giovedì 27 dicembre 2012

la culla del gatto

vonnegut Dresden

Kurt Vonnegut assistette, come prigioniero di guerra, all'uccisione di migliaia di civili inermi, nella città di Dresda, durante i bombardamenti del 13 e del 15 febbraio del 1945, quando la Germania era oramai circondata e si sapeva che la guerra sarebbe finita di lì a poco. Per i tedeschi, la devastazione di Dresda fu un trauma che riuscirono a raccontare solo cinquant'anni dopo, quando W.G. Sebald pubblicò "Luftkrieg und Literatur", dove l'autore, nativo di Austerliz, pose fine al silenzio tedesco sulle vittime dei bombardamenti alleati, strappando le sue rivendicazioni alle minoranze di estrema destra. A vonnegut, invece, l'esperienza di Dresda lo spinse a diventare uno scrittore e gli diede anche l'argomento per uno dei suoi migliori romanzi, "Mattatoio n°5". Ma gli consegnò anche una visione pessimista del mondo che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni.
Ricorda Chesterton nella sua Autobiografia, il modo in cui apprese la differenza tra un riso sardonico ed il sarcasmo, per merito di un professore che gli fornì il seguente esempio: "Se fossi per strada, e dovessi scivolare nel fango, riderei di una risata sardonica; ma, se camminando per strada, dovessi vedere il preside di questa scuola scivolare nel fango, allora riderei di una risata sarcastica". Vonnegut, che riesce ad essere incredibilmente sarcastico, nei suoi libri, senza dubbio, non si è mai scordato del fatto che tutte le risate sono sardoniche, e che è sempre uno solo quello che scivola e cade nel fango. Meglio ancora, che è tutta l'umanità a cadere nel fango ogni volta che un preside scivola. Uno scrittore di fantascienza, Vonnegut (e questo rimarrà sempre, anche a suo proprio dispetto!), che a differenza di una buona parte dei suoi colleghi credeva che la scienza non fosse in grado di apportare niente di rilevante, all'umanità, salvo i mezzi perché questa si distruggesse da sé sola. Vonnegut vide la cosa più vicina alla fine del mondo che il ventesimo secolo ha conosciuto, e, a partire da quello, decise di mettersi a scrivere per cercare di far felice un'umanità che sapeva stesse aspettando la prossima opportunità di distruggersi, e che non meriterebbe altro che quel fine a cui tanto contribuisce. Un'umanità che non gli ispirava né rispetto né affetto.
Immaginò questa fine in molti modi, nelle sue opere, ma mai in una forma così esplicita come quella che mette in scena in "Ghiaccio Nove", forse il più pessimista dei suoi romanzi, scritto nel 1963. La prima edizione venderà solo 500 copie. Racconta la storia di uno scrittore che fa una ricerca su Felix Hoennikker, uno dei padri della bomba atomica, e di come questa indagine lo porti su un'isola caraibica. I personaggi più disparati si muovono tutt'intorno allo scrittore e allo scienziato disinteressato per le implicazioni morali del suo lavoro. Da una prostituta loquace ad un venditore di lapidi che sa esattamente cosa non funziona in questo mondo, al presidente di un'associazione di poeti e pittori a favore di una guerra nucleare immediata, un medico che pretende di salvare, sull'isola, tutte le vite che non aveva salvato ad Auschwitx, l'inventore di una religione disperata che trasmette i suoi insegnamenti sulle note del calypso, un nano, un gigante ... Nessuno ha a che fare con Hoennikker, tranne il nano ed il gigante che sono due dei suoi tre figli ed i depositari della sua ultima invenzione: il Ghiaccio 9. Una sostanza in gradi di porre fine alla vita sulla terra. E lo farà, inevitabilmente, solo per il fatto di essere stata inventata, e quindi utilizzata. Cosa, del resto, affermata nella realtà - non nel romanzo - dal generale di brigata Frederick L. Anderson che, interpellato sul perché alla fine della guerra l'aviazione alleata si fosse accanita sulla popolazione civile tedesca, rispose che le bombe sono "merce costosa" e non possono essere lanciate in campo aperto, dopo tutto il lavoro ed i soldi che sono costate per fabbricarle!

vonnegut cats_cradle_1

Il titolo originale del romanzo, "Cat's cradle"- la culla del gatto - si riferisce al gioco popolare di abilità che si fa con una cordicella, dove si suppone che, manipolando la cordicella, si possa creare una "culla per il gatto", solo che l'osservatore non vede mai nessuna culla, vede solo un groviglio di fili senza senso; che assomiglia parecchio al mondo.
"Mio padre" - dice un personaggio del libro allo scrittore - "ha bisogno di un libro che si possa leggere alle persone che stanno agonizzando, alle persone che soffrono molto dolore"

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