domenica 30 giugno 2013

miliziane

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Dolores Ibarruri, la Pasionaria, aveva deciso che si doveva creare, all'interno del Quinto Reggimento, un'unità composta solo da donne miliziane. La cosa doveva servire sia per la propaganda che a spezzare una lancia a favore dell'uguaglianza fra i due sessi, sebbene potesse anche offrire una sponda alla propaganda nemica che vedeva in ogni miliziana una puttana, e perciò venivano violentate quando erano catturate. Ma il comandante del Quinto, lo sfuggente Enrique Delgado Castro, rifiutò, facendo sue, in sostanza, le ragioni dei franchisti, affermando che così si sarebbero diffuse le malattie veneree. Un insulto, non solo una grande menzogna, in faccia alle giovani operaie madrilene! Castro ebbe la meglio, anche se alla fine lo scontro con la Ibarruri gli costò il posto: venne mandato a dirigere la Riforma Agraria e, al suo posto, venne messo Lister.
Nella fotografia, un gruppo di donne, col vestito della domenica, nel cortile del Cuartel della Montaña. Osservando bene, in alto al centro si vede un bambino che fa l'equilibrista sulla rete di recinzione. Donne, bambini ... la Repubblica in guerra ...

sabato 29 giugno 2013

due fotografie

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« Tra le tante fotografie che gli inviati dei giornali americani e inglesi scattarono durante la campagna di Sicilia, nell’estate del 1943, due sono per me particolarmente memorabili, di significato propriamente storico. Una è di Robert Capa sicuramente, poiché la ritroviamo in quel suo splendido libro Immagini della guerra (in Italia pubblicato dall’editore Mursia); l’altra probabilmente.
La prima: un pastore, vecchio, barbuto, pesantemente vestito, indica la strada a un soldato americano. Sappiamo che sta indicandogli la strada giusta. Al paesano, all’amico, al parente ricco comandato dal suo buon presidente a venire in Sicilia a fare una buona e giusta guerra. Figura senza tempo, il pastore automaticamente ci riporta a quell’altra campagna di Sicilia, di ottantatré anni prima: Garibaldi in Sicilia, coi suoi mille uomini, inseguito intorno a Palermo dai cinquemila del colonnello von Meckel e del maggiore Bosco. Ed a un certo punto, al bivio di Corleone, ecco che von Meckel e Bosco si mettono a inseguire Giordano-Orsini che va verso Corleone, verso Sambuca, con una ottantina di uomini, i più feriti, il resto, come si dice in gergo militare, “lavativi”. Li inseguono per due giorni; e intanto Garibaldi è entrato a Palermo. Quando tornano indietro, e si avventano impetuosamente dentro la città, i loro colleghi rimasti a difenderla li fermano; hanno già firmato l’armistizio con Garibaldi. Nessuno ha indicato a von Meckel la strada giusta per raggiungere tempestivamente Garibaldi; ma qualcuno l’ha certamente indicata a Garibaldi per sfuggire a von Meckel. Abba annota: “Sia gloria a questo popolo: non ha dato ai nemici una spia”. L’annotazione avrebbero potuto ripeterla Patton e Montgomery. Il mito di Garibaldi nel 1860, il mito dell’America nel 1943: quelli che erano tecnicamente, giuridicamente gli invasori, in forza dei miti  che rappresentavano – e in definitiva un solo mito: quello della libertà – diventavano gli alleati, gli amici (e anche gli amici degli amici).

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La seconda: un gruppo di soldati italiani si arrende sulla piazza di Troina. Mai vista una simile resa: i soldati con le mani levate che muovono incontro agli americani, che non si vedono; ma senza tristezza o preoccupazione, questi nostri soldati vinti; sorridenti anzi, come volessero dire: “sì, va bene, stiamo recitando questa commedia della resa: ma tra poco faremo colazione tra le stoppie con questi nostri amici che ci hanno vinto: sono americani, no?”. Un po’ di lato, sono un uomo e una bambina del paese: guardano con curiosità ma senza timore verso la pattuglia americana che non si vede nella fotografia: certamente i soldati hanno i fucili puntati contro quegli altri che muovono verso di loro disarmati, ma l’uomo e la bambina sono sicuri che non un colpo partirà da quei fucili.
Queste due fotografie dicono tutto. E non ci sono soltanto il pastore, il paesano, i soldati che allegramente si arrendono: ci siamo anche noi, ventenni, col mito dell’America che non ci veniva dai parenti e dagli amici (degli amici), ma delle appassionate letture, cui Vittorini e Pavese ci avevano avviato, di Faulkner, di Hemingway, di Steinbeck, di Caldwell, di Saroyan. “Che ve ne sembra dell’America?” chiedeva il titolo di un libro di Saroyan tradotto da Vittorini. La libertà, la democrazia, il new deal, la frontiera verso il mondo nuovo – era la nostra risposta. »

da – Leonardo Sciascia – Nero su nero -

venerdì 28 giugno 2013

Darwin

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«L'anatomia dell'uomo è una chiave per l'anatomia della scimmia» - scriveva Marx nei Grundrisse. Ovvero, è l'uomo che spiega la scimmia, e non viceversa. A partire da tale considerazione, sembra assai difficile prendere per buona la stronzata secondo cui il "socialismo scientifico di Marx" sarebbe stato "il complemento pratico e fecondo, nella vita sociale della moderna rivoluzione scientifica darwiniana", come chiosava Enrico Ferri nel suo "Socialismo e scienza positiva", scritto nel 1894. Certo, si potrebbe fare buon uso dell'affermazione marxiana da cui si è partiti, per dimostrare come per l'appunto sia l'Enrico Ferri mussoliniano del 1929 a spiegare l'Enrico Ferri socialista del 1894, e non viceversa, ma bisogna anche dire che all'operazione di "darwinizzazione" - assai più nefasta di quanto si possa credere - il contributo maggiore venne fornito dal principale sodale di Marx, Friedrich Engels, il quale, ad Highgate, aveva affermato durante l'orazione funebre che "lo scopritore della legge fondamentale che regola il corso e lo sviluppo della società umana", era esattamente come Darwin, che aveva scoperto "la legge di sviluppo della natura organica sul nostro pianeta". E il cadavere, ancora caldo, non poteva più ribattere! Ma, del resto, uno gli amici se li sceglie e, come si suol dire, mal voluto non è mai troppo!
Certo, tornando indietro, qualche presupposto lo si può trovare qua e là, ma procediamo con metodo. E torniamo ad Engels. E' lui che in una lettera del 12 dicembre 1959 sollecita Marx, con toni entusiasti, a leggere l'opera di Darwin. Marx nicchia e ci metterà un anno, più o meno, prima di decidersi, e solo il 19 dicembre del 1860, scriverà all'amico che sì, "che il libro contiene i fondamenti storico-naturali del nostro di modo vedere", ma il giudizio è assai stringato e, al solito, non tralascia qualche tagliente critica a proposito del "goffo metodo inglese". Ma, fatto sta, che, a Marx, tutto quel disegno preordinato della natura, non torna troppo perché - come scriverà in una lettera a Lassalle - "solo a posteriori può essere compreso lo sviluppo superiore di una precedente forma meno evoluta". Ci tornerà più tardi, sulla questione, quando nella IV sezione del I libro del Capitale noterà un'analogia fra l'evoluzione della tecnologia industriale nella filatura e le osservazioni di Darwin sulla "tecnologia naturale" (la formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di "produzione della vita"). In un empito di preveggenza, forse, Marx si preoccupa e mette le mani avanti, per cercare di evitare che si arrivi ad un “materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, che esclude il processo storico".
L'avvertimento rimarrà inascoltato, purtroppo!
Tornerà ancora sull'argomento - in una lettera ad Engels del 18 giugno 1862 - criticando la pretesa di Darwin di "applicare la teoria di Malthus anche alle piante e agli animali", argomentando che in realtà Darwin non fa altro che "trasferire al regno animale le contraddizioni della società inglese ed il bellum omnium contro omnes di Hobbes". E più o meno questo è tutto, per quanto riguarda Marx e Darwin, tranne il fatto che nel 1873 Marx volle inviare a Darwin la seconda edizione, appena pubblicata, del II volume del Libro I del Capitale con dedica autografa in cui si definiva suo "sincero ammiratore". Darwin rispose cortesemente, sottolineando la rispettiva diversità di campi d'interesse e la sua ignoranza in materia di economia. E' tutto. La corrispondenza non ebbe più alcun seguito.
Senonché, dopo la morte di Engels - sempre lui! - fra le carte di Marx venne trovata una lettera, datata 1880, in cui Darwin declinava - sempre assai cortesemente - l'offerta che gli venisse ufficialmente dedicata un opera di imminente pubblicazione. Ecco, per anni, questa lettera - che non recava nessuna indicazione su chi ne fosse destinatario - è stata usata per accreditare la bufala che Marx avesse avuto intenzione di dedicare a Darwin il II Libro del Capitale (che poi uscirà postumo, nel 1885). Solo molto tempo dopo - negli anni '80 del XX secolo - verrà dimostrato che, senza ombra di dubbio, la lettera di Darwin era indirizzata ad Edward Aveling, compagno di Eleanor Marx, il quale aveva effettivamente chiesto a Darwin se acconsentiva a che gli venisse dedicato un volume di divulgazione dell'opera darwiniana, pubblicato a cura di un'associazione di liberi pensatori. Darwin aveva rifiutato, per non essere coinvolto in "attacchi contro la religione".

giovedì 27 giugno 2013

in Francia

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« Abbiamo stabilito, come obiettivo, di voler contrastare la negazione e l'oblio. »  - precisa Hazem el Moukaddem che, nel suo libro "Panorama des groupes révolutionnaires armés français, de 1968 à 2000", insegue il percorso misconosciuto dei gruppi armati in Francia dopo il '68, le loro esperienze radicali, cercando di fornire spunti di riflessione sulla realtà attuale. Una storia, questa, assai sovente ignorata; la storia della lotta armata francese si svolge nel contesto di una classe operaia che comprende molti immigrati e, quindi, si sviluppa privilegiando i problemi internazionali e la lotta contro l'imperialismo, in una situazione in cui l'estrema sinistra tradizionale rifiuta la violenza rivoluzionaria, e dove tutti i partiti sono d'accordo ad esprimere il loro consenso nei confronti della criminalizzazione e della depoliticizzazione della lotta armata.
Hazem el Moukaddem rifiuta la teoria per cui la lotta armata si iscriverebbe all'interno di un approccio minoritario al problema della costruzione di un movimento insurrezionale più ampio e preferisce leggere direttamente i giornali e gli opuscoli dei gruppi rivoluzionari, per studiarne il contenuto politico. La lotta armata in Francia, come in tutto il mondo, si sviluppa a partire dal contesto sopravvenuto al maggio del 1968. Lo stato francese, con i suoi tratti ereditati dal colonialismo e dal gollismo, adotta da subito dei metodi di repressione altamente efficaci; l'anti-terrorismo, in Francia, si basa sulla contro-informazione e sulla negazione del conflitto. Ripercorrere la storia dei gruppi rivoluzionari armati in Francia, permette di riportare alla luce una memoria deliberatamente seppellita.

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La Gauche prolétarienne (GP) e la Nouvelle résistance populaire (NRP) promuovono lo sviluppo della lotta armata negli anni che vanno dal 1969 al 1973. La Gauche prolétarienne, gruppuscolo maoista, moltiplica, in quel periodo, le sue azioni violente volte a colpire l'estrema destra ed il padronato. « Ovunque, le azioni dei partigiani si moltiplicano: pestaggi dei capetti, sabotaggi, incendi ... », la Gauche prolétarienne sottolinea sempre più la necessità di un'autodifesa popolare in gradi contrastare la repressione dello stato. A conti fatti, il maoismo della GP, come quella del gruppo Vive la révolution (VLR), sembra assai più spontaneista che marxista-leninista ortodosso. In un testo della GP del 1970, la lotta dei partigiani attraverso l'azione violenta viene associata al sostegno popolare. « La nostra presenza presso le masse si rafforza, il sostegno popolare cresce ed in alcune grandi fabbriche il suolo comincia a tremare sotto i piedi dei padroni e della polizia sindacale. » Intanto lo stato cerca di dipingere la GP come un gruppuscolo marginale. Ed ecco perché la lotta armata deve accompagnarsi ad una intensa propaganda politica, in grado di mantenere una connessione con la popolazione. Così, la GP denuncia « i poliziotti in borghese del PCF e deli sindacati » che si oppongono al vero potere popolare. La lotta armata, in questo quadro, deve « spezzare l'ideologia pacifista legalitaria, ideologia di sottomissione mantenuta dai sindacati ». Il quadro legale e sindacale impedisce che si attacchi l'ordine capitalista, per questo motivo la GP propone una strategia rivoluzionaria in grado di impiantarsi nelle fabbriche e nei luoghi di concentrazione del proletariato, laddove le azioni devono permettere, soprattutto, di « sviluppare l'iniziativa delle masse » ed intensificare la spontaneità della rivolta.
In questo contesto, la Nouvelle résistance populaire decide di togliere di mezzo Nogrette, responsabile delle Risorse Umane alla Renault. Alla Renault, una guardia ha ucciso un militante che distribuiva dei volantini. Ma la NPR non intende affatto l'esecuzione di Nogrette come un atto di vendetta; si tratta soprattutto di denunciare la politica della Renault che licenzia gli operai e che ha stabilito un regno di terrore, puntando il dito, allo stesso tempo, contro i dirigenti aziendali che impongono disciplina e gerarchia. La NRP cerca il sostegno popolare, ma non il sostegno delle organizzazioni politiche e sindacali che rifiutano di uscire dai confini della legalità. « Le pratiche illegalitarie, dirette, cioè a dire quelle pratiche che sconvolgono la vita politica tradizionale, sono necessariamente sgradite a quelle organizzazioni le quali, tutte, partecipano a questa politica tradizionale, basata su un sistema di elezioni, di "rappresentanza", cioè di accantonamento della volontà popolare. » Ma la NPR sottolinea che « E' evidente che la rivoluzione è il movimento delle grandi masse, e le azioni di piccoli gruppi possono solo aiutare la rivoluzione; mai farla. » Però delle azioni minoritarie possono permettere ad un movimento di massa di svilupparsi. Soprattutto, pratiche di lotta come il sabotaggio ed il sequestro possono diffondersi. Contro l'ideologia della Resistenza e dell'Unità nazionale, la NRP insiste sulla guerra di classe. Tuttavia, questo gruppo armato si limita a delle azioni simboliche. Le azioni della NRP non s'iscrivono affatto nella costruzione di un rapporto di forza, sebbene i maoisti cerchino di creare delle milizie popolari e dei gruppi di autodifesa operaia per combattere i padroni. Essenzialmente, la NPR mira a diffondere la violenza rivoluzionaria e a metterla all'ordine del giorno nell'insieme della popolazione.

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E' il 1973, quando Puig Antich del Movimiento iberico de libéracion (MIL) viene arrestato dallo stato spagnolo, prima di essere torturato ed ucciso. I Groupes d’action révolutionnaire internationaliste (GARI) si formano allora, in sostegno del giovane anarchico, e raggruppano vecchi attivisti del MIL e dei gruppi autonomi di Toulose e della Spagna; organizzano attentati ad infrastrutture come ferrovie, porti, tutte le vie di comunicazione, per bloccare il flusso commerciale fra la Spagna e la Francia. Allo stesso tempo, puntano il dito contro quegli ambienti rivoluzionari che denunciano le loro azioni come terroriste o minoritarie, rimanendosene nella loro routine del tutto inoffensiva. Nel 1974, si formano le Brigades internationales (BI) che raggruppano vecchi maoisti della GP e giovani autonomi. Vengono attaccate varie ambasciate. Le BI denunciano la dittatura in Iran, sostenuta dallo stato francese. « Le azioni armate sono simboliche ed efficaci nella misura in cui l'efficacia è simbolica: essa dimostra che è possibile rompere con le pratiche pacifiste e masochiste della sinistra francese. » - scrivono le BI, questo gruppo che rifiuta la clandestinità, la specializzazione e la militarizzazione.
Altri vecchi attivisti della GP, insieme a giovani autonomi, creano, a loro volta, la Noyaux armés pour l’autonomie populaire (NAPAP), nel 1977, riferendosi all'Autonomia italiana.  «Quello che ci colpisce e ci interessa, nell'esempio italiano, sono le vittorie reali delle forze popolari rivoluzionarie nel loro modo di pensare, d'agire, ma soprattutto di vivere nel 1977 ». Questo gruppo incoraggia i movimenti che si sviluppano fuori dai partiti e dai sindacati, sostiene i comitati autonomi nelle fabbriche, così come le occupazioni e le auto-riduzioni. La disobbedienza civile diviene una pratica da diffondere contro il capitalismo in tutti i suoi aspetti nella vita quotidiana. Tramoni, il vigilante che ha ucciso Pierre Overney alla Renault, incarna il terrore padronale nella fabbrica: il NAPAP decide di ucciderlo. « L'esecuzione del poliziotto Tramoni si iscrive nella lotta attuale dei lavoratori per prendere in mano il proprio destino. Cominciando così da subito a prendere il potere nella loro vita quotidiana ».
Action directe (AD) si costituisce nel 1979, un gruppo ristretto che entra in clandestinità, stringendo legami con altri gruppi armati d'Europa, tra cui la Rote Armee Fraktion tedesca (RAF). AD elimina il generale Audran, alto funzionario del Ministero della Difesa francese, e Georges Besse, padrone tirannico della Renault. Poi, insieme alla RAF, passano a compiere azioni contro la NATO e contro l'Europa dell'ovest in quanto centro dell'imperialismo. AD, nel suo comunicato di rivendicazione della morte di Besse, indica la Renault come un laboratorio nel quale lo stato cerca di imporre condizioni di lavoro sempre più dure, per mezzo della flessibilità e del controllo dei salari. Il gruppo proseguirà la sua riflessione dalla prigione, su un movimento sociale che oramai riposa su « la trilogia della "socialdemocrazia" del simulacro oppositivo:  lo statismo, il produttivismo e il moralismo ».
Jean-Marc Rouillan, membro di AD, considererà il suo percorso in un'intervista, nel 2007. Il movimento contro la globalizzazione gli appare come una nuova impostura militante. La sinistra della sinistra e i no-global non vogliono affatto un altro mondo ma, piuttosto, un altro capitalismo. Le lotte sociali attuali non si iscrivono più in una prospettiva di rottura con l'ordine esistente. Il proletariato ora deve costruire e riappropriarsi delle proprie lotte.images

Ma anche senza essere dei gruppi armati, i movimenti hanno praticato l'azione diretta violenta, nelle lotte contro la prigione, contro il nucleare, o per la solidarietà internazionale, la violenza sembra diffondersi. A partire dal 1975-76, l'autonomia politica valorizza l'illegalismo. Questi movimenti raggruppano le nuove figure proletarie, come i disoccupati, i precari. Il saccheggio ed il sabotaggio diventano pratiche di lotta. « Cortina di ferro ad est, cortina di fumo ad ovest: l'uniformizzazione del modo di pensare (quello dell'uomobiancoincravattato) non può avvenire che attraverso il genocidio fisico e culturale di tutti quelli che non vogliono sottomettersi », osservano gli Hooligans internationalistes. Durante gli anni '80, l'antifascismo radicale rompe la monotonia dele regime socialista. Nella regione di Toulouse si sviluppano gli "Scalp" (Section carrément anti Le Pen), ma anche i "Black War", che praticano la lotta armata. Negli anni '90, i Franc tireurs et partisans (FTP) lottano contro il Front National nella regione di Marsiglia. Alcuni locali del Fronte di Le Pen vengono attaccati con esplosivi.
Queste esperienze storiche possono ispirare nuove pratiche di lotta. I gruppi armati tentano di costruire uno spazio al di fuori della camicia di forza di partiti e sindacati, legati al rispetto della legalità. Pur rifiutando la violenza e le armi, sembra oramai indispensabile uscire  dalla routine militante con le sue manifestazioni-passeggiate, i suoi scioperi corporativi e i suoi movimenti controllati dai burocrati. Soprattutto, questi gruppi rivoluzionari hanno insistito sull'importanza della conflittualità. Oggi, l'interiorizzazione delle norme statali e di mercato si è tradotta nel trionfo del conformismo, dell'obbedienza e del cittadinismo.

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mercoledì 26 giugno 2013

Orlov

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Stalin non aveva dubbi circa il come poteva essere risolto il problema spagnolo nella maniera più efficace: assassinare Francisco Franco. Ed in tal senso, l'Unione Sovietica inviò almeno tre spedizioni sul territorio controllato dal bando nazionalista, per portare a termine questa missione. La prima, nella primavera del 1937, era comandata da Grigori M. Semiónov, ufficiale dell'Intelligence; con lo stesso compito, venne inviato il giornalista inglese del Times, Kim Philby, in qualità di corrispondente di guerra presso l'esercito di Franco, sebbene i servizi sovietici fossero a conoscenza del fatto che Philby non era in grado di uccidere il generalissimo. La terza opzione aveva il nome di Elli Bronina, moglie di una spia sovietica a Shangai. Non serve sottolineare che tutte queste operazioni fallirono. Anche perché, per Stalin, l'eliminazione di tutti i trotskisti, reali o immaginari, godeva di una priorità assai superiore all'eliminazione di Franco. Una logica terrificante, quella di Stalin, secondo la quale per combattere con successo il nemico, bisognava prima farla finita col "nemico interno". A tal fine, inviò in Spagna Lev Nikolsky, alias Alexander M. Orlov.
Le azioni, i piani e le peripezie di Orlov in Spagna nel 1936, 1937 e 1938, come capo della NKVD (polizia segreta precedente al KGB) sono state indagate da Boris Volodarsky, storico russo ed ex-agente del servizi segreti, in "El caso Orlov", un'opera di una precisione e di un'ampiezza senza precedenti, sull'attività dei servizi segreti sovietici in Spagna.

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Nel 1936, quando sbarcò in Spagna, Orlov aveva 41 anni e la valutazione dei suoi servizi, durante la guerra civile, può essere definita, senza dubbio, come disastrosa. Nonostante ciò, c'era un settore in cui Orlov non fallì: l'assassinio selettivo dei trotskisti, considerati da Stalin come i peggiori nemici. Nel 1936, il Comitato Esecutivo del Comintern (ECCI) comunicava al Partito Comunista Spagnolo (PCE): "Succeda quel che succeda, dobbiamo garantire la distruzione dei trotzkisti, indicandoli alle masse come un servizio segreto fascista che realizza azioni di provocazione al servizio di Hitler e del generale Franco per cercare di dividere il Fronte Popolare conducendo una campagna diffamatoria contro l'Unione Sovietica".
L'omicidio selettivo veniva utilizzato, comunque, in rare occasioni ed era sempre strettamente coordinato da Mosca. Il numero di vittime della NKVD, in Spagna, "con quasi assoluta certezza, non superò mai le venti persone", così come il numero degli agenti in Spagna rimase limitato a dieci. "La quantità di vittime del KGB/NKVD nel corso della guerra civile spagnola, non può essere paragonato, neppure lontanamente, con quelle della Polonia (nel 1939-41), della Finlandia (1939-40), dell'Austria (1945-55), dell'Ungheria (1956) o dell'Afghanistan (1979) - annota lo storico, il quale aggiunge che questi omicidi "non avvennero mai a beneficio della Repubblica spagnola" ma " sempre in difesa degli interessi del Cremlino."
Nel libro, vengono segnalate, fra le vittime, Dmitry Navashin (a Parigi), Brian Goold-Verschoyle (sequestrato a Barcellona, e morto in campo di prigionia in Russia), Marc Rein (morto in Spagna), Hans Freund (Moulin), Ignatz Reiss (scomparso in Svizzera), Kurt Landau, il generale Skoblin (un agente della NKVD morto a Barcellona), Georges Agabekov (un ufficiale sovietico di alto rango che disertò, poi arrivò in Spagna e venne assassinato) e il leader del POUM, Andreu Nin.
Viene chiarito, dallo storico, l'inizio dell'odio, da parte del Comintern/PCE, nei confronti del POUM. Alla fine del 1936, il POUM denunciò pubblicamente le esecuzioni in Unione Sovietica di Kamenev, Zinoviev e degli altri vecchi bolscevichi. Inoltre, i repubblicani, i socialisti e i comunisti credevano che la difesa delle milizie rivoluzionarie, fatta dalla CNT e dal POUM, stesse minando lo sforzo bellico. Poi, la goccia che fece traboccare il vaso, per Stalin, fu l'invito, fato da Nin, capo del POUM, a Trotsky, allora in esilio in Norvegia, di andare a Barcellona. Con questo gesto, venne sigillato il destino del partito e dello stesso Nin.
"Il fatto di accusare Nin, e qualche altro dissidente, di essere un trotskista, era dovuto, non all'importanza dei trotskisti, ma all'abitudine oramai acquisita, da parte dei comunisti, di denunciare come troskista chiunque non fosse d'accordo con loro su una qualsiasi cosa".
Il 23 maggio del 1937, Orlov comunicò il suo piano per farla finita con Nin e con il POUM. Bisognava aspettare l'approvazione di Mosca. Qualche giorno dopo, Mosca diede il sì definitivo. Il piano di Orlov consisteva nell'elaborare un falso documento che rivelasse la collaborazione dei dirigenti del POUM con la Falange e, di conseguenza, con Franco e con la Germania di Hitler.
"Codificheremo il contenuto del documento, utilizzando il codice segreto di Franco, che abbiamo a disposizione, e lo scriveremo sul retro del documento" - scrive Orlov a Mosca.

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Il testo compromettente per il POUM sarebbe stato scritto con inchiostro simpatico ed inviato ai servizi di controspionaggio del governo della Repubblica che avrebbe arrestato Nin come traditore e per essere stato parte fondamentale nella sollevazione franchista. Il risultato è noto: il sequestro, l'interrogatorio e l'assassinio di Nin.
"La data esatta della morte di Nin, probabilmente non verrà mai conosciuta, ma con ogni probabilità venne assassinato dopo il 22 giugno del 1937" - scrive Volodarsky.
Il 16 giugno 1936, Nin stava preparando il congresso del POUM, che doveva svolgersi di lì a tre giorni. La sera venne avvertito, in due occasioni, che la sua vita era in pericolo. "Non ne avranno il coraggio!" - contestò, ridendo, Nin, al secondo avviso. Pochi minuti dopo venne arrestato vicino al palazzo della Virreina e subito trasferito nella sede della Gioventù Comunista Iberica, al Paseo de Gracia. Poi, fu portato a Valencia, e da lì a Madrid, dove venne imprigionato nel centro di detenzione di Atocha. Ma si vede che la prigione non dava abbastanza garanzie di sicurezza, perciò il leader del POUM venne portatp in una casa ad Alcalá de Henares, cittadina nei pressi di Madrid, dove venne interrogato in segreto per due o tre giorni.
"Orlov era sicuro che il suo piano avrebbe funzionato e che, sotto costrizione, Nin finalmente sarebbe crollato e avrebbe confessato, firmando la confessione che aveva già pronta. Però il capo del POUM stava ancora nel suo paese, circondato dalla sua gente, gli agenti della polizia repubblicana, dai quali non aveva niente da temere" - assicura lo storico, che aggiunge essere "ovvio" che durante questa fase Nin non venne torturato.
E' a questo punto che Orlov organizza lo spettacolo finale. Un gruppo di uomini in uniforme, con ordini firmati dal generale Miaja e dal colonnello Ortega, entrano nella casa, ordinando che venga loro consegnato il prigioniero. Questo gruppo neutralizza le guardie e si porta via Nin, lasciando dietro di sé una scia di false prove in grado di collegare la "liberazione di Nin" ai fascisti di Franco e ai nazisti tedeschi. Gli aggressori, invece, erano lo stesso Orlov, Grigúlevich, Tacke, Nezhinsky e due spagnoli identificati come "L" e "AF".
"Nin andò via senza opporre resistenza e si sedette al suo posto sulla macchina che si diresse a sud-est, verso Perales de Tajuña. Dopo circa venti chilometri, il veicolo si fermò. Non si sa, e probabilmente non si saprà mai cosa accadde lungo la strada, se i rapitori e la vittima scambiarono qualche parola".
Alla fine, "il gruppo arrivò a destinazione e, secondo Victor, l'autista, si addentrò per cento metri in un campo. Quasi certamente fu Grigúlevich che sparò a Nin". Secondo lo storico, il motivo dell'assassinio di Nin è dovuto al fatto che era diventato un testimone scomodo, al punto che "non c'era altra scelta che ucciderlo". Dopo la sua morte, a differenza di quanto viene sostenuto da altri storici, non ci sarebbe stata un'offensiva stalinista e nessuno dei circa mille detenuti del POUM venne accusato di spionaggio.
"Non bisogna dimenticare che Madrid non era Mosca e che i dirigenti repubblicani non erano affatto come Molotov e Kaganovich" - sentenzia Vodolarsky.
Poi, lo storico continua, assicurando che "Stalin non aveva alcuna intenzione, né l'interesse, né la possibilità, di sovietizzare o stalinizzare la Spagna, come affermano alcuni autori. Non era interessato ad una Spagna comunista, poiché questo avrebbe pregiudicato le sue opportunità di negoziare con Inghilterra e Francia".
Gli interessi di Stalin nella guerra civile spagnola, spiega Vodolarsky, risiedevano più nell'opportunità storica di guadagnarsi la simpatia di milioni di persone nel mondo, per incrementare il saldo commerciale dell'URSS, e nell'utilizzare la guerra civile come campo per sperimentare nuovi aerei e carri armati, tattiche, strategie ed operazioni speciali a fronte della II guerra mondiale e, soprattutto, sapere con quali armi l'avrebbero combattuta i suoi nemici.

martedì 25 giugno 2013

Engels aveva bevuto!

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« E che vino! Che varietà: dal Bourdeaux al Bourgogne, dal Bourgougne al corposo St-George, al Lünel al Frontignan del sud, fino allo spumeggiante Champagne! Quale scelta di bianchi e di rossi: il Petit Mâcon, lo Chablis, lo Chambertin, lo Château Larose, il Sauterne, il Roussilloner, l'Aï Mousseux! E se si pensa che ognuno di questi vini dà un'ebbrezza diversa e che con poche bottiglie si possono attraversare tutti gli stadi intermedi dalla quadriglia alla marsigliese, dal piacere folle del cancan all'ardore selvaggio della febbre rivoluzionaria per tornare alla fine, con una bottiglia di Champagne, all'umore carnevalesco più lieto del mondo! E solo in Francia vi è una Parigi, una città in cui si dispiega la civiltà europea all'apice della sua fioritura, in cui si raccolgono tutte le fibre della storia europea e da cui, a intervalli di tempo regolari, provengono le scosse che fanno tremare il mondo intero; una città la cui popolazione riunisce in sé come nessun'altra la passione del godimento con la passione dell'azione storica, i cui abitanti sanno vivere come i più raffinati epicurei di Atene e morire come più impavidi spartani, come Alcibiade e Leonida in uno; una città che veramente, come dice Louis Blanc, è il cuore ed il cervello del mondo. »

- Friedrich Engels - Von Paris nach Bern – da ‘Die Neue Zeit’, Stuttgart 1859 -

Nota - commenta Eduard Bernstein: "Benché si tratti di un frammento, questo appunto di viaggio ci dà un'immagine del suo autore più completa che qualunque altro dei suoi lavori."

lunedì 24 giugno 2013

Makhno a Barcellona

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Christian Ferrer, sociologo argentino, nel suo libro "Cabezas de tormenta. Ensayos sobre lo ingobernable" (scaricabile qui), nell'ultimo capitolo, "Una moneda valaca", a proposito della resistenza partigiana, parlando del ruolo della moneta nella diaspora antifascista (quella diaspora che troverà il suo olocausto nella seconda guerra mondiale: i rivoluzionari ungheresi di Bela Kun, i contadini ucraini di Makhno, i marinai di Amburgo, i fuggiaschi dai fascismi balcanici, italiani e tedeschi e gli internazionalisti della guerra civile spagnola: tutti quelli che continueranno a combattere nei maquis e integrati negli eserciti alleati), tratta di un argomento assai poco noto: riguardo i componenti in esilio del movimento makhnovista che andarono a combattere in Spagna, nel 1936, come brigatisti internazionali durante la guerra civile spagnola. Questi ucraini che, insieme ai bielorussi ed ai polacchi, formavano la compagnia comandata dal tenente Taras Shevchenko, facente parte del Battaglione Palafox della XIII Brigada Internazionale. Una di quelle compagnie che rimase a combattere fino alla fine, poi quando cadde la Catalogna attraversò i Pirenei e partecipò, in Francia, alla resistenza contro il nazismo. Nella Catalogna del 1937, la Compagnia Internazionalista Shevchenko era formata da una decina di sopravvissuti dell'esercito anarchico di Nestor Makhno, quelli che nel 1921 erano riusciti ad attraversare, a cavallo, la frontiera fra la Russia e la Romania. Ancora nel 1945, quando alla fine della II guerra mondiale, in Linguadoca, alla fine deposero le armi, conservavano ancora nelle tasche la moneta rivoluzionaria coniata da Makhno venticinque anni prima.

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Già, e qualcuno si è mai chiesto quali storie si raccontassero, nel 1924, Makhno - che allora lavora a Parigi come carpentiere - e Buenaventura Durruti - che aveva aperto in quell'anno una libreria a Parigi -  prima che l'anarchico ucraino venisse arrestato e segregato nella Conciergerie, nella stessa cella dove era stata detenuta Maria Antonietta? Con ogni probabilità, Makhno fece a tempo a mettere in guardia Durruti ed Ascaso, sconsigliandoli dall'accettare l'asilo che l'Unione Sovietica offriva loro!

domenica 23 giugno 2013

Lavoro e Prostituzione

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"Finché esiste un'apparenza storica, essa albergherà nella natura come suo ultimo refugium. La merce, che è l'ultimo specchio ustorio dell'apparenza storica, celebra il suo trionfo nel fatto che la natura stessa assume un carattere di merce. E' questa apparenza di merce della natura che s'incarna nella prostituta. Si dice che il denaro «il denaro rende sensuali», e questa formula definisce a sua volta, a grandi tratti, uno stato di cose che va molto al di là della prostituzione. Sotto il dominio del feticismo delle merci, il sex-appeal della donna si tinge più o meno intensamente dei colori del richiamo della merce. Non per nulla i rapporti della protettore con la sua donna, in quanto «cosa» da lui venduta al mercato, hanno intensamente stimolato  la fantasia sessuale della borghesia. La pubblicità moderna rivela per un altro verso quanto il potere di seduzione della femmina e quello della merce possano confondersi l'uno con l'altro: la sessualità, che un tempo - sul piano sociale - era mobilitata dalla fantasia del futuro delle forze produttive, viene oramai stimolata solo da quella della potenza del capitale"

"Nella forma assunta dalla prostituzione nelle grandi città, la donna appare non solo come merce, ma, in senso stretto, come articolo di massa. A ciò allude il mascheramento dell'espressione individuale, operato dal maquillage a favore di un'espressione professionale."

"La prostituzione può avanzare la pretesa di valere come «lavoro» nell'istante in cui il lavoro diventa prostituzione. La lorette è in effetti la prima che operi una rinuncia radicale al travestimento di amante, facendosi già pagare per il tempo occupato. Di qui a quelle che esigono il proprio «stipendio» il passo è breve."

"La prostituta non vende la sua forza-lavoro; il suo mestiere implica però la finzione ch'essa venda la sua capacità di godimento. Essendo questa l'estrema dilatazione di cui è passibile l'estensione della merce, la prostituta è stata da sempre una precorritrice dell'economia mercantile. Ma proprio perché in passato il carattere non era ancora del tutto sviluppato, non era necessario che questo lato risaltasse in lei in modo tanto vivido come accadde in seguito. In effetti, la prostituzione medievale non rivela, per esempio, quella volgare spudoratezza che nell'Ottocento divenne la regola."

- Walter Benjamin -

sabato 22 giugno 2013

Pireo

grecia agosto 1984

Al Pireo, io e Salvatore, ci eravamo arrivati dopo 2 giorni; il treno fino a Brindisi e poi la nave fino a Patrasso. Da Patrasso per Atene – era l’agosto del 1984 - dopo vari tentativi ci ritrovammo a prendere il trenino a scartamento ridotto che ci metteva dalle sei ore in su. Insomma, quando arrivammo al Pireo erano già le due del mattino, ma si era ancora in tempo per farci un pollo arrosto in uno dei tanti locali lungo il porto. Sul trenino avevamo conosciuto Patrizia e Luciano che viaggiavano insieme ad un'altra coppia romana, e furono loro che ci convinsero ad optare per Santorini. Al Pireo le biglietterie per le navi funzionavano tutta la notte. L'uomo che ci fece il biglietto, vedendo le nostre condizioni, scrisse qualche parola in greco su un biglietto da visita, ce lo consegnò e ci disse di darlo ai marinai della nave che ci avrebbero fatto sistemare a bordo, in attesa della partenza al mattino successivo. Così fu, ma una volta sistemati sul ponte e mentre ci si disponeva a dormicchiare, due dei marinai arrivarono con una bottiglia di ouzo e una cassa di birra. Avete mai provato a passare una notte raccontando barzellette in italiano a dei greci e sentirsele raccontare in greco, e ridere come dei pazzi? Be', non sapete quello che vi siete persi!

Dove meno te l’aspetti

Uno spaghetti western, uno dei tanti del 1970. Una produzione italo-spagnola, come molti altri di quel periodo. La collera del vento, di Mario Camus, regista spagnolo, con attori spagnoli e italiani, fra cui Terence Hill. Uno dei tanti western del periodo, proiettati e guardati da un pubblico assai numeroso, in Spagna come in Italia. Facevano cassetta, all'epoca. E, probabilmente proprio per questo, la censura spagnola non stava certo a spulciarli, in cerca di chissacché. E così non si accorsero che dentro il film, bello e ben impostato, ci stava pari pari tutto quanto il discorso che Buenaventura Durruti fece nel corso di un'intervista rilasciata al giornalista canadese Van Paasen.

"Siempre hemos vivido en la miseria, y nos acomodaremos a ella por algún tiempo. Pero no olvide que los obreros son los únicos productores de riqueza. Somos nosotros, los obreros, los que hacemos marchar las máquinas en las industrias, los que extraemos el carbón y los minerales de las minas, los que construimos ciudades...¿Por qué no vamos, pues, a construir y aún en mejores condiciones para reemplazar lo destruido? Las ruinas no nos dan miedo. Sabemos que no vamos a heredar nada más que ruinas, porque la burguesía tratará de arruinar el mundo en la última fase de su historia. Pero -le repito- a nosotros no nos dan miedo las ruinas, porque llevamos un mundo nuevo en nuestros corazones, dijo, murmurando asperamente. Ese mundo está creciendo en este instante."

"Abbiamo sempre vissuto nella miseria, e ci adatteremo ad essa per qualche tempo. Ma non si dimentichi che gli operai sono gli unici produttori di ricchezza. Siamo noi, gli operai, che facciamo funzionare le macchine nelle industrie, che estraiamo il carbone ed i minerali dalle miniere, che costruiamo le città ... Perché non possiamo, quindi, costruire, ed in  migliori condizioni, per rimpiazzare quanto distrutto? Le rovine non ci fanno paura. Sappiamo che erediteremo solo rovine, perché la borghesia cercherà di mandare in rovina il mondo, nell'ultima fase della sua storia. Ma - le  ripeto - a noi non fanno paura le macerie, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori. E questo mondo sta crescendo proprio in questo istante."

venerdì 21 giugno 2013

Zivago a Madrid

Nel "Dottor Zivago" di David Lean c'è una scena che mostra una manifestazione operaia repressa brutalmente dalla polizia zarista. Il film, del 1965, tratto dall'omonimo romanzo di Boris Pasternak, venne girato in gran parte, compresa quella scena, in Spagna. Con ogni probabilità, quello che non avevano previsto - produttore, regista e troupe - era il fatto che nella Spagna del generalissimo Franco fosse vietato esporre qualsiasi tipo di simbolo che avesse a che fare con il comunismo. Ragion per cui, la notte in cui venne girata la sequenza della manifestazione, con duemila comparse, la polizia spagnola venne dispiegata in grandi forze, a sorvegliare e a controllare ogni minimo dettaglio. Così, assistettero alla scena delle migliaia di comparse che, sempre più eccitate, cantavano l'Internazionale -  come richiedeva il copione - e poi, spontaneamente, passavano ad intonare "A las barricadas", sotto gli occhi dei tecnici stranieri stupefatti davanti ad un simile spettacolo di entusiasmo da parte delle comparse, che in gran parte appartenevano alle organizzazioni clandestine. Inutilmente, la polizia provò a darsi da fare per arrestare le comparse, selezionandole a partire dal fatto che conoscessero, o meno, il testo degli inni a memoria; nel mentre, era passata mezzanotte e gli abitanti del barrio di Canillas cominciarono a svegliarsi, sorpresi di sentir cantare un inno rivoluzionario.

giovedì 20 giugno 2013

Brasil

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Il testo che segue è stato scritto da R.Mineiro e pubblicato sul giornale brasiliano "A Nova Democracia"

Stiamo assistendo, nelle strade, alla più grande eredità della Coppa delle Confederazioni.
Grazie Fifa!
I ministri ed i media, sorpresi, dicono di non capire il senso di questa rivolta. Isolati nei loro paradisi artificiali, hanno paura di affrontare il paese. Sono almeno dieci anni che spero che avvengano questo genere di cose. E il giorno è arrivato. "In queste notti - ci sono aurore e raggi di luce - nelle tenebre". « Il Brasile si è svegliato», si può leggere questa frase sui cartelli nel corso delle numerose manifestazioni. Si è svegliato per sognare.
In queste sere storiche, i fortunati sono quelli che non riescono a dormire. L'insonnia degli attaccanti è molto più bella di quella dei difensori della vecchia fortezza.
Le classi dominanti e reazionarie, nel bel mezzo dell'incubo della strada, espongono le loro strategie per liquidare il movimento. La scorsa settimana abbiamo visto gli attacchi velenosi dei loro portavoce. Arnaldo Jabor ci ha detto che questa gioventù non vale niente. Luiz Datena ci ha trattato da vandali e da hooligan. E' diventato chiaro che la repressione non fa altro che aumentare la ribellione, e il discorso è cambiato. Ieri, Jabor ha parlato di una generazione che ha delle idee; Datena ha detto a CQC (un programma umoristico) che pur lavorando nel giornalismo poliziesco, la sua specialità sono i diritti umani. Che cambiamento, in una sola settimana!
Ora gli "esperti della sicurezza" sono stati promossi ad esperti delle manifestazioni. Siamo abituati a vedere trasmissioni che ci dicono come comportarci durante un colloquio di lavoro. Ma è una novità sentire dei giornalisti che, dai loro programmi, ci danno delle lezioni qu che cosa dobbiamo fare, o non fare, durante le nostre manifestazioni. Gli stessi che ci volevano casinisti, ora ci danno lezioni. E la lezione è sempre noiosamente la stessa, ripetuta senza sosta su tutti i media:  « le manifestazioni devono essere pacifiche », « E' bello vedere persone vestite di bianco », «la maggior parte dei giovani vuole la pace, solo un piccolo gruppo di manifestanti radicali lancia pietre contro la polizia ».
Il discorso di pace, signori, è arrivato troppo tardi. Perché voi, i giornalisti delle redazioni, non avete incoraggiato la polizia anti-sommossa a vestirsi di bianco, durante l'eliminazione delle favelas, per i lavori della Coppa del Mondo, a Rio de Janeiro? E perché le forze di sicurezza del governo nazionale della Rousseff non sono venuti a portare fiori, ai lavoratori in rivolta di Jirau? Non avrebbe dovuto, la Polizia federale, procedere in forma ordinaria nell'intercettazione degli omicidi degli Indiani Terena nel Mato Grosso del sud?

«Di un fiume che porta via tutto, si dice che è violento, ma nessuno parla della violenza degli argini che lo comprimono.»

Il discorso di pace di Datena è dantesco. Non fraintendetemi, perché questi signori sono gli stessi che invocano punizioni esemplari per i manifestanti radicali. La classe operaia conosce la furia sanguinaria della reazione borghese. Durante la Comune di Parigi, i rivoluzionari hanno pagato caro l'avere oppresso la classe dirigente vinta. Ventimila persone sono state uccise quando la borghesia ha riconquistato la capitale francese.
La contro-propaganda per difendere le manifestazioni pacifiche cerca di rendere sterile la nostra rivolta. Arrivano a dire: « le manifestazioni ordinate sono uno schiaffo in faccia ai politici, dal momento che non offrono loro nessuna scusa per reprimerle». Non c'è bisogno che le persone manifestino, per essere represse, basta loro essere povere, nere e delle Favelas, per essere minacciate tutti i giorni dalla violenza della polizia del vecchio stato.
Dire che le manifestazioni pacifiche sono più « efficaci » è una stronzata. Scendere in strada non è affatto sufficiente. Prendiamo l'esempio delle manifestazioni di “Diretas Já” nel 1984. Alla fine del regime militare, milioni di persone scesero nelle strade per reclamare delle elezioni dirette del presidente. Tutte le riunioni erano piene di maniere ordinate e pacifiche. Uno schiaffo in faccia alla dittatura, avrebbero detto gli esperti delle manifestazioni attuali. Il risultato? Una sconfitta per il popolo. Malgrado le masse nelle strade, l'emendamento venne respinto dal Congresso Nazionale e Tancredo Neves venne eletto presidente con un voto indiretto del collegio elettorale.

"La violenza è la levatrice della storia."

Perché la violenza del popolo è resistenza. Perché "ribellarsi è giusto". Ed il motivo per cui le manifestazioni si sono propagate in tutto il paese, non è per i vili attacchi del fascista Alckmin. E' stata la reazione violenta della gioventù a fracassare le vetrine, a saccheggiare le banche, a bruciare gli autobus.  Ci avevamo messo la faccia nell'impeachment di Collor, e lo abbiamo costretto alle dimissioni, poi è venuto il suo vice, e niente è cambiato. Ora, i ragazzi, con il volto coperto, invadono l'Assemblea Legislativa di Rio ed occupano il tetto del Congresso.
La storia viene riscritta a graffiti sui monumenti del passato. Giovani lanciano urla tribali mentre danzano introno ad una vettura in fiamme. Siamo Guarani Kaiowas Terena Tapebas Munduruku [Popoli indigeni del Brasile]. Noi siamo il popolo brasiliano, "la coppa del mondo è merda".
Questo è solo l'inizio, l'inizio della lunga saga della nostra libertà. Che gioia vivere questo momento! Ora devo lasciarvi poiché il mondo è nella strada e necessita della mia presenza.

"Il mio nome è rivolta, e sta scritto nella pietra".

 

(Citazioni di Castro Alves, Bertolt Brecht, Karl Marx, Mao Tsetung e Carlos Drummond)


fonte: http://anovademocracia.com.br/blog/

mercoledì 19 giugno 2013

giardino dei poeti

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Fronte andaluso, dalle parti di Cordoba. E' il 26 dicembre del 1936, e il 126° Battaglione, meglio conosciuto come "Commune de Paris", ha ricevuto l'ordine di riconquistare il villaggio di Lopera. Intorpiditi, nelle trincee, mentre l'alba si leva sopra il mare degli ulivi, i brigatisti inglesi credono di stare ancora sognando. Dalle linee nemiche arriva una musica familiare, fatta di tamburi e cornamuse. Ma non si tratta dei Royal Highlanders scozzesi, bensì del Tercio Virgen del Rocío de Huelva che così accompagna l'avanzata delle truppe franchiste. E' l'inizio di una battaglia che durerà fino alla mezzanotte del giorno successivo. Centoquarantacinque fra inglesi e irlandesi, giovani operai e studenti venuti da Dublino, da Londra, sono loro la Prima Compagnia, e sono loro a dare l'assalto al "cerro del Calvario". Arrivano fino alle prime trincee, come in un impeto, ma qui sono costretti a retrocedere sotto la pioggia di piombo che cade loro addosso. Cercano di consolidare la posizione, per quanto precaria sia. Scavano argilla e terriccio, improvvisano ripari, a fior di terra, fra radici e tronchi contorti. Resistono per ore senza cedere un solo millimetro. Su di loro il fuoco di mitragliatrici, obici e mortai, e le bombe a frammentazione che piovono dagli aeroplani mandati da Siviglia. I volontari avanzano, retrocedono, tornano ad avanzare. Continueranno, fino a notte, quando si ritroveranno senza più munizioni e sfiniti, senza aver mangiato per tutto il giorno. Il 28 dicembre la battaglia era finita. Lopera non era stata presa, ma l'avanzata franchista sul fronte andaluso era stata fermata.
La Prima Compagnia era stata praticamente annichilita.
Quel giorno, l'ultimo a morire era stato fra i primi ad arrivare in Spagna. John Cornford, membro della gioventù del Partito Comunista Britannico e nipote niente di meno che di Charles Darwin. Era arrivato con l'intenzione di diventare un corrispondente di guerra, ma ben presto si era lasciato catturare dall'atmosfera rivoluzionaria di Barcellona. Così aveva deciso di arruolarsi volontario in una milizia del POUM. Quando una raffica di mitragliatrice lo falciò, mentre stava cercando di aiutare un compagno ferito, era trascorsa un'ora da quando aveva compiuto il suo ventunesimo anno d'età.
Poco prima di morire aveva scritto, in una lettera alla sua fidanzata Margot Heinemann:

monumento

Heart of the heartless world,
Dear heart, the thought of you
Is the pain at my side,
The shadow that chills my view.

The wind rises in the evening,
Reminds that autumn is near.
I am afraid to lose you,
I am afraid of my fear.

On the last mile to Huesca,
The last fence for our pride,
Think so kindly, dear, that I
Sense you at my side.

And if bad luck should lay my strength
Into the shallow grave,
Remember all the good you can;
Don't forget my love.

 

Il corpo di John Cornford, come degli altri caduti, con ogni probabilità finì in una fossa comune, in quella "shallow grave" che aveva saputo prevedere. Oggi, a Lopera, nel giardino del "Pilar Viejo", si può vedere una colonna, una semplice colonna di cemento con sopra una targa di metallo su cui c'è scritto, altrettanto semplicemente, insieme ai nomi di Cornford,  di Ralph Fox ed altri, "Jardín de los Poetas Ingleses". 

martedì 18 giugno 2013

malattia infantile

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"Le qualifiche sono queste: tendenza alla malattia infantile. Fedeltà al Partito ma nelle riunioni atteggiamenti estremisti. Perplessità sulla decisione di invitare i compagni lavoratori ad assumere cariche nei sindacati fascisti per operarvi dall'interno. Dubbi sulla priorità dell'industria pesante rispetto a quella leggera nel sistema dei piani quinquennali. Giudizi negativi sulla prospettiva di un Partito di massa. Umanitarismo. Compagnie equivoche all'origine. Scarsa vigilanza rivoluzionaria. Amicizie sottoproletarie."
A farlo, quest'elenco, è  Ramiro, il commissario politico della Brigata cui appartiene Spartaco, cui le "qualifiche" si riferiscono; "Spartaco", nome di battaglia di Guido Cellai in Spagna, che manterrà, poi, anche durante la Resistenza, inviato dal Partito come caposettore a Roma, fra Flaminio e la Cassia (la "Ponte Milvio" di Pratolini). Le pagine sulla guerra civile spagnola sono senz'altro le più belle delle trentacinque che ci sono arrivate. Un romanzo di Pratolini che comincia a Firenze -  e dove altro? - nel 1966, e non finisce.
Sono trascorsi vent'anni dalla Liberazione, in quel '66, e Guido incontra Luciana che, da allora, non aveva più rivisto. Era stato lui a farla entrare nel partito, Luciana, di famiglia altoborghese e fascista, convertita al comunismo. Nelle pagine, i flashback si susseguono. Ma come poi sarebbe andata avanti, la storia non si sa, e con ogni probabilità non si saprà mai. Così come non sappiamo se a questa prima stesura, si sarebbe poi ricollegato per scrivere quella che avrebbe dovuto "Chiudere questo ciclo della storia italiana, questa impresa che ho cercato di propormi, con un libro che in qualche modo la riassuma e le dia una dimensione contemporanea". La dimensione contemporanea, si sa, gli piomberà addosso sulle ruote della realtà quando ammetterà che "Se per esempio oggi mi volessi disporre a raccontare una storia dei nostri giorni ambientata a Firenze, di sfondo ci sarebbero le lotte operaie di questi anni [...], ma al centro l'avventura esistenziale di quella ragazza nappista fiorentina fulminata qui a Roma da un poliziotto mentre infilava sola e indifesa la chiave nell'uscio di casa. Non so nulla di lei se non quello che ho letto sui giornali, e mi basta per ritrovarla nelle mie stesse strade oggi, con le sue verità stravolte, la sua determinazione, la sua vita bruciata in pochi anni, lei e suo fratello. Certo non ne uscirebbe un libro come quello scritto da Staiano su Serantini , lei non era Serantini, ma una ragazza di Firenze oggi, con addosso tutta Firenze e il mondo, Vietnam Portogallo Spagna Cile Italia, un eroe del nostro tempo, il quale vedeva tutto in positivo nella sua allucinazione". Aveva trovato il fantasma della sua "malattia infantile"; ora poteva scrivere "Un libro sconvolgente, approssimativo, teppistico, nichilista, sprovveduto eccetera, come dicono, perché importuno suppongo. E ti conforti, guai se un libro non è importuno". Anche se sapeva che "questo libro al quale avevo sì pronosticato vita difficile, ma non un'accoglienza così barbara, cattiva, preconcetta, proditoria come quella che sta avendo e più ancora intuisco gli si prepara".
Tanto che, per l'ultima intervista, sembra avesse posto una condizione: che non si parlasse del suo romanzo incompiuto, Malattia infantile, e, soprattutto, che non gli si chiedesse perché era ancora incompiuto. Sembra che una stesura era quasi pronta, anzi senza quasi, per essere consegnata all'editore. Ma poi era scoppiato il '68 e aveva deciso di non farne nulla. Era superato dai fatti, pensava, e, inoltre, correva il rischio di alimentare il sospetto di piaggeria verso quel movimento. Così tornò a scriverlo, e a riscriverlo, quel romanzo, senza riuscire ad esserne mai del tutto contento, del tutto soddisfatto. E forse, alla fine, prima della fine, ha deciso di distruggerlo. Fatto sta che, per anni ed anni, non pubblicò più niente. Come se avesse voluto diventare irriconoscibile. Irriconoscibile come lo era diventata, ai suoi occhi, la sua Firenze. La città più amata.

lunedì 17 giugno 2013

Il romanzo scomparso

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"Ebbe la forza di girarsi su un fianco, per consegnarsi alla morte come negandogli il consenso. Disse, non viva il Partito e il comunismo, o Espagna libra, né abbasso nessuno, ma "Madonna civetta" e spirò, coi denti serrati".

(da "Malattia infantile" di Vasco Pratolini. Frammento pubblicato col titolo "Vecchie Carte" nel 1986)

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"Non c'è niente da dire. Parlerò quando avrò pubblicato il mio nuovo romanzo. Eh, se per vent'anni non ho pubblicato nulla, crede proprio che sia stato a far niente? Al nuovo romanzo ci lavoro da un bel po' . In realtà è finito, sarà il mio perfezionismo che mi trattiene dal licenziarlo. Cos'è questo romanzo, vorrà sapere lei. Non è niente. Lei vorrà sapere il titolo. Va bene, glielo dirò, tanto ho avuto già una volta la dabbenaggine di farmelo sfuggire. Si chiama Malattia infantile. E' l'ultimo di una tetralogia, e piglia le mosse dalle ultime righe di Allegria e derisione. Comincia dalla liberazione di Firenze, e ci sarà anche un' apparizione di Roma: ci abito dal '39, e non ci ho ancora ambientato un libro. Ma io mi sono un po' isolato, e interviste non voglio farne."

Vasco Pratolini - Aprile 1987 -

domenica 16 giugno 2013

moda

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Ogni generazione vive la moda della generazione appena trascorsa come il più potente anti-afrodisiaco che si possa immaginare!
Con tale giudizio, essa coglie nel segno più di quanto si potrebbe supporre. In ogni moda è contenuto un tratto aspramente satirico nei confronti dell'amore, in ogni moda sono virtualmente presenti perversioni nella forma più sfrontata. Ogni moda è in conflitto con l'organico. Ogni moda fa da mezzana fra il corpo vivente e il mondo inorganico. Nei confronti del vivente, la moda fa valere i diritti del cadavere. Il feticismo che soggiace al sex-appeal dell'inorganico, è il suo nervo vitale.

Walter Benjamin

sabato 15 giugno 2013

abitare il guscio

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Il difficile nella riflessione sull'abitare è che da una parte vi deve essere riconosciuto ciò che è antichissimo - forse eterno -, l'immagine del soggiorno dell'uomo nel grembo materno; e che d'altra parte, malgrado questo motivo storico-originario, nell'abitare deve essere compresa, nella sua forma più estrema, una condizione di esistenza del XIX secolo.
La forma originaria di ogni abitare è il vivere non in una casa, ma in un guscio. Questo reca l'impronta di chi vi abita. Nel caso più estremo l'abitazione diventa guscio. Il XIX secolo è stato come nessun altro morbosamente legato alla casa. Ha concepito la casa come custodia dell'uomo e l'ha collocato lì dentro con tutto ciò che gli appartiene, così profondamente da far pensare all'interno di un astuccio per compassi in cui lo strumento è incastonato di solito in profonde scanalature di velluto viola con tutti i suoi accessori.
Per che cosa non ha inventato gusci, il XIX secolo! Per orologi da tasca, pantofole, uova, termometri, carte da gioco. E, in mancanza di gusci, copertini, tappeti, rivestimenti e fodere. Il XX secolo con la sua porosità, la sua trasparenza e la sua inclinazione alla luce e all'aria aperta, la fa finita con l'abitare nel vecchio senso della parola. Alla stanza delle bambole nell'appartamento del costruttore Solness, si contrappongono le "dimore per gli esseri umani". Lo Jugendstil ha scosso in modo radicale il concetto di guscio.
Oggi questo concetto è morto del tutto e l'abitare si restringe: per i vivi, con le camere d'albergo; per i morti, con i crematori.

Walter Benjamin

venerdì 14 giugno 2013

misterioso generale

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Blanqui coronò la propria carriera di cospiratore con un capolavoro memorabile.
Era appena stato ucciso Victor Noir. Blanqui volle rendersi conto dell'entità delle proprie truppe. Conosceva personalmente solo i luogotenenti. Quanto gli altri conoscessero lui, è ancora da capire! Si accordò con Granger, il suo aiutante, perché prendesse disposizioni per una parata di blanquisti. Così la descrive Geffroy:

"Blanqui ... uscì di casa armato, salutò le sorelle e prese il proprio posto agli Champs Elyséès. Là, secondo gli accordi con Granger, avrebbero dovuto sfilare le truppe di cui Blanqui era il misterioso generale. Conosceva i capi, e dietro di loro avrebbe dovuto vedere marciare gli uomini in formazioni generali. Accadde ciò che era stato stabilito. Blanqui passò in rassegna le sue truppe, senza che sorgessero sospetti sullo strano spettacolo. Tra la folla, in mezzo alla gente che come lui stava a guardare, il vecchio si era appoggiato ad un albero e osservava i suoi sodali avvicinarsi in colonne, procedere silenziosi in mezzo ad un mormorio che veniva continuamente interrotto da grida".

giovedì 13 giugno 2013

figli

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Intorno alla metà del diciannovesimo secolo la borghesia smette di occuparsi del futuro delle forze produttive da lei liberate. (Nascono in questo momento i pendants alle grandi utopie di un Moro o di un Campanella - che avevano salutato l'ascesa di questa classe nella quale risaltava l'identità dei suoi interessi con le istanze di libertà e giustizia - vale a dire le utopie di un Bellamy o di un Moilin, il cui tema principale sono i ritocchi da apportare ai consumi e alle loro attrattive). Per potersi occupare più a lungo di questo futuro delle forze produttive che essa aveva messo in opera, la borghesia avrebbe dovuto rinunciare innanzitutto all'idea della rendita. Che "l'atmosfera intima" come habitus tipico del gusto borghese intorno alla metà del secolo sia strettamente connesso a questo afflosciamento della fantasia della classe borghese; che esso faccia tutt'uno col piacere "di non dover mai venire a sapere in quale direzione le forze produttive dovessero necessariamente svilupparsi fra le sue mani" - tutto ciò non lascia adito a dubbi. Il sogno di avere dei figli è uno stimolante assai misero laddove esso non sia pervaso dal sogno di una nuova natura delle cose nella quale questi figli un giorno vivranno o per la quale essi dovranno combattere. Anche il sogno di una "umanità migliore" in cui i nostri figli possano "star meglio" è solo una fantasticheria sentimentale alla Spitzweg, se non è addirittura identico al sogno della natura migliore in cui essi dovranno vivere. (In ciò è riposto il diritto inalienabile dell'utopia fourierista che Marx seppe riconoscere, e che la Russia aveva incominciato a far valere). Questo secondo sogno è la viva sorgente della forza biologica dell'umanità; il primo non è invece che il torbido stagno da cui la cicogna tira fuori i bambini.

- Walter Benjamin -

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mercoledì 12 giugno 2013

Bruciarsi i ponti

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Cosa pensasse Karl Marx di Karl Grün (noto anche come Ernst von der Haide), e di quel "vero socialismo" di cui era uno dei rappresentanti, era abbastanza chiaro a tutti, ma forse non lo era abbastanza a Proudhon. Ragion per cui, Marx pensò bene di indirizzargli una lettera nella quale, dopo averlo invitato ad essere il suo corrispondente a Parigi, così si esprimeva:
"Colgo l'occasione per metterLa in guardia contro il signor Grün di Parigi. Costui non è altro che un avventuriero letterato, una specie di ciarlatano che vorrebbe trafficare con le idee moderne. Egli cerca di celare la propria ignoranza dietro frasi pompose e pretenziose, ma gli è riuscito abbastanza bene di rendersi ridicolo con le sue scempiaggini (...) Nel suo libro sui "socialisti francesi" egli osa definirsi maestro di Proudhon (...) Si guardi da questo parassita."
Ma Proudhon era in buoni rapporti con Grün, e non gradì molto l'avvertimento. "Grün è in esilio" - rispose a Marx - "senza mezzi, con una moglie e due figli da mantenere, e vive coi proventi della propria penna. Che volete che sfrutti per vivere, se non le idee moderne?" Insomma vedeva nella millanteria di Grün solo la sfortuna e l'estrema necessità. Quindi lo perdonava.
E poi, sì, sarebbe stato lieti di collaborare con Marx, per "scoprire le leggi della società", ma solo a patto di evitare di "farci noi stessi promotori di una nuova intolleranza". Concludeva la lettera, Prodhon, dichiarando che "A queste condizioni sarò lieto di entrare nella vostra associazione, altrimenti no!".
Insomma, per dimostrare la propria tolleranza - detto in soldoni - Proudhon chiedeva a Marx che questi aiutasse Grün a portare a termine la traduzione in tedesco dell'ultima opera dello stesso Proudhon "La filosofia della miseria". E Marx rispose. Rispose scrivendo "Miseria della filosofia", una filippica di cento pagine su come Proudhon non sapesse una sega su Ricardo ed Hegel. Giusto per chiarire. visto che "il signor Proudhon ha la sventura di essere misconosciuto in Europa in un modo singolare. In Francia egli ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo perché passa per uno dei migliori economisti francesi. Noi, nella nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti, abbiamo voluto protestare contro questo duplice errore."
Era evidente che, a questo punto, il "Comitato comunista di corrispondenza" doveva trovarsi qualcun altro, che lo rappresentasse in Francia!

martedì 11 giugno 2013

complotto

conspiracy

Il contesto in cui compare il cospirazionismo ci rivela la sua essenza e la sua ragion d'essere, il suo scopo. Nel 1798, l'abate Augustin Barruel denuncia un complotto anti-cristiano ad opera del movimento rivoluzionario francese. E' la prima forma della teoria del complotto, ed emerge proprio quando e laddove si dà inizio a quella dinamica per cui il complotto, in senso tradizionale, diviene impossibile. In quella fine del secolo, sul piano politico trionfa l'universalismo formale a favore di un nuova struttura giuridica socio-economica che si fonda sull'astrazione del valore, sulla spersonalizzazione del mercato e su una neutralità assiologica, in opposizione alla precedente personalizzazione concreta, e teologicamente orientata, in atto nei rapporti feudali. Allorché la politica sostiene una sorta di opacità inedita, inerente ai rapporti di classe, in cui i dominanti sono essi stessi dominati da delle vuote astrazioni sulle quali non esercitano alcun controllo, ed essa politica non ha quindi alcuna influenza reale sulla società che dovrebbe disciplinare; è in questo contesto che paradossalmente hanno luogo i primi tentativi di spiegare il sociale, facendo leva su una presunta onnipotenza iper-cosciente dietro la quale si muove una minoranza ben identificata. Tale contraddizione apparente chiarisce perfettamente la funzione del cospirazionismo, che è un modo propriamente moderno di considerare l'umanità: esso tende a reimmettere la soggettività, la responsabilità, la personalità; tende a reimmettere un progetto laddove tale progetto manca sempre più.
Il cospirazionismo compare proprio nel momento in cui il potere si disumanizza. L'abate Barruel, incapace di riconoscere le premesse di una de-soggettivizzazione del potere, deve affermare con forza, ed in un modo perfino caricaturale, come una volontà umana, all'occorrenza anti-cristiana, sia al lavoro dentro il movimento rivoluzionario francese; cosa che gli permette di spiegare la totalità degli sconvolgimenti in atto. (...) Così, tutte le teorie del complotto che hanno continuato a fiorire fino ai nostri giorni sono portatrici della medesima illusione (e l'illusione ha sempre a che fare col desiderio). Come la teoria anti-semita del complotto che, inizialmente, voleva denunciare l'impurità del capitale finanziario, il quale, in quanto tale, è una categoria astratta risultante dalla logica impersonale del capitale. Ma non si limita a denunciare un semplice meccanismo impersonale. Associa, invece, la speculazione finanziaria ad una qualche immaginaria volontà di potenza (in realtà, la valorizzazione del denaro conferisce qualche potere alla comunità astratta del valore; non certo, alla comunità umana reale), e si basa su delle discutibili stime statistiche (i grandi banchieri sarebbero per lo più ebrei; questo a partire dalla loro marginalizzazione, in quanto il lavoro del denaro sarebbe tradizionalmente empio), per arrivare ad una sorta di "essensializzazione" del "tipo ebreo", determinandone una psicologia, una morale ed un progetto di dominio assai preciso. Si parte da un puro automatismo disumanizzato (il capitale finanziario), affermandone il carattere antistorico e la sua estraneità rispetto a qualsiasi cultura, per arrivare ad una comunità storica, le cui intenzioni sarebbero consapevoli, legata ad una cultura, anzi ad una "razza" (nel peggiore dei casi), dai tratti marcati e riconoscibili.

lunedì 10 giugno 2013

la Bohème

books

"(...) Con il formarsi di cospirazioni proletarie, si sentì l'esigenza di suddividere il lavoro; i membri si divisero in cospiratori occasionali - cioè operai che facevano cospirazione pur continuando a svolgere il loro lavoro abituale, frequentavano solo le riunioni e si tenevano pronti a comparire nei luoghi in cui queste si tenevano quando i capi lo comandavano - e cospiratori di professione, che dedicavano ogni loro attività alla cospirazione, da cui ricavavano i mezzi per vivere ... La posizione di questa classe ne determina a priori le caratteristiche. La cospirazione proletaria offre loro, naturalmente, solo mezzi di sussistenza alquanto limitati e incerti. Sono perciò costretti a mettere continuamente mano alle casse della cospirazione. Alcuni entrano anche in conflitto diretto con la società, soprattutto borghese, e compaiono con maggiore o minore scandalo davanti ai tribunali della polizia correzionale. L'esistenza incerta, dipendente più dal caso che dalla loro attività, la vita sregolata, che ha come unico punto fisso le bettole - luogo di incontro dei cospiratori - il contatto inevitabile con ogni sorta di gente ambigua, colloca questi individui in quell'ambiente che a Parigi è detto bohème. Questi bohémiens democratici di origine proletaria ... sono dunque operai che, avendo smesso di lavorare, si sono dati ad una vita dissoluta, oppure soggetti provenienti dal sottoproletariato e che nella nuova esistenza hanno conservato le abitudini di sregolatezza di quella classe. La vita di questi congiurati di professione ha un carattere di bohème molto accentuato. Come sottoufficiali reclutatori della cospirazione, passano da un'osteria all'altra, tastano il polso degli operai, cercano gente, la inducono per via di lusinghe alla cospirazione e fanno pagare l'inevitabile consumo di litri di vino alle casse della società o al nuovo amico. Il loro vero padrone di casa è l'oste. Il cospiratore alloggia di solito presso di lui, e qui fissa anche i suoi appuntamenti con i colleghi, con gli uomini della sua sezione, con le possibili reclute; qui infine hanno luogo gli incontri segreti delle sezioni (gruppi) e dei capi sezione. Il cospiratore, di carattere allegro, come del resto tutti i proletari parigini, in questa continua atmosfera di bettola non tarda a trasformarsi nel più perfetto crapulone. Il cupo cospiratore, che nelle riunioni segrete fa sfoggio di spartana virtù, si dissolve tutto ad un tratto per trasformarsi in un frequentatore di osterie, conosciuto da tutti, grande intenditore di vino e di donne. Quest'umore da taverna viene poi accentuato dai continui pericoli cui il cospiratore è esposto; ad ogni istante può essere chiamato per andare sulle barricate e lasciarvi la pelle, ad ogni passo la polizia gli tende trappole che possono portarlo in prigione o addirittura nelle galere. Al tempo stesso l'abitudine al pericolo lo rende oltremodo indifferente alla vita e alla libertà. In prigione è a casa propria come all'osteria. Giorno per giorno aspetta il segnale dell'insurrezione. La temerarietà disperata che affiora in ogni insurrezione parigina nasce proprio da questi vecchi cospiratori di professione, gli uomini del colpo di mano. Sono loro che innalzano le prime barricate e ne prendono il comando, che organizzano la resistenza, dirigono il saccheggio dei depositi d'armi ed il sequestro di armi e munizioni nelle case e che, nel bel mezzo della rivolta, organizzano quei temerari colpi di mano che tanto spesso sconcertano il partito al governo. Sono, in una parola, gli ufficiali dell'insurrezione. Si capisce che questi cospiratori non si limitano ad organizzare il proletariato rivoluzionario. Il loro compito consiste proprio nell'anticipare lo sviluppo del processo rivoluzionario, nel portarlo artificiosamente ad una crisi, nell'improvvisare la rivoluzione senza che ne esistano le condizioni. Per loro, l'unica condizione per una rivoluzione è che la loro congiura sia sufficientemente organizzata. Sono gli alchimisti della rivoluzione e con gli antichi alchimisti hanno in comune solo il dissesto mentale e l'ottusità delle idee fisse. Si buttano su trovate che dovrebbero compiere miracoli rivoluzionari: bombe incendiarie, macchine di distruzione dall'effetto magico, rivolte che dovrebbero avere un esito tanto più miracoloso e sorprendente quanto meno hanno una base razionale. Tutti presi nell'elaborazione di questi piani, non hanno altro scopo che quello, immediato, di far crollare il regime esistente, e nutrono un profondo disprezzo per l'educazione, più teorica, degli operai sui loro interessi di classe. Da qui il loro risentimento, non proletario, ma plebeo, verso gli habits noirs, le persone più o meno colte che rappresentano questo altro aspetto del movimento, ma dalle quali, come dai rappresentanti ufficiali del partito, essi non possono rendersi del tutto indipendenti. Gli habits noirs debbono servire loro, di tanto in tanto, anche come risorsa finanziaria. Si capisce, del resto, che i cospiratori sono costretti a seguire, lo vogliano o no, lo sviluppo del partito rivoluzionario. La caratteristica principale della vita dei cospiratori è la lotta che essi conducono con la polizia, con cui hanno lo stesso rapporto che i ladri e le prostitute. (...)"

- da : Marx ed Engels - "Recensione a Les Conspirateurs par A. Chenu"; in Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue No. 4, April, 1850. -

domenica 9 giugno 2013

info

mohivani

L'impronta giornalistica nei romanzi di Dumas: già il primo capitolo dei Mohicans de Paris dà informazioni su quanto costi comprare, in carcere, il diritto ad una stanza singola, rivela dove abita il boia di Parigi ed indica i più famosi locali "apaches" della città.

sabato 8 giugno 2013

Sostiene Petrou …

petrou renegades

Michael Petrou, autore di un libro sulla classe operaia canadese che andò a combattere in Spagna contro la sollevazione fascista nel 1936, fa una lettura delle analogie fra quella guerra e l'attuale conflitto in Siria, azzardando un parallelo che ha a che fare con quella che chiama "the fallacy of non-intervention", l'inganno del non-intervento. Con quest'espressione, vuole riferirsi alla politica adottata dalle democrazie - incluso il Canada - nel 1936, quando Francisco Franco, sostenuto dai suoi alleati, Hitler e Mussolini, si ribellò contro il governo spagnolo, democraticamente eletto e, alla fine, sottomise il paese. Fu detto che era un conflitto spagnolo, una guerra civile, e che doveva essere deciso dagli spagnoli. Non fu così che avvenne. Le democrazie non intervennero, ma gli altri poteri sì; fascisti italiani e nazisti tedeschi, da una parte, stalinisti sovietici, dall'altra. All'inizio della guerra, i comunisti era una minoranza all'interno della coalizione repubblicana. Poi, man mano che i presunti amici democratici della Spagna si defilavano, e, nel mentre, l'Unione Sovietica inviava uomini ed armi, il potere e l'influenza dei comunisti cresceva sempre più. Nel 1937, la Ghepeù insieme ad i suoi alleati spagnoli cominciò a stabilire tutta una serie di carceri segreti a Madrid e a Barcellona, dove gli oppositori politici venivano eliminati.
Questo, asserisce Petrou, ci riporta in qualche modo alla Siria. Sono oramai passati due anni, circa 80mila morti e centinaia di migliaia di sfollati; quella che era cominciata come una rivolta democratica, si è trasformata in una guerra civile. Il non-intervento cessa di essere un opzione, dal momento che l'intervento è già in atto. Dire di essere contro l'intervento sarebbe come trovarsi in mezzo ad una bufera di neve, e dire di essere contro la neve.
L'Iran sta appoggiando il regime del dittatore Bashar al-Assad, mentre la milizia libanese, che di solito si occupa di lanciare razzi su Israele, ha inviato suoi combattenti che si sono posti sempre al servizio di Assad. Invece, l'opposizione è composta da gruppi eterogenei, ma quello che appare chiaro è che gli islamisti salafiti sono il gruppo che sta guadagnando maggior forza e potere. In questi due anni, hanno ottenuto denaro e supporto dagli stati arabi del Golfo, mentre le altre fazioni non hanno ricevuto praticamente niente da nessuno, se si esclude l'invio di "aiuti non-letali" da parte degli Stati Uniti (per tentare di buttar giù un MiG che ti sta bombardando non c'è niente di meglio che indossare un paio di occhiali per la visione notturna!). Nel frattempo, il segretario di stato americano, John Kerry, ha raggiunto un accordo con il governo russo (pro-Assad) per portare le parti ad una conferenza (che i russi continuano a cercare di procrastinare); come se ci potesse essere una qualsiasi probabilità di successo per un simile conferenza, mentre Assad insiste a rimanere al potere e mentre i russi non intendono affatto smettere di dare il loro supporto militare al dittatore.
A fronte di tutto questo, Petrou sostiene che così come il non-intervento indebolì i democratici spagnoli, oggi sortisce lo stesso effetto in Siria. I ribelli siriani non hanno chiesto truppe straniere, e Petrou non suggerisce che qualcuno le offra loro, ma ci sono opzioni come oasi protette, attacchi aerei e no-fly zone, visto che la guerrà finirà solo quando una delle due parti prevarrà.

venerdì 7 giugno 2013

scusa un cazzo!

generale

E' di questi giorni la notizia secondo cui la troika si sarebbe scusata con la Grecia per i sacrifici imposti, in quanto, a quanto pare, avevano sbagliato i calcoli sugli effetti nefasti che tagli e sacrifici avrebbero avuto sulla caduta del PIL e su altri ammennicoli che hanno finito per mettere un paese in ginocchio. Quello che segue, invece, è un pezzo sullo stesso argomento scritto da Robert Kurz, poco più di un anno fa.

Il terrorismo dello stato d'urgenza
di Robert Kurz

Nel 21° secolo, le potenze del capitale hanno perso il gusto delle conquiste territoriali, da effettuare qua e là. Del resto, poi che se ne farebbero di territori economicamente bruciati e di popolazioni superflue? Questo non vuol dire, assolutamente, che l'imperialismo sia scomparso. Tuttavia, non si tratta più per le nazioni di costituire dei vasti imperi e zone d'influenza, bensì di mantenere il controllo di questa mondializzazione sempre più in crisi. I limiti della valorizzazione del capitale vengono sempre più ridefiniti allo scopo di limitare le possibilità di sopravvivenza delle masse di perdenti, ed il crollo delle economie nazionali è sotto sorveglianza, in contiguità con le bolle immobiliari finanziate dal credito, mentre si lascia alle spalle intere regioni che sprofondano nella miseria.
La produzione di sicurezza, per le imprese che sopravvivono in tali condizioni, necessita di una legittimazione ideologica. Ed ecco che viene a fagiolo: i figli del capitale, quelli che sono stati diseredati e spremuti, non sono dei santi ma, al contrario, tendono a prendersela di preferenza con i loro concittadini, piuttosto che con chi rende loro impossibile l'esistenza. La guerra, non allo straniero ma all'interno, colpa etnica e religiosa insieme, è divenuta il paradigma del conflitto in seno ad un mondo costituito da Stati in piena decomposizione. E le operazioni di polizia internazionale, svolte dalle forze dell'ordine dei centri capitalisti contro i barbari delle periferie, hanno potuto appoggiarsi agli ideali democratici.
Tuttavia, questa è stata solo la fase di una tappa passeggera nel processo di dissoluzione dell'edificio dell'ordine mondiale. Con la crisi economica mondiale che stiamo conoscendo a partire dal 2008, la situazione è di nuovo cambiata radicalmente. In termini di credito, i limiti della solvibilità vengono mantenuti ad un livello di attenzione, perfino dentro gli stessi centri capitalisti. Dovunque, vediamo profilarsi una crisi del debito come non si è mai vista altro che dentro le zone marginali del mercato mondiale. Oggi giorno, anche le metropoli si orientano verso un'inedita gestione della crisi, dove la pressione dello stato d'urgenza non viene più esercitato verso l'esterno, ma verso l'interno. Oltre alle popolazioni imprevedibili fuori dal cortile di casa, oramai abbandonate dal capitale mondiale, il bersaglio sono ora diventate le sue proprie classi medie. Il formalismo democratico, questo guscio vuoto che perfino i fascisti hanno oramai riconosciuto da tempo come principio formale del loro delirio, ha fatto proprio l'imperativo della valorizzazione del capitale, in quanto sua "base naturale" (Marx) che ne traccia i limiti. Il rubinetto del denaro, fluido vitale del capitalismo, va gradualmente chiuso, non più solamente alle vittime di povertà nuova e marginalizzata, ma anche alla maggior parte del "popolo sovrano" delle metropoli.
Questo, a sua volta, va a disegnare uno stato d'urgenza, destinato a legittimare tale nuova situazione. Allorché la NATO, in Libia, invocando i valori democratici, instaura la Sharia a colpi di bombe, non lo fa per la causa occidentale della mondializzazione, quanto per il vincolo oggettivo di un sistema finanziario traballante che possa assumere il ruolo degli arei da combattimento. Se l'attuazione di questo imperativo economico in nome della democrazia, e a detrimento degli interessi vitali elementari della maggior parte dei "sovrani" formali, sembra essere rivolto prima di tutto verso l'Unione Europea, è perché è qui che il sistema della moneta unica ha già portato al suo massimo, la contraddizione. Ed è qui che esiste un'istanza di intervento sovranazionale.
Con il suo Stato che si trovava di fatto in una situazione di bancarotta, all'interno di un contesto di crisi mondiale, la Grecia ha creato un precedente. Un'applicazione incontrollata dei regolamenti comunitari non farebbe soltanto saltare il sistema finanziario europeo: le ricadute oltrepasserebbero quelle seguite al fallimento della Lehman Brothers. Da un'altra parte, un'applicazione controllata è possibile solo se la quasi totalità della popolazione greca viene portata a vivere al di sotto del minimo vitale. Disoccupazione di massa in una proporzione mai vista, povertà che colpisce sempre più larghi strati di classe media, collasso della sanità e delle infrastrutture pubbliche, tutto questo è diventato realtà. Un tale catalogo della logica capitalista non può essere solo responsabilità delle élite greche. Esso abbisogna dell'intervento esterno di un imperialismo di crisi, su richiesta della troika (Commissione Europea, BCE e FMI), e non contro un ospizio per poveri dell'ex terzo mondo ma, per la prima volta, contro un paese occidentale.
Il governo Merkel ha deciso la linea dura, usando - la mano sul cuore - un linguaggio manageriale, oggi così ben appreso sia dalle classi politiche e mediatiche sia dai più bassi elementi della nostra razza di padroni. Considerati come dei capitalisti poco seri, i Greci non possono attaccarsi alla Disneyland berlinese; bisogna invece tenerli alla briglia politico-finanziaria fino a quando non sputano sangue. Si è arrivati a prendere in considerazione l'invio in Grecia di un commissario tedesco all'austerità, anche se la maggioranza dell'Unione Europea, in un empito di vergogna, alla fine si è pronunciata contro. Questo falso sentimento di superiorità deriva dalla posizione di grandi guadagni che occupa temporaneamente la Repubblica Federale Tedesca (*), dentro la crisi. Il rullo compressore delle esportazioni tedesche ha tratto profitto dai programmi statali attuati un po' dappertutto nel mondo, dalla svalutazione dell'euro dovuta proprio alla crisi del debito e, nella stessa Germania, dai bassi salari imposti ai lavoratori dopo la riforma Hartz IV. E' stato totalmente rimosso il fatto che la fiaba che sta vivendo l'economia teutonica ha come prerequisito, oltre al proprio debito, la buona salute delle altre economie, e non potrà che aver fine quando il potere di acquisto si sarà volatilizzato sotto l'effetto della recessione europea e mondiale. Malgrado tutto, ognuno ha capito che, con la Grecia, si trattava di dare un esempio, usando di quel buon vecchio masochismo sociale del soggetto "sovrano" tedesco che non ha mai ceduto in niente alla docilità cittadina.
In questo contesto, è del tutto logico che il budget sociale greco si sia visto ridotto a zero, mentre il budget militare è stato pressoché raddoppiato, tra il 2011 ed il 2012. Il debito che questo implica verrà accolto con indulgenza, anche dai futuri commissari all'austerità, visto che le commesse di Atene rappresentano il 15% del bilancio dei fabbricanti d'armi tedeschi. Ci viene così annunciato che l'apparato dello stato d'eccezione democratico mostrerà i suoi muscoli sul piano militare, ed in quel settore almeno, in Grecia, si comporterà nella stessa maniera "responsabile" in cui si è comportato in Afghanistan. Se dovesse rendersi veramente necessario, il terrorismo dello stato d'urgenza, sotto il comando tedesco, saprà mostrare una volta per tutte di cosa è capace. E così il regime di Assad ci potrà sembrare come una congrega di mollaccioni, dal momento che ci sarà in gioco molto più del magro PIL arabo.
In un primo momento, la classe politica greca dovrà un pochino negoziare le sue condizioni di resa e fingere una parvenza di resistenza, in modo, almeno, da salvare la faccia. La volontà delle urne evidentemente non sa ciò che si suppone deve volere. Il sussulto nazionalista si adatta bene ad un gestione post-nazionale della crisi e può ben servire da valvola di sfogo. La rabbia dei greci non è espressamente anti-tedesca. Se ne fotte del nostro sciovinismo esportatore, dal momento che l'inevitabile pogrom ha come bersaglio i rifugiati albanesi ed africani e tutti gli altri migranti, come si può vedere nei fatti,  e non solamente in Grecia. Anche su questo punto, la Germania, con i suoi serial killer nazisti coccolati dalla STASI democratica, ha degli innegabili vantaggi, in termini di leadership europea.

- Robert Kurz (marzo 2012) -

(*) L'autore parla sovente della RFT e della RDT, in luogo della Germania, al fine di sottolineare ironicamente gli scarti che continuano a persistere, più di vent'anni dopo l'unificazione, tra i Lander dell'ovest e quelli dell'est.