lunedì 9 dicembre 2013

Varianze

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In un continente che sta scivolando inesorabilmente verso il nazifascismo, la Spagna del 1936 è un'eccezione, una doppia eccezione: da una parte, sarà il granello di sabbia che cercherà di arrestare quella terribile ascesa; mentre, dall'altra, si può dire che la passione che metterà nel combattere avrà molto più a che fare col desiderio di emancipazione piuttosto che ad un semplice antifascismo. A differenza del movimento operaio tedesco, pur così potente, quello spagnolo, nel giugno di quell'anno, riuscirà a fermare l'avanzata fascista, innescando un processo rivoluzionario di grande ampiezza. Si capisce, perciò, come questa ardente Spagna abbia potuto attrarre così tanti militanti stranieri per combattere fianco a fianco ai loro fratelli spagnoli che "l'utensile da lavoro in mano, ed il fucile a tracolla, si erano fatti creatori di un ordine nuovo". Oppure, può essere, solo per vedere e per farlo insieme a loro.
Fra questi, ci furono anche Camillo Berneri e André Prudhommeaux: il primo attraversò la frontiera franco-spagnola il 29 luglio del 1936, il secondo qualche giorno più tardi. Entrambi si installarono a Barcellona, la capitale della rivoluzione. Entrambi frequentarono assiduamente la sede del Comitato Regionale della CNT. Qualche settimana dopo il loro arrivo, Berneri si unì al primo contingente di volontari italiani, integrato nella colonna Ascaso, sul fronte di Huesca, per poi ritornare, a settembre, a Barcellona, col progetto di pubblicare il giornale "Guerra di Classe", in cui si rivolgerà ai libertari italiani. Mentre Prudhommeaux, su proposta dello stesso Comitato Regionale della CNT, pubblicherà "L'Espagne antifasciste" e curerà le emissioni in lingua francese di Radio CNT-FAI.
Sappiamo che Berneri e Prudhommeaux si stimavano e che erano, in qualche modo, uniti in una lotta minoritaria contro una forte "invarianza" anarchica e contro la predisposizione di molti a ripetere i vecchi dogmi. Questa loro predisposizione aveva già trovato, in passato, un punto di convergenza nella difesa di Marinus Van der Lubbe dai suoi calunniatori. Entrambi si entusiasmeranno per questa Spagna libertaria, guidati da una comune volontà di apertura e da un comune spirito d'indipendenza. Sappiamo, anche, che si incontreranno; "perfettamente, senza motivo", come riporta lo stesso Prudhommeaux "Al Comitato regionale della CNT-FAI di Barcellona, il vecchio palazzo del miliardario Cambo, spesso le luci dei locali dove si trovava la redazione di 'Guerra di Classe' rimanevano accese tutta la notte. E come quelle luci, vegliava e bruciava l'anima di Berneri. Ricordo che una notte, aspettando che si facesse ora della trasmissione radio, ho infilato la sala piena di tenebre che precedeva la sala dei congressi e mi sono messo a sul grande pianoforte abbandonato che dormiva lì, per ritrovare qualche frammento di musica perduta. In tal modo, avevo calmato i miei nervi, quando mi accorsi che la porta di Berneri era socchiusa e, temendo di averlo disturbato, mi scusai e gli augurai la buona notte. Lui, per tutta risposta, mi ringraziò, perché l'idea che qualcuno, lì, potesse trovare pace nella musica era una cosa estremamente preziosa e gli aveva restituito il suo coraggio".
Si può immaginare la scena: la notte barcellonese di quei primi tempi della rivoluzione, il pianoforte di palazzo Cambo, i nervi tesi di Prudhommeaux e l'anima bruciante di Berneri. Un incontro casuale, una parentesi di fratellanza con la musica per sottofondo, uno degli ultimi incontri fra loro. Anche perché il soggiorno a Barcellona di Prudhommeaux durò poco! Appena due mesi, giusto il tempo di capire che bastano le migliori intenzioni perché la vittoria sia sicura. La sua "L'Espagne antifasciste" entrò in conflitto, prima del previsto, con la burocrazia dei suoi finanziatori confederati, e così decise, nel mese di settembre, di tornare indietro con l'idea di proseguire la lotta in Francia, libero e senza essere attaccato. Una lotta per la rivoluzione, naturalmente, la rivoluzione che intende e che auspica.
Prima di lasciare Barcellona, Prudhommeaux incontra Berneri e i suoi compagni di "Guerra di Classe" in relazione alla cooperativa tipografica che fino allora aveva stampato "L'Espagne antifasciste". Si augurano buona fortuna l'un l'altro, anche se si può pensare che Berneri fosse già scettico circa la propria esperienza di giornalista militante sotto il controllo della CNT-FAI.

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Tornato in Francia, Prudhommeaux è convinto che l'unità antifascista non porterà niente di buono, perché verrà fatta forzatamente a discapito delle conquiste rivoluzionarie di luglio. Senza nessun coinvolgimento reale da parte sua, "L'Espagne antifasciste" viene pubblicata a Parigi due volte la settimana sotto l'egida di un "Comitato anarco-sindacalista per la difesa e la liberazione del proletariato spagnolo" (CASDLPE) che raggruppa le tre principali componenti del movimento libertario francese. Finanziato dalle strutture della CNT-FAI - che intende così controllarlo - il bi-settimanale tira 20.000 copie e progetta di diventare un quotidiano. Ben presto le divergenze porteranno il Comitato alla dissoluzione: la linea di frattura passa per l'apprezzamento delle "circostanze" che hanno portato la CNT-FAI ad optare per l'unità antifascista, e la rottura si consuma nel novembre del 1936. La UA (Union anarchiste), allineata sulle posizioni della CNT-FAI, crea una nuova entità allineata su tali posizioni: il Comité Espagne libre, matrice di quello che diverrà poi la sezione francese della Solidarité internationale antifasciste (SIA), diretta da Louis Lecoin. Quanto a L'Espagne antifasciste, la testata rimane sotto il controllo della FAF (Fédération anarchiste de langue française) e degli anarco-sindacalisti della CGT-SR e la sua posizione si fa sempre più critica nei confronti di una CNT-FAI che nel frattempo ha deciso, senza alcuna consultazione di base, di mandare quattro ministri al governo di Largo Caballero. Gli spagnoli chiudono i rubinetti:  L'Espagne antifasciste cessa le pubblicazioni con l'ultimo numero del 1° gennaio 1937.
Tre mesi prima, era stato pubblicato a Barcellona il primo numero di Guerra di Classe, nel suo editoriale Berneri non nascondeva le intenzioni degli animatori del giornale anarchico di lingua italiana: avrebbe dovuto essere - precisava - un "osservatore", tanto più attento perciò - e se necessario "critico" - degli avvenimenti spagnoli che, "per la prima volta" nella storia dipendevano soprattutto dalle "capacità costruttive" di un movimento libertario che, considerate le moltitudini di cui era composto, si trovava, "qui", negli avamposti della speranza rivoluzionaria. Tale fragile spazio fra attenzione e critica, Guerra di Classe lo occuperà con costanza al rischio, ancora una volta, di attirare l'ira dei suoi finanziatori, gli stessi di "L'Espagne antifasciste", che non esiteranno, ancora una volta ed un mese dopo aver chiuso "L'Espagne abtifasciste", ad esercitare delle rappresaglie finanziarie. Questa volta per soddisfare alle richieste del console sovietico di Barcellona, Antonov-Ovseenko, che ha pregato le autorità della CNT-FAI di far cessare gli attacchi di Guerra di Classe contro l'Unione Sovietica: a partire dal suo ottavo numero del 1° febbraio 1937, bloccato dalla censura della CNT, Guerra di Classe vede diminuire considerevolmente il budget assegnatogli, cosa che ne impedisce una pubblicazione settimanale. E' in una prospettiva critica vicina a quella di Guerra di Classe che, tre mesi dopo la chiusura de "L'Espagne antifasciste", il 19 aprile del 1937, viene pubblicato il primo numero de "L'Espagne nouvelle", sotto la direzione di Prudhommeaux. Anche Guerra di Classe continuerà le sue pubblicazioni, fino a novembre, ma senza Berneri, assassinato dagli stalinisti il 5 maggio 1937.

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Nel corso del tempo, la storiografia sulla rivoluzione spagnola ha finito per riconoscere interesse all'indispensabile funzione critica esercitata da coloro che, ai margini ma nel fuoco della situazione, ne denunciarono l'asservimento ad una logica di guerra antifascista che ebbe come primo effetto quello di minarne le aspirazioni. Considerate a lungo come trascurabili, e senza nessun peso reale sul corso degli eventi, queste dissidenze libertarie sono oggi oggetto di evidente rivalutazione, senza però cercare di avventurarsi ad immaginare che avrebbero potuto dare luogo - unendosi ad altre forze rivoluzionarie, come il POUM o gli Amici di Durruti - ad un qualche fronte del rifiuto. C'erano, per poter fare questo, troppe differenze di posizionamento fra loro, come prova una lettura comparata fra "Guerra di Classe" e "L'Espagne nouvelle". Pur rappresentative, l'una e l'altra, di una medesima sensibilità critica nei confronti delle derive pragmatiche e dei nefasti effetti di queste sul processo rivoluzionario, le due testate si inscrivono in uno spazio-tempo differente. La prima, che appare a Barcellona, esercita il proprio talento critico sotto la direzione di Berneri, nel periodo fra l'ottobre 1936 e l'aprile 1937; mentre la seconda, animata da Nimes, da Prudhommeaux, copre il periodo che va dall'aprile del 1937 alla fine della guerra. Per Berneri la partita può ancora essere giocata. Per Prudhommeaux, che guarda dall'esterno, non è lontana dall'essere ormai perduta. In mezzo a queste due prospettive, ci stanno gli avvenimenti del maggio 1937. Ci sta l'ultimo sussulto di una rivoluzione che sta per essere annientata. Sarebbe sbagliato, però, limitarsi solamente a questa discrepanza spazio-temporale, per cercare di comprendere perché - malgrado una prossimità dell'analisi di partenza - Berneri e Prudhommeaux abbiano finito per divergere in modo così evidente sul modo (ferma, ma misurata, per il primo; radicalmente intransigente, per il secondo) di concepire la loro funzione critica.
Questione di carattere, senza dubbio, ma anche di percezione politica: a differenza di Prudhommeaux, che entra apertamente in conflitto con la dirigenza della CNT-FAI e dei suoi rappresentanti in Francia, Berneri adotta adotta un comportamento di dissidenza leale. Non arriva mai - come faranno Prudhommeaux o gli Amici di Durruti - ad uno scontro diretto con la "burocrazia comitarda". Questo ritegno, in Berneri, si spiega con il suo desiderio di "facilitare un'intesa sincera ed attiva fra tutti i veri antifascisti, che possa permettere la più stretta collaborazione fra tutti coloro che sono veramente socialisti". Per la sua penna, non è mai questione, come per "L'espagne nouvelle", di "tradimento", di "dirigenti marci" o di "sinistre marionette". Sgombro da ogni sentimentalismo, rifugge come la peste qualsiasi ricorso all'emozione e la sua critica rimane sempre politica. Niente lascia pensare che se fosse sopravvissuto al maggio 1937 avrebbe potuto evolvere verso il radicalismo del suo alter ego de "L'Espagne nouvelle". Troppo profonde erano le divergenze sulla loro analisi, ed interpretazione, del conflitto spagnolo.

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Berneri stesso si definisce "centrista", ovvero "partigiano di un giusto mezzo", ed è fermamente convinto che, in questa Spagna dove il desiderio di emancipazione trabocca solo in parte, bisogna conciliare - nel quadro di una resistenza al fascismo - le necessità di una guerra con la volontà della rivoluzione e con le aspirazioni dell'anarchismo. Per Berneri, passati i tempi dell'entusiasmo rivoluzionario dei primi giorni, non si è davanti ad una rivoluzione anarchica, ma ad una rivoluzione popolare, in seno alla quale la CNT-FAI gioca un ruolo determinante. L'anarchico italiano si situa chiaramente in una prospettiva antifascista che implica una dinamica di alleanze e di collaborazione con le altre forze socialiste e repubblicane. In nome dell'intelligenza politica, e alla luce dell'esperienza della prima unità combattente sul fronte di Aragona (la sezione italiana raggruppa sensibilità antifasciste assai diverse, come i repubblicani di Randolfo Pacciardi, i giellisti di Carlo Rosselli e gli anarchici), incita i suoi compagni spagnoli ad iscriversi in quella stessa dinamica. Il suo approccio nasce dalla convinzione che esista, sulla base di questo antifascismo attivo e a condizione di abbandonare ogni pretesa egemonica, la possibilità di una convergenza fra il blocco anarcosindacalista e le altre forze di sinistra (socialisti indipendenti, repubblicani progressisti e marxisti anti-staliniani).
Prudhommeaux, invece, quanto a lui, è sempre più diffidente nei confronti dell'antifascismo. Se lo rivendica, è solo perché nella Spagna del luglio 1936 esso ha esercitato un innegabile effetto  sull'esplosione del processo rivoluzionario. Quando però, l'antifascismo, serve altri interessi e favorisce, come suo sbocco naturale, una "sacra unione patriottica" dove " rivoluzionari diventano "carne da cannone per una causa che non è la loro", allora ne diviene un irriducibile avversario. In quanto pensa che nessuna rivoluzione autenticamente emancipatrice - ovvero, fatta dal "proletariato tutto, senza distinzione di partito, di mestiere, di nazionalità o di industria" - può trattare, salvo negandosi, con l'ideologia democratica e interclassista su cui si fonda l'antifascismo. Se si considera la somma di tutti i suoi scritti fra il 1936 ed il 1938, il termine più adatto alle sue prese di posizione è quello di "intransigente".
Se si compara il modo, apparentemente convergente, con cui Prudhommeaux e Berneri vanno ad analizzare, e a criticare, la svolta "ministerialista" operata dalla CNT-FAI nell'autunno del 1936, si vede che l'angolatura di attacco, adottata da ciascuno, è assai differente. Per Prudhommeaux, è soprattutto la deroga ai principi anti-statalisti dell'anarchismo, il problema. Per Berneri, il problema non è tanto questa "violazione" ad essere preoccupante, quanto l'errore fondamentale di analisi che la sottende. Lo stesso scarto critico, lo si ristrova nei confronti di molti altri aspetti del conflitto spagnolo. Quando uno esorta i combattenti a ricorrere "alle forme più estreme dell'anarchia", l'altro mette in guardia contro "un estremismo socialista che non si ispiri alle necessità della lotta armata". Quando uno si rammarica perché gli anarchici non hanno scelto con convinzione i "metodi non militari e non statali della guerriglia e della fratellanza rivoluzionaria", l'altro esorta a guardarsi da un "formalismo militare" e da un "antimilitarismo superstizioso". Quando uno condanna energicamente "la resistenza passiva degli ambienti mercantili e burocratici" nei confronti del processo rivoluzionario, l'altro si dichiara partigiano di una politica "di tolleranza nei confronti della piccola borghesia" che, per eccesso di zelo collettivista, potrebbe finire nel campo della controrivoluzione fascista. Quando uno chiede che la "solidarietà rivoluzionaria" prevalga su "l'antifascismo diplomatico", l'altro rifiuta di illudersi perché "il proletariato francese ed inglese non faranno niente in favore del proletariato spagnolo". E la lista avrebbe potuto continuare, prima di essere così bruscamente interrotta.

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