mercoledì 27 novembre 2013

quasi

misericordia

Due scene simili di quasi-morte: Dostoevskij davanti al plotone di esecuzione, il 1849, e Maurice Blanchot catturato dai nazisti e salvato all'ultimo momento da un'esplosione (che nel 1994 "finzionalizza" ne "l'istante della mia morte" – che può essere letto qui, comprensivo del commento di Derrida). Un filo sotterraneo sembra legare il regime repressivo di Nicola I con l'occupazione nazista della Francia; un filo che passa per il "18 Brumaio" di Marx e per l'Educazione Sentimentale di Flaubert, entrambi collocati nella Parigi del 1848. A ben guardare, tanto la rivolta di Dostoevskij quanto la repressione da parte dello zar Nicola sono in parte motivati dagli eventi della rivoluzione francese.
La scena della quasi morte di  Dostoevskij  prefigura in qualche modo la nascita di quella che sarà la biopolitica di Foucault - l'intensificazione e la prevalenza del “mettere a vita” sul "mettere a morte", ossia, la manutenzione e la coercizione piuttosto che l'eliminazione. Non tanto la decisione fra un estremo e l'altro - la sentenza definitiva, che sia "condannato" o "assolto" - ma uno spazio indeterminato di dubbio, quello stesso spazio che contiene Dostoevskji vivo e morto allo stesso tempo, come in sospeso, come il gatto di Schrödinger. Ed è proprio in tale spazio che il potere del sovrano si erge trionfante, e continua a riverberare anche dopo, dopo il perdono, dopo la misericordia. E questo atto di perdono, di misericordia, bisogna portarlo, come un fardello, per tutto il resto della vita del sopravvissuto.
La nozione di misericordia rimane strettamente correlata a quella di sovranità, solo il titolare del potere sovrano può concedere la misericordia.
Il regime pre-biopolitico, cui potrebbe corrispondere quella che viene definita "rigorosa giustizia ebraica", passa al regime biopolitco, quello della "misericordia cristiana", e il passaggio avviene nella zona grigia in cui si svolge la scena del perdono di Dostoevskji; la misericordia dello zar Nicola, la generosità che cela un carico immenso di colpa e di debito. Ed è su questo percorso che si innesta una sovrapposizione critica dell'aspetto religioso con l'aspetto politico (rivoluzionario) della narrativa di Dostoevskji e quella di coloro che a tutti gli effetti possono essere considerati i suoi discepoli, come Coetzee, che incrocia religione e politica in libri come "Il maestro di Pietroburgo", o come Aleksandar Hemon, che ne "Il Progetto Lazzaro" assume, e fa proprio, quel nesso fra destino (soggettività) e rivoluzione (Storia) che in un circolo di sovrapposizioni temporali riesce a mettere in contatto gli anarchici della Chicago del 1908 con la guerra di Bosnia del 1992.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sto leggendo classici della letteratura russa invogliato da Kropotkin, autore dell'ottimo saggio sulla Letteratura russa, e condivido le sue valutazioni sugli autori Russi di fine ottocento e quindi il giusto raffronto tra Dostoieski e Cotzie. Gianni