venerdì 1 febbraio 2013

il lavoro contro gli operai

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Malgrado la propensione degli spagnoli, secondo cui "il riposo è salute", cui si riferiva Paul Lafargue, nel 1881, nella Spagna del 1936-1938 diventa assai difficile affrontare la questione dell'avversione dell'uomo per il lavoro, se non attraverso la stigmatizzazione degli operai recalcitranti o l'incensamento degli altri. Il concetto di "buon lavoratore" - che, per antitesi, criminalizza coloro che nella società borghese vivono nell'illegalità o nel vagabondaggio - riprende forza, abbellito con l'etichetta del "buon antifascista", al fine di diffamare, al contrario, quello che - in fabbrica - fa una scelta diversa dal lavorare, muovendosi fra il dentro ed il fuori, assentandosi, ignorando l'aumento dei ritmi o sabotandone il funzionamento, in un modo o nell'altro. E, in più, si arriva a qualificare come "buon rivoluzionario" quello che accetta di produrre sempre più senza discutere.

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La fabbrica, come si profila dietro il simbolismo dei gruppi anarchici naturisti, annuncia i presunti tempi nuovi in rottura con le "visioni obsolete" della rivoluzione. A vedere la propaganda che si dispiega per mezzo della stampa, e attraverso i manifesti affissi per le strade, pieni di lavoratori all'opera, per poter convincere i proletari che lì devono restare, e che culmina con gli articoli ed i libri di Juan Fàbregas, si deduce che i "buoni lavoratori" non dovevano essere legione. Joan Fabregas era un economista borghese della Esquerra (sinistra catalana), ed è significativo che si sia unito alla CNT nel luglio 1936. In linea con le teorie di Santillan Star(vedi nota), rappresentava la Confederazione nei luoghi di rilievo, in quanto presidente del Consiglio dell'Economia, e poi ministro della Generalitat. Si richiamava alla "ricostruzione razionale dell'economia sotto la supervisione dei tecnocrati, di cui bisognava ottenere la collaborazione, a tutti i costi". E ancora, "Noi faremo del lavoro, la determinazione suprema della vera ricchezza, l'unico segno di prestigio sociale. Esso, il lavoro, sarà il più grande motivo di orgoglio per i lavoratori emancipati." Il suo sconfinato entusiasmo lo porterà a scrivere, in un articolo intitolato "Elogio del lavoro", che, con l'autogestione, il lavoro non dovrà più essere percepito come sofferenza: "La pena che ci procura il lavoro non è, nella maggior parte dei casi, che il prodotto di un riflesso psicologico. Con una buona organizzazione del lavoro, essa sparirà." Autocitandosi, l'intrepido economista dichiara che "è necessario creare una mistica del lavoro". Va ancora più lontano, proponendo di sostituire all'anatema biblico, "Guadagnerai il tuo pane col sudore della fronte", un "anatema umano, che sarà impossibile deridere, applicabile in maniera inflessibile e inesorabile: chi non lavora non mangia!". Dopo aver bacchettato come si conviene " i parassiti e i vagabondi professionali e incorreggibili", passa a sostenere che è nell'inerzia, e non nel lavoro, il vero supplizio. Fàbregas completa il suo quadro con l'immagine idilliaca di "un mondo trasformato in un immenso alveare, dove gli uomini-ape contribuiranno con gioia, e in una bella solidarietà, a fabbricare il miele della vita".

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Le principali organizzazioni della sinistra spagnola passano un sacco di tempo, e spendono un monte di soldi, per produrre questa propaganda - anche quando la carta è diventata rara e costosa. Gli artisti che ne sono gli autori, lavorano su comando degli anarchici, dei comunisti, dei socialisti e della Generalitat. Si instaura "una sorta di unità estetica del Fronte Popolare", ispirata allo stile sovietico del realismo socialista. Gli uomini e le donne rappresentate, hanno sempre le maniche arrotolate su delle braccia muscolose, per lavorare, combattere e morire per la causa. La differenza tra il soldato ed il produttore, tra l'uomo e la donna, scompaiono. Il fine di questa propaganda è quello di colpevolizzare (leggi: minacciare) coloro che sono refrattari al lavoro e all'esercito.

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"L'ubriaco è un parassita. Eliminiamolo". Marchiando così, con l'infamia, il pigro e l’alcolista, oramai assimilati ai faziosi; chi se la svigna può avere solo delle "cattive ragioni".
Quest'arte deve essere vista come il riflesso della visione dei militanti, e non della cultura della classe operaia nel suo insieme. La sua essenza è lo sviluppo e la razionalizzazione dei mezzi di produzione della nazione. Tutto il resto cede il posto a tale obiettivo centrale.

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Va notato come i termini "rivoluzione" e "rivoluzionario" siano quasi del tutto assenti dai manifesti, contrariamente a quello che avveniva sulla stampa anarchica militante, salvo per quest'ultimo manifesto che afferma "La rivoluzione non si contiene, si canalizza"; cosa che fa pensare alla fabbrica ...

StarNOTA

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"Non è affatto necessario distruggere l'organizzazione tecnica esistente della società capitalista, noi dobbiamo servircene. La rivoluzione deve porre fine alla proprietà privata delle fabbriche ma, se le fabbriche devono esistere, e a nostro avviso devono esistere, allora è necessario sapere come funzionano. Il fatto che esse divengano proprietà collettiva, non cambia affatto l'essenza della produzione, o il metodo di produzione. E' la distribuzione dei prodotti che cambierà e diverrà più equa."

- Diego Abad de Santillán -

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1 commento:

alpexex ha detto...

ci manca solo il duce senza maglia coi calzoni ascellari che fa finta di spalare qualcosa...