giovedì 28 febbraio 2013

disegni di guerra

383926425_fe6714168c

Tutto l'orrore della guerra, i bombardamenti, i mitragliamenti, le evacuazioni, le separazioni familiari, i morti e i feriti, le sirene e le notti insonni, tutto questo ed altro dentro i "Disegni fatti dai bambini" durante la guerra civile spagnola, adesso raccolti in un libro edito a cura dell'università di Malaga. Centoquarantadue disegni, alcuni sono stati parte del programma di "terapia contro la sofferenza, applicata ai bambini" che si svolgeva sia nei centri francesi di Cerbere, Bayona, Perpiñán o Limoges, dove erano stati evacuati i bambini, per sottrarli agli orrori della guerra civile, sia in territorio repubblicano come Valencia, Alicante, Castellón, Gerona, Teruel e Murcia. Tutti i disegni sono dei figli dei repubblicani; non si trovano disegni simili realizzati da bambini, nella zona franchista.

Clipboard

Il libro comprende anche 110 fotografie, molte delle quali in relazione ai disegni fatti dai bambini, di modo da poter dimostrare la straordinaria fedeltà dei disegni stessi, come nel caso dei modelli di automobili ed autobus con cui vennero evacuati.

bambini0

Il libro intende anche essere un omaggio al pedagogo francese Alfred Brauner e alla moglie, medico austriaco, Françoise Brauner, entrambi brigatisti internazionali, che utilizzarono il disegno come strumento per curare gli squilibri emotivi infantili causati dal trauma della guerra.

bambini i Brauner

mercoledì 27 febbraio 2013

noir

atget2

Viktor Sklovskij, nel suo saggio sullo scrittore russo Rozanov, afferma che Dostoevskij "promuove il processo narrativo poliziesco ad un vero e proprio standard letterario". L'assunto di Sklosvskij rimane parziale, ed anche frettoloso, ma continuando a leggere, ci si accorge che raggiunge piano piano il suo obiettivo; quello di affermare come la restrizione canonica, la suddivisione fra letteratura di genere e non, sia controproducente al fine di una dinamica della storia letteraria, dal momento che in Dostoevskij la materia prima che va a formare i suoi complessi romanzi di idee è impura e di dubbia origine.
Non a caso, un lettore del calibro di John Maxwell Coetzee sceglie un taglio da storia poliziesca che faccia da filo conduttore per il suo libro su Dostoevskij, con tutta la sua attenzione ai dettagli trascurati e alle lacune della storiografia tradizionale. Dentro "Il maestro di Pietroburgo", risuonano tutte le noti forti della poetica di Dostoevskij; la religiosità tormentata, con il suo supplemento di estasi epilettica, l'anarchismo, la colpa e l'agonia esistenziale. Ma il filo conduttore è - come deve essere - il crimine, la morte del figliastro. E il crimine, il delitto, è inestricabilmente legato alla città, alla modernizzazione degli spazi, al fruscio della soggettività che si muove fra la moltitudine.
E' tutto, ed è anche tutto quello che lega Baudelaire alla poetica poliziesca di Edgar Allan Poe, ma è anche la lettura che fa, della modernità, Walter Benjamin. La modernità come scena del crimine, come luogo del delitto. A partire da Eugène Sue per arrivare alle fotografie di Eugène Atget.
L'indagine procede: crimine, corpo, moltitudine, città, paranoia. A Parigi, a Baltimora, a San Pietroburgo.

radical-chic

leibo

Leonard Bernstein, compositore, pianista e direttore dell'Orchestra Filarmonica di New York, era da tempo nella lista nera del Dipartimento di Stato americano, anche se, diversamente da molti suoi colleghi, non era mai stato chiamato a testimoniare davanti alla Commissione di Inchiesta sulle Attività anti-Americane. Ma la sua "vita politica" salì agli onori della cronaca nel 1970, quando ospitò, nel suo appartamento di Manhattan, una riunione finalizzata a raccogliere fondi per il Black Panther Party, nel quadro di un finanziamento della difesa legale di alcuni membri dell'organizzazione.
Fu proprio in quel contesto che, per la prima volta, venne usato il termine "Radical Chic", quando il New York Magazine decise di dedicare al compositore la sua copertina, pubblicando nello stesso numero un saggio satirico dello scrittore Tom Wolfe sulla "Festa a casa di Lenny".
L'immagine di tre altezzose donne dell'alta società newyorkese che alzavano i loro pugni neroguantati, imitando il gesto delle Pantere Nere, era opera della fotografa Annie Leibovitz.

martedì 26 febbraio 2013

traduzioni

locusta

The Grasshopper Lies Heavy. "La locusta si trascina pesantemente" o "Il grillo non salta più" - o qualcosa del genere. Dicono che si dovrebbe tradurre più o meno così il titolo del libro - o meglio, dello “pseudobiblion” - che nel romanzo di Dick, "L'uomo nell'alto castello" (conosciuto anche come "La svastica sul sole"), scritto da Hawthorne Abendsen, circola clandestinamente in un'America che ha perso la guerra ed è stata divisa fra nazisti e giapponesi; un libro che insinua pericolosamente come ci possa essere, in qualche modo, un'altra realtà, diversa da quella "reale" in cui le forze dell'Asse avrebbero vinto la seconda guerra mondiale.
«È una citazione dalla Bibbia»: così spiega un personaggio il curioso titolo di questo pseudo-libro. Ma a guardar bene, non è proprio così, è solo un riferimento ad un passaggio dell'Ecclesiaste che parla, in modo più o meno criptico della vecchiaia; il dodicesimo capitolo dell'Ecclesiaste è solo un elenco di metafore dedicate al decadimento, fisico e mentale, legato all'invecchiamento.
Strano, non si capisce che genere di riferimento si possa costruire fra una locusta (una cavalletta, un grillo) che è invecchiata e non salta più ed un gioco di realtà vere e presunte, di mascheramenti e di smascheramenti.
A meno che, invece, considerati i più significati del verbo "to lie", la locusta non stia ... mentendo pesantemente!!!

Aspettando la miniserie TV in quattro puntate

domenica 24 febbraio 2013

sessanta

img033a


Abituato come sono stato, fin dalla più tenera età, a sentire mia madre che ripeteva ad ogni occasione come dovesse essere il traguardo finale, il sessantesimo anno d'età - ché a sentir lei, dopo si sarebbe stati sicuramente troppo vecchi e dipendenti dagli altri per continuare impunemente a vivere - , non posso negarmi una certa quota di stupore, oggi. A farla corta, ai sessant'anni ci sono arrivato oggi, e devo confessare che non mi sento troppo diverso da altri decenni scorsi. Non nego che questa possa essere solamente una delle tante illusioni, uno dei tanti trucchi da giocare per continuare. La foto che accompagna queste poche righe, dovrebbe risalire giusto ad una trentina di anni fa; a metà strada da oggi, guardando all'indietro, più o meno. Mi è assai cara, me l'ha mandata - prima di andarsene - una mia cara amica di quei tempi. C'è anche lei nella foto, scattata a Polcanto, Barbara, anzi Barbarina. Mi piace ricordarla qui, mentre cerco disperatamente di continuare ad essere me stesso. Che altro non so fare!

sabato 23 febbraio 2013

eteroclito

borges

Non è un segreto che "Le parole e le cose", il libro che Michel Foucault pubblicò nel 1966, sia una sorta di glossa, estesa ed ossessiva, al racconto di Borges, "L'idioma analitico di John Wilkins" (che faceva parte dell'antologia "Altre Inquisizioni", del 1952).
"Questo libro nasce da un racconto di Borges", incomincia la sua prefazione, Foucault. "Questo testo di Borges mi ha fatto ridere per molto tempo", continua poi, "non senza un malessere evidente e difficile da vincere. Ne derivava il sospetto che non ci sia disordine peggiore di quello dell'incongruenza; quel disordine che fa scintillare i frammenti di un grande numero di ordini possibili nella dimensione dell'eteroclito."
Come fece quel racconto a finire nelle mani di Foucault? Roger Caillois aveva conosciuto Borges, insieme a tutta la redazione della rivista Sur, quando era esiliato a Buenos Aires, durante la seconda guerra mondiale. Tornato in Francia, convinse Gallimard a pubblicare "Finzioni". L'anno seguente, Caillois tradusse un'antologia di testi di Borges, che venne pubblicata con il titolo "Labirinti". Nel 1955, "Tempi Moderni", la rivista di Sartre, pubblicò otto saggi di Borges. E, finalmente, nel 1958, di nuovo per Gallimard, usci il libro "Inchieste", che era la traduzione francese di "Altre Inquisizioni". Fu allora che Foucault lesse il John Wilkins di Borges.
Nel 1963, Foucault pubblica, per Gallimard, il suo libro su Raymon Roussel. Qualche tempo dopo, manda all'editore il manoscritto de "Le parole e le cose". Il manoscritto finisce nelle mani di Caillois che scrive una lettera entusiasta a Foucault (il tramite fra loro, era George Dumézil). Callois fece circolare il manoscritto. Lo manda a Maurice Blanchot che apprezza molto il lavoro. Blanchot era un antico lettore di Borges: nel gennaio del 1958, aveva pubblicato sulla Novelle Revue Francaise l'articolo "L'infinito e l'infinito" - una sorta di intersezione fra Henri Michaux e Borges, con una maggior quota di enfasi su Borges, commentando in particolar modo il Pierre Menard di "Kafka e i suoi precursori", ed "Aleph", di cui la versione riscritta del libro avrebbe fatto parte di un libro a venire.

fonte: http://falcaoklein.blogspot.it

venerdì 22 febbraio 2013

Tempo di elezioni

miliciana

il vecchio frac e la pasta fritta

lanza
« Nel 1935, Raimondo Lanza di Trabia, poco più che ventenne, insignito del titolo di principe e di diversi altri titoli nobiliari, era il fiore all'occhiello della giovane aristocrazia palermitana. Unico punto nero, in tanto brillore, Raimondo e il fratello minore Galvano, per quanto figli del principe Lanza di Trabia, per quanto nessuno si sognasse di chiamarli in modo diverso, non avevano, legalmente, il diritto di portare quel cognome. n quanto nati quando la madre, poi maritata col principe, era ancora la moglie del conte Papadopoli di Venezia. Quindi, Raimondo Lanza nei salotti, ma Raimondo Papadopoli all'anagrafe. La faccenda di quei due cognomi, uno burocraticamente legittimo, l'altro mondanamente abusivo, era estremamente seccante per Raimondo e per Galvano. Tanto che il primo, il quale, pur essendo amicissimo di Galeazzo Ciano, non gli aveva mai chiesto il benché minimo favore, si decise a rivolgersi al genero di Mussolini.
Galeazzo si prese a cuore la causa dell'amico e, appena ne ebbe l'occasione, ne parlò al duce. «Mi hai detto che il tuo amico Raimondo non è uno dei soliti nobili gagà, ma un giovanotto di fegato» rispose Mussolini alle rinnovate pressioni di Galeazzo. «Bene! Fra poco, come sai, cominceremo a reclutare i volontari da mandare a Franco. Digli di andare in Spagna e di farsi onore. Al suo ritorno, cambierà cognome! ».
Fu destinato a Saragozza, nella zona settentrionale del fronte, e siccome conosceva abbastanza bene lo spagnolo, oltre al francese e all'inglese, fu destinato a eventuali incursioni in territorio nemico. Raimondo era un ardimentoso. L'idea di una spedizione avventurosa, sia pure rischiosa, nel misterioso mondo dei «rossi» era piuttosto eccitante. Specialmente quando fu aggregato al «servizio speciale» un tenente bassetto, biondiccio, dai baffetti sottili, gli occhi di un gelido azzurro, il monocolo incastrato nell'orbita destra, una rivoltella Colt 45 e un «kriss» indiano ficcati nel cinturone, il quale con spiccato accento fiorentino, si presentò: «Tonito el Pistolero. La va o la spacca!».
Si trattava, in realtà, del conte Gastone de Larderel, il cui bisnonno, Francesco Giacomo, venuto in Italia dalla natìa Francia, nel 1818 iniziò l'estrazione dell'acido borico dai lagoni di Montecerboli, in provincia di Pisa, fondando il paese di Larderello. Ma subito dopo la presentazione si riconobbero. Perché s'erano già incontrati parecchie volte, a Roma, a Firenze, a Venezia e anche a Palermo, nel giro della crème. Si abbracciarono. Rievocarono con foga certe edizioni delle Mille Miglia e del Giro delle Madonie, le belle dame avute in condominio, i cornuti più proverbiali, le beffe più atroci alle spalle dei rompiballe, le «feste» dove nelle zuccheriere, al posto dello zucchero, c'era la «roba». La streppa.
«A proposito!», fece Gastone. «Qua ho già capito che l'unica polvere che c'è è quella da sparo. Ma dice che dalla parte dei rossi la Merk zero zero gira a chilate. Dice che ne passano addirittura due grammi al giorno a quelli in prima linea, per tenerli su di morale!».
Pochi giorni dopo, ai primi d'agosto, il generale Bergonzoli, detto «Barba Elettrica», diede ai due amici l'occasione di sincerarsi se fra i repubblicani circolasse davvero tanta «roba».
L'indomani, a mezzanotte, presero per il greto sassoso del torrente Gallego, in basco e giubbotto di pelle. Dopo tre ore, coi piedi doloranti, arrivarono alle casupole di Lecineda. Da dove il seminarista Moreno, in tuta da meccanico, li rimorchiò, zoppicanti, fino alle bicocche di Ferdienta.
L'indomani restarono quasi sempre sdraiati per rimettere in sesto i piedi fiaccati, soprattutto, dalle pietre del torrente Gallego. Frugando in una cavità del vecchio muro, secondo le istruzioni del seminarista Moreno, trovarono vino, pane e companatico. La sera, qualche minuto prima delle 22, qualcuno bussò alla porta nel modo convenuto.
«Padre Marianetti» disse Raimondo e andò ad aprire.
Era il frate. Ma non era solo. Lo accompagnavano quattro miliziani, con la stella rossa sul berretto, armati di mitragliatori Parabellum, di fabbricazione sovietica, comandati da un ufficiale magrissimo e altissimo. Due miliziani davanti, due di dietro, loro in mezzo col francescano, l'ufficiale di fianco, si avviarono verso il villaggio. «È un segreto militare» intervenne Raimondo «o potete dirci dove ci portate?».
«Niente in contrario! Il frate, qui, va direttamente al fresco. Voi due, invece, vi portiamo dal compagno colonnello Vagliacof, all'ufficio controspionaggio di Lèrida. Un par d'ore di camionetta da qui».
Arrivarono a Lèrida verso le tre del mattino. Preceduti dal tenente empolese, Raimondo e Gastone vennero introdotti nell'ufficio del colonnello Vagliacof. Un tipo massiccio, fra i cinquanta e i sessanta, dal colorito acceso, la calvizie incorniciata da due ciuffi di capelli crespi e grigi, il quale, appena ebbe davanti i prigionieri, si alzò di scatto ed emise una specie di gorgoglio, fissando Raimondo con palese stupefazione. Poi, rivolto agli uomini della scorta, strillò: «Uscite tutti! Lasciatemi solo con questi due luridi lacchè del capitalismo! Me li voglio cucinare a modo mio!».
Appena la porta si chiuse alle spalle del tenente di Empoli, il colonnello allargò le braccia, flautando: «Raimondino, picciotteddu mio, che minchia ci fai qui in Spagna!».
«Venni per abbracciarti, zù Federico!».
E i due si strinsero in un abbraccio quasi spasmodico, mentre Gastone, due passi in là, li guardava a bocca aperta. Quindi, Raimondo passò alle presentazioni.
«Gastone, ti presento il barone Federico Vagliasindi di Niscemi. Giocai sulle sue ginocchia da bambino! Per questo lo chiamo zio!».
«Porci! Vigliacchi! Vermi! Nemici del popolo lavoratore! Tutto quello che sapete, dovete sputare! Altrimenti a pezzi vi faccio! Con le ossa fuori della pelle vi riduco!». Poi, a bassa voce, il barone spiegò: «Quelli, là fuori, debbono credere che vi sto strapazzando. Parlando di cose serie, avete cenato?».
Dopo aver sbraitato nuovamente insulti e minacce, aprì un armadio, pieno zeppo di provviste d'ogni genere. Tirò fuori un grosso fornello a spirito di rame, un pacco di spaghetti («Tre casse me ne portai!» mormorò, strizzando un occhio), un barattolo d'acciughe sotto sale e un vasetto con la scritta «Ail en poudre». Da un altro ripostiglio cavò una rispettabile pentola di coccio. La empì d'acqua nel bagno attiguo all'ufficio, la mise sulla fiamma della spiritiera, aspettando il bollore pulì le acciughe, preparò l'aglio, il pepe e una dose di peperoncino tritato.
tornabuoni
«Vi assicuro che un piatto di spaghetti come quello non l'ho mai mangiato!» raccontava, anni dopo, Gastone de Larderel, all'«high-life» fiorentina stravaccata al «Doney» di via Tornabuoni. «E quel Vagliasindi, oltre a essere un gran cuoco, era un vero chevalier de cape e d'épée! Riuscì a ospitarci una settimana da gran signori, pipotti compresi, facendo finta di starci addosso per spremerci informazioni 'top secret'. Finché una sera ci consegnò a una pattuglia di miliziani, con l'ordine di portarci al durissimo carcere politico di Teruel. Ci portarono al greto del torrente Gallego, dove ci lasciarono dicendo: "Conoscete la strada, eccellenze!". E l'indomani ci presentammo a "Barba Elettrica", al quale raccontammo, più o meno, le medesime cose, di torture, di massacri e di orrori, che in precedenza avevamo letto sui giornali. Ma la pasta fritta di Vagliasindi, per poterla riassaggiare, varrebbe la pena di rifare da capo la guerra di Spagna!» »
- da "La spaghettata strategica del colonnello Vagliacof", di Giancarlo Fusco -
giancarlo1

giovedì 21 febbraio 2013

paradigmi

bateson

« C'è una storiella, piuttosto nota, di un uomo che sale sull'autobus con una gabbia coperta di carta da pacchi. È ubriaco fradicio e dà fastidio a tutti perché vuole ad ogni costo mettere la gabbia sul sedile accanto a sé. “Che cosa c'è nella gabbia?” gli chiedono e lui: “Una mangusta”. E spiega ai presenti incuriositi che chi beve ha bisogno di una mangusta contro i serpenti del delirium tremens. “Ma quelli non sono serpenti veri” obiettano gli altri. E lui, in un bisbiglio trionfante: “Già... ma nemmeno la mangusta è vera”.
È questo il paradigma di tutta la religione e di tutta la psicoterapia? Sono tutte balle? E che cosa intendiamo quando diciamo: “Babbo Natale non esiste!”? »

- Gregory e Mary Catherine Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, 1989 -

mercoledì 20 febbraio 2013

schiavi

lincoln

E' di pochi giorni fa, la notizia che lo stato del Mississippi aveva "dimenticato" di presentare la documentazione necessaria a ratificare - e quindi a rendere operativo - il tredicesimo emendamento della costituzione degli Stati Uniti d'America; l'emendamento che aboliva la schiavitù, circa 148 anni fa. Ragion per cui, in detto stato del Mississippi, almeno formalmente, la schiavitù sarebbe stata abolita il 7 febbraio di quest'anno, il 2013. La "dimenticanza" sarebbe stata scoperta grazie al recente film di Spielberg su Lincoln. Insomma, negli Stati Uniti, da Tarantino a Spielberg, la schiavitù è all'ordine del giorno.
Già, la schiavitù; eppure una volta - come spiega in modo esauriente l'articolo che segue - la schiavitù era considerata come l'aria che si respirava, come l'acqua. In una parola, era considerata irrinunciabile. Più o meno come viene considerato il lavoro, oggi!

schiavi0

Schiavitù antica. quando gli uomini portavano il collare -  di Lidia Mazzolani Storoni 

Come sarebbe inconcepibile oggi un mondo senza macchine, così lo era, per gli antichi, una società senza schiavi. Se fu ipotizzata, lo fu sul piano dell' utopia, uno schema immaginario proiettato nel passato mitico o nelle Isole Beate, dove la terra produce spontaneamente e le tigri vanno a dormire con gli agnelli; oppure, come scrisse Aristotele in vena di fantascienza, qualora macchine intelligenti potessero sostituire le braccia umane. L' abolizione della schiavitù non fu mai un programma politico da attuare nel futuro; non la proposero né demagoghi né idealisti. Stoici e cristiani riuscirono forse ad attenuare le condizioni degli schiavi, non a liberarli. La produzione agricola, industriale, artigianale fu opera loro. In Grecia, gli schiavi consentirono ai liberi di darsi alla politica, all' arte o alla speculazione filosofica; a Roma, di conquistare e difendere un impero. Il posto che essi occuparono, il loro peso economico come numero, prezzo, forza-lavoro, come merce umana, la loro coscienza di classe - se mai la ebbero -, le giustificazioni teoriche che furono fornite della loro esistenza rappresentano un campo d' indagine prediletto dalla storiografia marxista e sociologica.
In due opere recenti sono stati esaminati i problemi inerenti agli schiavi in Grecia (Yvon Garlan, Gli schiavi nella Grecia antica, dal mondo miceneo all' ellenismo, con prefazione di Domenico Musti, traduzione di Silvia Demichele, Mondadori, pagg. 179, lire 13.000) e a Roma (Keith Hopkins, Conquistatori e schiavi. Sociologia dell' impero romano a cura di Martino Menghi, Boringhieri, pagg. 230, lire 40.000).
In base ai dati ricavati dalla decifrazione delle tavolette d'argilla trovate a Cnosso e a Pilos, si direbbe che nell' età micenea - XIV-XI sec. a.C. - soltanto donne e fanciulli, destinatari di magre razioni alimentari, svolgessero determinati lavori alle dipendenze del palazzo: certamente catturati in guerra o in razzìe, non acquistati su mercati.
Quando si scende all'età omerica (VIII secolo a.C.), lo schiavo - prigioniero o comprato al prezzo di coppie di buoi - occupa certo il gradino più basso della scala sociale, se Achille, a Ulisse che lo incontra negli Inferi, dice che preferirebbe "esser bifolco, servire un padrone, anziché regnare sulle ombre esangui". Il trattamento degli schiavi nei poemi omerici appare spesso patriarcale; per Ulisse, la schiava Euriclea è una seconda madre. Ma egli non esita a impiccare alle travi del soffitto le ancelle infedeli.
Si conoscono rivolte di schiavi soffocate nel sangue, ma non si conosce il loro pensiero; la loro immagine, figurativa e letteraria, è convenzionale: l'hanno creata i signori. Hanno bassa statura e tratti volgari; la loro inferiorità fisica e spirituale costituisce una giustificazione per le condizioni in cui sono tenuti. Il servo, del resto, da Aristofane e Plauto fino a Molière, Marivaux, Goldoni, è invariabilmente sciocco, ladro, bugiardo: un furbastro, a volte dotato di astuzia e buon senso, ma sempre a fini utilitari. Il timor di Dio di Sganarello serve a sottolineare il cinismo di Don Giovanni. Bisogna arrivare al Figaro di Beaumarchais - alla vigilia della Rivoluzione - per trovare un servitore che ha la meglio sul padrone.
La schiavitù in Grecia fu un fenomeno urbano, incrementato dall'aumento della ricchezza e dall'esodo dei giovani verso le colonie della Magna Grecia. A Roma, il nome stesso indica l'origine: servus è chi è salvo. Gli è stato concesso di vivere da chi poteva sopprimerlo. Ha visto la devastazione del suo paese, il massacro dei suoi, oppure è stato sequestrato dai pirati e venduto nei mercati di Delos, Corinto, Cartagine, Ostia; è destinato alle miniere, alle fogne, alle fucine, ai remi; seguirà il legionario come attendente, ma non impugnerà le armi; dormirà con i compagni in dormitori detti "carceres". E se uno di loro uccide il padrone, subirà con gli altri la pena capitale: accadde nel 61 d.C., quando, per l' omicidio commesso da uno, ne furono giustiziati 400. Se morirà di fame o di sferzate, per il padrone il fatto non costituisce reato; non può aver figli, a meno che non sia d' accordo il padrone; se non lo è, espone il neonato; in una iscrizione funeraria di Cartagine, una schiava dice: "Sono libera ormai. Le pene sofferte, le lacrime tanto spesso versate le lascio al mio compagno. Poichè contro la volontà del padrone ho messo al mondo un bambino. Chi lo nutrirà ora, chi provvederà a lui per tutta la vita?".

schiavi2

Lo schiavo non aveva facoltà di sporgere denuncia contro il padrone; la sua testimonianza era valida solo se resa sotto tortura; portava un collare di ferro affinché, in caso di fuga, potesse esser ripreso. Tra i mille reperti chiusi al pubblico, appartenenti all' Antiquarium Comunale di Roma, c'è un collare sul quale è scritto: "Sono fuggito. Arrestami. Chi mi riporta al padrone Zonino riceverà una moneta d' oro". Gli schiavi che presero parte alle ripetute rivolte siciliane del II secolo a.C., e quelli che seguirono Spartaco furono crocifissi a migliaia. Tra le benemerenze registrate da Augusto nel suo Testamento c'è quella d'aver restituito ai proprietari 30.000 schiavi, fuggiti nei disordini delle guerre civili: "affinché subissero", dice con locuzione agghiacciante, "il supplizio".
L' afflusso di schiavi dai paesi vinti si calcola a milioni. Mario nel 105 catturò 90.000 Teutoni e 60.000 Cimbri, Cesare ne riportò dalle Gallie almeno 150.000, nel Mercato di Delos il giro d'affari era di 10.000 schiavi al giorno. Venivano adibiti, a seconda delle loro qualifiche, a lavori pesanti o a servizi domestici, anche culturali. La maggior parte di essi sostituì i coltivatori diretti o la manodopera salariata. Quali furono le ragioni di questo fenomeno? Hopkins le esamina attentamente. Al ritorno dalle campagne militari, i condottieri compensavano i legionari assegnando loro appezzamenti di terre espropriate. Anche Virgilio avrebbe dovuto lasciare "i dolci campi" dov'era nato, se Mecenate non avesse intuìto che quel giovane mantovano meritava d'esser discriminato. Ma i beneficiari di quelle assegnazioni, dopo anni trascorsi sotto le armi, non se la sentivano più di maneggiare la vanga e spesso preferivano vendere il poderetto e scialacquare il ricavato in città. Qui ingrossavano la massa degli spostati - braccianti disoccupati, vittime delle confische, figli di proscritti - spogliati d'ogni avere ed esclusi dai pubblici uffici, oberati tutti di debiti: gli emarginati che si associarono al golpe di Catilina. Cicerone li descrive come degenerati e criminali comuni, ma Sallustio, pur deplorandone gli intenti sovversivi, addita nella società iniqua e corrotta di Roma la matrice di quel cancro sociale e non disconosce le loro ragioni.
Osserva Hopkins che l'uso di manodopera servile, nella misura in cui fu applicato nell'impero romano, non ha riscontro in altri paesi pre-industriali: Roma non aveva, come l'America dei pionieri, territori sconfinati da dissodare e carenza di bracciantato locale. Nell'impero romano, gli schiavi subentrarono a lavoratori indigeni, su terreni abbandonati sia per la durata della ferma - una ventina d'anni - che sottraeva gli uomini alla terra, sia perché, da quando Mario aveva aperto ai proletari il mestiere delle armi, molti preferivano l'avventura in paesi lontani al lavoro dei campi; la città inoltre offriva distribuzioni di grano ai non abbienti (circa 300.000 capi-famiglia nel I secolo) e mille occasioni di profitto, spesso illecite. Per quale ragione gli schiavi furono preferiti ai salariati? Non, come sembrerebbe ovvio, perché non erano pagati. Con l' ausilio di raffronti, tabelle, statistiche, con un cauto uso di fonti (scarse) e di ipotesi (sensate), Hopkins dimostra che, contrariamente a quel che si crede, lo schiavo costava molto: non solo per il suo prezzo e il mantenimento, ma anche per la sorveglianza e per il rischio che morisse, dato il regime a cui era sottoposto; inoltre percepiva 33 kg. di grano e 20 sesterzi al mese. Il ricorso al lavoro servile diventò necessario quando le città si dilatarono, lo Stato assorbì prodotti alimentari in grandi quantità per le distribuzioni gratuite, e si crearono mercati urbani. La produzione agricola d'un tempo sopperiva ai bisogni d' una famiglia; ora che era destinata a un largo consumo, richiedeva squadre di lavoratori addestrati e prestazioni continuative. Hopkins ipotizza un altro motivo, un po' meno solido, per l'eliminazione dei lavoratori liberi: a Roma l'élite aveva interesse a estendere il dominio per le immense ricchezze che ricavava dalle province, ma preferiva che lo sfruttamento del proletariato ai propri fini avvenisse con l'esercito anziché con il lavoro; il proletario, a sua volta, era più disposto alla vita militare che a quella dei campi: oltre ai vantaggi materiali, lo induceva a quella scelta una propaganda martellante. Non ci sono mai state medaglie o trionfi per chi zappa la terra. Un altro connotato singolare dello schiavismo romano è quello delle mansioni di alta responsabilità spesso affidate a schiavi; i quali, una volta ottenuta la libertà, conservavano le leve del potere. E, secondo alcuni, il fatto che occupassero posti eminenti uomini privi di tradizione etnica e culturale fu una delle cause della disgregazione morale che caratterizza gli ultimi secoli: i liberti non avevano nulla in comune con i Fabii e i Metelli.
C'è poi un altro tratto insolito nel sistema schiavistico romano: la straordinaria frequenza della manumissio, la concessione della libertà. La pratica era così diffusa, che Augusto limitò a cento il numero degli schiavi che si potevano liberare nei testamenti. I romani erano dunque così umanitari? Tutt' altro: spesso lo schiavo, dopo una decina d' anni di servizio, era in grado di comprarsi la libertà. Ripagava il prezzo del suo acquisto, maggiorato dalla lunga prestazione, e così il proprietario era in grado di rimpiazzarlo con un altro schiavo più giovane. Ciò rendeva il rapporto tra i due una specie di contratto a termine: il che spiega la durata del sistema.
Dai documenti in nostro possesso, la durezza del regime appare comunque temperata da una diffusa solidarietà umana. Spesso il titolare d'un colombario destina i loculi ai liberti che gli sono rimasti legati fino alla fine e portano il suo nome, seguìto dalla lettera "L". In una lettera, Cicerone lamenta la morte d' uno schiavo; Seneca li definisce: "Schiavi? No, piuttosto umili amici"; Marziale raccomanda una piccola schiava morta ai suoi genitori, affinché l' accolgano nell'Aldilà (il tema ripreso da Carducci quando affida al fratello il bambino che aveva perduto: "O tu che dormi là su la fiorita / Collina tosca e ti sta il padre accanto..."). Parafrasando la formula d'uso nelle iscrizioni funerarie ("Ti sia lieve la terra") Marziale chiude il breve carme con un verso tenerissimo, che evoca la figuretta gracile della bambina: "E tu, terra, non pesare su lei. Non pesò ella su te...".

Lidia Mazzolani Storonida “la Repubblica", 14 settembre 1984

martedì 19 febbraio 2013

il teatro si illumina di rosso

Lorca
Si è sempre cercato di far credere che la morte di Federico Garcia Lorca sia stata dovuta, più che a motivazioni politiche, a rancori personali, soprattutto a causa della sua opera "La casa di Bernarda Alba". Come dire che Lorca non è stato vittima del fascismo, ma di una rissa provinciale!
Si è sempre, da più parti, continuato a ripetere che Lorca era praticamente apolitico, e che quindi per lui non c'era alcun problema nell'andare a Granada, dal momento che non correva alcun pericolo, proprio grazie alla sua apoliticità, e che quando scoppiò la guerra civile, fu "Bernarda Alba" - che rappresentava una sua zia o una sua vicina - a fomentare i ribelli, ingannandoli, affinché lo uccidessero.
Riguardo al fatto che Lorca non avesse paura a recarsi a Granada, questa è una palese stupidaggine. Rafael López Estrada - il quale era insieme al poeta, a bere cognac, il giorno prima della sua partenza - racconta che prima di partire gli diede il manoscritto della sua opera "El pubblico" dicendogli che, se fosse tornato, l'avrebbe ripresa, ma che se gli succedeva qualcosa a Granada, doveva distruggerla. Nella caffetteria, Lorca previde quello che stava per succedergli: "questa terra di Spagna sta andando a riempirsi di morti". Sapeva perfettamente che uno di quei morti sarebbe stato lui.
La sua "Comedia sin titulo" descrive magnificamente la guerra civile e perfino il successivo dopoguerra. E considerato che riesce a descrivere così bene un dato periodo senza averlo vissuto, si può solo pensare che si riferisse ad un periodo precedente che conosceva molto bene: quello della guerra civile di una settimana che aveva avuto luogo durante la Rivoluzione Asturiana del 1934. Lì, il sanguinario esercito nazionale aveva già fatto quello che poi, in grande, ripeterà a partire dal 1936.
In quest'opera, Lorca arriva sul palco e dice, ad un pubblico borghese, che sta per raccontare la verità perché è stanco del teatro della menzogna. Intanto, fuori dal teatro, sta avvenendo sia una rivoluzione che un sollevamento fascista. Il pubblico si arrabbia; Lorca dice loro che nel corso del secondo atto potranno lasciare il teatro ed andare in un posto dove potranno vedere molti bambini morti. Il secondo atto, Lorca, non fece a tempo a scriverlo.
Rivolgendosi ad un pubblico borghese, Lorca proclama di stare inaugurando una nuova forma di far teatro, dove l'importante è dire la verità, sebbene sappia che tale verità non piaccia affatto a chi va spesso a teatro:
"Venite a teatro mossi dall'unico scopo di divertirvi e per vedere solo opere degli autori che pagate, ed è giusto così. Però, oggi il poeta vi ha teso una trappola perché vuole arrivare a commuovere i vostri cuori con le cose che non volete vedere, e gridando quelle verità così semplici che non volete sentire".
Le verità di Lorca sono reali, sono reali quanto "la lussuria, le monete che avete nelle tasche, o il cancro latente dentro il bel seno della donna che vi sta accanto". Lorca affronta il pubblico borghese, cui non piace venire a conoscenza della verità: "Tutto quello che fate è trovare il modo per non interessarvi di niente. Quando soffia il vento, affinché non si capisca quello che sussurra, si suona la pianola; per non vedere scorrere il furioso torrente di lacrime, mettete le tende di pizzo alle finestre; per riuscire a dormire tranquilli e far tacere il perenne grillo parlante della coscienza, avete inventato le casse per la beneficenza". Uno spettatore si alza, e dice che lui ha pagato e perciò, a teatro, vuol vedere quello che vuole. Lorca risponde che in realtà la sua è paura del popolo, e lo invita ad andarsene:
"Vattene, a casa tua c'è la menzogna che ti aspetta. c'è la tazza di tè, la radio, e una donna che quando fa l'amore con te pensa al giovane calciatore che abita nel piccolo albergo di fronte".
Per rendere evidente la verità, Lorca sputa sul pubblico quello che hanno scritto tutti i giornali nazionali, parlando di come una donna e i suoi bambini siano morti di freddo in una piazza madrilena. Dice: "Dentro una piccola stanza, una donna è morta di fame. I suoi due bambini, affamati, giocavano con le mani della morta, teneramente. Quando fece notte, i bambini scoprirono i seni della morta e vi si addormentarono sopra, nutrendosene."
Poi li rende edotti circa quello che ha innescato la rivoluzione e la reazione fascista. La signora borghese teme per i suoi, di figli.
"Oh! I miei figli! Sono sicura che assalteranno la casa, e sono da soli con la governante e la servitù! Verranno uccisi!"
La donna ricca pensa che gli operai uccideranno i suoi figli (e si sa che per la brava gente, solo gli operai ammazzano durante la Repubblica e la guerra civile). Una voce risponde che "Gli operai non hanno mai fatto, e mai faranno, una cosa del genere". Lorca difende così gli operai dalle critiche che verranno loro fatte durante la guerra civile, e indica che saranno gli aeroplani nazisti in Spagna, il pericolo autentico, ed esclama: "Ho visto arrivare quattro areoplani". E aggiunge:"Gli areoplani hanno cominciato a bombardare".
Considerando che i primi bombardamenti della storia sono avvenuti durante la guerra civile spagnola, e che quando Lorca scrive la guerra civile non è ancora scoppiata, la sua visione del futuro è tanto più lucida e prodigiosa.
Poi, la donna, come tante “Señoras” della guerra civile e del dopoguerra, dice che i rivoluzionari ammazzano i bambini e strappano loro gli occhi, arrivano ad ucciderne 300 al giorno! Lorca si infuria davanti alle future calunnie dei franchisti e urla" Chi te lo ha raccontato? Quale infame ha marchiato la sua propria lingua con un tale incubo? Rispondi!"
Lo spettatore borghese ammonisce Lorca e gli chiede di comportarsi come un gentiluomo. Il poeta ribatte:"Non sono un gentiluomo, né desidero esserlo".
La signora si rammarica del fatto che possa morire suo figlio, che sa l'inglese! "E' biondo e tutte le mattine entra nella mia stanza e mi canta una canzone in inglese, per svegliarmi".
Lorca è anche a conoscenza del fatto che, oltre gli aerei, i fascisti useranno anche Dio. Uno spettatore dice: "Dio è con me! Faccio parte dell'esercito di Dio e conto sul suo aiuto. Quando morrò lo vedrò nella sua gloria e mi amerà. Il mio Dio non perdona. E' il Dio degli eserciti, cui si deve rendere onore perché non esiste altra verità".
E Lorca sa cosa faranno i futuri franchisti con gli operai. Un operaio entra sulla scena, vestito con la tuta da operaio e col pugno alzato. Grida, Compagni! E un borghese si alza, gli spara e lo uccide. Quando le donne chiamano assassino, il filofalangista, questi ordina: "Che gli uscieri facciano uscire questa gente che impedisce la rappresentazione!" Come dire, levare di mezzo i testimoni per poter ammazzare tranquillamente gli operai.
Conoscendo lo spirito femminista della Repubblica (in Catalogna, durante la guerra civile venne abolita la prostituzione), Lorca sa cosa accadrà nel dopoguerra alle donne operaie. Il filofalangista si lamenta del fatto che le donne costano molto, ma è sicuro che quando avranno vinto la futura guerra, i prezzi si abbasseranno.: "Costosissime, però credo che verrà il giorno, e credo che sia vicino, in cui torneranno a buon mercato come prima. Come ai tempi dei miei antenati".
Un giovane dice allo spettatore che sicuramente ucciderà molta gente durante la guerra, visto che ha dimostrato di essere un buon tiratore, e gli anni in cui torneranno a governare i fascisti saranno come prima:"Tempi felici! Ad ogni modo mi congratulo perché vedo che lei è un ottimo tiratore".
Lorca sa chi saranno i protagonisti della futura guerra civile: i tedeschi e l'esercito africanista di Franco, e lo fa dire allo spettatore filofalangista: "Ho avuto come maestro un tenente tedesco che aveva fatto tutte le guerre in Africa. Il suo solo bersaglio era l'uomo. Sparare ad un uccello lo riempiva di irritazione".
Quando arriva il macchinista a dire che il popolo ha abbattuto le porte e che è scoppiata la rivoluzione, Lorca si mette dalla parte del popolo combattente ed esclama: "Il teatro si illumina di rosso".
000233308
fonte: http://www.kaosenlared.net

lunedì 18 febbraio 2013

contro l’utopia

sabot0024

Dopo il luglio del 1936, i militanti della CNT-FAI si rivolsero ai lavoratori, invocando più lavoro e sacrifici, nel quadro della difficoltà dei tempi. Però avvenne che, invece di assumere con entusiasmo il loro ruolo di operai - adesso padroni dei loro mezzi di produzione - i lavoratori di base cominciarono a comportarsi come se adesso fossero i sindacalisti, la nuova élite dirigenziale, e continuarono a mettere in atto le antiche pratiche operaie di rallentamento del lavoro. Il lavoro a cottimo, insieme ai premi di produzione, era stato abolito nel luglio 1936, e malgrado ci fosse stato un incremento del numero del personale lavorante, insieme ad aumenti salariali ed accrescimento del tempo di lavoro, la produzione continuava a diminuire. Per cui, i consigli di fabbrica chiesero ai sindacati di ristabilire un sistema di premi di produzione, unitamente ad un controllo rigoroso sui lavoratori. Così, ad esempio, nel caso dell'officina metallurgica "Casa Girona", dove 1.800 operai producevano materiale bellico, venne nominata una commissione incaricata di indagare sulle "anomalie", la quale concluse che benché il nuovo sistema di premiazione urtasse contro "le nostre più intime convinzioni", bisognava ricorrervi in quanto gli operai che, spinti dai "loro istinti egoisti", si rifiutavano di produrre senza una motivazione monetaria, erano la maggioranza.
Questi lavoratori "irresponsabili e senza coscienza", a detta dei sindacalisti della CNT, sarebbero stati manovrati dagli agitatori comunisti della UGT (inutile dire che nelle fabbriche dove era maggioritaria la UGT, anziché la CNT, si riscontrava lo stesso identico problema).
Tale decisione innescherà un dibattito interno nella CNT. Il presidente del sindacato sosterrà che gli operai recalcitranti "pensavano solo al proprio stomaco"; mentre un altro militante di rilievo si dimetterà, asserendo che non si sarebbe dovuto aumentare il monte ore e che gli operai si sacrificavano già abbastanza, mentre c'erano dei privilegiati che prendevano migliaia di pesetas al mese.
Insomma, come avevano fatto prima i capitalisti, i sindacati legavano la paga al rendimento, e così il cottimo venne ripristinato in molte imprese, a partire dal 1937. Fu nell'agosto del 1937 che il Consiglio tecnico-amministrativo della CNT del settore delle Costruzioni si ritrovò davanti al seguente dilemma: o restaurare la disciplina sul posto di lavoro e abolire il salario unico, o andare verso il disastro. Si raccomandava pertanto che venissero assunti solo i lavoratori produttivi. "Le masse devono essere rieducate moralmente", ed il loro lavoro dev'essere remunerato secondo i loro sforzi e secondo la qualità del lavoro stesso. In caso contrario, gli operai scarsamente produttivi verranno penalizzati o, addirittura esclusi dalla produzione.

sabot0196
Nell'autunno del 1936, all'inflazione e alla penuria dovuta alla guerra, si sommano le manovre del PSUC che spinge i lavoratori a reclamare aumenti salariali. Sempre il PSUC costituirà il GEPCI, un gruppo di pressione formato da commercianti che domandano il ritorno del libero mercato. Il GEPCI viene accusato di rendersi responsabile dell'inflazione, speculando sui prodotti immagazzinati. Intanto, il 20 dicembre del 1936, dopo essere stato nominato ministro dell'approvvigionamento, Juan Comorera del PSUC, pronuncia un discorso in cui attacca il POUM, accusandolo di attività controrivoluzionaria. Attacca "i gruppi parassiti della rivoluzione", riferendosi ai gruppi di incontrollati che non hanno alcuna intenzione di restituire le armi. In materia economica, afferma che la Catalogna avrebbe dilapidato in pochi mesi "la ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti", sostenendo che adesso "la festa è finita". I responsabili della penuria sarebbero i numerosi comitati di ogni tipo, "i quali non permettono la libera circolazione della merce. (...) Fantasiosi comitati di difesa che difendono solo i loro privilegi, creati nei primi momenti di questa rivoluzione, di questa guerra. (...) che hanno costituito un piccolo magazzino di vettovagliamento mentre le donne proletarie di Barcellona sono obbligate a fare la coda (...). Ecco perché mancano i prodotti per la sussistenza a Barcellona. (...) Perché c'è una grande differenza di prezzo fra quello che viene pagato ai contadini e quello che regola i consumi, e la differenza va interamente nelle tasche di questi comitati."
Questo discorso andrà a fissarsi sui cartelli visibili durante le manifestazioni delle donne, fra la fine del 1936 e l'inizio del 1937. "Più pane e meno comitati!"; "Governi un governo: quello della Generalitat!". Il 14 aprile 1937, una manifestazione di donne attraversa i mercati di Collblanc, Sants e Hostafrancs, protestando contro il prezzo del pane e dei prodotti alimentari. I panifici verranno presi d'assalto.
Il problema, per Comorera ed il PSUC, è il sindacato dell'alimentazione della CNT, le cui risorse in magazzini e cantine di quartiere, gestite dai comitati rivoluzionari, sfamano i disoccupati e le loro famiglie e rivaleggiano, di fatto, con i venditori al dettaglio che seguono la legge della domanda e dell'offerta e che si riforniscono al mercato nero. La politica del PSUC è quella di escludere, da una parte, il POUM dal Fronte Popolare, mentre, dall'altra, blandisce momentaneamente gli anarcosindacalisti, separando le istanze superiori della CNT-FAI da quella che è la sua base popolare.

sabot8bqq0
Nel dicembre 1936, gli operai del gas e dell'elettricità richiedono un'assemblea per poter discutere della concessione di una tredicesima. Vengono trattati da contro-rivoluzionari e da fascisti dal comitato di controllo CNT-UGT, che svolge la sua funzione di "dirigere e canalizzare le aspirazioni delle masse". Alla fine l'elargizione della tredicesima viene accettata, mentre si tira un sospiro di sollievo per il fatto che non siano state poste altre questioni assai più imbarazzanti, a proposito di differenze salariali con i tecnici. La "militarizzazione" interessa anche le condizioni lavorative: nel marzo 1937, si stabilisce che tutti i cittadini fra i 18 e i 45 anni dovranno essere in possesso di un "certificato di lavoro". I trasgressori che verranno beccati in qualche luogo di divertimento saranno assegnati ai lavori di fortificazione, o andranno in prigione!
Fino alla fine del 1938, le denunce di indisciplina, assenteismo, ritardi, false malattie, auto-mutilazioni, ostruzionismo, furto e sabotaggio, continueranno a fioccare nelle sedi sindacali. Questo fenomeno interessava anche quelle imprese dove, a causa della mancanza di materie prime, la settimana lavorativa era stata ridotta a 24 ore. In questa situazione ci furono anche casi in cui gli operai incrociarono le braccia, ma gli scioperi furono assai poco comuni, considerato che su di essi pesava, dissuasiva, la minaccia della prigione e dei campi di lavoro ( Garcia Oliver e la CNT-FAI erano assai fieri della realizzazione dei loro Campi di Lavoro (detti anche Campi di Concentramento), che ritenevano essere più progressisti di quelli sovietici; sostenendo che dovevano servire a riabilitare i nemici del popolo ed i delinquenti).
Poco a poco, tutti questi comportamenti, ivi compreso anche il parlare o mangiare durante le ore di lavoro, l'ubriachezza, l'immoralità, il lamentarsi, il distrarre gli altri, ecc. vennero assimilati al sabotaggio, ed i colpevoli sanzionati o licenziati.
Sembra quasi esserci un rapporto diretto fra la radicalità operaia e il disinteresse per l'autogestione, quanto meno per quell'autogestione che venne avviata a Barcellona. In ogni caso, più lo Stato si rinforzava, più la demoralizzazione rendeva i lavoratori indifferenti al loro lavoro, e più misure repressive venivano attuate contro di loro.

sabot0212

Sarà nelle giornate dal 3 al 7 maggio 1937 che la lotta fra rivoluzione e controrivoluzione tornerà ad essere aperta, nella strada, e sarà la strada a riprendersi i suoi propri diritti. Senza CNT, senza parole d'ordine, in tutti i quartieri vengono erette barricate, ad ogni barricata operai armati. Sono i membri dei Comitati di difesa, in primo luogo, insieme a qualcuno delle pattuglie di controllo, cui si uniscono i gruppi di affinità della FAI e gli appena costituiti "Amici di Durruti", ma anche miliziani, venuti dal fronte o in permesso, e militanti del POUM. "Tornate al lavoro", è il grido che si alza unanime dalla dirigenza, dalla CNT alla FAI al POUM. "Tornate al lavoro", è la vittoria della contro-rivoluzione sotto molti aspetti, fra cui quello che sancisce la fine dell'osmosi fra la CNT e i quartieri popolari.
I Comitati di Difesa non si daranno per vinti, e in una circolare interna del 27 maggio 1937, dopo aver fatto un bilancio degli errori nel corso delle giornate di maggio, propongono di organizzare delle "compagnie formate ciascuna da cinquanta militanti armati" in vista di un "progetto di organizzazione cospirativa", e di passare alla clandestinità. Ma da giugno a settembre del 1937 la repressione si scatenerà contro di loro, e riuscirà a neutralizzarli. Sopravvivrà solo un foglio clandestino, centrato sul problema del sostegno ai prigionieri antifascisti.
Intanto, a Barcellona, il problema della penuria persisteva. I giovani dei quartieri poveri compivano saccheggi nelle campagne, i rifugiati dal fronte si organizzavano in bande e rubavano per rivendere al mercato nero. Ventiduemila sfollati, spesso senza impiego, vivevano con difficoltà nella città, e la cosa provocava tensioni con gli "autoctoni". Nei barrios si tornava a dire che "rubare ai ricchi per mangiare non è la stessa cosa di sfruttare al fine di condurre una vita nel lusso", ed i militanti anarchici ripresero a fare le rapine. Un bollettino della CNT riporta la fucilazione di tre rapinatori del quartiere di Can Tunis, giustiziati nel dicembre 1938 per aver attaccato la cassa del sindacato del legno nel quartiere di Pueblo Seco, ed avere ucciso due militanti. Dei tre, due erano membri del Comitato di Guerra della Colonna Durruti.

sabot1174

"Tutta questa rivoluzione contro l'economia deve finire!" - così si rivolse, nel luglio 1938, il direttore di un'impresa di confezioni, ai suoi operai che protestavano contro il licenziamento di tre di loro "che producevano poco e male".
Un proletariato combattivo e determinato, avverso al lavoro e per niente disposto a seguire la "vocazione ad essere proletariato", si ritrovò fra i due fuochi dell'approccio militante e dell'approccio morale, che consideravano gli operai refrattari barcellonesi come una spina nel fianco o come degli individualisti senza coscienza sociale, incapaci di impegnarsi in una lotta collettiva. Il loro comportamento, definito "sconsiderato e pericoloso", verrà assunto come un sabotaggio dell'esperienza rivoluzionaria. Alcuni argomenteranno che l'apparato della CNT, riducendo il programma rivoluzionario, abbia provocato la comprensibile disaffezione di una parte del proletariato, tanto al fronte quanto sul lavoro. Ma non vedranno in questo altro che una "rivolta muta" contro la burocrazia sindacale. Sostenendo quanti hanno criticato attivamente la CNT-FAI sul piano politico e dottrinale, ma che si sono sacrificati per responsabilità militante - come i miliziani della Colonna di Ferro - o che addirittura rilanciavano con appelli alla disciplina - come "gli Amici di Durruti" che chiedevano "più lavoro, più sacrifici, la fine degli aumenti salariali, e perfino il lavoro obbligatorio" mentre deploravano la "mancanza di moralità nelle retrovie".
Ma nessuno commenterà il discorso industrialista degli anarcosindacalisti degli anni trenta, né l'effetto che questo avrà sul progetto di emancipazione libertaria che si andrà a sperimentare. Sapendo che "il nuovo comportamento tipo dell'operaio industriale dell'epoca è quello di fare il meno possibile", come sorprendersi se un progetto di emancipazione libertaria, oramai associato alla sottomissione volontaria ai tempi e ai luoghi del lavoro, non funzionasse? Non si tratta di attribuire un "bel ruolo" alla base in rapporto ai suoi dirigenti, anche se la CNT è finita per diventare un sindacato come gli altri (Nel febbraio 1937, il sindacato dei tessili di Badalona chiama i lavoratori ad imitare lo stakanovismo, ammirando apertamente il modello sovietico "che aveva solidificato la base economica della rivoluzione"; mentre altri parlavano di fare del lavoro "uno sport, una nobile competizione", cosicché i volenterosi potessero ricevere il titolo di "lavoratore che si è distinto nella produzione". La rivista "Horizonte" della collettività Marathon sosteneva che l'Unione Sovietica era "la guida e l'esempio da seguire per tutto il mondo").

sabot2k2Oq

Oggi, l'interesse è quello di riuscire a capire come il movimento operaio si sia gettato, di buon grado o "obtorto collo", dentro l'utopia capitalista.
"Quando i militanti hanno identificato la coscienza di classe con il controllo e con lo sviluppo delle forze produttive, la coscienza di classe della maggior parte dei lavoratori si è manifestata nella fuga dagli spazi e dai tempi di lavoro, così come succedeva prima della rivoluzione."
Tale coscienza degli operai - spesso diffusa e indistinta - risale all'inizio del capitalismo e si basa sul fatto che il lavoro è la materia vitale del modo di produzione capitalista, i lavoratori non hanno niente da guadagnare, o da difendere, a partire dal lavoro. Ma i sindacati e i partiti della sinistra rivoluzionaria hanno continuato a fare questa strana proposta di ricostruire il mondo intorno ad un centro, rispetto al quale i suoi occupanti non fanno altro che cercare di fuggire. Nel 1936, come al giorno d'oggi, non esiste che un'utopia: quella del capitale!
Contro quest'utopia, nessuno dovrà più cercare di appropriarsi degli elementi del dominio capitalista, per riprendere la produzione per suo proprio conto. Solo così si potrà avere la possibilità di un mondo dove i rapporti fra gli individui non si basano sul lavoro.

domenica 17 febbraio 2013

un lavoro come un altro

rianima
Dalla prima metà del diciassettesimo secolo fino al primo quarto dell'ottocento, in Inghilterra, la domanda di cadaveri, per gli studi anatomici dei medici, giocava un ruolo di non poco conto. A tal fine, da secoli, esisteva una legge che permetteva ai chirurghi di procurarsi i corpi dei giustiziati, ma il numero dei cadaveri delle persone condannate a morte era assolutamente insufficiente per le necessità dell'epoca.
Fu ad un certo punto che fece la sua apparizione, sul mercato, la categoria che prese il nome di "rianimatori", i quali non erano altro che individui senza scrupoli  che si dedicavano a dissotterrare i morti recenti per venderne i corpi alla scienza, ovviamente non per amore della stessa, ma per avidità di una cospicua quantità di denaro. A seconda della qualità del cadavere, l'importo variava, arrivando in qualche caso ad arrivare all'equivalente di parecchi mesi del salario di un lavoratore. Un corpo poco deteriorato e che serviva, quindi, a portare avanti uno studio sui muscoli e su altri organi, poteva diventare il passaporto per la ricchezza. Non c'è quindi da sorprendersi di come, all'epoca, proliferassero i "rianimatori", e di come si diffondesse questo mestiere raccapricciante in cui, ovviamente, si poteva arrivare anche al punto di "fabbricarlo", il cadavere, anziché scavarlo. Per questo motivo, avvenne che i cimiteri furono trasformati in luoghi molto sorvegliati dalla polizia, e si arrivò al punto che i più "prudenti" decidevano di costruirsi delle tombe impenetrabili.
Il corpo di un uomo alto un metro e ottanta, giovane e forte, poteva essere una manna del cielo per un rianimatore. Ad esempio, di tale categoria facevano parte i pugili, i quali, quando morivano giovani, venivano sepolti fino a cinque metri di profondità, per evitare di essere ... risuscitati.

sabato 16 febbraio 2013

Marx nel Missouri

marxtwain

Marx, come Mosè, era stato abbandonato dentro un canestro che poi qualcuno aveva affidato al fiume. Nel suo caso, Marx era stato gettato nel Mississippi con la speranza che, come il patriarca bambino, venisse salvato da qualcuno che gli potesse regalare un futuro migliore. A trovarlo, fra le canne dei giunchi, in un'ansa del fiume, fu un giovane maestro. Paul - così si chiamava l'insegnante - accolse Marx in seno alla sua famiglia e lo accudì come se fosse stato uno dei suoi figli. Marx crebbe, così, sotto la tutela di un genitore che era compromesso con l'ideale socialista, il quale, non sapendo quale nome dargli, finì per chiamarlo Marx; per essere più precisi, Marx Twain, perché Lisa, la madre adottiva, invece era appassionata dei romanzi d'avventura e  adorava assolutamente l'opera dell'autore del Missouri.
A partire da questo, è importante segnalare che la vita di Marx fu condizionata da quelle due passioni, che anche lui fin da giovane incominciò a coltivare: la politica e la letteratura. Lesse molto e pensò anche di più. Quando ebbe quattordici anni, suo padre gli trovò un lavoro come aiutante in una segheria, nella quale rimase a lavorare per oltre vent'anni. Lì, i suoi compagni di lavoro gli chiedevano di leggere loro i giornali e di raccontare le storie, tratte da quei libri che leggeva sempre all'ora di pranzo.
Si diceva che Marx leggeva molto e pensava anche di più, ed in una di quelle occasioni ebbe come una folgorazione a pensare che forse dal fuoco delle sue letture avrebbe potuto estrarre un'idea che, una volta per tutte, riuscisse a facilitare l'avvento del socialismo negli Stati Uniti. Parlò molto con suo padre, discusse parecchio con lui, ma alla fine decise di dedicarsi solo a fare propaganda fra le classi lavoratrici, cosa che per lui era la sola via statunitense al socialismo; una strada che, al contrario delle proposte degli altri gruppuscoli marxisti d'America, non passava né per l'insurrezione armata né attraverso l'organizzazione del potere sindacale dentro le fabbriche, ma per la creazione di comuni socialiste sulle rive del Mississippi. Sarebbero state proprio queste piccole micro-società operaie che, senza andare oltre, avrebbero servito da esempio della capacità di autogestione integrale della classe operaia nordamericana. Ciò nonostante, la sua determinazione fino per arrecargli qualche problema, dal momento che - potremmo dire - questa via "marx-twainiana" al socialismo, cozzava frontalmente contro i progetti rivoluzionari che l'Internazionale Comunista, diretta da Mosca, aveva a proposito degli Stati Uniti. Tanto che Marx, alla fine, non ebbe altra scelta che andare in montagna insieme al suo gruppo di correligionari, per sfuggire alle grinfie del Comintern, che non arrivavano fin lassù.
A partire da questo momento, entriamo nel territorio della leggenda, e si racconta che Marx Twain, accompagnato da un esercito, sempre più nutrito, di fanatici ammiratori, creò, in un sito sconosciuto, una fondazione benefica la quale, insieme ad altri progetti sicuramente rivoluzionari, fu l'organizzatrice di un premio letterario relativamente famoso, nel sudest americano, cui hanno partecipato poeti del calibro di Dylan Thomas e di Lou Reed, fra gli altri. Le ultime voci suggeriscono che Twain, che da allora fu conosciuto solo con il suo secondo nome, finì i suoi giorni rinchiuso in una capanna di legno, da cui si allontanava solo per andare a pescare.

fonte: http://labandadeloscuatro.blogspot.it

venerdì 15 febbraio 2013

c’è tempo

mika

Quella fu la notte in cui i leader smisero di avere la parola, la notte fra il 10 e l'11 maggio del 1968. Quartiere latino a Parigi, la notte delle barricate. I manifestanti, quel giorno, hanno deciso di non provare a forzare i ponti sulla Senna, occupati dalla polizia, e di barricarsi nel quartiere. Ora è notte, e di barricate ne sono rimaste solo cinque o sei. Le difendono gli anarchici, i situazionisti, i blousons-noirs, quelli che hanno deciso di rimanere fino alla fine. Sono quasi tutti giovani e giovanissimi, ma qui e là si vede anche qualche testa incanutita. Quelli che mancano sono i trentenni, i quarantenni; è così dappertutto, in quegli anni, mancano quelli che erano troppo giovani per la Resistenza e sono troppo vecchi per vivere la strada di questa fine degli anni sessanta.
Al profumo dei tigli si è mischiato l'odore acre e soffocante dei candelotti lacrimogeni, e gli operai della Renault di Billancourt non sono arrivati a dar man forte agli studenti. La "cintura rossa" di Parigi è rimasta consegnata, a casa, in fabbrica, nelle sedi, agli ordini dei sindacati e del PCF. Così va la vita.

mikamera

Quelli che invece non sono rimasti a casa, sono Mika e Cipriano. 66 anni lei, una settantina lui. Si conoscono bene, Mika e Cipriano, anche se con ogni probabilità quella notte non si incontreranno. Gli studenti, i ragazzi, li guardano con curiosità. Ascoltano i consigli della donna che spiega che è meglio usare i guanti, per divellere il selciato; così non rimane traccia sulle mani, nel caso si venisse presi. Ne ha portato una scorta, con sé, di guanti bianchi e li distribuisce alle ragazze che ne sono entusiaste. Molto più tardi, conserva ancora un paio di guanti nella borsa, sporchi della terra dei sanpietrini, sa che nessuno le chiederà di aprirla, la sua borsa; anzi, gli agenti sono così gentili mentre, preoccupati, si offrono di accompagnarla a casa: è pericoloso, dicono, guardando quella signora dall'aspetto così fragile. Ovviamente, non sospettano nemmeno lontanamente di avere a che fare con Micaela Feldman Etchebehere, Mika, l'unica donna ad aver comandato una colonna di miliziani durante la guerra civile spagnola. La capitana; e ci avrebbe lasciato la pelle, in Spagna, Mika, se non fosse stato per Cipriano che riuscì a tirarla fuori da quella "ceka" comunista, usando la sua autorità di generale di corpo d'armata. Già, perché era un generale, quell'uomo che ora si aggira per il quartiere latino, a cavalcioni della sua bicicletta. Anche lui si ferma, a spiegare, a dare consigli; sa bene, da rivoluzionario e da muratore, come si costruisce una barricata. I ragazzi lo guardano, prima divertiti, poi stupiti, infine ammirati. Si ferma con loro, sotto la bandiera nera, insieme a quei ragazzi. Ci sarà tempo per progettare un altro attentato per ammazzare quel bastardo di Francisco Franco. Ha tempo, Cipriano Mera. E gli piace, questo tempo.

mika1

giovedì 14 febbraio 2013

rivoluzioni verbali

lavoro

Il termine "collettivizzazione" - utilizzato per la prima volta nel 1936, da Juan Fàbregas - non faceva parte, prima della guerra civile, del lessico della CNT, che preferiva utilizzare termini come "socializzazione della proprietà" o "socializzazione delle ricchezze". La socializzazione di settori interi della produzione, sotto il controllo del sindacato e senza l'intervento dello Stato, avrebbe dovuto permettere di pianificare l'industria e di correggere i difetti delle collettivizzazioni spontanee (egoismo, spreco, concorrenza, differenze salariali).
Fra il 1936 ed il 1938, in Spagna, queste collettivizzazioni interessano la maggior parte delle imprese private (tessili, metallurgiche, alimentari, agricole). La maggior parte dei padroni, e dei loro finanziatori, sono all'estero e quelli che hanno deciso di rimanere nelle loro imprese hanno accettato di farlo da salariati.
Si possono distinguere tre tipi di collettivizzazioni:
1) Le imprese, soprattutto straniere, dove il proprietario rimane teoricamente al suo posto ed i lavoratori eleggono un Comitato di Controllo Operaio.
2) Quelle dove il padrone viene sostituito dal Comitato.
3) Le imprese socializzate che raggruppano tutti quelli che operano nello stesso settore di attività; ad esempio, l'industria del legno.

Le collettivizzazioni furono una risposta spontanea ad una situazione di crisi e rappresentarono l'instaurazione di una "nuova forma di proprietà privata dove i lavoratori di un'impresa si sostituivano, in quanto proprietari, ai padroni e agli azionisti che erano scappati". Così, la collettivizzazione avrebbe dovuto essere il primo atto, fondante dell'approccio autogestionario; la socializzazione avrebbe dovuto seguire come atto superiore, che raggiungeva il culmine rivoluzionario, organizzato, coordinato e pianificato.
Così, avvenne che, mentre i lavoratori eleggevano, nelle assemblee generali, i loro rappresentati presso i diversi comitati, il potere d'azione di tali comitati veniva sempre più limitato e circoscritto, a partire dal fatto che lo stato rimaneva al proprio posto e la proprietà privata non veniva abolita. Nel corso dei primi mesi - secondo gli osservatori ed i protagonisti - operai ed impiegati si diedero molto da fare, visibilmente felici di poter prendere nelle loro mani la propria esistenza e "moralizzare" così l'economia. Iniziarono a migliorare le condizioni di lavoro e a produrre il più e meglio possibile, per soddisfare i bisogni essenziali della collettività e quelli dei miliziani al fronte; l'autogestione permetteva loro di produrre più razionalmente ed in migliori condizioni. La giornata lavorativa era di otto otr, il salario fisso e leggermente aumentato. Si percepiva tutti lo stesso salario, senza più distinzioni fra i sessi, ed i salariati con familiari a carico (bambini o vecchi) ricevevano di più. Ma in certe fabbriche, i profitti venivano ripartiti fra gli operai e, di conseguenza, le paghe variavano fra una fabbrica e l'altra, anche nello stesso settore industriale.
Se, da un lato, si prevede di sbarazzarsi di tutto quello che incarna un'economia di tipo capitalista (gli intermediari superflui, gli speculatori e gli affaristi) e si tenta di stabilire una priorità dei bisogni, di armonizzare la produzione e la distribuzione, di controllare e coordinare le imprese, in una parola, di socializzare l'economia; dall'altro lato, sempre più le difficoltà emergono, non tanto correlate alla guerra ed al cattivo funzionamento dei Comitati Operai, quanto alla mancanza di materie prime, di risorse e denaro: tutte controllate dallo stato, ed a suo piacimento.

lavoro1

Ben presto, l'inflazione annulla l'effetto degli aumenti salariali, mentre la mancanza di attività di alcune imprese non permette agli operai che di lavorare tre giorni la settimana (pagati quattro); rispunta lo spettro della disoccupazione e della penuria. Nel settore siderurgico, la svalutazione della peseta fa aumentare il costo dell'importazione di materie prime. Juan Peirò, riformista della CNT e futuro ministro dell'industria nel novembre 1936, riesce a dare un solo consiglio su Solidarid Obrera del 25 agosto 1936:
"I lavoratori devono lavorare con maggiore intensità, e per più ore, se ce ne sarà bisogno, poiché questo è il solo modo razionale di ridurre i costi di produzione. La misura sarà identica in tutte le industrie e soprattutto in quelle dove la materia prima viene importata." E aggiunge: "So bene che questo sarà uno shock per molti lavoratori, soprattutto quelli che lavorano per conto del capitalismo. (...) Ma l'economia generale coinvolge nella stessa maniera i capitalisti ed i proletari."
In un discorso tenuto nel mese di ottobre, anticipa l'instaurazione di un "regime di transizione, dopo la guerra". " (...) Che importa fare compromessi, se i compromessi oggi sono il modo migliore per trionfare?"
Ma la maggioranza degli operai barcellonesi non si comporta affatto come vorrebbe la CNT. Non solo non si sentono investiti della responsabilità della produzione, ma continuano a chiedere aumenti salariali e riduzioni dell'orario di lavoro.
Anche perché la borghesia, ripresasi dalla paura del mese di luglio, sta riprendendo il controllo di un'economia divenuta più attenta al bene comune. Assecondata dai socialisti e dai comunisti, manovra per restaurare la proprietà privata e spezzare il movimento di collettivizzazione che, nelle campagne, cerca di passare allo stadio della socializzazione. Quanto ai dirigenti della CNT, essi partecipano volenterosamente vantando i meriti del "Decreto di Collettivizzazione" del 24 ottobre 1936, limitato alle imprese con più di 100 salariati. Con tutto quello che viene detto o scritto all'interno della CNT e dei suoi organi, è difficile, per un osservatore, riuscire a distinguere un anarcosindacalista realmente partigiano della socializzazione integrale dell'economia, da un burocrate che accetta di servire da cinghia di trasmissione  dello Stato, e che usa un doppio linguaggio.
Ovviamente, il suo peso lo ha anche la guerra, a frenare l'entusiasmo rivoluzionario e a rompere la solidarietà proletaria. La militarizzazione delle milizie andrà a colpire la vita e la speranza dei miliziani in Aragona, come colpirà quella degli operai nelle fabbriche di Barcellona, a titolo diverso. Per i primi, sarà il soldo di 10 pesetas al giorno, come essere pagati per fare la rivoluzione ... allora non è una rivoluzione!

lavorobataille

Secondo le parole di Bataille, pronunciate nella sua conferenza dell'aprile 1938, a proposito della rivoluzione russa, ed in perfetta corrispondenza con quello che accadeva in quel momento in Spagna: "Il fondamento rivoluzionario, in poco tempo, venne relegato al rango di realtà pressoché esclusivamente verbale. Il campo a quel punto si è dunque aperto, senza restrizioni, alle istituzioni militari, sviluppate a partire dalla necessità di vincere, all'esterno, e di costringere, all'interno. Nessuna consistenza potevano avere quegli elementi tragici che, fin da subito, avevano abdicato dinanzi alla pretesa realtà del lavoro, il lavoro non può creare un mondo, così il potere ha assunto in poco tempo una struttura esclusivamente militare."

mercoledì 13 febbraio 2013

Terra Libera

terrelibre

Isola dell'Oceano Pacifico, a nord della Nuova Caledonia. L'altura più elevata non raggiunge i 300 metri. Il terreno è in parte coperto da foreste, in parte coltivato. La fauna locale consiste in capre e in una specie di piccola antilope. Gli originali abitanti dell'isola erano i cosiddetti Lunghe Costole, così chiamati a causa delle costole sporgenti come quelle di un lupo. L'unica città, o meglio agglomerato di case, esistente su Terra Libera fu costruita da un gruppo di ex deportati francesi, condannati per insurrezione contro lo stato e inviati in Nuova Caledonia. La loro nave naufragò nei paraggi e i detenuti divennero pionieri, stabilendo sull'isola una comunità anarchica. Ognuno si costruì la casa dove gli piacque, il che dona alla città una certa aria di disordine. Gli scapoli, tuttavia, vivono in un grande edificio dove ciascuno ha una propria stanza, ma dove i servizi, le cucine e la mensa sono comuni. L'isola è dotata di una centrale idroelettrica, di una rete di fognature, e di una manifattura di porcellane, i cui eccellenti prodotti sono famosi in tutto il mondo.
Lungo la costa sono disposte alcune batterie di cannoni, perché gli anarchici non amano l'intrusione delle potenze esterne. I viaggiatori devono preavvertire del loro arrivo.

(Jean Grave, Terre Libre, Parigi 1908, breve romanzo di Jean Grave, scrittore e militante anarchico francese, venne scritto per gli alunni della Scuola Moderna di Francisco Ferrer)

martedì 12 febbraio 2013

rifiuto del lavoro

arton11

Nel bel libro di Michael Seidman, "Ouvries contre le travail" (qui liberamente scaricabile, in francese), lo scrittore e storico americano argomenta che «Il rifiuto del lavoro non fa parte dei comportamenti di una classe operaia "arretrata o "arcaica, ma rimane una parte intrinseca della cultura operaia, e continua a comparire in periodi differenti e in diversi tipi di divisione del lavoro.». Si esprimerà anche nella Spagna del 1936-38, il rifiuto del lavoro, sotto forma di azioni collettive, o individuali, che permetteranno agli operai di evitare il lavoro salariato.
« L'assenteismo, le false malattie, i ritardi e gli scioperi costituiscono la resistenza diretta. (...) La resistenza indiretta consiste nel furto, nel sabotaggio, nella perdita dei ritmi, nell'indisciplina e nell'indifferenza. (...) A Barcellona, la disobbedienza implicava l'implicita sconfessione della direzione economica esercitata dai sindacati. (...) Tutto questo limitava il rendimento e provocava la reazione coercitiva degli apparati sindacali. »
A questo quadro, bisogna aggiungere quella che era l'alta pressione morale, veicolata dagli ambienti anarchici, che di fatto impediva di rivendicare, "alto e forte", il rifiuto del lavoro, ed il suo significato; pur sapendo che nel periodo dal 1936 al 1938, i dirigenti si lamentavano, costantemente ed effettivamente, della bassa produttività e della "letargia" degli operai.
A questo punto c'è da fare una breve premessa: quando la CNT uscì dalla clandestinità, nell'aprile del 1931, migliaia e migliaia di operai si affiliarono ad essa, ma i dirigenti sindacali si lamentavano del fatto che non pagassero le quote e non partecipassero alle riunioni. Fu allora che si ritenne di non autorizzare a lavorare un iscritto che non pagava i contributi. Questo a fronte di un propletariato assai combattivo, in una situazione in cui si verificavano continuamente manifestazioni violente dei disoccupati che coincidevano con continui scioperi, al punto che la CNT dovette riconoscere di non essere in grado di controllare la serie di agitazioni che scoppiò nell'estate del 1931. La rivendicazione principale era "la soppressione totale del cottimo e dei premi di produzione". Diminuire i ritmi e ridurre il tempo di lavoro, era la seconda rivendicazione. QUando lo sciopero si rivelava inefficace, o difficile da continuare, si ricorreva al rallentamento del lavoro. Era un clima in cui anche i capisquadra contestavano l'autorità dei padroni e ricorrevano alla violenza per dare più forza alle loro rivendicazioni. Così, dal 1931 al 1936, vennero ottenuti salari più elevati e settimana di lavoro più corta, oltre che la soppressione del cottimo.
Così arriviamo al luglio 1936, e alla rivoluzione, quando la CNT, insieme alla UGT, si va ad occupare della gestione del lavoro nelle imprese e "va a combattere tutte quelle aspirazioni che prima aveva incoraggiato"!
Dopo la rivoluzione, i due aspetti della CNT - organismo rivoluzionari e sindacato dei lavoratori - entrano in conflitto fra di loro, dal momento che la classe operaia barcellonese continuerà a battersi, in circostanze ancora più sfavorevoli, per lavorare di meno e guadagnare di più. E la CNT deve affrontare, oltre ai nemici di classe, anche coloro che pretende di rappresentare.

miliziana sorride

Il decreto che istituisce le 40 ore settimanali, ad esempio, verrà considerato dalla CNT come "rovinoso, suicida e contro-rivoluzionario", mentre sarà giudicato un "grave errore", l'aumento del 15% dei salari, stabilito nello stesso decreto. Nonostante la riduzione dell'orario e l'aumento del salario, ci saranno ancora operai che diserteranno le fabbriche, e allora : "In esecuzione con gli accordi presi durante l'ultima assemblea, sono stati rimossi dalle liste degli operai, quegli individui che hanno abbandonato il lavoro allo scoppiare della rivoluzione, così come quelli che hanno smesso di lavorare senza un motivo valido". O ancora: "Il 15 agosto 1936, il Comitato di Controllo dei trasporti pubblici chiede che tutti i lavoratori giustifichino la loro assenza per mezzo di un certificato medico. Cinque giorni dopo, vennero nominati un membro del Comitato ed un medico per controllare i malati, a domicilio."
Molti di quelli che, dopo il luglio 1936, sono "dispersi alla fabbrica", sono fra i partecipanti alle espropriazioni dei beni dei ricchi e, se non appartengono ai comitati della CNT, vengono qualificati come "saccheggiatori" e fermamente repressi dai sindacati. Il 26 luglio, la stampa già avverte che "ronde volanti di vigilanza" pattugliano la città per arrestare "sciacalli e saccheggiatori" ed altri cani sciolti che verranno portati al carcere Modello.
Sappiamo che nei primi mesi della rivoluzione, militanti e milizie erano molto mobili, andavano avanti e indietro dalla città al fronte e viceversa, passando per le comuni agricole e partecipando a diversi centri sociali e culturali. Alcuni non si sentivano affatto in sintonia con il collaborazionismo della CNT-FAI e ritenevano di non dover rendere conto di niente al sindacato. E se, da una parte, i sindacalisti anarchici e comunisti trovavano dei partigiani realmente devoti in una sparuta minoranza di lavoratori, dall'altra parte, molti di quelli che aderivano, lo facevano perché la vita era dura, senza tessera sindacale; spesso l'unico modo per avere accesso alle cantine, agli aiuti sociali, inoltre permetteva di trovare lavoro e mantenerlo, oltre ad essere ammesso in ospedale, viaggiare, ecc..
Una gran parte dei nuovi affiliati, non troppo politicizzati, erano riluttanti a partecipare alle riunioni e pagare le quote; e venivano avvertiti che
"I compagni dei Comitati di controllo devono considerarsi degli operai, allo stesso titolo degli altri, e sono quindi tenuti a lavorare.(...) Se un compagno sabota il nostro lavoro verrà immediatamente espulso."

lavoroPeiró 7

Gli storici pro-anarchici hanno affermato che la crescita del potere statale è stata responsabile della demotivazione degli operai delle collettività barcellonesi e che, nei primi tempi, lavoravano con entusiasmo. Sembra invece che sia accaduto l'esatto contrario e che lo Stato e la Burocrazia si siano rafforzati proprio come risposta alla resistenza operaia al lavoro: « L'ideologia anarcosindacalista dello sviluppo economico include una filosofia politica democratica che viene estesa alla fabbrica. I mezzi di produzione devono essere sviluppati con l'accordo, e sotto il controllo, degli operai stessi. (...) Gli anarcosindacalisti volevano quella che si conosce come autogestione, ovvero controllo operaio sulle fabbriche. (...) Ma i teorici anarcosindacalisti non hanno mai riflettuto in profondità sull'eventuale conflitto tra la forma democratica dei consigli ed il contenuto dei programmi di razionalizzazione economica e di industrializzazione. (...) Di fronte alla scelta fra la partecipazione operai alla produzione e la sua efficacia, alcuni libertari hanno stabilito che bisognava punire quelli che "a causa della loro cattiva volontà o di qualsiasi altro motivo, non vogliono cedere alla disciplina consensuale.» La nuova élite di militanti sindacali va a mettere in atto, per garantire che gli operai lavorino e producano sempre di più, sia le vecchie che le nuove tecniche di coercizione!
Ma già alcuni, prima del 1936, avevano avvertito che "un parassita non otterrà nulla durante la rivoluzione". Così Ángel Pestaña aveva preconizzato che si creassero delle "carte d'identità di lavoro" per controllare i pigri. Un altro militante sosteneva che una società comunista libertaria non dovesse fare uso della forza contro coloro che non vogliono lavorare ma, piuttosto, bisognava trattarli come dei deficienti mentali e lasciarli andare, di modo che non turbassero la pace sociale. Il congresso della CNT, del 1936 a Saragozza, propose di fare assemblee popolari incaricate di disciplinare "quelli che non compiono il proprio dovere, sia sotto l'aspetto morale, sia come produttori".
Dal luglio 1936 al gennaio 1939, i sindacati CNT e UGT procedettero insieme, nonostante le difficoltà dovute alla guerra ed ai loro dissensi, a razionalizzare e a modernizzare l'arcaico apparato industriale barcellonese. Si batterono per creare un mercato nazionale competitivo; cosa di cui la maggior parte dei militanti rimase molto fiera.
La necessità urgente di formare dei tecnici, in grado di trovare dei sostituti per il materiale mancante e che mettessero in piede delle nuove industrie, fece sì che la CNT cercasse, ed ottenesse, il sostegno parziale di questa categoria di lavoratori, generalmente detestata dalle tute blu. Nel gennaio 1938, la CNT dà l'avallo ad una proposta volta a dare ai tecnici potere coercitivo. Il livellamento dei salari, praticato a partire dal luglio 1936, subisce un grave colpo e si aggrava l'indisciplina della base; mentre si accentua il centralismo democratico rampante dei sindacati. Nel gennaio del 1937, il ministro anarchico dell'industria, Juan Peiró, sostiene che il livellamento dei salari va contro il principio libertario e sindacalista "a ciascuno secondo il suo lavoro": « Il tecnico ha più bisogni dell'operaio ordinario. E' necessario che sia doppiamente ricompensato. »
Nelle fabbriche, gestite tanto dalla CNT quanto dall'UGT, una buona parte dei metodi che caratterizzano la produzione capitalista, fra cui il taylorismo, vennero pertanto mantenuti, e perfino rivendicati dalla "società proletaria" durante la fase di transizione!

lunedì 11 febbraio 2013

Giorni

sacco1

E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta. (Osea 8,7)
Si apre, così, con una citazione dalla Bibbia, quella la stessa Bibbia su cui giurano gli statunitensi fieri del loro motto, in God we trust. Ma non è certo la Bibbia, ad essere illustrata e raccontata, in questo libro, per mezzo di testi e disegni. Qui "si descrive la vita di queste persone schiacciate dalle leggi di un mercato sfrenato; si ritraggono le aree dove, esseri umani e ambiente naturale, sono stati lasciati in un completo abbandono, dopo essere stati sfruttati da chi ha ricavato da essi il massimo dei benefici; si dà conto dell'impatto del capitalismo selvaggio sulle famiglie, sui lavoratori, sulle comunità e sugli ecosistemi." (dalla prefazione di Chris Hedges).

Attraverso cinque luoghi, e lungo cinque capitoli, a volte illustrati, a volte solo scritti, viene data voce, per mezzo di testimonianze, alle ragioni della collera che ha portato ad "Occupy Wall Street", nel 2011. Perché, come viene scritto a chiusura e a suggello del libro, "chi semina la miseria, raccoglie la collera"!

sacco2

Capitolo 1 - I tempi della spoliazione- Pine Ridge. Dakota del Sud
Razzismo, disoccupazione quasi all'80% della popolazione, alcool, droghe, carcerazioni, regolamenti di conti e corruzione costituiscono il quotidiano della popolazione nativa americana, oramai rassegnata a negare la sua propria identità culturale, e il cui scarso reddito serve solo a comprare qualche barattolo di birra. I trattati firmati con i bianchi, avrebbero dovuto servire a garantire loro di poter continuare a vivere sulle loro terre. Ma la colonizzazione, la febbre dell'oro ed il governo americano hanno annichilito tutte le promesse.

Capitolo 2 - Giorno d'assedio. Camden. New Jersey
Camden, sobborgo di Filadelfia, anche qui è questione di disoccupazione, di povertà, di condizioni abitative, topi e scarafaggi, gente per la strada, alcool, droghe, guerra di bande. Arrivate nel 1960, le grandi industrie si sono trasferite - delocalizzate, dicono loro - e la città, resa deserta, ha consegnato la popolazione al 60% di disoccupazione e ai lavori precari ... "A Camden, il mondo si divide fra prede e predatori. Più vi trovate in basso nella scala sociale - immigrati clandestini, famiglie povere e senza occupazione - più vi trovate circondati da avvoltoi in agguato."

Capitolo 3 - I tempi della distruzione. Welch. West Virginia
Una vecchia cittadina mineraria nel cuore dei monti Appalachi. Le imprese che sfruttano il carbone e che impongono i loro diktat sui rappresentanti eletti, ma anche sulla popolazione che deve fare assegnamento sui padroni. La regione era prospera, una volta, ma la delocalizzazione e la meccanizzazione del lavoro hanno causato disoccupazione. La domanda supera di gran lunga l'offerta, cosa che permette alle industrie di poter imporre condizioni draconiane di lavoro. A questo si aggiungono le devastazioni causate dal metodo di estrazione a cielo aperto, che distrugge l'ecosistema della regione ad una velocità vertiginosa. Si organizzano dei gruppi che cercano di ottenere il sostegno dell'opinione pubblica ... invano.

Capitolo 4 - I tempi della schiavitù. Immokalee. Florida
E poi la Florida, a Immokalee. In questa regione di sfruttamento agricolo, i lavoratori clandestini provenienti dal Messico o dal Guatemala so trovano sotto il giogo del caporalato. Fedele a dei valori che mantiene da più di due secoli, la Florida è il bastione della schiavitù per mezzo del lavoro. Gli operai agricoli, generalmente dei clandestini, sono costretti ad accettare condizioni di lavoro spaventose. Percosse, molestie sessuali, violenze verbali, salari da miseria, giornate lavorative di 14 ore ... c'è anche chi viene sequestrato dentro i capannoni, alla fine della giornata di lavoro, affinché non possa scappare durante la notte e possa essere in grado di riprendere il suo posto già fin dalle prime ore del giorno ...

Capitolo 5 - Giorno di rivolta. Liberty Square. New York
In tutti questi luoghi, ci sono persone che combattono le prepotenze degli industriali e dei politici. La pentola di terracotta contro la pentola di ferro. Ad Immolakee, tuttavia, degli individui si sono riuniti. Il sindacato della "Coalizione dei lavoratori di Immolakee mette a disposizione dei suoi membri (i pochi operai agricoli che accettano di unirsi al movimento e testimoniare) avvocati ed aiuti finanziari. Il movimento si è unito al movimento di "Occupy", lanciato nel settembre del 2011 dagli "Indignati".
Joe Sacco e Chris Hedges sono andati a New York per incontrarsi con i manifestanti e sostenere la loro azione. Anche con questo libro.

sacco