giovedì 3 ottobre 2013

Pulp Libri

pulp

Pulp Libri ho cominciato a comprarlo dal primo numero; ho anche il numero zero che veniva distribuito gratuitamente davanti alle librerie. Solo ieri, mi sono reso conto che sull'ultimo numero uscito, quello di Luglio (la rivista è/era bimestrale), in fondo all'ultima pagina, dopo la dicitura "stampato nel mese di ..." non appariva, come al solito, "il prossimo numero sarà in edicola i primi giorni del mese di ...". Una breve ricerca in rete, ed ecco su Twitter la notizia, annunciata dall'editore, che non ci sarà nessun nuovo numero. Ma sono duro a rassegnarmi, e quindi faccio mio questo appello di Elio Grasso su satisfiction che riesce a definire quello che ho provato. E magari si riesce a leggere il nuovo numero ... online ...

Pulp Libri, 104 numeri all’agosto di quest’anno, magazine registrato nel 1995. Una lunghissima storia di libri, angoli-cottura di ogni genere frequentati da critici il cui diritto principale è sempre stato l’indipendenza di giudizio. A ogni pagina l’odore acuto di cose nostrane ed esotiche, editori in esteso assortimento con controllata tempestosità. Narrativa, saggistica, poesia, storie, fumetti, teoria. Rapide e prive di ammirazioni carnevalesche, le recensioni. Di solito, mai più di 2200 battute. Vietatissimo occuparsi delle opere dei collaboratori. Soltanto questa la raccomandazione di Fabio Zucchella, caporedattore veloce di prospettiva e di proposte. In ogni numero, poi, articoli e interviste intercalati a vaste immagini dove gli scrittori si presentano nel loro aspetto meno pensato. Talvolta pazzo. E attrattivo. Giovannetti fotografo, riesce quasi sempre ad aggiornarci sulle qualità e sulle patologie. Una saga fotografica che massaggia a dovere la curiosità di lettori e autori, confermando quanto l’offerta di un libro attraversi realmente le costellazioni ludiche dell’occhio. Ora cosa vediamo? Un arresto. Uno di quegli inopinati stop che fastidiosamente ci restano attaccati alle meningi. Oltre che a un resoluto scazzo. Pulp Libri, dopo 104 numeri, ferma la sua corsa bimestrale. Chiude. E dunque si ha un bel dire: “dimostra un buon carattere”, “comprendi quali fatti sottendono a un epilogo”, “guarda lo stato delle cose, i fallimenti dei distributori”… Qui occorre confrontarsi, però, con l’assoluta fermezza redazionale nel rifiuto di qualsivoglia capitale esterno, e di ingerenze ambiziose e discutibili. Tutto questo si comprende. Ma resta oscuro il fatto nel suo velocissimo compiersi. Gli stessi collaboratori, quelli più stretti, hanno spalancato gli occhi stupefatti e stralunati. Il Network più diffuso reagisce alla notizia, quando il mio cruccio per l’intera faccenda lievita in modo simmetrico. Congetture e suggerimenti si moltiplicano, letterati più o meno famosi e più o meno influenti, lettori e servizi stampa di case editrici piccole, medie, grandi, colgono qualcosa che non va, reagiscono male, s’incazzano: ma come è possibile? E che si fa? Giornale on-line? Sottoscrizione? Cooperativa? Sembra di tornare agli offensivi ma spesso “pratici” anni ’70. La sommossa m’intenerisce, ma non arriva a un bel nulla. Ma io so, dopo anni di folto contributo, che Fabio se ne sta duramente nella sua Pavia a digerire lo stallo. La velocissima lettera di commiato lo testimonia. Non ci sarà una smentita. Sappiamo bene che non si tratta di un isolamento fine a se stesso. Io spero, lo spero proprio, che sia l’atto finale di un qualcosa che forse punta a una diversità. E in un tempo diverso. Prossimo o non prossimo, non è dato sapere. Io so soltanto, per questo momento, che non dover scrivere le consuete cinque o sei recensioni bimestrali, per la rivista, mi rende la vita più bassa. Ma gli stili di vita personali qui non interessano. Non si vogliono galà o gazebo, né red carpet, o superlativi imbarazzanti. Né accampare diritti di sopravvivenza. 80 pagine di libri, ogni due mesi, è un mondo di cui non si dovrebbe fare a meno. Non fosse altro che per togliere certe rughe di espressione senza volare dall’estetista. Ma dico un’ultima cosa: la chiusura di Pulp Libri è una delle tante cartine al tornasole del rapimento continuo a cui siamo sottoposti. L’acido dilaga sui tavoli, dentro i cervelli, anche sulle passerelle take-away. “E’ stato bellissimo” non ripaga affatto di un avanspettacolo in cui nessuno è illeso. Che altro fare di questi “strapazzi” e “stracazzi”, per dirla come è uso fare l’Arbasino? Qualcuno risponda. O discaricando, taccia. 

Elio Grasso

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