemocratico schiacciò le ribellioni, alleandosi con le milizie di estrema destra, e aprendo così la strada alla sfortunata Repubblica di Weimar, e, in ultima analisi, all'ascesa del nazismo.

Il PDF del libro, integrale, può essere letto o scaricato qui.

martedì 9 aprile 2013

Finanziamenti Pubblici

2giugno1

Quando si «faceva» una banca si portavano sempre armi di precisione, una misura precauzionale nel caso gli sbirri fossero intervenuti prima del previsto. Per fortuna, nelle azioni del «2 giugno» questo non successe mai. Se i rapinatori facevano di tutto, e con la massima velocità, per non trovarsi davanti gli sbirri, questi ultimi spesso e volentieri davano una mano per evitare tali incontri indesiderati. Una volta, la polizia partì dopo una segnalazione radio di rapina in corso per catturare un povero disoccupato armato di scacciacani. Subito furono allertate le unità mobili, che si diressero verso la banca segnalata. Ma dopo questo primo allarme «muto» (lanciato senza che il rapinatore se ne accorga), un impiegato telefonò alla centrale da una stanza sul retro della banca e fece una descrizione della rapina in corso. Una nuova segnalazione fermò allora le macchine della polizia: «Qui centrale! Attenzione, rapina in corso alla banca… in via… Prendere misure di sicurezza, si tratta di due donne e un uomo (l’impiegato non aveva visto il terzo uomo, appostato in macchina davanti all’entrata) armati di pistole automatiche!». Era chiaro ormai che si trattava di «terroristi». 500 metri prima di arrivare alla banca segnalata la volante si fermò e chiese allora alla centrale «nuove istruzioni». Nessuno in centrale riusciva a capacitarsi di come le volanti non riuscissero a trovare una banca con l’insegna cosi ben visibile dalla strada. Anche se gli attivisti erano molto parsimoniosi, la guerriglia urbana costava parecchio. A metà degli anni Settanta, un gruppo di dieci persone aveva bisogno di circa l'equivalente di 10.000 euro al mese, solo per le spese di servizio. Servivano poi altri soldi per preparare le azioni, procurarsi le attrezzature, affittare appartamenti e macchine. La sinistra povera non se lo poteva permettere. Chi doveva lasciare un appartamento non più sicuro non si metteva a richiedere indietro i  soldi della caparra e, se aveva bisogno di un posto tranquillo per sparire per un po’, non poteva fare troppo il difficile ed era disposto a pagare qualsiasi cifra. Non parliamo poi dei biglietti di treni, aerei e delle macchine noleggiate, che erano sicure e non destavano alcun sospetto, ma erano care. Poi ciclostili, fotocopiatrici, attrezzature varie, armi e munizioni. Le banche tedesche finanziavano anche, senza saperlo, progetti sociali (centri giovanili, gruppi di solidarietà con i detenuti), giornali, libri, attività di quartiere e programmi di cooperazione con paesi esteri, come il Cile. Non tutti sapevano chi riempiva i loro salvadanai con banconote da cento marchi, ed era meglio così, per la loro e la nostra sicurezza. Alcuni se lo immaginavano, altri lo sapevano con certezza e, anche chi in seguito dichiarò di essere sempre stato contrario ai metodi illegali, i soldi li ha sempre presi e usati volentieri. L’autofinanziamento per mezzo delle rapine in banca è una pratica che appartiene al passato. Oggi la sinistra usa altri strumenti, molto meno rischiosi per tutti: il lavoro, le eredità, le sottoscrizioni, i fondi statali. Certo, è un’altra sinistra quella che ha scelto di abbandonare gli espropri e si è messa a riempire moduli per ricevere sovvenzioni dallo Stato, sono diverse non solo le forme, ma anche la sostanza, il rapporto con lo Stato, con la ricchezza, con le organizzazioni istituzionali.
Le rapine non hanno mai ridistribuito la ricchezza nella società ma quando si «faceva» una banca si dava un segnale di rottura, si rifiutava il legame con il lavoro e lo sfruttamento su cui si basa il sistema economico capitalista che, come è noto, non è meno ladro di un commando di compagni che irrompe in una banca.
Sono molti i militanti che hanno trascorso anni in carcere per aver «fatto» delle banche. Solo per rapina, gli attivisti del «2 giugno» hanno ricevuto in tutto più di Ioo anni di carcere. Di poca consolazione è il fatto che tutti sono stati condannati per altri reati, e che le rapine non abbiano, di fatto, inasprito la loro pena. Chiedersi oggi se sia valsa la pena di «farsi» le banche equivale a chiedersi se abbia avuto un senso tutta l’attività della sinistra radicale negli anni Settanta, per la quale non era importante guadagnarci qualcosa, ma vincere. Senza «farsi» le banche, le attività e i progetti della sinistra militante non avrebbero avuto alcuna efficacia. Ma la vittoria dipendeva dal momento storico, dai rapporti di forza nella politica. Avere abbastanza spiccioli era solo un aspetto. E una preoccupazione in meno.

- Klaus Viehmann - "Movimento 2 giugno" -

2giugno

Nomen Omen

nomen

Alois nacque nel giugno del 1837, fuori dal matrimonio, ed al momento di essere iscritto nel registro delle nascite, secondo le leggi dell'epoca, la colonna riservata al nome del padre venne lasciata in bianco. Perciò, prese il cognome della madre, Schicklgruber. Più tardi, nel mese di maggio del 1842, la madre di Alois sposò un mugnaio, tale Georg Hiedler, il quale non volle riconoscere il bambino, che adesso aveva 7 anni, come suo figlio. Alla morte della madre, il giovane Alois, che aveva solo 10 anni, venne affidato dal mugnaio, che si considerava troppo vecchio per crescere un figlio, ad un suo fratello molto più giovane. Quando Georg Hiedler morì, Alois si ritrovò orfano e a carico dello zio.
Era il 7 giugno del 1876, quando il trentanovenne Alois si presentò, insieme allo zio e ad altri tre testimoni, nell'ufficio del notaio del distretto, per chiarire, una volta per tutte, chi fosse suo padre. Il notaio conosceva personalmente tutti quegli uomini, quindi non ebbe alcun problema a prendere atto che Alois Schicklgruber fosse figlio di Georg Hiedler, dal momento che era a conoscenza del fatto che quest'ultimo, quando era ancora in vita, lo aveva dichiarato più volte, come testimoniava anche lo zio che, fra l'altro, lo nominava erede di tutti i suoi beni.
Nessuno sa esattamente come avvenne, ma, al momento di redigere l'atto, il notaio commise un errore di trascrizione e cambiò il cognome Hiedler, in Hitler. Probabilmente, le due parole, pronunciate nel dialetto del tempo, suonavano nello stesso identico modo.
Poi, con quel certificato in mano, insieme ai soliti tre testimoni, andò dal sacerdote affinché venisse aggiornato il suo certificato di nascita, che per decenni era rimasto incompleto; e così Alois Schicklgruber divenne Alois Hitler. E il cognome passò a suo figlio Adolf.
Un piccolo errore senza importanza, un capriccio del destino che, eppure, ha avuto le sue ripercussioni non di poco conto sulla storia. Sicuramente non ci sarebbero state grandi differenze con un meno sonoro Hiedler, però, provate a pensare come sarebbe stato assai più complicato, per i tedeschi, "Heil Schicklgruber"!!!


fonte: http://curistoria.blogspot.it

lunedì 8 aprile 2013

Marcello Torre

torre

Pubblico una cosa che ho scritto anni fa, credo su una mailing list, e che stranamente non ho mai riportato su questo blog. Lo faccio ora perché un'amica me l'ha fatta tornare in mente questa cosa, magari anche dando un'importanza eccessiva al suo valore; una cosa che è e rimane parte di me.


E' una vecchia storia, risale al 1974 e ai mei vent'anni e poco più. A vent'anni la pensavo, più o meno, come la penso ora. Ero andato a Vallo della Lucania, un paese del Cilento, dove
si doveva svolgere un processo. Il processo a Giovanni Marini.
Molti di voi sono troppo giovani per ricordarsi queste cose.
Comunque si trattava di una storia di "antifascismo".
Io ero lì diciamo per una faccenda di "Soccorso Rosso".
Coordinare gli avvocati, preparare iniziative. Informare la cittadinanza locale su quello che avveniva, e così via.

Fra gli avvocati del collegio di difesa di Giovanni Marini, c'era anche un giovane avvocato di Pagani, amico della famiglia dell'imputato e, udite udite, democristiano.
Si chiamava Marcello Torre.
Ecco, io simpatizzai subito, con quel giovane avvocato e, lui con me.
Tant'è che una volta che mi portarono in manette al commissariato del paese, per una piccola storia d'effrazione di un edificio disabitato (allo scopo di stendere uno striscione), mentre mi trovavo nelle mani del famoso commissario Juliano (quello che si faceva fotografare con la pistola infilata nella cintola), che temporeggiava sul rilascio mio e di Franco Leggio (noto anarchico ed ex-partigiano), prima che arrivassero i "nostri" avvocati, Marcello era già lì, dieci minuti dopo, per tirarci fuori. E ci tirò fuori.
Quando un mese dopo, finito il processo, dovetti apprestarmi a lasciare quel paesino, con Marcello, ci furono strette di mano ed abbracci.
Come in quel mese c'erano state bevute e discussioni.
Marcello Torre era destinato a diventare, qualche tempo dopo, sindaco di Pagani, sempre da democristiano.
Così come era destinato ad essere ucciso dalla mafia.
Io mi onoro di essere stato suo amico, e se avesse chiesto il mio voto, io, che sono un convinto astensionista, glielo avrei dato, senza esitare un attimo.
Ma sono convinto che, se mai ne avessi avuto bisogno, anche lui non si sarebbe tirato indietro. Magari mi avrebbe rifornito di un qualcosa di poco lecito, che andava contro la sua morale tanto quanto il voto va contro la mia.

domenica 7 aprile 2013

Diario de campaña

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Sarà proprio lui, "El Viejo", "Il Vecchio", come lo chiamano a dispetto dei suoi soli 39 anni, lui, Cipriano Mera, antimilitarista fervente, il più convinto propugnatore della militarizzazione delle milizie; per poter affrontare una guerra civile spagnola, che non è più una rivoluzione ma una spietata carneficina.
Una decisione assai dura, per Cipriano, dettata dalla necessità di confrontarsi col nemico. La conosce assai bene, Cipriano, la necessità. Ci ha dovuto fare i conti da subito, nel corso della sua vita. E lo farà fino all'ultimo giorno, nel corso di quella guerra. Fino al 29 marzo del 1939. Sarà suo. l'ultimo fronte. Negrin, La Pasionaria, Modesto, Lister, El Campesino e Carrillo si trovano, già da un mese e più, in Francia, e sarà Largo Caballero in persona a congratularsi con Cipriano Mera per la sua resistenza in Spagna: le congratulazioni gli arrivano direttamente dall'esilio. Il giorno prima che lasciasse la Spagna, il 28 marzo, aveva ricevuto due valigie con gioielli e denaro - come tutti gli altri capi repubblicani. Le devolverà al Banco de España, accompagnate da una nota "Da parte di Cipriano Mera".

Cipriano Mera

Se ne può convenire o meno, ma Cipriano si rese conto che sottomettere i suoi uomini alla disciplina militare, era l'unica possibilità che avevano per uscire vivi dalla guerra contro un nemico disciplinato e ben equipaggiato. Uscirne vivi e vincere. Come aveva fatto a Guadalajara, sfruttando il fattore sorpresa, contro le truppe di Mussolini che subirono pesantissime perdite e fuggirono abbandonando gran parte dell'equipaggiamento. Degli uomini di Cipriano, invece, ne morì uno solo, di freddo; e un altro rimase ferito per essersi sparato, per sbaglio, un colpo al piede. Oppure, come aveva fatto a Cuenca, quando con 80 miliziani espugnò una caserma dove si erano barricate 300 guardie civili. "Mi chiamo Cipriano Mera e i miei uomini, qui fuori, vi distruggeranno" - lo disse con tale convinzione che le guardie si arresero, senza che venisse versata una sola goccia di sangue. Erano le sue doti: quelle di cacciatore di frodo nella tenuta del Palazzo Reale di El Pardo; quelle di attore, che aveva coltivato nei teatri sociali degli Atenei Libertari. Quante volte si travestì per attraversare il fronte, per infiltrarsi, per avere notizie di prima mano su quello che andava a succedere. Peccato che quel film di Otto Preminger, sulla sua vita, non arrivò mai ad essere girato!

Il documento scritto a macchina - che riporto qui sotto - sono i diari di guerra del IV Corpo dell'Esercito del Centro. E' un documento inedito, mai stampato né, tanto meno, tradotto dallo spagnolo. E' stato ritrovato in un armadio - insieme ad altri manoscritti, ricordi di quest'uomo - in una casa dove vivevano i suoi nipoti che non sapevano niente del passato di Cipriano Mera.