giovedì 7 marzo 2013

la morte dello spettacolo

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La morte di Chavez offre l'opportunità di affrontare la mascherata della rivoluzione bolivariana. La Venezuela di Chavez scatena le ire della borghesia ma anche l'entusiasmo di una frazione della sinistra anti-liberale e alter-mondialista. Chavez, da buon burocrate, mantiene l'illusione di un'opposizione al liberalismo dal momento che incarna, non già un "socialismo del 21° secolo", ma una nuova versione del capitalismo di Stato. Contro i deliri veicolati da Mélenchon, da Noam Chomsky, o da Le Monde Diplomatique, ci pensa Rafael Uzcategui a restituirlo alla realtà storica e a sviluppare un analisi libertaria del regime di Chavez. Il suo libro, "Venezuela: révolution ou spectacle? Une critique anarchiste du gouvernement bolivarien", è pubblicato da "Spartaco", il cui catalogo comprende molte opere dedicate alla critica dell'Unione Sovietica da un punto di vista marxista e rivoluzionario. Rafael Uzcategui si ricollega al movimento anarchico, ma il suo libro parimenti contribuisce a demolire l'impostura del Venezuela di Chavez visto come "socialismo del 21° secolo".
La descrizione della vita quotidiana in Venezuela, mostra una violenza particolarmente dura. La delinquenza, la polizia corrotta, il sistema giudiziario e carcerario hanno provocato numerosi morti. La situazione sociale sembra parimenti difficile. Il governo trucca le cifre della disoccupazione, per mezzo del pubblico impiego e gonfiando l'importanza dell'economia informale. Inoltre, l'inflazione continua a crescere e affligge il livello di vita dell'insieme della popolazione.
Chavez, nonostante i sindacati siano poco combattivi, crea una nuova struttura, l'Unione Nazionale dei Lavoratori (UNT), che difende assai più il governo che gli interessi dei salariati. Per il regime - che tenta di controllare il movimento operaio - i sindacati devono essere asserviti al partito che governa. Le condizioni di lavoro rimangono particolarmente difficili ed il governo tenta di spezzare gli scioperi e reprime ogni forma di lotta. Le politiche sociali di Chavez, si iscrivono nella tradizione populista, clientelare e paternalista del Venezuela. Dagli anni 1950, l'accesso all'educazione, alla sanità e agli alloggi è notevolmente migliorato, ma le disuguaglianze sociali non smettono di crescere. Nel 2002, Chavez, intraprende quelle che chiama "missioni", per guadagnare popolarità. Se, da una parte, migliora le condizioni dell'educazione, dall'altra parte, la sua politica in materia di alloggi e di sanità serve a compromettere la situazione dei servizi sociali già esistenti. Intanto, da Le Figaro a Le Monde Diplomatique, da Chomsky a Bernard-Henri Lévy, tutti ripetono le identiche sconcertanti menzogne: il Venezuela di Chavez sarebbe anticapitalista e socialista. In realtà, l'economia del Venezuela rimane evidentemente capitalista. O meglio, la politica di Chavez consiste soprattutto nell'integrare violentemente il Venezuela nella mondializzazione neoliberale.
L'economia del Venezuela si basa sulla sua rendita petrolifera. Ma le sue risorse naturali sono gestite da società miste, che vede la partecipazione del capitale privato accanto allo Stato. Malgrado la sua logorrea anticapitalista, la politica economica di Chavez, che si basa sul petrolio, si conforma all'ideologia neoliberale. I disaccordi del "caudillo" con il suo rivale colombiano Uribe spariscono per favorire l'installazione della multinazionale Chevron in Venezuela. La burocrazia bolivariana impone un modello di sviluppo economico capitalista fondato sulla crescita, a detrimento dell'ambiente e della qualità della vita. Per Rafael Uzcategui, Chavez, con il suo folclore alter-mondialista si trova nella posizione migliore per imporre, senza opposizione, al Venezuela, delle riforme delle strutture neoliberali, al fine di adattare questo paese alla mondializzazione.

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La contestazione delle politiche liberali in America latina passa attraverso dei movimenti spontanei da parte delle masse che scendono nella strada, ma anche attraverso una "svolta a sinistra" dell'elettorato. All'interno del nuovo governo, i socialdemocratici si distinguono dai populisti. I socialdemocratici provengono da partiti legati al movimento operaio e appaiono rispettosi della democrazia parlamentare. I populisti hanno sviluppato una fraseologia più rivoluzionaria, allo scopo di di tentare di legare i movimenti sociali allo Stato. Il populismo, cui fa riferimento il regime di Chavez, si basa su una forte personalità, nega gli antagonismi di classe, sviluppa un discorso anti-élite e fa delle politiche sociali clientelari. Il populismo bolivariano si iscrive dentro una tradizione storica, incarnata dal regime guidato dal partito "Azione Democratica" (AD) dal 1945 al 1948. Tale populismo tenta di costruire un'identità nazionale e si basa sul supposto anti-imperialismo di Simon Bolivar. Le forze armate devono garantire la stabilità delle istituzioni, l'ordine e la disciplina. I regime di Chavez coltiva il folclore ed il simbolismo militare. L'esercizio del potere diventa quindi l'unico mezzo di trasformazione sociale.
Ma, al contrario, la rivoluzione non può provenire che dalle lotte e da dei movimenti sociali. Il fine supremo dello stato risiede nella sua propria perpetuazione. L'individuo deve sottomettersi ad un supposto interesse generale, o "bene pubblico", che intende salvaguardare gli interessi delle classi dominanti. I partiti politici privilegiano la lotta per prendere il potere, anche andando contro i loro pubblici principi. L'autonomia dei movimenti sociali determina la loro combattività e la loro capacità di crearsi le proprie regole. L'autonomia "significa che le persone decidono nel modo più democratico possibile tutti gli aspetti della loro vita quotidiana, ovvero il lavoro, l'utilizzo del tempo libero, il modo di nutrirsi, ecc." - sottolinea Uzcategui. I partiti e le organizzazioni, gerarchizzati e centralizzati, non sono più necessari per fare la rivoluzione, secondo i partigiani dell'autonomia delle lotte. "L'autonomia sociale non può essere separata dall'autonomia individuale. Una rivoluzione inizia quando la popolazione costituisce le sue proprie organizzazioni autonome, quando essa decide le sue proprie regole e le sue proprie forme di organizzazione. E la rivoluzione finisce quando le sue organizzazioni autonome vengono addomesticate, asservite o ridotte ad un ruolo decorativo".
Negli anni 1970, dopo il periodo di lotta armata, i movimenti sociali sono inquadrati nei partiti e nei sindacati. Ma soprattutto, i governi possono soddisfare rapidamente le rivendicazioni grazie alla prosperità economica e alla manna petrolifera. A partire dagli anni 1980, le lotte sociali si radicalizzano, con il movimento di base del Caracazo. Eppure, malgrado la diffusione di una contro-cultura, la riflessione sull'esperienza storica e su un progetto di società rimane del tutto assente. Le rivendicazioni dei movimenti sociali sembrano essere poco conosciute. I partiti cercano di recuperare le lotte, al fine di vincere le elezioni.
Quando Chavez arriva al potere, tenta di canalizzare l'influenza dei movimenti di protesta. Nel 1999, organizza delle elezioni costituenti, al fine di legittimare e consolidare il suo nuovo potere. Il regime tenta di recuperare i movimenti sociali, integrandone i burocrati nello Stato. I movimenti di lotta non vengono più semplicemente coordinati, ma interamente sottomessi alla tutela del nuovo regime, con le loro rivendicazioni, quelle più ridicole, avallate dal potere. Vengono create delle strutture per educare la popolazione. I circoli bolivariani servono a canalizzare le rivendicazioni sociali e ad integrare la protesta. I consigli comunali incitano la popolazione a collaborare col partito di regime e con la polizia per combattere la criminalità e la sovversione, per garantire ordine e sicurezza. Lo sviluppo delle cooperative rafforza lo sfruttamento del lavoro, favorisce la precarietà e mina ogni protezione sociale per il salariato. Le poche cooperative che funzionano e che restano realmente indipendenti in rapporto allo Stato sono quelle che erano state create prima dell'avvento di Chavez al potere.

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Guy Debord ha sviluppato la nozione di spettacolo, in particolare per descrivere il regime bolscevico in Unione Sovietica, ed il suo rivestire degli attributi pseudo-rivoluzionari. La rivoluzione bolivariana, ugualmente, si apparenta allo spettacolo, quello spettacolo che suscita l'entusiasmo degli alter-mondialisti, preoccupati più che altro dei grandi discorsi ideologici, piuttosto che della vita quotidiana.
"La separazione tra la classe dominante e i dirigenti, l'accumulazione progressiva del potere nelle mani di una sola persona avvengono all'ombra di un linguaggio spettacolare, attraverso il « gesto irriverente » premeditato e catturato dai teleobiettivi, attraverso la battuta, nel corso di un vertice presidenziale, magari immortalata su Youtube".
Ma i governi di sinistra permettono soprattutto di rendere invisibili, prima, i movimenti sociali, e poi, di reprimere le lotte. In America latina, le sinistre al potere permettono che vengano imposte le politiche liberali, con meno turbolenze sociali.

fonte: Zone Subversives - 7 marzo 2013 - 

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