martedì 31 gennaio 2012

Libri volanti



Ispirato, in egual misura, a mille e una storia, spinto da una passione forte come l'uragano Katrina, con protagonista una sorta di Dororthy, del Mago di Oz, con le sembianze di Buster Keaton, “The Fantastic Flying Books of Mr. Morris Lessmore” è un film che rende omaggio a tutte le persone che dedicano la loro vita ai libri, e che dai libri vengono ricambiati. Favore per favore. Utilizzando una varietà di tecniche, William Joyce crea un piccolo capolavoro che scalda il cuore.
http://morrislessmore.com/

lunedì 30 gennaio 2012

Diagnosi

kurz

Il capitalismo non si ripete
di Robert Kurz

Uno dei tanti modi di approcciare la vita, è quello che viene chiamato nostalgia: il ricordo dei cosiddetti bei vecchi tempi, per esempio quelli del miracolo economico. Nella cultura pop, questo corrisponde al modo "retro":   i produttori a corto di idee, ricorrono a dei vecchi trucchi, in una forma leggermente modificata. E' come con "Tatort" [1], che oggi viene ritrasmesso su una piccola rete per l'ennesima volta, che si rischia sempre di cascare su qualche episodio che abbiamo già visto anni fa. Senza che si sappia né perché, né come, si sparge il credo che sia sufficiente dare un'occhiata al passato, per riuscire a trovare una ricetta da utilizzare nel presente. In quale altro modo si può spiegare il fatto che i politici, i media e gli economisti sono perennemente alla ricerca di paralleli storici per dare conto dello sviluppo della crisi? Ad aprire il giornale, spesso sembra di assistere ad una lezione di storia.
Che si sia interessati alle speculazioni finanziarie in modo sconsiderato, all'aumento dei fallimenti di stato, oppure ad una particolare unione monetaria che ha rovinato la nostra storia economica, c'è solo l'imbarazzo della scelta. La morale della storia? Tutto quanto è già successo prima, per cui non è così grave, tutto è gestibile.
Il padre del pensiero qui non è solo il desiderio [2], ma anche una certa visione del capitalismo come eterno ritorno. A volte l'economia decolla, altre sprofonda, questo è tutto; ogni anno, ogni secolo ha i suoi vincitori e i suoi vinti. Ma in linea di principio, credo - sostiene questo credo - tutto questo continuerà all'infinito.
Tuttavia, vi è un'aberrazione. Non siamo di fronte ad un sistema statico, ma ad un sistema dinamico. Il capitalismo non si ripete, non è circolare: è esso stesso un processo storico irreversibile. La valorizzazione del capitale non riparte mai da zero; al contrario, affinché continui la valorizzazione, essa deve costantemente oltrepassare, in tutta la società, il livello raggiunto precedentemente. Il grado di integrazione mondiale dell'economia non può tornare indietro, e lo sviluppo delle forze produttive lo può fare ancora meno. La concorrenza universale veglia.
Nondimeno, dal momento che la globalizzazione e la produttività crescono ad un livello sempre più alto, per quale ragione il carattere, la profondità e l'estensione delle crisi dovrebbero rimanere invariate? La storia della speculazione sui bulbi di tulipano alla Borsa di Amsterdam, nel XVII secolo, che si compiacciono tanto di raccontare, non ci dice nulla sulla bolla immobiliare del 2008 e sul crollo della Lehman Brothers.
Ci viene ripetuto, in ogni modo possibile, che i politici ed i manager hanno imparato a sufficienza le lezioni che provengono dalle crisi passate, ed ora hanno gli strumenti adeguati che permetteranno loro di superare le crisi future.
Ed ecco che gli estensori delle diagnosi disputano sul fatto che l'attuale crisi possa essere paragonabile a quella del 1872 o a quella del 1929, o semplicemente, piuttosto, a quella del 1973. Ma di quali lezioni si parla, quando i governi e le banche centrali ci mostrano ogni giorno che i loro concetti di politica economica e monetaria sono utili, all'incirca, quanto una cassetta degli attrezzi di una locomotiva a vapore per la riparazione di emergenza di un TGV? Quelli che, come la nostra élite, hanno sempre la parola "futuro" in bocca,  non dovrebbero essere poi così fieri dei cosiddetti "salvataggi" passati del sistema. Ad ogni modo, ciò che l'umanità più facilmente tiene a mente, sono i vecchi piani di salvataggio e le loro conseguenze, e non le catastrofi.

- Robert Kurz -


Note:

[1] Tatort : lett. « scena del crimine », serie poliziesca tedesca cult, a partire dal 1970

[2] "Der Wunsch ist der Vater des Gedankens" (il desiderio è il padre del pensiero) è un proverbio tedesco.


Fonte: http://www.neues-deutschland.de/artikel/213149.kapitalismus-im-kreis.html

sabato 28 gennaio 2012

Brutti, sporchi e cattivi

camion

La mia prima, e unica, tessera sindacale l'ho avuta per pochi mesi, molti anni or sono. Era il 1978, l'anno in cui uscì il bel film di Norman Jewison, F.I.S.T., e F.I.S.T era la sigla sulla tessera della Federazione Italiana Sindacati Trasporti della CGIL; dovrei averla ancora da qualche parte, quella tessera! No, non l'avevo presa in omaggio a Sylvester Stallone, anche se, sicuramente, poteva anche pungerti vaghezza di farlo, a quei tempi. No, il fatto è che lavoravo come impiegato in una ditta di trasporti industriali. Una ditta bella grossa con 5 sedi in tutt'Italia, con decine di camionisti salariati ed un parco macchine di tutto rispetto. Poi, il gioco era facile: quando il bilico, o l'articolato, diventava troppo vecchio ed i costi di manutenzione si avvicinavano pericolosamente ai margini di guadagno che garantiva, allora si faceva l'offerta all'autista, condendola di prospettive dorate. E l'autista si trasformava in un "padroncino", costretto a lavorare il doppio per poter onorare le cambiali che aveva dovuto firmare per comprarsi il mezzo "vantaggiosamente" offertogli. Già, gli autisti! Buoni solo a farti vedere dove fermarsi con la macchina per rimediare un buon pasto ad un buon prezzo. Per il resto, gentaglia, con i loro baracchini e con le loro case viaggianti, con il loro fondo spese di mance da elargire alla polizia stradale. Gente da evitare, le pance prominenti e il turpiloquio e la rissosità e la birra, gente che non dorme mai! Ci ho avuto a che fare, e non poco con questa gente. Mi ricordo ancora, il Provvedi che stava via una settimana e quando tornava la moglie gli preparava una frittatina con le salsicce che gli piaceva tanto, dodici uova! E di quella volta che senza volere, di notte, ammazzò un ragazzino. Col motorino, senza che lui se ne accorgesse, gli si era infilato sotto il camion. Quando s'era fermato, l'aveva visto, sdraiato, morto, sul serbatoio, e non smise di piangere per una settimana, e non aveva colpa. Gli s'era portato il sindacato, nell'azienda, volevano licenziare un paio di impiegati, fra cui me. Gli ultimi arrivati, ci dispiace il lavoro diminuisce, c'è crisi. Voi siete gli ultimi, non avete figli e andate a casa. No, dico io, aspetta un momento, e anche gli altri quelli che a casa non avrebbero dovuto andarci.E poi gli autisti, via via che si facevano vedere negli uffici. Cinquanta o più tessere, per quel sindacato che qualche mese dopo si sarebbe venduta la lotta per il salario integrativo, impedendo lo sciopero con la minaccia di dimissioni di tutta la segreteria. E la tessera venne stracciata, insieme a quella di molti altri, in un'infuocata assemblea. Certo, al momento della minaccia del licenziamento da parte del padrone, il loro lavoro l'avevan fatto bene. Erano arrivati cogli avvocati e pronti alla denuncia. Ma non c'è da stupirsi, se adesso, 35 anni dopo, di camionisti in cgil non ne hanno più. Continua ad essere una fabbrica, una fabbrica diffusa in grado di bloccare tutto, come hanno dimostrato in questi giorni. E bloccare tutto è l'unica strada percorribile, l'unica lotta in grado di pagare. Certo, sono brutti, sporchi e cattivi e fanno un migliaio di chilometri al giorno (Guido, che faceva i trasporti internazionali, mi diceva che, di ritorno da Londra, quando vedeva le luci di Parigi, sentiva di essere arrivato quasi a casa!), però, quando si fermano, si fermano davvero, e forse possono riuscire anche a fermare questa macchina infernale, che ci macina le ossa, che ci sta stritolando. sempre più, senza possibilità di salvezza. Ci vengono agitati davanti agli occhi, come spauracchio, e ci raccontano che dobbiamo ricordarci che sarebbero stati i camionisti a far cadere Allende per Pinochet. E si scordano che, anche se fosse vero, una lotta è un'arma, e di per sé, come un fucile, non sta né con Pinochet né con Monti! Sono brutti, sporchi e cattivi e, magari, in odor di mafia o di 'ndrangheta o di camorra e, per questo, dice, squarciano le gomme e tagliano i tubi dei freni ai camion dei crumiri, scordandosi che impedire al crumiro di lavorare è condizione per vincere. Magari pensano di essere fascisti, o hanno padre pio che occhieggia dalla loro cabina. Magari tutto questo insieme, oppure niente di tutto questo. Non lo so. Sono andato via da quel posto, l'ho lasciato pochi mesi dopo, avevo vinto un concorso che mi permetteva di lavorare quattro ore in meno la settimana, prendendo metà dello stipendio. Ma non ho mai smesso di frequentarla quella gente, non ho mai smesso di parlarci, ci ho anche viaggiato insieme per qualche giorno. Quando li incontro, li abbraccio, e so da che parte stanno. Quelli che ho smesso, da tempo, di frequentare, sono i sindacati, quelli che ora invocano a gran voce che il governo fermi la lotta dei camionisti, quelli che hanno fatto 3 ore di sciopero contro sette anni in più a testa di lavoro, contro sette anni in più di morti sul lavoro! No, niente sindacati, ché son fatti della stessa sostanza di cui è fatto il fumo delle ciminiere. La imparai da subito la lezione, dopo qualche mese, nel nuovo luogo di lavoro, organizzando uno sciopero di categoria, di quelli che allora venivano chiamati "meccanografi" (un modo per definire tutti i  nuovi assunti che scrivevano a macchina su degli stani attrezzi che assomigliavano a delle telescriventi), da soli, senza nessun sindacato. Noi altri. Sinn Fein! Ma questa è un'altra storia ...

venerdì 27 gennaio 2012

Chitarre

chitarre

Secondo Le Monde del 22 e 23 gennaio 2012, le cose non vanno troppo bene per i produttori di chitarre Gibson. Sembra che stiano saccheggiando le foreste del Madagascar, abbattendo alberi di raro palissandro. A volte una partita di legno, acquistata per 10 o 15 dollari arriva a valere fino ad un milione di dollari. Incredibile ... Gibson è nei guai con le autorità federali che stavano investigando su questo business che utilizza legname raro. Nel 2011, il costruttore era già in difficoltà per essere sospettato di utilizzare ebano proveniente dall'India. Così, è stata creata un'organizzazione chiamata "Musicisti contro il disboscamento illegale". Intanto, l'industria discografica a Nashville reagisce: "I musicisti che posseggono chitarre Gibson non devono preoccuparsi, solo il costruttore è nel mirino delle autorità federali".
C'è, però, una contraddizione di cui "Le Monde" ed i "Musicisti contro il disboscamento illegale" non parlano, ed è quella legata al fatto che i musicisti cantano canzoni di protesta per l'ambiente impugnando una chitarra Gibson ...
Intanto la Taylor Guitars ha fatto una dichiarazione, dicendo che "non c'è legno illegale nelle loro chitarre".

giovedì 26 gennaio 2012

Millantate Amicizie

Forse, è un po' come in quella vecchia barzelletta, quando il tipo piuttosto attempato comincia - o, meglio, tenta di farlo - a sciorinare quali sarebbero i problemi, da uno a tre, che affliggono l'ultima età, concludendo con un "non mi ricordo" che li sintetizzerebbe tutti.
Ecco, Albertazzi Giorgio non si ricorda, non si ricorda una sega nulla. Non si ricorda nemmeno le notizie di pochi giorni fa, a proposito di Casa Pound e Casseri. Così come, probabilmente, non si ricorda di aver combattuto con i repubblichini di Salò. Cosa comune a molti, quest'ultima. Ma il peggio è che non si ricorda di quali erano i suoi rapporti con Carmelo Bene, fino al punto di sentirsi in dovere di farsi interprete del pensiero di Bene!

«Carmelo avrebbe preso bene questa intitolazione, credo – dice Albertazzi - Sarebbe stato sciocco il contrario. Solo Carmelo ed io sapevamo dire poesia in Italia, ormai non c’è più nessuno».

La intitolazione, cui il vecchio arnese si riferisce, è quella che Casa Pound ha deciso di fare il 24 gennaio scorso, quando ha deciso di ribattezzarsi, per un solo giorno, CasaBene (!!!), in omaggio - dicono - all'attore "anticonformista". In un rigurgito di repubblichinismo, travestito da poundismo, ha così commentato:

«Provo un po’ di amarezza perché sono vivo… Sarebbe stata una felicità che l’avessero intitolata a me. Comunque meglio Carmelo che altri»

mercoledì 25 gennaio 2012

Cani!

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Eutanasia economica
di Robert Kurz

Nell'ideologia dell'economia politica, il denaro è uno strumento sofisticato volto a fornire, nel miglior modo, beni materiali e servizi alla società; ed è proprio per questo motivo che sarebbe irrilevante nel vero senso economico, in quanto si tratterebbe di un semplice velo sulla produzione effettiva e sulla distribuzione. Marx, tuttavia, ha mostrato che il denaro, in quanto auto-valorizzazione del capitale, è un fine in sé stesso, un feticcio, cui viene sottomessa la soddisfazione delle necessità concrete. I beni reali vengono prodotti solo se servono al fine della moltiplicazione del denaro, diversamente la produzione si blocca, anche se è tecnicamente possibile produrre e pur se tale produzione costituisce una necessità vitale. Ciò è particolarmente evidente in ambiti come le pensioni e la sanità, che non sono supportati, in sé, dalla valorizzazione del capitale, ma che richiedono di essere finanziati con i salari e utili. Su un piano puramente pratico, ci sono risorse sufficienti per fornire alla popolazione, cibo e cure mediche, per quanto ci sia una quota sempre più crescente di persone non attive dal punto di vista lavorativo. Ma, sotto i dettami del feticcio denaro, questa possibilità oggettiva diventa "non finanziabile".

Il sistema pensionistico e l'assistenza sanitaria sono indirettamente subordinate ai dettami della valorizzazione astratta. A causa delle difficili condizioni di finanziamento, entrambi vengono "economificati".
Questo significa che devono reggersi secondo criteri economici, per poter partecipare ai flussi finanziari. Così, una diagnosi medica si trasforma in una merce, che deve sottostare alla pressione della concorrenza. L'obiettivo non è la salute ed il benessere delle persone, ma la somministrazione di farmaci che garantiscano la produttività, da un lato, e la gestione della malattia, dall'altro. La persona ideale sul posto di lavoro, per le istituzioni esistenti, sarebbe un lottatore olimpico (per aumentare il prodotto nazionale), che allo stesso tempo dovrebbe anche essere un malato cronico (in modo da arricchire le casse del sistema sanitario) e che tiri volontariamente le cuoia, al momento di entrare nell'età di pensionamento (così da non essere un peso per il capitalismo).

È stata la stessa medicina che ha tracciato i piani per questo splendido calcolo. È diventata infatti così avanzata da far sì che sempre più persone vivano ben oltre l'età professionalmente attiva. E questo è un esempio significativo di come la concorrenza abbia forzato uno sviluppo delle forze produttive che non è più compatibile con la logica del capitale. La "forza muta delle circostanze"(Marx) provoca così una tendenza, volta ad ignorare in qualche modo le reali conquiste mediche. La produzione di una povertà artificiale serve ad avere un effetto preventivo. In Germania, l'aspettativa di vita di chi è peggio retribuito si è abbassata di 2 anni (da 77,5 anni fino a 75,5), dal 2001. Chi non guadagna abbastanza soldi anche per la sussistenza, avendo lavorato a tempo pieno col massimo di rendimento, arriva alla vecchiaia, esausto senza aver potuto esplorare le possibilità della medicina. Però, in aggiunta, l'assistenza medica stessa viene sempre più ridotta, secondo le capacità individuali di pagamento.
Come per gli ospedali greci che sono praticamente in bancarotta, dove le grandi imprese farmaceutiche hanno sospeso la fornitura di farmaci per il cancro, per l'AIDS e per l'epatite, ed è stata anche interrotta la fornitura di insulina. Questo non è un caso eccezionale, ma è l'immagine del futuro che ci aspetta. Almeno per i malati poveri e "superflui", e per tutti quelli che non sono più utilizzabili dal punto di vista capitalistico. A loro, gli esperti, i tecnici, stanno rivolgendo la domanda che il re Federico di Prussia urlò ai suoi soldati mentre fuggivano dal campo di battaglia:
"Cani! volete vivere per sempre?"

- Robert Kurz - 9 Gennaio 2012 -

fonte: http://www.exit-online.org/

martedì 24 gennaio 2012

il partito del diavolo

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Per un po' di tempo, Alexander Trocchi fu un intimo amico di Guy Debord, sia dal punto di vista intellettuale che personale. Debord era rimasto completamente affascinato dall'idea di Trocchi, de "l'insurrezione invisibile di un milione di menti, di un grande esercito in uno stato di incubazione, anche se latente, e pronto ad attaccare, per perfezionare l'assalto finale alla società di classe."
Scriveva, ancora, Trocchi:
«Il colpo di stato mondiale dev’essere culturale nel più vasto senso del termine. Con i suoi mille tecnici, Trotzky occupò i viadotti e i ponti e gli snodi telefonici e le centrali elettriche. La polizia, vittima delle convenzioni, contribuì alla sua brillante impresa montando la guardia ai vecchi chiusi nel Cremlino. Loro stessi non avevano avuto la necessaria elasticità mentale per cogliere che la loro presenza nelle tradizionali sedi del governo era irrilevante. La Storia li aveva aggirati. Trotzky aveva le stazioni ferroviarie e le centrali elettriche, e all’atto pratico il “governo” veniva chiuso fuori dalla Storia da parte delle sue stesse guardie. Così l’insurrezione culturale deve impossessarsi delle reti della comunicazione e delle centrali della mente».
Tutto ciò coincideva con le idee di sovversione totale della vita e dell'arte sostenute da l'Internazionale Situazionista, idee che dovevano già trovarsi (in una forma o nell'altra) nella mente del proletariato europeo, ma che dovevano essere rese visibili.
Per Trocchi, la violenza degli studenti, dei neri dei ghetti americani, dei teddy boys, era la "diretta conseguenza dell'alienazione dell'uomo nei confronti del suo stesso proprio essere, come conseguenza della rivoluzione industriale", dal momento che "l'uomo ha dimenticato come si gioca ".
Era la moderna teoria rivoluzionaria adattata ai tempi, ed al trionfo, una società spettacolare mortalmente nociva. Trocchi venne arrestato negli Stati Uniti per presunto possesso e traffico di droga. In un comunicato di assoluto appoggio, firmato da tutti i membri dell'Internazionale Situazionista, si affermava che l'uomo, conosciuto come il "Burroughs scozzese", era "senza dubbio l'artista più creativo e intelligente dell'Inghilterra di oggi. "

tocchi

lunedì 23 gennaio 2012

Rinnegati

rinnegati

Messico, 1951. Gli esuli della guerra civile spagnola masticano il loro rammarico. E' il 3 agosto, quando al Café Brasil si riuniscono tre membri del movimento di opposizione comunista: Jesus Hernandez Thomas, ministro della pubblica istruzione durante la Guerra Civile, Antonio Hierro Muriel, ex membro della segreteria generale del Commissariato di guerra, e Vicente Cuello, la cui rilevanza è data dal fatto di essere un infiltrato del Partito Comunista di Spagna in quel gruppo di dissidenti (come rivelato da Fernando Sánchez Hernández nel suo libro "Comunisti senza partito").
Alla combriccola, si unisce Enrique Castro Delgado e comunica loro la notizia della morte di Jan Valtin, autore del libro "La noche quedó atrás" (La notte rimase indietro).
In realtà, Valtin era morto sette mesi prima, il primo gennaio di quel 1951.
C'è da immaginare che avevano letto quel libro con grande interesse, forse in una delle due edizioni sudamericane, una cilena e una argentina. In qualche modo, avevano visto riflesse, in quel libro di memorie scritto in forma romanzata, le loro peripezie politiche. Avevano riconosciuto usi e costumi della vita clandestina, alla quale l'appartenenza al partito li aveva obbligati, ed si erano soffermati a leggere, con emozione ed angoscia, il processo di disincanto che aveva allontanato Valtin dal comunismo. Vite parallele. In aggiunta, questi spagnoli, avevano incontrato, fra i personaggi del libro, alcuni degli stranieri che erano stati loro compagni, durante la guerra civile. Come reagì Castro Delgado a leggere il nome del generale Gorev, in quelle pagine?
Dal punto di vista storico, Out of the Night (tale è il titolo originale de "La noche quedó atrás"), contiene numerosi errori. Tenendo conto che deve essere stato scritto ad un ritmo frenetico (la prima edizione è del 1940), è comprensibile.
Valtin iniziò a scriverlo a Dönberg (Connecticut), su richiesta di Don Levine (un'altra vecchia conoscenza di Castro, tra l'altro), pagato dieci dollari a settimana. Sembra che Levine mise mano al manoscritto e lo accorciò!
La biografia più completa di Richard Krebs (alias Jan Valtin), e l'analisi più rigorosa di Out of the Night, è stata scritta Michael Rohrwasser. Dedica un intero capitolo a "Lo stalinismo e i rinnegati: la letteratura degli ex-comunisti". Include anche un capítolo intitolato “La guerra civile spagnola e la nascita dei rinnegati", in cui parla di Krivitski, Regler, Kantorowitz e Arthur Koestler.

venerdì 20 gennaio 2012

Dizionario

reificazione

Sviluppato dal giovane Lukács in una serie di testi, poi riuniti nel libro "Storia e coscienza di classe" (1923), in un periodo di "effervescenza rivoluzionaria", il concetto di "Reificazione" ha avuto un destino assai singolare. Originariamente concepita come una radicalizzazione della prospettiva aperta dal concetto marxiano di "Feticismo" (della merce), la teoria di Lukács venne ben presto rigettata dalle ortodossie comuniste. Paradossalmente, ha poi irrigato, in modo sotterraneo, il terreno delle più grandi "eresie": dalla teoria critica francofortese fino alla Wertkritik, passando per l'Internazionale Situazionista, per l'opposizione extra-parlamentare in Germania e in Italia, e attraverso l'opera di Henri Lefebvre, di Lucien Goldmann e di Joseph Gabel, ad esempio, ed ha finito per costituire il centro di gravità occulto di tutta un'ala del marxismo critico. L'idea di pensare il modo di produzione capitalistico attraverso il prisma della teoria di una forma di vita svalutata e feticistica, infatti riunisce, al di là delle loro irriducibili peculiarità, tutte queste diverse concettualizzazioni.

giovedì 19 gennaio 2012

leghismi

catala

In Spagna, in Catalogna, nel 1934, prima del golpe militare di Francisco Franco e della conseguente Guerra Civile, c'era stata la proclamazione di un assai frustrato "Stato Catalano", e la cosa coincise - e non per caso - con l'insurrezione proletaria nelle Asturie dell'ottobre di quell'anno.
Ne parla Jacinto Toryho (direttore di Solidaridad Obrera dal 1937 al 1939), nel suo libro, "Del triunfo a la derrota" (Argos Vergara, 1977), :

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"Contemporaneamente alla tragedia asturiana, ebbe luogo la tragicommedia della Catalogna. La prima fu un conato di rivoluzione autentica, mentre l'altra non fu che una misera caricatura, una buffonata che annegò nel ridicolo i suoi promotori. (...) Gli ispiratori, organizzatori e dirigenti della "epopea" erano due alienati che avevano preso le redini del potere con la complicità e la collaborazione di vari professionisti dell'ipocrisia, nelle sue molte sfumature. (...) Quando alludo agli ispiratori, organizzatori e dirigenti, mi riferisco a José Dencás Puigdollers, consigliere del Governo, capo dei servizi di Ordine Pubblico, inoltre separatista e capo degli "escamots", un gruppo armato in divisa mussoliniana. Dencas era un separatista che odiava la Spagna con fervore satanico. Aveva tutte le caratteristiche che lo psichiatra può trovare nel paranoico. Prima della Repubblica, aveva comabattuto nella Lliga (Regionalista, di estrema destra). Poi era patto alla "Esquerra y Estat Catalá". Quando era un deputato della Corte Costituente, il suo puerile fervore anti-ispanico lo aveva spinto a tagliare via con una lametta gli scudi della Repubblica Spagnola dagli schienali delle poltrone, corrispondenti agli scranni dei deputati di Esquerra Catalana.
Prima della "prodezza" di ottobre, gli "escamots", capitanati da Badìa, praticavano lo sport di bastonare quegli operai che avevano preventivamente sequestrato per sottometterli a vari tipi di tortura. Questo perché i lavoratori della Catalogna, o di altri punti della penisola, non hanno mai avuto niente in comune con i catalanisti di destra (la Lliga), né con quelli di sinistra (la Esquerra), i quali erano solo due espressioni reazionarie, separate solo da una sottile sfumatura elettorale. (...) L'insurrezione della Catalogna ebbe una nota originale: cominciò con uno sciopero generale imposto dal governo contro la volontà degli operai che rifiutarono di fare il gioco degli innovatori. E poi si trattava di un'innovazione assai singolare, dal momento che per la prima volta nella storia, lo sciopero generale veniva organizzato e diretto dai poteri pubblici. Gli "escamots" di Dencas e Badìa, armati fino ai denti, i giorni 5 e 6 di ottobre imposero la chiusura di fabbriche, officine, banche e negozi. Ma i lavoratori si rifiutarono di compiacerli. In alcune fabbriche, cedevano momentaneamente di fronte alle armi esibite dai rappresentanti della coalizione ufficiale, ma non appena questi si allontanavano, tornavano al lavoro. I mezzi di trasporto vennero paralizzati in grazia dell'eloquenza delle mitragliatrici vantate dagli uomini di Badìa. (...) Nel feudo di Dencas (...) dopo il fallito colpo di stato secessionista, venne trovato un mucchio di cenere di carte e documenti bruciati prima di scappare, però venne ritrovato, non bruciato, l'elenco, firmato da Miguel Badìa, con i nomi delle persone che dovevano essere fucilate, senza processo, il giorno dopo la vittoria. La maggior parte di questi nomi erano di militanTi della FAI e della CNT. (...) A proposito del "generalissimo" dell'insurrezione separatista (Dencas), e della Esquerra che lo spinse, scrive nel 1935 Joaquín Maurín (ex-segretario generale della CNT, poi passato alla fazione anti-stalinista del marxismo), leader del Blocco Operaio e Contadino: "Dencas, capo della frazione di "Stato Catalano", oscuro nei suoi obiettivi, non è riuscito a nascondere le sue intenzioni deliberatamente fasciste. Tutto il suo lavoro organizzativo, tutta la sua attività politica, tendeva ad un solo obiettivo finale: un fascismo catalano. La sua dichiarazione di guerra agli anarcosindacalisti, i suoi "escamots" dalle camicie verdi, irreggimentati, tutto questo aveva un denominatore comune: il nazionalsocialismo catalano"".

mercoledì 18 gennaio 2012

Torna lo Stato

carcere

I partiti di sinistra attribuiscono la crisi economica globale attuale a cause politiche. Il neoliberismo, con la sua totale deregolamentazione del mercato e, soprattutto, con la sfrenatezza dei mercati, ha fallito. Ora, pretendono che ci si avvicini ad un'epoca di regolamentazione e controllo da parte dello Stato, e il nostro compito sarebbe quello di influenzare le forme che tale controllo andrebbe ad assumere. La richiesta principale è quella di tornare a prima che si verificasse l'influenza del capitale finanziario, ed ottenere un rafforzamento dell'economia reale che, a sua volta, dovrebbe essere riformata sia in senso ecologico che sociale. Che tutto questo abbia successo, viene considerato principalmente come una questione di rapporti di forza e di mobilitazione politica.
Tuttavia, una simile analisi dimentica la natura fondamentale della crisi globale. Anche se è precipitata a causa del crollo finanziario del mercato, le sue cause vanno cercate da tutt'altra parte. L'enorme sviluppo dei mercati di capitale nel corso degli ultimi trenta anni non è stato causato da decisioni politiche sbagliate, ma è stata l'espressione di una crisi strutturale della valorizzazione del capitale, una crisi iniziata con la fine del boom del fordismo, nel dopoguerra. Con la riorganizzazione delle condizioni di lavoro e dei rapporti di produzione, nel corso della terza rivoluzione industriale (automazione, flessibilità e precarietà del lavoro, utilizzo di manodopera a basso costo, ecc.), si è dato luogo ad una massiccia razionalizzazione del lavoro nei settore centrali del capitalismo.
Tutto questo ha minato la base della valorizzazione del capitale, che consiste nello sfruttamento continuamente crescente della capacità di lavoro. Cosa che, a sua volta, ha portato ad un dirottamente, sempre maggiore, di capitale verso i mercati finanziari: il capitale non riusciva più a trovare opportunità sufficienti alla sua valorizzazione all'interno dell'"economia reale" e così si è gonfiata una gigantesca bolla di "capitale fittizio", senza alcuna garanzia. Se non ci fosse stata questa deviazione che ha permesso il rinvio della crisi di accumulazione del capitale, l'economia mondiale sarebbe crollata molto tempo fa.
Tuttavia, il prezzo da pagare è stato l'accumulo di un potenziale di crisi che si è fatto sempre più grande. Non è perciò sorprendente che alla fine l'incidente è arrivato: piuttosto, quello ha bisogno di una spiegazione è il fatto che ci sia voluto tutto questo tempo. Ciò è' stato possibile solo perché a livello statale, e a livello transnazionale, la politica è stata principalmente mirata al sostegno delle dinamiche dei mercati finanziari, ed ha risposto, all'inizio di ogni crisi (quelle del Messico, Asia, Russia, quella della "New Economy"), allo stesso modo: con la creazione di credito aggiuntivo, per incoraggiare l'inflazione di una nuova bolla.
Il modello di queste reazioni è la prova che il motivo strutturale dei processi di crisi si trova oltre lo portata della politica, in quanto è il risultato di una contraddizione fondamentale interna alla dinamica storica del capitalismo. Il capitalismo crea delle forze produttive immense ed una potenziale ricchezza [materiale] che permetterebbe una buon livello di vita per tutti (proprio per tutti!). Ma questa ricchezza non è compatibile con l'obiettivo di sfruttare il lavoro vivo, dal momento che rende il lavoro sempre più inutile. Questo non può che finire col determinare un processo fondamentale di crisi, capace di minare non solo i principi fondamentali di valorizzazione del capitale ma, allo stesso tempo, anche i rapporti di riproduzione sociale da cui dipende. L'inflazione dei mercati finanziari non è la causa della crisi, ma uno dei suoi sintomi. Essa dimostra che l'accumulazione del capitale può funzionare solo in modo precario, in quanto appendice del capitale fittizio.
In un simile contesto, il contenuto effettivo dei tanto evocato "ritorno dello Stato" diventa chiaro. Malgrado tutto l'interesse. tutto formale, per la "regolamentazione" e per il ritorno all'"economia reale", la difesa dei mercati finanziari vanno a gonfiare un'ulteriore nuova bolla di speculazione e di credito che continuerà a rimanere al centro di qualsiasi politica di amministrazione della crisi.
Anche i partiti di sinistra, i socialdemocratici ed i sindacalisti devono necessariamente esigere che le banche vengano salvate. Le uniche differenze soggiacciono nel dettaglio - vale a dire, anche se non dovrebbero essere nazionalizzate, dovrebbero pagare i costi. Ma la questione è già risolta, comunque: i costi sono così enormi che possono essere soddisfatti solo da un enorme debito pubblico. Tutto il resto ("tassare i ricchi", i tagli in busta paga, la responsabilità dei banchieri privati, ecc.) è puramente simbolico. Ma la funzione di tutto questo ambaradan all'interno del dibattito politico è assolutamente regressiva, e serve solo a denunciare dei capri espiatori al fine di diffondere l'idea che ci sia in corso un'atrocità morale, e mascherando così le reali dimensioni della crisi.
Ma il debito pubblico di massa per salvare il sistema finanziario - anche se riuscisse, temporaneamente, a rinviare il termine del processo di crisi, per mezzo di un aumento violento di denaro - non può evitare che nei prossimi anni molti aspetti della riproduzione sociale verranno ulteriormente ridotti perché non possono più essere considerati "finanziariamente sostenibile".
Ma le somme che verranno stanziate per ripagare i debiti accumulato non potranno mai essere recuperate attraverso le politiche restrittive di austerità. Non è possibile, non c'è più una tale massa di dipendenti, precari e disoccupati che possa pagarle.
Ci sono questi lavoratori, questi precari e questi disoccupati che sentiranno sempre di più gli effetti dei "salvataggi", perché il debito servirà per le restrizioni brutali di ogni futura politica, e non importa quale partito sarà a farla. Infatti, mentre non ci saranno limiti al debito pubblico futuro, l'onere per i pagamenti degli interessi crescerà in maniera massiccia.
Le conseguenze sono evidenti: la politica si concentrerà principalmente sul mantenimento di "funzioni appropriate per il sistema", e queste sono, oltre ai mercati finanziari, i nuclei e i "gruppi" rimasti per la valorizzazione del capitale produttivo, con le infrastrutture ed il personale di cui hanno bisogno. L'infrastruttura generale, la protezione sociale, i servizi sanitari pubblici verranno smantellati ancora di più, i salari e le pensioni saranno ridotte (per i tagli e attraverso l'inflazione) ed il numero di persone insicure e "superflue" continuerà a crescere. La gestione della crisi, per loro, significa la disciplina autoritaria e l'esclusione. Anche i partiti politici, che andranno al potere sulle ali delle promesse di riforme sociali e ambientali, seguiranno questa logica di gestione politica della crisi.
L'attuale dibattito sulle riforme è una farsa, perché suggerisce una prospettiva le cui base materiali non esistono più. Durante i periodi di boom del capitalismo, e in particolare ai tempi del boom fordista del dopoguerra, un relativo miglioramento della vita - e delle condizioni di vita - è stato possibile all'interno della struttura del capitalismo, in quanto le dinamiche di crescita del movimento della valorizzazione creavano una pressione per integrare un numero crescente di persone nel sistema di produzione di beni e del lavoro. Da allora, queste persone, sempre più, sono state rese "superflue" dal punto di vista del capitale, il ruolo della "politica delle riforme" si è ridotto all'organizzazione e alla facilitazione della crescente frammentazione, culturale e territoriale, della società. Questa tendenza sarà sempre più visibile nel nuovo sviluppo della crisi. Una nuova prospettiva per l'emancipazione sociale, può essere formulata solo in opposizione coerente alla politica di smantellamento della gestione della crisi: tentando coerentemente di far sì che il punto di vista della ricchezza materiale e della soddisfazione dei bisogni si applichi a ciascuno.
Solo allora le lotte dei lavoratori, come quelle dei "superflui" contro il massacro delle infrastrutture sociali o quelle che puntano all'appropriazione diretta e collettiva delle risorse sociali (alloggio, spazi sociali e culturali, ecc.), potranno avere una nuova prospettiva di emancipazione.
Fino a quando la ricchezza verrà pensata in termini di valore - e attraverso la forma della merce - l'accesso alla ricchezza materiale sarà possibile solo attraverso il denaro, e le restrizioni e le follie di questo tipo continueranno fino alla fine ad essere presupposte ed accettate.
E' a causa di questa forma di valore che le chiusure dei grandi impianti di produzione di cose ragionevoli e utili (come il buon cibo) appaiono "inevitabili", mentre allo stesso tempo ci battiamo per il mantenimento e l'espansione della produzione di autovetture, anche se gli effetti di avvelenamento del clima sono noti da molto tempo.
E' questa forma di valore che blocca l'unica uscita dall'attuale autodistruttiva società delle merci, un processo che inizia nella nostra testa, e che si riflette nelle nostre azioni.
L'unica nostra possibilità è rompere questo blocco.

martedì 17 gennaio 2012

forconi e filistei

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“Presto verrà che le bandiere rosse saranno issate dal popolo di Reggio sui quartieri in lotta. E allora cosa diranno i filistei che hanno volutamente confuso il terrorismo fascista con la ribellione di un popolo sfruttato? Dovranno nascondersi davanti ai lavoratori che li hanno ascoltati non sapendo la vera situazione che si è creata a Reggio Calabria!”

da - "Gli operai d’Italia e la rivolta di Reggio Calabria" - Internazionale Situazionista -

Calabria - Reggio calabria-1971-03

lunedì 16 gennaio 2012

Canali

panama

La storia del Canale di Panama è piena di fallimenti, cospirazioni, idee, alcune folli, altre geniali, e di molto, molto tempo e molto denaro, dal momento in cui germogliò l'idea fino a quando, il 15 agosto 1914, la prima nave passò da un oceano all'altro. Ma cosa sarebbe successo se il canale, invece che a Panama, fosse stato costruito più a nord? Certo, non un canale in senso classico, ma quello che sarebbe stato una meraviglia di tecnologia, un'idea rischiosa che, per poco, corse il rischio di venire realizzata .
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Il luogo, mostrato nella mappa, qui sopra, è l'Istmo di Tehuantepec, nel Messico meridionale. Qui, la distanza tra gli oceani è di gran lunga superiore a quella che si sarebbe affrontata a Panama, dove si arriva a 80 miglia. A Tehuantepec sarebbero diventate circa 200 miglia. Eppure, per molto tempo, questo è stato considerato un luogo ideale per costruire il canale. Ma era un canale del tutto speciale, qualcosa di mai visto prima.
Va detto che il posto per lungo tempo è stato considerato il luogo ideale per disegnare una ferrovia tra i due oceani, perché costruire un canale con le sue chiuse, ed altre infrastrutture associate, era considerato troppo costoso e complicato. E allora? Perché non mettere insieme il meglio di un canale ed i vantaggi della ferrovia?
La vicinanza con gli Stati Uniti e un clima più mite rispetto al Panama catturarono l'attenzione di James Buchanan Eads. Questi, oltre ad essere un ingegnere di talento, ed un sognatore, era anche un milionario che s’impegnava parecchio per realizzare i suoi sogni. Per decenni, si era speso a costruire tutti i tipi di strutture ed opere di ingegneria, dalle prime corazzate primo gigante ai ponti in acciaio. Non sorprende, quindi, che sognasse di una linea ferroviaria in grado di attraversare l'istmo di Tehuantepec. Ma non pensava ad una normale ferrovia che trasportasse merci tra stazioni poste alle due estremità. Niente di tutto questo. Sognava di ... trasportare le barche, da un oceano all'altro, a bordo di un treno!
Ossia, una nave che arrivava ad uno degli estremi del canale ferroviario sarebbe stata messa su un enorme carrello che poi l'avrebbe trasportata nell'entroterra al fine di raggiungere l'altra estremità, dove poi la nave sarebbe stata depositata in mare.
Nel 1887, il Governo degli Stati Uniti aveva mostrato il suo interesse a sostenere quest'idea, ma purtroppo l'ingegnere morì poco dopo, e la cosa non ebbe seguito. C'è da aggiungere che, in quell'epoca, l'idea di Eads fu presa per buona anche per altri posti, come l'istmo canadese di Chignecto. Ma neanche lì la cosa andò ... in porto.

venerdì 13 gennaio 2012

Attualità

luigi

Quando Luigi XVIII, nel 1815, in piena restaurazione, ebbe ad illustrare a Talleyrand il suo progetto di Costituzione, l'ex-rivoluzionario obiettò:

- Signore, qui manca qualcosa di importante.
- Che cosa?
- Lo stipendio dei deputati.
- Io credo che i loro servizi dovrebbero essere gratuiti, e le cariche, onorifiche.
- Signore, se hanno da essere gratuiti, temo che ci costeranno molto cari!

E così, a quanto pare, i deputati cominciarono ad avere uno stipendio, per il loro lavoro politico. Da allora ai nostri giorni, non ci sono stati grandi cambiamenti. Il concetto, espresso da Talleyrand, che a non dar loro lo stipendio si rischia che vengano a costare molto, è ragionevole. Senonché, anche pagandoli, rimangono assai costosi.

giovedì 12 gennaio 2012

Odori

Ierone

La storia è più o meno la solita degli abiti nuovi dell'imperatore, con in più - a quanto pare - un pizzico di verità storica e un esempio di sagacia femminile. Forse.
E' una storia vecchia, di un tiranno che dominava la città in cui sono nato. Ierone II, e sembra, dalle testimonianze, che avesse un problema serio. Puzzava, letteralmente. Talmente tanto che quel puzzo è riuscito ad arrivare fino ad ora.
Puzzava Ierone, però, essendo un tiranno, nessuno glielo aveva mai fatto presente. Magari, non per mancanza di coraggio, che tanto non sarebbe cambiato niente, a dirlglielo. Lui avrebbe continuato a puzzare e ad impestare, e ci sarebbe stato un paio di narici in meno, a sopportare.
Senonché, un giorno - bello o brutto che fosse - arrivò a Siracusa una visitatrice straniera, la quale doveva avere una certa importanza, dal momento che venne portata al cospetto del tiranno, che aveva voluto riceverla.
"Ma tu puzzi, signore! E talmente tanto che non ti può star vicino." - credo siano state queste, più o meno, le sue parole.
Deve essere calato un silenzio inquietante sui presenti che aspettavano la reazione del tiranno. E la reazione non tardò ad arrivare. Solo che Ierone reagì prendendosela con chi gli era stato vicino per tutti quegli anni senza mai fargli notare il suo piccolo difetto. L'accusa era di mancanza di sincerità. Usava, a quei tempi. E la maggior colpevole di questo reato, agli occhi del tiranno, non poteva essere altro che la moglie, la quale fu richiesta di giustificarsi.
"Mio signore, io, in vita mia, non mi sono mai avvicinata a nessun uomo che non fossi tu." - la spiegazione non si fece aspettare - "Così ho pensato che il tuo respiro e il tuo odore fossero una condizione naturale per tutto il resto degli uomini."
Niente male, davvero niente male. Degna di Odisseo.

mercoledì 11 gennaio 2012

Automatico

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Traiettorie del Capitale – di Anselm Jappe

E' banale dire che stiamo vivendo un'epoca di enormi cambiamenti a livello tecnologico, che tutto diventa sempre più miniaturizzato e più veloce. Ciò che distingue un periodo storico da un altro, non è solamente la tecnologia, ma, soprattutto, i rapporti sociali. E, da questo punto di vista, ci troviamo più o meno nella stessa situazione che c'era nel XIX secolo, quando Karl Marx elaborò la sua critica del capitalismo. Soprattutto, se non consideriamo i rapporti sociali solo nella percezione della dominazione visibile da parte di una classe di persone - i proprietari dei mezzi di produzione - sugli altri gruppi sociali, costretti a vendere la loro forza lavoro. Ma se intendiamo per rapporto sociale, anche e soprattutto, le categorie fondamentali della società capitalistica: il lavoro e il valore, la merce e il denaro. Queste sono le forme, storicamente concrete, che prendono le attività produttive umane. Esse non sono naturali e non si trovano affatto in tutte le forme di società, tutt'altro. Dopo una lunga gestazione, a partire dalle loro forme embrionali, il lavoro e il valore, la merce e il denaro, il plus-valore e il capitale si sono imposti al centro della vita sociale a partire dalla rivoluzione industriale, e da oltre 250 anni queste categorie hanno continuato ad espandersi sopra aree sempre più ampie della vita umana, sia in senso geografico che all'interno delle società capitaliste, fino allo stadio attuale, dove non c'è praticamente alcun aspetto della vita che non sia determinato dal lavoro e dal valore, dalla merce e dal denaro, o dalle loro forme derivate.
Nella società moderna basata sulla produzione di merci, il lavoro ha un aspetto duplice: è sia lavoro astratto che lavoro concreto. Tuttavia, questi non sono due diversi tipi di lavoro ed il lavoro astratto non ha nulla a che fare con il lavoro immateriale: una confusione terminologica costantemente mantenuta da alcuni autori. Ogni lavoro, indipendentemente dal suo contenuto, ha un lato astratto, vale a dire che costituisce semplicemente un dispendio di energia umana misurata dal tempo. Il valore di una merce, come Marx ha dimostrato, non dipende dalla sua utilità, né dal desiderio che suscita, ma dalla quantità di lavoro indifferenziata, di lavoro astratto, che essa rappresenta. Tale valore si esprime per mezzo di una particolare merce: il denaro. Nella società capitalista, la produzione di beni d'uso è un fattore certamente indispensabile, però sempre subordinato alla produzione di quella merce che è l'unico scopo di tutto il processo produttivo: il denaro. Molto prima della questione della distribuzione del plus-valore, tra i diversi attori della produzione, la società di mercato si caratterizza attraverso questo processo anonimo ed automatico di trasformazione di ogni attività concreta in una quantità precisa di valore e denaro.
Detto ciò, alla domanda se sia, attualmente, possibile uscire dalla società del lavoro, grazie all'automazione che riduce il lavoro ad un parte infinitesimale, la risposta è: sì e no. Sì, tecnicamente, ma No, socialmente.
Il capitalismo è inseparabile dalla rivoluzione industriale. Fin dal suo debutto, ha cominciato a sostituire il lavoro vivo con la tecnologia, con le macchine. Questo è il meccanismo della concorrenza che spinge, pena l'eliminazione, i proprietari di capitale a far lavorare i propri operai su macchine sempre più efficienti, in modo da poter vendere i prodotti a prezzi sempre più economici. Però, questo rinnovamento tecnologico incessante non beneficia tutti i lavoratori e tutta la società nel suo complesso. Il filosofo inglese John Stuart Mill, generalmente considerato un cantore del capitalismo, aveva già ammesso, verso la metà del XIX secolo, che qualsiasi invenzione fatta per economizzare lavoro non ha mai permesso a nessuno di lavorare di meno - ma solo di produrre di più nella stessa unità di tempo. Anche la riduzione dell'orario di lavoro, negli ultimi due secoli, non è stata una riduzione del lavoro effettivo, in quanto è stata solitamente accompagnata da una intensificazione del lavoro stesso - Henry Ford introdusse, per primo, la settimana di otto ore nella sua fabbrica, intorno al 1914, solo dopo che gli studi dell'ingegnere Taylor avevano dimostrato che, con l'organizzazione scientifica del lavoro, si poteva produrre più di quanto si producesse con le dieci ore.
Ma, in modo paradossale, questa riduzione del lavoro necessario per la produzione di ogni merce, ottenuta per mezzo della tecnologia, se è stata la forza motrice dello sviluppo capitalistico, e l'arma con cui ha conquistato il mondo in estensione e in profondità, è stata anche, fin dall'inizio, il fattore che lo ha messo più in crisi. In effetti, è solo il lavoro vivo che crea il valore. Le macchine si limitano soltanto a trasmettere il loro valore, determinato dal tempo che è stato necessario alla loro fabbricazione. La tecnologia non crea nuovo valore. Ogni capitalista, impiegando nuove tecnologie, genera profitto supplementare per se stesso, però contribuisce a far diminuire la massa di valore complessivo, e quindi contribuisce a minare il sistema capitalistico in quanto tale. E 'vero che l'aumento della quantità di produzione, insieme ad altri fattori, ha compensato questa caduta della massa (e non solo del tasso) di valore e plus-valore; ma la tendenza continua a produrre ed i meccanismi di compensazione funzionano sempre peggio. Secondo la scienza economica borghese, il lavoro semplicemente si muove, e la riduzione del lavoro nell'industria verrebbe compensato dall'enorme aumento del lavoro nei servizi. Tuttavia, tutto il lavoro non è produttivo, in quanto contribuisce a riprodurre il capitale investito. Seguendo le indicazioni di Marx, si può dimostrare che molti servizi, come istruzione e salute, e i servizi pubblici generali e le attività dello stato, compresa la creazione e la manutenzione delle infrastrutture, non aumentano la massa di valore complessivo, anche se degli agenti economici particolari possono creare profitto. Questa diminuzione in valore (e plus-valore) globale non è solo una deduzione teorica, bensì costituisce l'unica spiegazione possibile per il decollo dei mercati finanziari, e del credito, a partire dagli anni '70, allorché la simulazione e il consumo anticipato dei guadagni previsti per il futuro sono andati a sostituire un'accumulazione reale sempre più assente.
Non è un caso che gli anni '70 abbiano anche visto l'inizio dello sviluppo della microelettronica e della "terza rivoluzione industriale", basata sull'informatizzazione. Così, la riduzione del lavoro vivo, su scala globale, ha conosciuto un'accelerazione decisiva; in molte merci - come il software riproducibile quasi senza sforzo in un numero virtualmente illimitato di copie - la quantità di lavoro "contenuto" è scesa a dosi "omeopatiche". L'affermazione secondo la quale il settore dei servizi è in grado di assorbire la forza lavoro "razionalizzata," diventata superflua nel settore industriale e materiale, viene confutata tutti i giorni dalla forte riduzione dei servizi da parte delle politiche di austerità neo-liberiste, e più in generale da un tasso di disoccupazione "reale" intorno al 20%. La riduzione del lavoro causata dalla microelettronica non è stata per niente compensata dall'avvento di nuovi prodotti la cui produzione richieda lavoro vivo (come accadde con l'industria automobilistica).
Se quello cui stiamo assistendo è una fuoriuscita dalla società del lavoro, non è affatto un'uscita pacifica, ma piuttosto un dramma. L'idea, tuttavia, è bellissima: le macchine che lavorano al nostro posto.
In realtà, la forza lavoro è diventata una merce molto difficile da mettere sul mercato, ed è ancora più difficile ottenere un prezzo conveniente. Allo stesso tempo, la riuscita di questa vendita rimane un requisito indispensabile per continuare ad essere un vero membro della società, per non essere l'oggetto di una carità pubblica che si riduce sempre più.
Tocchiamo qui il problema di fondo: nella società capitalistica, il lavoro, indipendentemente dal suo ruolo effettivo nella produzione, è la "mediazione sociale" principale.
Il lavoro è ciò che unisce gli individui, che altrimenti rimangono separati, ed è ciò definisce il posto di ciascuno nella società. Così, il calo costante del lavoro necessario alla produzione di ciò che serve alla vita individuale e collettiva - diminuzione che potrebbe costituire una buona notizia - invece getta nella crisi e nel caos il capitalismo, ma purtroppo, vi getta anche tutti gli esseri umani che vivono su un pianeta interamente determinato dalla dinamica cieca, distruttrice e autodistruttiva del capitale.

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Non è più possibile, oggi, immaginare una ribellione dal punto di vista del lavoro vivo e dei suoi portatori, nemmeno sostituendo il classico proletariato, dalle mani callose, con il lavoratore informatico o immateriale. In verità, è sempre stato un paradosso quello di fare una critica del capitalismo dal punto di vista del lavoro, in quanto il lavoro è parte integrante di questo sistema, ed esiste solo laddove esiste il valore e la merce. Nello stesso Marx, la critica del lavoro e la critica dal punto di vista del lavoro coesistono in una certa maniera, e non senza contraddizioni. Naturalmente,esso consiste dell'attività umana volta ad ottenere ciò che è necessario all'uomo, o ciò che desidera. Ma nella società pre-capitaliste, non c'era una separazione generalizzata tra quello che noi chiamiamo lavoro e le altre attività, come il gioco, il rituale, l'affermazione della comunità. Non esisteva neanche il termine. E, soprattutto, ogni attività era specifica al suo scopo. E' solo nella società moderna, capitalista e industriale, che tutte le attività sono considerate senza riguardo per il loro contenuto, e viene misurato solo il tempo necessario alla loro produzione, per cui si vedono, in un giocattolo o in una bomba, solo due diverse quantità della stessa sostanza indifferenziata: la sostanza lavoro che dà il valore.
Ciò che è diverso nella società capitalistica, è il ruolo sociale del lavoro: non è più soggetto, in quanto mezzo, alle decisioni prese in altri ambiti sociali, come la politica o la tradizione. E' il lavoro stesso ad essere la mediazione sociale universale. Ciò può essere visto nel ruolo che ha l'economia: si è emancipata dalla società, in cui è nata come la sua serva, per mettere, al contrario, tutta la società al suo servizio.
Karl Polanyi ha chiamato questo processo lo "sdradicamento" (disembedding) dell'economia. Quello che vediamo ora - gli Stati e le popolazioni che guardano con ansia alle "reazioni dei mercati finanziari", come ai segni di collera di una divinità capricciosa ed esigente - non è il risultato di una cospirazione di avidi banchieri che agiscono in collusione con i politici corrotti, ma costituisce lo stadio, più o meno finale, di questo sradicamento dell'economia di mercato. Uno sdradicamento consustanziale, co-estensivo all'economia di mercato stessa, cui non può essere opposto un improbabile "ritorno alla politica" che sarebbe in grado di imporre "una maggiore regolamentazione". La politica contemporanea è totalmente impotente se non ha dei mezzi finanziari a sua disposizione. Si può immaginare una rottura dell'economia di mercato in sé, ma non possiamo immaginare di dargli una forma molto diversa dalla sua forma attuale. Il suo carattere predatorio, fino all'autodistruzione, deriva dal fatto che essa ha già esaurito tutte le sue altre possibilità di funzionamento.
Difendere il punto di vista del lavoro, dunque, non significa altro che schierarsi, nella lotta attorno alla distribuzione dei frutti del valore della produzione, per una delle parti che contribuiscono alla creazione di valore. Questo può essere moralmente giustificato, perché quelli che vivono vendendo la loro forza lavoro sono generalmente più numerosi, e perché traggono meno benefici dalla loro partecipazione a questa creazione. Ma questo conflitto, conosciuto nelle sue forme più antagoniste come la lotta di classe, non conduce, in quanto tale, al di là del sistema basato sul lavoro astratto e sul valore, sulla merce e sul denaro, e spesso ne costituisce uno dei motori del suo sviluppo.
Si assiste, da almeno due decenni, ad un forte sviluppo di varie forme di critica del lavoro. A lungo, promossa solo da piccoli gruppi, soprattutto nei circoli artistici, ma odiata da tutti i marxismi tradizionali, ed anche dagli anarchici e dall'estrema sinistra , la critica del lavoro si è diffusa man mano che si sviluppava, in strati sempre più ampi della popolazione, la sensazione di essere diventati veramente "superflui", in termini di economia capitalista. Si danno due tendenze principali nella critica del lavoro:
La prima tendenza mette l'accento principalmente sul carattere sgradevole della grande maggioranza dei lavori che siamo obbligati a svolgere oggi, e dice che la tecnologia ci può liberare. Questa è spesso una sorta di elogio della pigrizia o dell'indolenza. Si postula, frequentemente, il ricorso allo stato sociale come alternativa al lavoro individuale. Il valore morale del lavoro - la sua vera santificazione - ha accompagnato l'intera storia del capitalismo, a partire dall'"etica protestante" e dall'opposizione dei borghesi alle classi parassitarie degli aristocratici e dei preti. Ed è stata spesso portata al suo apice dal "movimento operaio". La dissoluzione dell'etica tradizionale del lavoro ha fatto dei progressi incredibili negli ultimi anni, presso un vasto pubblico. Anche la difesa delle 35 ore e della pensione a 60 anni indica che un gran numero di persone pensa che si possa fare di meglio nella vita, che lavorare! Più specificamente, nel mondo degli hacker è idea diffusa che, grazie alla tecnologia digitale e alla riproducibilità pressoché infinita dei prodotti informatici, si possa accedere ad un'epoca di abbondanza, e se questa possibilità non è ancora stato tradotto in realtà - dicono - è dovuto al dominio politico dei proprietari del capitale
In questi ambienti, si ama evocare, riferendosi a un passaggio dei Grundrisse di Marx, un "general intellect", che sul piano tecnico si troverebbe già al di là della logica del mercato, e che con un intervento politico potrebbe emanciparsi dai "parassiti" proprietari dei mezzi di produzione. Malgrado tutte le arie iper-moderne, questo approccio si limita a riproporre modelli del marxismo dell'inizio dello scorso secolo. C'è sempre la stessa fiducia nei benefici del progresso e nello sviluppo delle forze produttive - una fiducia che lascia perplessi. Quello che gli esseri umani non sono più in grado di fare - vale a dire raggiungere un'organizzazione consapevole della vita sociale - viene affidato alle macchine. La rivoluzione digitale dovrebbe condurre gli uomini verso l'uscita dal capitalismo. A dire il vero, essa ha portato alle estreme conseguenze la logica del capitalismo e, soprattutto, ha potentemente messo in crisi la produzione di valore e l'accumulazione di capitale. Ma la crisi non coincide con l'emancipazione sociale, e il mondo digitale non costituisce, in quanto tale, un "al di là" della logica del capitalismo. Il computer, come strumento tecnico, porta tanta emancipazione sociale quanto la ruota o la stampa. Non è possibile andare oltre il capitalismo in una sola zona, definita dalla sua tecnologia.
Le speranze riposte nella rivoluzione digitale, spesso fanno ricorso al concetto di "appropriazione", cui vienee associato, più di recente il concetto di "comune" e di "bene comune". E 'vero che tutta la storia, e la preistoria, del capitalismo è stata la storia della privatizzazione delle risorse che prima erano condivise, con il caso esemplare delle "enclosures" in Inghilterra. Secondo una prospettiva largamente diffusa, almeno negli ambienti informatici stessi, la lotta per l'accesso libero e illimitato alle risorse digitali è una battaglia che ha la stessa importanza storica - ed essa sarà, dopo secoli, la prima battaglia vinta dai sostenitori del libero uso comune delle risorse.
Tuttavia, questo ragionamento presenta diversi difetti. In primo luogo, i beni digitali non sono beni essenziali.Disporre sempre, e gratis, dell'ultima canzone o dell'ultimo video clip può essere simpatico - ma il cibo, il riscaldamento e l'alloggio non sono scaricabili, e sono invece soggetti ad esaurimento e ad una sempre maggiore commercializzazione. Il file-sharing può sembrare una pratica interessante, ma costituisce solo un epifenomeno in relazione alla scarsità di acqua potabile nel mondo o al riscaldamento globale. Si tratta in ultima analisi, di un progetto tecnocratico, paragonabile al ruolo positivo ed emancipatore che alcuni volevano assegnare, negli anni '60, alla cibernetica, come regolatrice dei sistemi sociali, con la promessa di liberarci dal dominio e dall'arbitrio. La proposta di delegare direttamente alle macchine la risoluzione dei problemi sociali, contiene almeno una verità involontaria: rende evidente il carattere sistemico ed anonimo della dominazione nella società di mercato. In una borsa dove gli scambi sarebbero completamente determinati dal software, i "traders" con le loro brave braccia alzate per aria sarebbero ridotti al livello di accessori folcloristici, e con tutti i disastri che, per gli uomini in carne ed ossa, deriverebbero da queste decisioni automatiche, sarebbe sempre l'immagine perfetta di quel "soggetto automatico" di cui parla Marx per descrivere il valore di mercato.
Per quanto si possano spingere i limiti all'espansione del capitalismo alle estreme conseguenze (per esempio, con le borse dove lo scambio avviene alla velocità della luce), si finisce sempre per sbattere contro dei limiti assai vecchi: le stesse strutture "metafisiche" della merce, il "feticismo della merce" di cui parla Marx e che ci dice che abbiamo programmato le nostre forze sociali sugli oggetti che produciamo, ma da cui noi crediamo di dipendere.
L'altra forma di critica del lavoro pone soprattutto il problema del suo ruolo nella società. Non si tratta tanto di sostituire lavoro vivo con la tecnologia perché passiamo poi il nostro tempo a controllare macchine e computer. Il ruolo stesso della tecnologia nella società, non dipende soltanto dalla struttura tecnologica in sé, ma anche dalla società che lo crea. Finché esiste la duplice natura del lavoro - concreto ed astratto - si lavorerà sempre, non per produrre delle cose utili o desiderabili, ma solo per aumentare la massa di valore. Noi continueremo a produrre, non importa cosa, non importa come, non importa con quali conseguenze, purché quello che produciamo possa trasformarsi, sul mercato, in una somma di denaro. E si lavorerà, necessariamente, sempre troppo. Mentre è sicuro che le nuove tecnologie possono servire parecchio per difendere il sistema capitalista contro le conseguenze di anomia del prodotto stesso - basta pensare al rapporto tra nanotecnologie e tecniche di monitoraggio - nessuna tecnologia può dispensarci dal compito di organizzare la nostra vita sociale in modo diverso. Non si va a battere il capitalismo sul terreno della tecnologia. Il filosofo tedesco Günther Anders aveva già parlato, ora è più di mezzo secolo, di "obsolescenza dell'uomo": l'immaginazione dell'uomo e la sua capacità di comprendere le conseguenze delle sue invenzioni non si evolvono alla stessa velocità dei dispositivi che crea. Anders non aveva ancora visto niente. Noi abbiamo a che fare con tecnologie che superano di molto la nostra capacità di immaginare concretamente il loro funzionamento e le loro conseguenze. Forse sarebbe meglio lasciar perdere i dispositivi che apparentemente non potremo mai padroneggiare. Invece, il nostro modo di vivere insieme, di produrre e distribuire prodotti, è qualcosa che è assolutamente alla nostra portata - ma sembra stranamente essere oltre il nostro potere, di quanto lo sia il nanosecondo o il superamento della velocità della luce ...

- Anselm Jappe -

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr

martedì 10 gennaio 2012

Orto di Guerra

lasventas2

Durante la guerra civile spagnola, si sa, Madrid era sotto i repubblicani. Però non si sa se quello che successe all'arena dove si svolgevano le corride sia stato solo un fatto conseguente alle necessità della guerra, oppure dovuto alla scarsa passione dei repubblicani per la corrida. Magari è stato un insieme di entrambe le cose.
Fatto sta che l'arena più importante del mondo, la Plaza de las Ventas, a quel tempo cominciò usata dapprima come magazzino poi come campo coltivato.
Il primo utilizzo - non poteva essere essere altrimenti in tempo di guerra - servì per lo stoccaggio di armi e di esplosivi. I gradoni del tempio della corrida si riempirono di armi e di munizioni. E fin qui niente di strano. Ma è assai curioso, invece, quello che ne fu l'utilizzo agricolo.
Las Ventas - praticamente, lo spazio dell'arena - divenne terra arabile, e si cominciò a produrre lattuga, indivia, cavoli, pomodori e perfino orzo.

lunedì 9 gennaio 2012

Usurpatori

exegesis

C'è una storia che viene raccontata e ri-raccontata, in molte forme diverse. E' la storia del re usurpatore e dello stolto, che poi è il vero re.

    "Un usurpatore è sul trono. Il re legittimo (che è anche più giovane) appare come un pazzo, un criminale, un folle; lui è misterioso. La sua natura e le sue origini sono incerte. Viene arrestato e processato. Interrogato dal vecchio re (l'usurpatore), viene accusato di un crimine che non ha commesso. L'epilogo cambia, a volte viene riconosciuto e riassume il trono, a volte viene ucciso. Il vecchio re canuto può essere il padre assassinato del giovane, venuto a reclamare legittimamente il suo trono; tornato a cercare giustizia per sé e punizione per l'usurpatore: il figlio posto sul trono. La storia è raccontata e ri-raccontata. Perché? Che cosa dovremmo imparare? Che il potere dominante in questo mondo è pretestuoso e illegittimo? Che il 're' non è mai in realtà il vero re? E che il 'pazzo' non è mai un pazzo o un criminale, ma è il vero re?
    Tutto quello che vediamo si oppone, esattamente a 180 gradi, alla verità. Il re apparente non solo non è il vero re, ma ha anche il potere reale: a dispetto delle apparenze il suo potere è illusorio. Tutto il potere vero appartiene al 'pazzo', che è il vero re. Tutto questo è una sorta di gioco - cui Amleto allude chiaramente. Il nostro scopo è quello di risolvere l'indovinello. Chi è il vero re? "

- Philip K. Dick, Esegesi. ed. Pamela Jackson e Jonathan Lethem - (Boston: Houghton Mifflin Company, 2011), 828.

sabato 7 gennaio 2012

Kitty e l’apatia

kitty2

Catherine Susan Genovese, più conosciuta come Kitty Genovese, aveva 28 anni il 31 marzo 1964, giorno in cui divenne tristemente famosa. Alle 3 del mattino, aveva appena finito il suo turno in uno dei bar di Manhattan e stava tornando a casa nel popolare quartiere di Queens, quando uno sconosciuto si avventò su di lei, accoltellandola due volte.
Il caso, viene riportato nei libri di storia del comportamento sociale a causa del fatto che passarono 35 interminabili minuti dall'aggressione, prima che intervenissero, sul posto, tanto la polizia, quanto i servizi sanitari di emergenza. Kitty, dopo aver ricevuto la prima coltellata da Winston Moseley, incominciò a gridare, implorando l'aiuto degli abitanti della zona che avevano cominciato ad affacciarsi alle finestre, a causa delle urla. Solo uno reagì, intimando all'aggressore di lascar stare la ragazza! Fu allora che Moseley - l'aggressore - si rifugiò in un vicolo vicino, per evitare di essere identificato, lasciando Kitty per terra, gravemente ferita.
Per tutto il quarto d'ora dopo l'attacco, e mentre Moseley rimaneva nascosto nel vicolo, nessun vicino scese in strada per soccorrerla. L'assassino, vedendo che nessuno si preoccupava di lei, tornò sul luogo dell'aggressione. Per tutti quei minuti, aveva avuto il tempo di andare alla sua automobile e cambiarsi. Nel frattempo, Kitty non aveva smesso di gridare, "Sto morendo! Sto morendo!"
Moseley si diresse verso la donna, le sollevò la gonna, le strappò le mutandine e la violentò, poi si impossessò di 49 dollari che la ragazza aveva nel portafogli e si allontanò, senza che nessuno facesse niente per fermarlo. Prima di andarsene, aveva inflitto alla sua vittima altre due coltellate, questa volta mortali.
Non fu possibile fare niente per salvare la vita di Kitty, che morì sull'ambulanza che la portava in ospedale. L'esame psichiatrico mostrò che Moseley era un necrofilo. Venne condannato a morte per omicidio. Rilasciò diverse interviste dal carcere, diventando una star dei media.
Due settimane dopo, il New York Times portò alla luce questo caso spaventoso, denunciando l'assoluta insensibilità dei vicini che non erano corsi in suo aiuto, né avevano chamato la polizia. Più tardi, verrà pubblicato un libro intitolato "38 testimoni: il caso Kitty Genovese". Secondo i dati dell'inchiesta, per mezz'ora nessuno fece niente, fino a quando Karl Ross, la prima persona che aveva fatto allontanare l'aggressore, non scese giù in strada per vedere cosa fosse successo. Come poi spiegato, aveva chiamato la polizia dopo molte discussioni. Prima, aveva contattato un amico nella contea di Nassau, per un consiglio sul chiamare o meno la polizia, e poi aveva chiamato. Non voleva essere coinvolto.
Questo caso venne studiato da diversi ricercatori in psicologia. La mancanza di reazione dei vicini di casa, venne definita dagli specialisti come un effetto della diffusione della responsabilità, o effetto spettatore, ma è diventata più nota come Sindrome Genovese. L'analisi più importante di questo fatto fu condotta dal Dr. John Darley e da Bibb Latane, i quali conclusero che, "contrariamente alle aspettative comuni, maggiore è il numero di spettatori che guarda qualcuno in pericolo, più è bassa la probabilità che qualcuno si assuma la responsabilità di fare il primo passo per aiutare quella persona."
Le ragioni addotte per raggiungere queste conclusioni includono il fatto che gli spettatori vedono che nemmeno gli altri stanno aiutando, credono che ci sarà qualcuno più qualificato per aiutare, e non sono sicuri di sapere come aiutare mentre altri stanno guardando. Il caso di Kitty Genovese divenne così un classico contenuto nei testi di psicologia sociale.
Molti percepiscono questo caso come un'evoluzione della cultura della violenza e dell'apatia nella società americana. Altri pensano che è stato gonfiato dalla stampa per vendere giornali e che sia stato un caso come tanti altri che si verificano ogni giorno nelle strade degli Stati Uniti.
La storia di Kitty Genovese è stato spesso usata nella cultura americana. Film, libri, canzoni e fumetti vi hanno alluso, in un modo o nell'altro.
Nel fumetto "Watchmen" di Alan Moore, Rorschach diventa un vigilante dopo aver assistito all'assassinio di Kitty Genovese.
Joan Baez ha scritto la sua canzone "In The Quiet Morning" ispirandosi al fatto.
Nel film "Halloween" (1978), il personaggio di Laurie Strode, che chiede aiuto mentre è inseguita dallo psicopatico Michael Myers e viene ignorata dai suoi vicini, si basa sul caso di Kitty.
Nel 1998, un musical di Broadway, dal titolo "Le grida di Kitty Genovese", ricostruisce le ultime ore della vita della ragazza.
Sono solo alcuni esempi dei molti riferimenti a questa storia che si possono trovare nella cultura americana.


fonte: http://sentadoenlatrebede.blogspot.com/

venerdì 6 gennaio 2012

E’ finita!

kurz

A partire dal 2008, non possiamo più ignorare che il sistema finanziario internazionale (o mondiale) è in crisi, che questa crisi dura al di là delle promesse di "regolamentazione" e al di là dei piani di rilancio e di austerità. Quanto tempo può durare? Fino a quando le popolazioni delle nazioni cosiddette più sviluppate e democratiche accetteranno di perdere sempre di più e di lavorare di più e più a lungo? Chi sono i portatori di un'alternativa di emancipazione? A queste domande e a molte altre, prova a rispondere il libro di Robert Kurz, "Vita e morte del capitalismo". Le sue 224 pagine sono la traduzione di 25 articoli recenti (2008-2010) pubblicati in giornali e riviste di diversi paesi (Germania, Brasile, Portogallo). L'autore, nato nel 1943, è uno dei teorici della corrente tedesca chiamata "critica del valore". Sulla base di una rilettura delle opere "tarde" di Marx (soprattutto "Il Capitale"), esprime una critica duplice: la prima vede il capitalismo - o meglio, il modo di socializzazione capitalista - nelle sue contraddizioni interne, mentre la seconda guarda alle idee sbagliate di una sinistra impotente, divisa tra tradizione marxista e post-modernismo. Propone soluzioni alternative, per sfuggire alla "barbarie" che potrebbe seguire alla morte (prossima?) Del capitalismo.
Affinché le riflessioni di Robert Kurz portino i loro frutti, bisogna essere disposti a prendersi il tempo per assimilare le categorie di "valore", di "lavoro astratto", di "sostanza di valore", di "plusvalore", e così via. L'appropriazione di questi concetti è facilitata dalla diversità di angolazioni da cui l'autore procede per analizzare le origini sistemiche della crisi, il ruolo del lavoro nel capitalismo, il significato che assume questa categoria, ecc.
Pertanto, l'analisi proposta dall'autore persegue più obiettivi: produrre uno schema che possa spiegare globalmente la sequenza di crisi finanziarie ed economiche che si sono succedute, per decenni, in tutto il mondo; fondare questo modello esplicativo sulla contraddizione centrale insita nel capitalismo e che è quella che nasce nella sfera del lavoro; riformulare i principi dell'azione politica odierna; e mostrare a quali condizioni socio-politiche, si possono stabilire delle alternative nelle società del 21° secolo.

Come dice il titolo del libro, dal punto di vista di Robert Kurz, il capitalismo sta arrivando al capolinea. Si tratta di un'autodistruzione: la sua stessa dinamica l'ha condotto, a partire dalla fine degli anni '70, ad entrare in una fase critica, il capitalismo consuma la sua propria sostanza, alla maniera di una malattia autoimmune. Se noi siamo arrivati a questo, spiega Kurz, è dovuto ad una combinazione di diversi fattori che compongono le varie sfaccettature di una sola realtà. La "terza rivoluzione industriale" basata sullo sviluppo della microelettronica ha permesso un tale livello di produttività che, da ora in avanti, "ha reso impossibile creare lo spazio necessario ad un'accumulazione reale". Più precisamente, alle contraddizioni "classiche" della circolazione del capitale (scarto crescente tra il consumo e la produzione di beni), si è recentemente aggiunta l'accentuazione della contraddizione tra una produttività che rende sempre più superflua "la forza-lavoro" e le condizioni di valorizzazione del capitale. Finora, solo l'indebitamento (pubblico e privato) e le bolle finanziarie hanno prolungato lo sviluppo economico. Questo sviluppo è però sempre più illusorio, come opportunità di creare "plusvalore" (profitto): il sistema distrugge più lavoro di quanto ne crea. Le recenti misure di "uscita dalla crisi" non risolvono nulla: la crisi dei crediti di Stato, a livello mondiale, in effetti, non fa che sostituire (o integrare) la crisi finanziaria.
La critica non deve, quindi, essere portata sulla  faccia visibile dell'attuale crisi globale - le derive del capitale finanziario - ma sui meccanismi essenziali del capitalismo, e in particolare su come il sistema, per sua natura stessa, si impadronisce del lavoro, facendogli drasticamente perdere una parte radicale di contenuto.
Il capitalismo può, in effetti, essere definito come un tipo di società il cui motore consiste nel ricercare continuamente di aumentare la produttività del lavoro umano. Ora, "una produttività che aumenta significa che una minor energia crea più prodotti materiali". Ciò perché, la produttività non accresce mai il valore, ma lo diminuisce sempre". Questo ragionamento non va fatto a livello di questa o di quell'altra impresa, ma sull'intera economia, tenendo conto degli effetti complessivi della concorrenza. In questa prospettiva, "lo stesso processo che riduce incessantemente la quota relativa di forza-lavoro (l'unica, a produrre valore) dentro il capitale totale, riduce anche il suo valore". Da un certo punto in poi, raggiunto proprio con la "terza rivoluzione industriale" (microelettronica), l'aumento della produttività è tale che "la quantità di manodopera utilizzata in modo produttivo si abbassa talmente da farecrollare la quantità assoluta di plusvalore". In altre parole, la causa profonda, durevole, della crisi mondiale, non sta tanto nell'avidità dei banchieri e dei "traders", quanto nel "nuovo irreversibile standard di produttività". Dall'inizio degli anni '80, infatti, "le nuove opportunità di razionalizzazione hanno eliminato mano d'opera dal processo produttivo come mai prima. Da qui, una disoccupazione di massa globale e una sottoccupazione sempre più crescente di ciclo in ciclo".
Certo, in apparenza, nella maggior parte dei paesi sviluppati ed emergenti, la disoccupazione di massa è stata a lungo contenuta. Ma si è trattato di un'altra illusione: per una parte importante, la limitazione della disoccupazione ha procurato il conseguente aumento dell'occupazione nei settori "non produttivi" - in una prospettiva capitalista - il cui finanziamento dipende, in larga misura, dall'accrescimento eccessivo del credito, il "capitale fittizio". Kurz individua tre tipi di aree corrispondenti a questi lavori: a) il settore finanziario, b) i cosiddetti servizi alla persona, dall'industria della pubblicità, all'informazione e all'industria dei media, dello sport e della cultura, c) ed Infine, "un'aristocrazia operaia nelle industrie di esportazione" (p. 97).La crisi condanna a scomparire la maggior parte di questi lavori fondati su delle bolle finanziarie.
Per comprendere la portata di queste tesi, bisogna soffermarsi sul significato della categoria di "lavoro astratto". Robert Kurz precisa che il lavoro astratto è un termine critico, puramente negativo, in quanto "astrazione reale della produzione concreta di beni. Attraverso il processo di produzione e circolazione del capitale, l'attività produttrice (...) si riduce al consumo astratto di energia umana (...) e in una totale indifferenza al contenuto concreto, a ciò che lavoro crea". Questo "lavoro astratto", che costituisce la "sostanza del capitale", a causa della concorrenza, è oggetto di un continuo sforzo di razionalizzazione, che porta a ridurne sempre più l'importanza (volume d'impiego, aumento dei tempi di lavoro, livelli salariali, ecc).
Un'altra originalità del pensiero di Kurz sta nel sottolineare che, né il neoliberismo, né le recenti misure "per uscire dalla crisi" (sempre più riforme), messe in opera in molti paesi, fondamentalmente non si oppongono al keynesismo. Certo, i bilanci sociali vengono ridotti in modo più o meno drastico e le politiche pubbliche oggi ridistribuiscono la ricchezza collettiva in senso inverso (dai più poveri ai più ricchi). Ma precisamente questo, conferma che l'azione dello Stato non ha mai smesso di sostenere la "crescita", vale a dire "la produzione di plusvalore": "il neoliberismo è più keynesiano di quanto abbia fatto credere ".
Infatti, da una parte, bisogna contare sull'importante "keynesismo degli armamenti, che ha guidato il flusso di capitale monetario eccedente verso il rifugio negli Stati Uniti" ed ha promosso una "economia di guerra permanente" imponendo inesorabilmente "l'armamento del resto del mondo". Da un'altra parte, si promuovono "orge di deregolamentazione e di privatizzazione" che hanno aperto la strada alla "economia della bolla finanziaria". Questo è stato dapprima vero per gli Stati Uniti, il cui debito è enorme. Poi, "si è innescato un circuito globale di deficit divenuto visibile negli anni '90", prima di raggiungere l'attuale "surriscaldamento".Quanto ai nuovi investimenti, "sono diventati inutili, e questo si vede chiaramente nell'eccesso di capacità globale di produzione (in particolare nel settore automobilistico) e nelle battaglie fra OPA speculative".
Inutile cercare, nel libro di Kurz, la fede nell'esistenza di una sorta di popolo eletto grazie al quale si potrebbe arrivare a fare la grande festa. "Non esiste sotto il capitalismo alcun gruppo sociale investito di una qualche predestinazione ontologica trascendente. Tutti i gruppi sociali sono preformati dal valore, e dunque costituiti in maniera capitalista". Il "soggetto" di una possibile "uscita" dal capitalismo, i titolari di una alternativa alla società, non sono dati a priori, ma si devono costruire man mano, andando avanti, senza steccati."
Kurz critica anche una parte della sinistra marxista che non solo manca il suo bersaglio - il nemico non è più il neoliberismo quanto il capitalismo di stato o il keynesismo - ma pensa di poter contare sui sindacati per riattualizzare la "configurazione fordista del lavoro astratto." Come ci si può aspettare qualsiasi azione di emancipazione da parte dei sindacati "abituati, non più a basare le loro rivendicazioni sui bisogni dei propri membri, ma a presentare tali bisogni al momento queste esigenze, come contributo al miglior funzionamento del sistema"?
Parimenti, vengono squalificati l'"anti-industrialismo", la "critica della crescita", l'"economia solidale", l'associazione di "piccole strutture cooperative": tutti questi progetti sono "assolutamente insignificanti" nella prospettiva di una messa in discussione totale di ciò che è alla base dello sviluppo capitalistico, delle sue dinamiche, di questa sua propensione a voler scompaginare sempre tutto. Il post-modernismo, con il livellamento che propone, con la sua fede nella "moltitudine" non ha speranza. Il "vero lavoro" della teoria e dell'azione politica è quello di rimettere in causa "uno sviluppo incontrollato basato sul criterio universalmente astratto della 'razionalità dell'economia aziendale'", e che minaccia di portare ad una "fuga in avanti irrazionale dentro la guerra mondiale". Uno dei volti probabili della barbarie, insiemme al terrorismo post-moderno neoreligioso.

giovedì 5 gennaio 2012

sin destino

blackthorn

"A volte penso che ci siano solo due momenti nella vita di un uomo. Uno, quando va via di casa, l'altro, quando ritorna, Tutto il resto è semplicemente... nel mezzo.". E così, Mateo Gil ha deciso di raccontare il secondo momento di Butch Cassidy, quello in cui decide di prendere il cavallo e tornare negli Stati Uniti, per vedere - prima di morire davvero - Ryan, il figlio di Etta Place, e cominciare una nuova vita. L'ultima!
Già, perché Butch Cassidy, come il western, non è affatto morto, ma ha vissuto per anni in Bolivia, facendosi chiamare Blackthorn , James Blackthorn.
Ma, il ritorno - come tutti i ritorni - non sarà facile e la strada, da subito, comincerà ad allungarglisi. Fantasmi vecchi e nuovi. lo intralceranno e lo aiuteranno, e una chitarra gli farà compagnia a cantare vecchie canzoni.
Un film bello e accecante. Accecante, come il deserto di sale che Butch/Sam Shepard dovrà attraversare per arrivare sulle montagne. Bello, come la Bolivia, dove ciascuno, alla fine, pagherà i propri debiti, ad un pugno di minatori, a sé stessi. Come l'ingegnere spagnolo, interpretato da Eduardo Noriega, come l'ex-Pinkerton, MacKinley, interpretto da uno Stephen Rea in stato di grazia. Come è, in stato di grazia, Sam Shepard mentre canta vecchie canzoni, l'ultima, mentre scorrono i titoli di coda, insieme a Noriega:

...Mi chiamo Sam Hall, Sam Hall
E vi odio tutti quanti
Dannati i vostri occhi ...


Il film, che con ogni probabilità non verrà mai doppiato e mai uscirà in Italia, può essere visto in streaming, con sottotitoli in italiano a:

http://www.ustream.tv/channel/3580115

oppure a:

http://www.videozer.com/video/bVuq8

o ve lo potete cercare sulla rete, da scaricare.

Blackthorn (Sin Destino)
durata: 92 min.
Diretto da Mateo Gil
interpretato da Sam Shepard, Stephen Rea, Nikolaj Coster-Waldau, Dominique McElligott, Eduardo Noriega, Padraic Delaney, Magaly Solier, Cristian Mercado, Daniel Aguirre, Luis Bredow.
Prodotto nel 2011 in Francia, USA, Spagna, Bolivia 
uscita originale: 01 luglio 2011 (Spagna)

mercoledì 4 gennaio 2012

Svalutation

svalutation

La corsa alla svalutazione

Una moneta forte che benefici di un alto tasso di cambio rispetto alle altre valute, è generalmente considerata come avente un segno di superiorità economica, mentre le valute cosiddette deboli sono le grandi perdenti del mercato globale. Tuttavia, questa regola ora sembra aver perso di credibilità. In tutto il mondo, ciascuno trema all'idea che la sua moneta nazionale possa diventare troppo forte. In Svizzera, la banca centrale è già intervenuta per limitare l'apprezzamento del franco nei confronti dell'euro. La stessa politica è adottata, nei confronti del dollaro, da parte delle banche centrali del Giappone e di molti altri stati, mentre i paesi emergenti, come il Brasile, stanno lottando disperatamente per evitare la rivalutazione delle loro monete. D'altra parte, gli economisti statunitensi ed europei sono tutt'altro che rattristati dalla tendenza al ribasso sperimentata dal dollaro e dall'euro, anche se un tempo avevano l'abitudine di vantarsi, con orgoglio, per la solidità delle loro monete. Tutto ciò assomiglia sempre di più ad una corsa alla svalutazione.
Questa situazione deriva dalla struttura, in pieno mutamento, del capitalismo di crisi. L'economia mondiale nella sua fase attuale funziona solo ad una bolla di credito dalle dimensioni surreali e grazie agli scambi internazionali che tale bolla genera. I paesi in surplus: Giappone, Cina, Germania, dipendono dalle loro esportazioni; i paesi in deficit dipendono dai flussi transnazionali di capitale monetario [Geldkapital]. In entrambi i casi, i limiti sono stati raggiunti. Ognuno sta ora cercando di risanare il suo bilancio commerciale a scapito degli altri, o cercando di preservare a tutti i costi il suo surplus di esportazioni, o cercando di conquistare, a sua volta, una quota maggiore di esportazioni. Ma le esportazioni sono economiche, e quindi più competitive, quando la valuta è debole - cosa che, al contrario, fa rincarare le importazioni. La corsa alla svalutazione rivela che si è fatta una croce sulla congiuntura economica interna
In zona euro, bisogna far fronte ad una situazione del tutto paradossale: i paesi in deficit non possono svalutare la loro moneta rispetto alla Germania (paese in surplus), a causa, naturalmente, della moneta comune. Inoltre, l'euro debole ha favorito le esportazioni tedesche verso il resto del mondo. Tuttavia, ciò costituisce un successo di breve durata, in quanto distrugge le sue proprie basi: è il rullo compressore delle esportazioni tedesche, che appiattisce l'euro. Il ritorno alla vecchie valute nazionali farebbe aumentare il debito dei paesi in deficit fino a fargli raggiungere proporzioni gigantesche e, allo stesso tempo, il marco tedesco, ritornando, si rivaluterebbe a tal punto da fermare la macchina delle esportazioni. In breve, il passaggio alla moneta unica è stato una missione suicida.
Per i paesi che beneficiano di una grande eccedenza di esportazione, una rivalutazione può non essere (temporaneamente) un problema, a patto che godano anche di un forte mercato interno e/o di una posizione di monopolio industriale. Questo fu il caso del Regno Unito, nel XIX secolo, e degli Stati Uniti nella metà del ventesimo, e questo ha permesso alle loro valute di assumere il ruolo di moneta internazionale. Ora che l'economia americana ha cominciato ad andare sotto, non siè presentato nessun candidato alla successione (certamente non la Cina). La drastica rivalutazione della moneta cinese, che avrebbe dovuto avvenire molto tempo fa, sarebbe la rovina per vasti settori di esportazione e, allo stesso tempo, svaluterebbe le enormi riserve di dollari del paese. Certo, nessuno può scambiare la sua posizione con quella di un altro, ma è chiaro che le esportazioni a senso unico, verso i paesi indebitati, sono ormai oggettivamente impossibili, e lo sono in modo permanente. Al di là della crisi dell'euro, la corsa alla svalutazione ha portato ad una crisi globale monetaria.

- Robert Kurz - 14 novembre 2011 su "Neues Deutschland" -