venerdì 30 novembre 2012

lettere e soldi

Hunter S. Thompson

Soldi, sempre soldi, l'ABC del denaro. Sono questo le lettere di Hunter Stockton Thompson. "Sono rovinato", oppure "Sono al verde", appaiono come le frasi più ricorrenti che questo giornalista, "gonzo", batte sui tasti della sua macchina da scrivere. Sono le sue preoccupazioni e il lato amaro del suo mestiere che fanno da contraltare agli argomenti, alle denunce, alle lotte e agli insulti che sparava con la sua 44 magnum di parole. Dentro la sua corrispondenza si annida tutta la fame, la miseria, il freddo, la guerra con il mondo dell'editoria, insieme ad una vita dissipata, all'alcol e alle droghe. Ma anche l'onestà e l'integrità di un giornalista compromesso solo con la sua scrittura e con i suoi principi.

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La belligeranza di Hunter diminuisce pian piano col tempo, forse un po' come succede a tutti. Il giornalista sportivo (1955-1967) è un uomo sensibile e con un enorme talento che spesso diventa verbosamente smisurato ed aggressivo. E' talmente sicuro di sé che indugia ad insultare il cielo, senza esitazione. La seconda parte della sua vita (1968-1976), quella segnata da un approccio più politico e dal compromesso con il pubblico, dalla sua candidatura a sceriffo, da quel "Freak Power" con cui intendeva unire forze e voti, dalla sua presenza abituale su Rolling Stone, Playboy, The Nation.
Eppure, in tutto questo, non cessò mai la sua lotta con il proprio conto corrente.
Hunter era un giornalista che guardava dentro sé stesso, per poter raccontare quello che succedeva fuori. Era un uomo cui i fatti importavano assai meno di quanto gli importasse dei suoi fantasmi. Era uno scrittore che guardava il mondo attraverso il vetro appannato del suo bicchiere di whiskey. La sua voce era scomoda, nella sua epoca d'oro quando gli Stati Uniti affondavano nel pantano vietnamita, illuminati dal sole malato del Watergate. Ci sono le lettere a Katharine Graham, proprietaria del Washington Post, in cui rifiuta un'offerta di lavoro. Era l'epoca in cui bisognava neutralizzare Nixon e la sua banda di tagliagole. "Era l'animale che doveva essere abbattuto", scrive, quando si riferisce al presidente destituito. Non va dimenticato che Hunter era fermamente contrario alla guerra in Vietnam, mentre era inviato a Saigon per Rolling Stone, dove cercava di intervistare il colonnello  Vo Dan Giang del Governo Rivoluzionario Provvisorio del Vietnam. Non ebbe mai risposta, al pari di scrittori della statura di Faulkner o Mailer.
L'epistolario di Hunter fotografa, in ogni lettera, la lotta dello scrittore per la sopravvivenza. Spesso i personaggi che compaiono nelle missive, sono del tutto effimeri. Altri non lo sono, come nella corrispondenza con Tom Wolfe, o con Jimmy Carter. O con Jim Silberman, il suo contatto con la casa editrice Random House. Con Wolfe mantiene una corrispondenza fluida, fatta di rispetto reciproco, sebbene in uno scambio, arriva ad attaccarlo per il "nuovo giornalismo" che questi avrebbe creato. Wolfe non cade nella trappola, e l'amicizia sembra abbia continuato.
Nel tempo, Hunter, si evolve e matura. Passa dall'insulto irrazionale all'insulto educato e prudente. Anche quando la lingua incandescente di questo giornalista picchiatore si infiamma ancor di più. Sono lettere di vomito e di stelle, come quando si legge della pace che lo pervade, mentre nell'alba attraversa a bracciate la piscina di un hotel. Dimentico della sua sopravvivenza.

giovedì 29 novembre 2012

Socialisti Immediati

caffepoeti

Quello che segue, è un estratto di un libro di memorie, uscito postumo, scritto dal linguista Roman Jakobson. "Budetlyanin Nauki", il titolo potrebbe essere tradotto come "Futurista della scienza", anche se l'edizione inglese si accontenta di un più canonico "Futurist Years" (Anni futuristi).

Era subito dopo la rivoluzione di ottobe (1917), ero andato a far visita a Elsa (Triolet) (1) a casa sua nei presso di Pyatnitskaya Street. Suggerii di recarci al Caffè dei Poeti (2)...
Il pubblico era molto vario. C'erano alcuni attuali ex-borghesi che ascoltavano le poesie di Vladimir Mayakovsky, "Mangia ananas, e mastica fagiani, più non ti resta, borghese, un domani!" C'erano alcune persone della strada che non sapevano niente della poesia, c'erano alcuni giovani curiosi. A quel tempo, avevano già cominciato ad apparire i residenti delle case e dei palazzi occupati - gli anarchici. Quella notte, improvvisamente era apparso un anarchico, indossava una sorta di strana uniforme, quasi militare, e aveva cominciato ad esibirsi. Diceva: "Qui vengono lette delle poesie, ma io vi voglio raccontare com'è che mi sono sposato." E cominciò a leggere, con grande tecnica narrativa, una tecnica quasi farsesca, un noto testo popolare che esiste fin dal 18° secolo in varie versioni, una derisione di un matrimonio patetico e di una patetica, brutta, povera e disgustosa moglie. Qualcosa di folcloristico sopravviveva dentro di me, e mi avvicinai a lui: "Mi piacerebbe molto registrarlo, dal momento che lo hai raccontato così bene." - "No, sono venuto qui solo per svago e per divertimento. Venite da me!" - "Dove si trova?" - Si chiama la Casa dei Socialisti Immediati". Volevo andare a visitarla, ma non riuscii mai a capitarci, e ben presto gli anarchici vennero sloggiati ...
Prima che finisse la notte, quando il pubblico era relativamente poco, arrivarono i cekisti a controllare i documenti, per rendersi conto di che genere di persone ci fossero. Non ricordo se i miei documenti non fossero validi, o se non avevo per niente documenti con me, fatto sta che cominciarono ad infastidirmi, quando intervennero, da un lato, (Vasily) Kamensky (3) - "Lui è il nostro uomo, lavora con noi" -   e dall'altro, particolarmente forte ed impressionante, il "futurista della vita" Vladimir Gol'tsshmidt - e così i cekisti se ne andarono. Gol'tsshmidt era un uomo terribilmente forte, e spaccava assi di legno con la testa, al Caffè dei Poeti ...
Nella primavera del 1918, David Burliuk(5) viveva in una casa anarchica - c'erano un bel po' di situazioni allora di persone che vivevano in case anarchiche. Erano palazzi, aristocratici oppure solo ricchi, espropriati ed occupati centimetro per centimetro. Volodya (Mayakovsky) mi disse che Burliuk utilizzava in un qualche modo le porcellane ed i cristalli (di quelle case). Inoltre, aveva dei fratelli arruolati nell'Armata Bianca.

- Roman Yakobson. Budetlyanin nauki -

NOTE:

1 - Elsa Triolet (1896-1970), francese di origine russa, combattente nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale.

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2 - Il Caffè dei Poeti venne aperto nell'autunno del 1917, all'angolo di Nastas'insky Lane con Tverskaya Street. I suoi clienti abituali erano anarchici. In tal proposito, Mayakovsky ricorda: "Molto spesso venivano gli anarchici. Avevano occupato l'edificio del un club di commercianti in Malaya Dmitrovka Street. Di tanto in tanto davano scandalo, cominciando a sparare. Gli anarchici, da parte loro, vedevano i futuristi come alleati, e il Giornale Futurista (Gazeta Futuristov), che venne pubblicato nel marzo 1918, era elencato come uno dei contatti anarchici sulla rivista Revolutionary Creativity (Revolyutsionnoye Tvorchestvo). La notte del 12 aprile 1918, la Ceka compì un raid contro gli anarchici moscoviti, e due giorni più tardi - non c'è dubbio sulla connessione - il Caffè dei Poeti venne chiuso".

3 - Vasily Kamensky (1884 - 1961) - poeta futurista russo ed aviatore.

4 - Vladimir Robertovich Gol'tsshmidt,"futurista della vita", uno degli organizzatori del Caffè dei Poeti, predicatore della filosofia della "salute e sole" . Il suo principale contributo alla storia dell'ambito futurista è stato la rottura di assi di legno sopra la sua testa .. sul palco della caffetteria. Gol'tsshmidt era strettamente collegato con gli anarchici. Dopo che il Caffè dei Poeti venne chiuso, andò a finire, come David Burljuk, in Estremo Oriente, l'ultima volta che venne visto era in Giappone.

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5 -  David Burljuk (1882 - 1967) - russo, pittore futurista e poeta. Le memorie di Jakobson gettano una nuova luce sulla partenza improvvisa di Burljuk da Mosca dopo il raid della Ceka contro anarchici nel mese di aprile 1918. Il fratello minore di Burljuk, Nikolay (nato nel 1890) fu arrestato dall'Armata Rossa nel dicembre del 1920 e condannato alla fucilazione. Venne giustiziato il 27 dicembre.

fonte: http://www.katesharpleylibrary.net

mercoledì 28 novembre 2012

Visionari

phobos_travels

I viaggi di Gulliver, vennero scritti da Jonathan Swift che li pubblicò nel 1726. In un passaggio del libro si parla delle due lune di Marte:
"Gli stessi, hanno scoperto due corpi celesti minori, o satelliti, in orbita attorno a Marte, dei quali il più vicino dista dal centro del pianeta primario esattamente la distanza equivalente a tre volte il diametro di questi, e il più lontano cinque volte; il primo compie una rivoluzione nello spazio della durata di dieci ore, mentre l'ultimo ci impiega ventuno ore e mezza; di modo che il quadrato dei loro tempi di percorrenza hanno la medesima proporzione dei cubi della loro distanza dal centro di Marte, cosa che evidentemente dimostra come siano sottomessi alla stessa identica legge di gravitazione che governa tutti i corpi celesti."

phobos_deimos

Undici anni più tardi, nel 1752, è Voltaire, nella sua opera Micromega, a riferirsi ai satelliti di Marte, scrivendo:
"Dopo aver lasciato Giove, coprirono una distanza di circa un centinaio di milioni di miglia, e si avvicinarono al pianeta Marte, il quale, come tutti sanno è cinque volte più piccolo del nostro globo, e videro le due lune che ruotano intorno a questo pianeta e che i nostri astronomi non sono stati ancora in grado di scoprire."
La cosa curiosa, di questi due testi, è che Phobos e Deimos, le due lune di Marte, non verranno scoperte fino al 1877, dall'astronomo Asaph Hall. Ovvero, 150 anni dopo che erano stati pubblicati i viaggi di Gulliver e 125 anni dopo che aveva visto la luce il racconto di Voltaire. Anche se, logicamente, Swift si riferiva ad alcune teorie del suo tempo, l'accuratezza dei dati da lui proposti è quantomeno incredibile.
Ah, piccolo omaggio è stato quello di chiamare i due più grandi crateri di Deimos, Swift e Voltaire.

martedì 27 novembre 2012

marmellata di albicocche

brooks
Tu hai portato pace ai miei ultimi anni. Per 69 anni sono stata praticamente alla ricerca di me stessa. E ora tu mi dici che io sono un mito. Che benedizione! D'ora in poi mi disintegrerò comodamente a letto con i miei libri, sigarette, caffè, pane, formaggio e marmellata di albicocche.
saluti -
Louise Brooks

Ramon

caraquemada

L'UOMO DEI BOSCHI
( Due versioni di una morte)
Sette agosto 1963. Da qualche parte dei Pirenei.

‘Hasta manana o hasta la eternidad’
(Frase con cui in KAOSENLARED si conclude un omaggio scritto in memoria del Caraquemada)

PRIMA VERSIONE

"Obbedendo a ordini superiori , il giorno 26 del corrente mese, nel luogo denominato ‘La Creu del Perellò’, all’incirca al tramonto del sole, lo scrivente si trovava in servizio di vigilanza con il fine di tentare la cattura dell’ignoto terrorista che il giorno 12 del mese in corso aveva fatto saltare un traliccio dell’alta tensione della linea di Rajadell.
Questo ‘appostamento’ era stato organizzato perché si riteneva che l’autore del sabotaggio, molto probabilmente, nella sua fuga verso la Francia, potesse passare attraverso il luogo di cui all’oggetto, in direzione della frontiera.
Lo scrivente faceva parte di un gruppo di tre militi, formato dallo stesso e dalle guardie Anadelio Adeva Sanz e Evangelista Fernandez Garcia, posizionati questi nella parte alta e a sinistra del sentiero.
Lo scrivente, tra le cinque e le sette del mattino del giorno stesso, udì il rumore di una persona che si avvicinava al punto dello stesso dove lui si trovava.
L’uomo camminava a passi molto lenti in direzione Suria- Balsareny e nonostante l’ora, lo scrivente poté osservare che detto individuo camminava, scrutando guardingo i margini del sentiero , portava sulle spalle un grosso zaino da montagna, e intanto teneva nella mano destra una rivoltella che risultava essere perfettamente distinguibile grazie al chiarore della luna che illuminava la radura attraverso la quale l’uomo stava transitando.
Malgrado fosse chiara la situazione di pericolo a cui lo scrivente risultava esposto, lo stesso adottò la precauzione dovuta, lasciando che il detto soggetto lo sorpassasse di quattro passi e a quel punto diede il comando regolamentare:
‘ Alto a la Guardia Civil ’.
La frase non poté essere terminata perché alla voce:
‘ Alto a la Guar…’, il terrorista iniziò a sparare con stupefacente rapidità, colpendo un sasso posto a meno di trenta centimetri dal dichiarante.
Per questo motivo e con rapidità il dichiarante rispose al fuoco con l’arma in dotazione. Vide che il sospettato era stato raggiunto dal secondo sparo ed era subito dopo caduto al suolo, rimanendo immobile, con le spalle appoggiate a un grande sasso che distava cinque metri da dove era posizionato lo scrivente.
Dopo pochi istanti e visto che l’individuo in questione non dava segno alcuno di vita, lo scrivente optò per inviare il suo ausiliario: Guardia Adeva Sanz alla fattoria  denominata ‘ Vilaiijana’ dove aveva sede il comando della Guardia."

Firmato (Firma illeggibile)

SECONDA VERSIONE

In questo modo,con la tipica prosa del rapporto militare, e con una firma volutamente illeggibile,veniva comunicata l’uccisione di Ramon Vila Capdevila ‘El Caraquemada’, alias ‘Paso Largo’, alias ‘Capitano Raymond’, alias Ramon Laugì Pons, alias Maroto, e probabilmente tante altre identità ancora.
Il realtà le cose andarono diversamente da come lo sconosciuto graduato della Guardia Civil aveva inteso comunicare con la fredda e regolamentare prosa burocratica.
Innanzitutto contro Ramon, che era stato segnalato dalla polizia confinaria della repubblica francese, era stata scatenata una caccia all’uomo che aveva impegnato più di duecento uomini della 231 Comandancia della Guardia Civil.
Non era stato dato nessun preavviso a quell’uomo di cinquantacinque anni che aveva passato gli ultimi ventiquattro anni della sua esistenza nella guerriglia.
Secondo l’esame autoptico contro Ramon venne esploso un colpo di fucile che penetrò nell’ascella sinistra per poi squarciargli entrambi i polmoni.
Nessuno gli si avvicinò dopo pochi secondi - nessuno osò - come era stato scritto. Infatti il Caraquemada fu colpito a mezzanotte e mezzo e morì alle sette del mattino, praticamente annegato nel suo stesso sangue.
Le Guardie Civil aspettarono che la flebile luce dell’alba gli illuminasse il viso e poi gli si avvicinarono, avanzando a ventaglio, i fucili puntati, perché Ramon faceva paura anche da morto.

caraquemada_muerto

L’unica foto che gli fu scattata , lo mostra  con la schiena appoggiata a un masso di granito. Ramon veste i panni pesanti e i grossi scarponi di chi è abituato a dormire all’aperto, in montagna, dove anche d’estate, di notte, fa freddo. Aveva una pistola Luger - sicura preda di guerra requisita a qualche ufficiale nazista - legata al polso destro da una cordicella, che ora giace abbandonata sul terreno. ‘El Caraquemada’ ha la bocca semiaperta di chi se ne è andato poco a poco. Ma non c’è nessuna espressione di terrore, o di sorpresa, sul suo viso.
Quando la notizia della morte di Ramon fu portata in tutti i paesi della Comarca di Berguedà, in molti si rifiutarono di credere che ‘El Caraquemada’ fosse stato effettivamente ucciso.
I pastori, i taglialegna e i contadini che vivevano nelle valli di quei Pirenei, che per tanti anni lui aveva ‘corso’, quando si incontravano nelle povere osterie dei paesi a mezzacosta, si sussurravano complici: "Vedrete, un giorno o l’altro arriverà il Maroto a sbugiardare questi impostori".
Ripetevano le stesse frasi che al Barrio Chino o nei caffè dell’angiporto, erano state pronunciate anni prima, quando erano stati ammazzati il ‘Quico’ e Facerias.
Purtroppo anche loro avrebbero dovutoo ricredersi, il Caraquemada era stato ucciso per davvero.
Allora, per ricordarlo, qualcuno rimasto sempre sconosciuto, compose una canzoncina che diceva:
"El Maroto és mort
l’han matat les caderneres"
Ramon Vila Capdevila, quell’uomo alto e robusto che viveva di nulla, che amava la solitudine e le montagne, anche lui come il ‘Quico’ venne interrato nella nuda terra, fuori dal camposanto di Sallent. Nel luogo riservato agli atei, agli apostati e a tutti i nemici della vera fede, senza alcun segno che potesse indicare dove lui fosse stato sepolto.
Sebbene si possa essere certi che a lui non sarebbe importato per niente, il prete del pueblo ostentò il negargli qualsiasi cerimonia religiosa, benedizione compresa.
Ironia della sorte: quando il cimitero venne ingrandito, i resti di Ramon rimasero all’interno delle mura benedette.
Poi sulla stessa vita del  Capdevila, come del resto su tutte quelle degli uomini del ‘maquis’, fu calata una coltre di silenzio.
Nessuno pareva ricordarsi di quell’uomo esperto di esplosivi che era stato uno dei più spericolati combattenti della resistenza in Francia, tanto da meritarsi per le sue azioni, la Legion d'Onore; e lui, antimilitarista convinto, l'aveva subito rifiutata.
Nessuno rammentava che lui era stato il migliore tra i tanti passeur che varcavano, avanti e indietro, i Pirenei, e che aveva portato personalmente in salvo, attraverso quelle montagne che tanto bene conosceva, centinaia di uomini e di donne. Intere famiglie di ebrei , piloti inglesi fuggiti dagli Stalag di Vichy, resistenti ricercati dalla Gestapo.
Nessuno scriveva di quando aveva fatto la guida per i gruppi da combattimento del ‘Quico’, di Facerias, di Marcelino Massana e di Liberto Sarrau.
Le sue avventure venivano sussurrate cautamente non appena cominciava a far sera, alla fioca luce di una lampadina, da quegli uomini - oramai diventati vecchi - che erano stati tanto giovani al tempo della Repubblica e della Rivoluzione.
Ma a volte la storia si ostina proprio a non morire. Il 7 ottobre del 1978, più di duemila tra uomini e donne, vecchie sopravvissuti a tutte le battaglie e alle repressioni, e giovani sindacalisti, si diedero appuntamento a Sallent per rendere omaggio alla memoria del ‘Caraquemada’.
Malgrado fossero passati più di quindici anni dalla sua morte, il governatore della Comarca negò l’autorizzazione allo svolgimento della cerimonia e la Guardia Civil , da parte sua, occupò in massa il ‘pueblo’.
Sembra impossibile, ma anche dopo quindici anni, il ‘Caraquemada’ continuava a far paura.
I suoi amici che erano ritornati da quell’eterno esilio che li aveva intristiti nell’anima, e fatto diventare loro bianchi i capelli, ma anche i tanti giovani lì convenuti, non se ne diedero per inteso e posero, e murarono. nel cimitero una lapide che ancora oggi lo ricorda.

caraquemada placa

Poi, un compagno pronunciò un breve discorso che finiva con la frase: ‘Ramon, che la terra ti sia lieve’. Alla fine, ancorarono, là nella radura dove il ‘Caraquemada’ era stato ucciso, una placca di vetro, con il suo nome e la data della sua morte.
Il vento d’inverno che scende dalla sierra, sembra quasi che continui a farla cantare.
Al ‘Maroto’ sarebbe piaciuta.

lunedì 26 novembre 2012

morale e caviglie

braccialetto
Questa foto del 2007 mostra l'attrice Lindsay Lohan che porta un braccialetto elettronico "Scram". Tale dispositivo misura continuamente il grado di etanolo contenuto nella traspirazione. Quando il soggetto beve, l'informazione viene automaticamente trasmessa alle autorità competenti, che possono intervenire immediatamente. L'attrice, anziché nasconderlo, lo mostra nella fotografia. La banalizzazione è evidente: il braccialetto alla caviglia è sullo stesso piano del dispositivo digitale color rosa metallizzato che ha in mano, degli occhiali da sole, della tavola bianca da surf. La banalizzazione è presente anche nello sguardo, nella cinica indifferenza mostrata. Non si legge odio, nemmeno l'aria di sfida del prigioniero che esibisce le proprie manette.
Non solo, il suo volto fa trasparire qualcosa oltre l'indifferenza: una quota di orgoglio, di fierezza. Lei, non solo "accetta" la sorveglianza elettronica, ma sembra addirittura trarne piacere. Al di là del clamore suscitato dalla provocazione, la sua postura ha una portata fondamentale. Mischia il braccialetto con dei simboli di piacere consumistico. Lindsay Lohan mostra che del braccialetto ne sta facendo un utilizzo di soddisfazione immediata del desiderio, come il mezzo più semplice e pragmatico per risolvere un problema. Senza dubbio, il braccialetto elettronico è la soluzione più efficace per lei ( e non solo per la società che gliel'ha imposto) per lottare contro il suo problema con l'alcol. E' anche un modo per mostrare che si trova "in riabilitazione", che ha avuto un passato torbido, ma che ha cominciato a trasformare la sua propria esistenza.
Quel che dimostra Lindsay Lahon, è che il braccialetto elettronico può essere utilizzato "in senso inverso". Da uno strumento di controllo sociale, simbolo di sorveglianza oppressiva, lei trae un'utilità di sviluppo personale, un accessorio che può utilizzare per migliorare la sua vita, un oggetto che le permette di soddisfare il desiderio di poter tornare alla normalità.
Il braccialetto è un mezzo per esternalizzare dei principi morali (che rimangono di solito a livello mentale) impiantandoseli letteralmente sul corpo. Un modo per rimpiazzare la propria volontà personale per mezzo di un dispositivo, di una protesi. In tal senso, è estremamente pratico. Lo scivolamento dello spirito verso la caviglia si accompagna ad uno spostamento della parte più nobile del corpo (il cervello) verso una parte bassa, accessoria, funzionale.
La disinvoltura mostrata rivela tale distacco. Come non sognare un mondo dove i principi morali, così incrostati dentro il cervello grazie a lunghi anni di educazione autoritaria e pressione sociale, possono essere indossati, con disinvoltura, alla caviglia?
Un alcolista, portando volontariamente un braccialetto del genere, piò dimostrare la sua sobrietà e così ricongiungersi a suoi congiunti. Un giocatore incallito, portando un braccialetto GPS, può provare che non entrerà mai più in un casinò, e riotterrà il suo lavoro. Un vecchio pedofilo può dimostrare che non si avvicinerà mai a delle scuole elementari. Un razzista, indossando una micro-cravatta con analisi vocale, può provare che non inciterà mai più all'odio razziale. Etc. Si potrebbe essere tentati di portarlo, anche senza mai essere stati alcolizzati, giocatori d'azzardo, pedofili o criminali, al fine di dimostrare che non lo si sarà mai! Portare con ostentazione un braccialetto si potrebbe trasformare in un segno positivo, che significa che accettiamo le regole della vita sociale, e ci conformiamo all'ordine sociale, facilitando che ci possano mandare in prigione se non siamo capaci di rispettare le regole.
Ma perché limitarsi solo a comportamenti che possono rientrare nel campo del penale? Un divorziato può dimostrare alla sua nuova ragazza che ha chiuso con il suo passato, e non si avvicinerà mai più alla casa della sua ex. Gli utilizzi possono essere infiniti. Un rivelatore di traspirazione che informa subito il vostro medico che non state facendo quello sport che vi ha prescritto. Insomma, un dispositivo di sorveglianza per ogni violazione di ciascun imperativo sociale. Potrebbe trasformarsi in una garanzia al fine di facilitare le relazioni umane con gli sconosciuti (dimostrando di essere inoffensivi) o con un probabile datore di lavoro. Chi porta su di sé un sistema di sorveglianza elettronica avrebbe subito un vantaggio sugli altri. La società si dividerebbe così in due gruppi: quelli che possono dimostrare che non infrangono le regole, e gli altri.
Si può arrivare a pensare che, in certi spazi pubblici, verranno lasciati entrare solo i primi. Un filtro per luoghi sensibili, come gli aeroporti, per esempio. I viaggiatori non esiteranno a dotarsene, pur di evitare ore di coda. Così, l'uso del braccialetto, anziché proibire l'accesso a certi luoghi, lo consentirebbe. Un inversione dell'utilizzo del dispositivo che non servirebbe a tenere a casa i criminali, ma a per permettere agli altri di accedere alla società.
L'ipotesi può sembrare assurda, ma c'è già una forma molto simile, e diffusa, di reclusione volontaria: le comunità chiuse.
Un'inversione, ad esempio, evidente in Sud Africa, dove, dopo la fine dell'apartheid, si sono moltiplicate tali comunità. Un ultimo tentativo di mantenere il vecchio ordine spaziale. Le barriere fisiche sostituiscono le barriere morali mancanti. Le comunità chiuse non limitano i propri occupanti, ma chiudono fuori gli altri.
Se si sviluppa la sorveglianza elettronica volontaria, essa permetterà di economizzare sulla segregazione spaziale, restituendo il limite morale all'individuo. La morale è tornata, e si porta alla caviglia!

fonte: http://laboratoireurbanismeinsurrectionnel.blogspot.it

domenica 25 novembre 2012

reticolati

filo-spinato
Il filo spinato, il primo dispositivo di "muro virtuale" è un prodigio, tanto economico quanto tecnologico: ad un costo di produzione minimo, permette la massima economia di un muro di pietra o di una palizzata di legno; anziché costruire la totalità di un muro di protezione o di fortificazione, il filo spinato permette di evitare la materia, il muro, per conservarne solo il minimo strettamente necessario del volume, un sottile scheletro metallico.
Simbolo universale della repressione, il filo spinato è l'esempio perfetto di una delle leggi del capitalismo: produrre in un tempo limitato, un massimo di ricchezza, con un minimo di risorse. Una legge che si accorda perfettamente a quella dell'esercizio del potere, dove uno degli obiettivi è quello di spendere il minimo di energia per produrre il massimo effetto di dominio.
Il filo spinato è stato, per più di un secolo un "operatore spaziale esemplare".
Al di là della sua funzione originale (recintare il bestiame), il filo spinato è diventato uno strumento militare e poliziesco. Così lo giudica il filosofo Olivier Razac: «Da semplice strumento agricolo, il filo spinato è divenuto l'elemento essenziale di un confine tra la vita e la morte ». Secondo Razac, il filo spinato apre la strada a dei dispositivi di controllo sempre più immateriali (video sorveglianza, tessere magnetiche, ecc.) e ad altri mezzi sempre più insidiosamente interattivi nell'utilizzo quotidiano.
Con brio, ci propone lo studio e l'accostamento di due oggetti, di natura assai differente e pressoché incomparabili, come il filo spinato ed il braccialetto elettronico. La storia del filo spinato e del suo utilizzo non è più solamente la storia di uno strumento agricolo per bestiame, divenuto il simbolo della barbarie totalitaria, ma è quella della tecnica del controllo dei corpi, di tutti i corpi, i cui effetti arrivano fino ad oggi: filo spinato e sorveglianza formano, perciò, un dispositivo unico dell'applicazione spaziale del potere. Tale unità è tanto più data dal fatto che le due cose non sono solo connesse fra loro, ma sono intrecciate ed inseparabili. Se lo sguardo vigila sul filo spinato, quello protegge a sua volta l'occhio scrutatore!
La sorveglianza si trova necessariamente dal lato positivo della barriera e non si può dire quale venga per prima - la torre di guardia o il recinto di filo spinato - perché la recinzione protegge la sorveglianza che a sua volta protegge la recinzione.
Più precisamente, la sorveglianza utilizza lo spazio conferitogli dalla barriera, per organizzare una risposta adeguata, e la barriera, a sua volta, si appoggia sulla velocità di reazione della sorveglianza. L'idea è quella di provocare un ritardo nell'aggressione del dispositivo, allo stesso tempo in cui si dà una risposta rapida ed efficace grazie alle informazioni fornite dalla sorveglianza. Visto nel suo funzionamento, il dispositivo filo spinato-sorveglianza è meno spaziale che temporale.
Il filo spinato sembra così dimostrare che i problemi moderni della gestione politica dello spazio possono essere risolti solo attraverso un allargamento della barriera che delimita e dell'intensificazione dell'azione che respinge. Per mezzo di un passaggio progressivo dalla fisica della chiusura all'ottica della sorveglianza, il controllo dello spazio di fa discreto ed interattivo. Si inverte il gioco delle visibilità.
Invece di rendere immobile un'enorme quantità di energia, sotto forma di torri e merlature, il potere moderno tende a costituire dei dispositivi che si possano muovere a piacimento, e che agiscono solo quando si rende necessario. Questa virtualizzazione non significa un minore controllo dello spazio. Al contrario, l'alleggerimento della presenza avviene a beneficio della capacità d'azione del potere, cioè a dire della sua potenza.
filospinato
L'invenzione del filo spinato è opera di un agricoltore dell'Illinois, Joseph Farwell Glidden, nel 1873. Tale invenzione corrispondeva alle nuove condizioni di allevamento nelle pianure dell'Ovest americano, alla fine degli spazi aperti e della pratica, fino a poco prima ammessa, della libera pastura, che era stata finora predominante. Alla sua funzione iniziale, di parcheggio del bestiame nella prateria, si aggiunge ben presto quella di creare e consolidare vasti territori chiusi; cosa che va di pari passo con l'etnocidio perpetrato ai danni delle popolazioni native, per i quali l'idea stessa di una proprietà precisa e delimitata della terra non aveva alcun senso. Va notato anche che questa delimitazione "fisica", e l'individualizzazione degli spazi, genererà dei conflitti fra gli stessi colonizzatori, sulla divisione e sull'utilizzo dei terreni così delimitati: un soggetto, argomento di molti film western.
L'invenzione interesserà, naturalmente, l'esercito, che la utilizzerà in maniera industriale durante la guerra civile americana. Non si tratterà più di parcheggiare del bestiame, ma dei prigionieri all'interno dei campi. E' qui che al muro di filo spinato, si andrà ad aggiungere la torre di guardia.
filospinato1
Il filo spinato sarà una caratteristica essenziale della prima guerra mondiale, una guerra che mira "ad esporre per più tempo possibile, l'attaccante, al fuoco delle linee dei tiratori trincerati e dei cannoni". Il filo spinato, disposto a reti, apparve come la miglior difesa, fino all'invenzione del carro armato, che rilanciò ben presto la guerra di movimento ed impose di scommettere sulla forza di nuovi materiali, come il cemento armato dei bunker.
Il filo spinato, però, aveva lo straordinario vantaggio di saper resistere ai bombardamenti ed al fuoco di artiglieria, mentre un muro di fortificazione crollava rapidamente, ed offriva trinceramento al nemico. Anche dislocata in modo parziale, la rete di filo spinato rimaneva un ostacolo, capace di rallentare l'avanzamento del nemico, esponendolo allo scoperto. Oltrepassare il proprio filo spinato, significava entrare nella terra di nessuno; il luogo dove gli uomini si trasformano in morti in proroga.
La rete di filo spinato è anche visibile da lontano. Solo i cadaveri, che il nemico vi lascia appesi, segnalano il filo spinato e indicano ciò che li attende, alla nuova ondata di attaccanti. L'effetto demoralizzante è tale che molti uomini si sono fatti uccidere solo per andare a recuperare i corpi dei loro camerati, rimasti a seccare sui fili, come insetti nella rete di un ragno.
filospinato2
L'immagine più terrificante del filo spinato, è quella che si associa ai campi di concentramento nazisti, quella che si associa a quei muri elettrificati fatti di filo spinato, controllati dalle guardie sulle torrette.

fonte: http://laboratoireurbanismeinsurrectionnel.blogspot.it

Passa il sale!

deriddax

sabato 24 novembre 2012

disvelamento precoce

tarnac

Il caso Tarnac, il segreto meglio custodito
di Giorgio Agamben, filosofo, e di Yildune Lévy, rinviata a giudizio per il caso Tarnac

Era il febbraio del 2011, quando apparve la prima breve notizia sul tema: "E' da tempo il segreto meglio custodito, quello del "caso di Tarnac": un agente britannico, infiltrato nel cuore dei movimenti alter-mondialisti ed ambientalisti europei, ha avuto un ruolo importante in questa inchiesta"  (L'Express). La notizia è rimasta a lungo senza seguito. Gli scandali non si importano come si importa qualsiasi altra merce. La loro nascita deve troppo alla conformazione morale dei paesi dove scoppiano. "Il caso Mark Kennedy", in Inghilterra, ha tenuto banco sulla stampa e sui media per dei mesi. Ed ha portato alla dissoluzione dell'unità d'élite dei servizi segreti per cui lavorava, all'innesco di una serie di inchieste sui metodi d'infiltrazione della polizia inglese, alle dimissioni di un procuratore, al non luogo a procedere per tutti i procedimenti che implicavano più o meno direttamente Mark Kennedy, ed anche all'annullamento di sentenze passate in giudicato.
Ma il fondo dello scandalo era etico: investiva l'incompatibilità dello stupro e del lucro con l'ethos puritano inglese. Si può, nel contesto del proprio lavoro di ufficiale dell'intelligence, andare a letto con decine di giovani affascinanti anarchiche? Si possono spendere più di due milioni di euro, nel corso di sette anni, per finanziare le serate techno, il beveraggio, le vacanze, gli orologi-spia da settemila euro l'uno, da parte di un James Bond con piercing e tatuaggi anarchici, e tutto per ottenere qualche informazione sull'attività di ecologisti radicali, di antifascisti, di militanti contro la globalizzazione? La sensibilità nazionale ha risposto, senza esitazione, no, a queste domande inutili. Da qui, l'ampiezza e la durata dello scandalo. In Germania, dove si trova, sembra piuttosto che la questione delle procedure e del suolo nazionale, il caso Mark Kennedy verta piuttosto sulla legalità o meno dell'utilizzo di un agente straniero sul territorio tedesco.
Dal caso Tarnac, si possono trarre più conclusioni, tutte egualmente scandalose, ma la più significativa, politicamente, è quella che parte da Mark Kennedy: perché è lui quello che ci dice di più sugli arcani del nostro tempo. Mark Kennedy lavorava ufficialmente per la National Public Order Intelligence Unit, un servizio di intelligence britannico, creato nel 1999 al fine di combattere il ritorno della contestazione ecologica ed anti-globalizzazione nel Regno Unito.
L'impiego massiccio di agenti infiltrati in questi movimenti, traduce "sul territorio" il lancio di una nuova dottrina poliziesca che, in inglese, viene chiamata "intelligence-led policing"; che tradotto vorrebbe dire qualcosa del tipo "disvelamento precoce". E' stato negli anni 2000 che il Regno Unito si è impegnato, per mezzo della sua presidenza dell'Unione europea, a diffonderla, e a farla adottare dai suoi partner europei; cosa che le autorità britanniche sono riuscite a fare. Con la dottrina, c'è anche un insieme di servizi, di tecniche e di informazioni che possono essere scambiati e venduti ai partner in questione.

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Per esempio, delle "informazioni" venute fuori dalla fertile immaginazione di Mark Kennedy. La nuova dottrina poliziesca afferma: l'impegno politico, quando oltrepassa l'evento inoffensivo della manifestazione o dell'interpello dei "dirigenti", esce dal dominio democratico per entrare in quello criminale, nel "pre-terrorismo". Coloro che sono suscettibili di uscire da questo quadro possono essere identificati in anticipo. Piuttosto che attendere che commettano un crimine, come occupare una centrale al carbone o bloccare un summit europeo o un G8, basta arrestarli ancor prima del progetto, perfino suscitando il progetto.
Le tecniche di sorveglianza umana, come l'elettronica a disposizione, devono essere sufficientemente estese, sofisticate e condivise. E dal momento che queste tecniche "preventive" sono giudicate scarsamente compatibili con l'ordine reputato democratico, bisogna organizzarle a margine e fuori di esso. Ed è del tutto franco, quello che risponde il capo del BKA tedesco (equivalente locale della direzione centrale dell'intelligence interno, DCRI) quando una commissione di inchiesta parlamentare gli notifica un'interrogazione sul caso Kennedy: "Contro gli euro-anarchici, contro coloro che si organizzano a livello cospirativo ed internazionale, dobbiamo organizzarci anche noi in modo cospirativo e del tutto internazionale".
"Bisogna agire come partigiani, ovunque ci siano partigiani" , diceva Napoleone, in una frase che Carl Schmitt amava tanto citare.
Non c'è dubbio che per la gente di Tarnac i guai sono cominciati con le informazioni, fabbricate da alcuni, poi volontariamente gonfiate da altri, che provenivano da Mark Kennedy: lui doveva giustificare il suo stipendio, ed i suoi superiori, i loro crediti.
Delle reti franco-tedesche, nell'ombra, dovevano assicurare le loro trasmissioni di informazioni, discretamente, alla DCRI, che così si è trovata coinvolta molto più di quelli di Tarnac. E' questo il vero significato, ed il vero scandalo, del caso Tarnac. Quello che si nasconde dietro l'apparenza di un fiasco giudiziario francese, è la costituzione di un complotto poliziesco mondiale rivendicato, di cui Mark Kennedy, ufficialmente attivo in undici paesi, dall'Europa agli Stati Uniti, passando per l'Islanda, non è finora che il pezzo più famoso.
Come sempre, la prosa poliziesca contiene delle verità solo a condizione di invertirla, termine dopo termine. Quando la polizia dice che "gli euro-anarchici stanno cercando di tessere una rete pre-terrorista europea per attaccare le istituzioni", bisogna evidentemente leggere che "noi, poliziotti, stiamo cercando di raddoppiare le istituzioni per creare una vasta organizzazione europea informale al fine di attaccare i movimenti che ci sfuggono". Il ministro degli interni, Manuel Valls, ha dichiarato a Roma che, di fronte ai "processi di radicalizzazione in numerosi paesi", bisogna accentuare la collaborazione in senso all'Interpol contro le "forme di violenza provenienti dall'ultra-sinistra, dai movimenti anarchici o autonomi".
Ora, quello che sta accadendo in questo momento in Europa, in Spagna, in Portogallo, in Grecia, in Italia, nel Regno Unito, non è lo spuntare improvviso, dal niente, di gruppi radicali venuti a minacciare la quiete della "popolazione", ma accade che sono le popolazioni stesse che si radicalizzano davanti all'evidente scandalo dato dall'ordine presente delle cose. Il solo torto di quelli che, come la gente di Tarnac, sono emersi dal movimento anti-globalizzazione e dalla lotta contro la devastazione del mondo, è quello di aver dato un segnale precoce di una presa di coscienza oramai generale.
Da come vanno le cose, può anche essere che un giorno il rifiuto dell'identificazione biometrica, alle frontiere come per la strada, divenga una pratica diffusa. Quello che costituisce la minaccia più grave per la vita delle persone, non sono i chimerici "gruppi terroristi", ma l'organizzazione effettiva della sovranità poliziesca a livello mondiale, ed i suoi sporchi trucchi. La storia ci ricorda come gli intrighi dell'Okhrana, la polizia segreta della Russia, non hanno portato fortuna al regime zarista.
"Non c'è potere al mondo che possa arginare la marea rivoluzionaria quando sale, e tutte le polizie del mondo, quale che sia il loro machiavellismo, la loro scienza ed i loro crimini, sono pressoché impotenti", annotava lo scrittore Victor Serge. E dava anche quel consiglio di cui tutti i rivoluzionari dovrebbero far tesoro, a proposito della repressione, nel 1926: "Se l'accusa si basa su un falso, non indignarsi: lasciate che si impantani prima che si riduca a niente".

Giorgio Agamben, filosofo, e Yildune Lévy, rinviata a giudizio per il caso Tarnac

Omerica

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"Sulla parte sinistra della foto si vedono dei poliziotti in assetto antisommossa, hanno i caschi blu con le visiere calate, gli scudi, i manganelli, gli anfibi ai piedi; sono aggruppati insieme, saranno una quindicina, poco più, e spingono. Uno è caduto, è per terra, ha perso il casco, si vedono i suoi occhi, c’è incredulità e smarrimento. Sulla parte destra della foto ci sono dei giovani, con scarpe da ginnastica, jeans, giubbotti, caschi da moto, e scudi formati da policarbonato e gommapiuma; si tengono uno con l’altro, quelli più dietro hanno le mani sulle spalle e sui fianchi di quelli più avanti e resistono, saranno una dozzina, poco più. Respingono l’impatto e spingono a loro volta, perché gli altri arretrino. Tra i due gruppi non c’è spazio, spiraglio, un lume d’aria e luce, il poliziotto a terra non ha modo di rialzarsi. Il corpo a corpo è ravvicinato e il cozzo si intuisce violento benché non fragoroso, si avvertono i muscoli tesi, la forza. È un’immagine della giornata del 14 novembre, un primo momento della carica della polizia dopo un lancio di oggetti da parte dei manifestanti; il gruppo di giovani cerca di fare argine, di dare tempo agli altri loro compagni di scappare, di trovare altre postazioni e un modo per resistere, tra poco irromperanno centinaia di agenti, la sproporzione e l’asimmetria saranno eccessive e sarà la fuga verso via Arenula. È un’immagine bellissima, senza tempo: un racconto omerico, il campo di battaglia di Kurukshetra del Mahabharata, la battaglia di Anghiari ritrovata, senza animali morenti e spade e sangue. Senza animali morenti e spade e sangue.
Non c’entra nulla l’estetica – la violenza non è mai estetica, dirò anche questo –, quell’immagine è bellissima perché è squisitamente politica, perché è fondativa."

Lanfranco Caminiti - da "L’uso della forza non può essere un monopolio di Stato"

venerdì 23 novembre 2012

Scienziati e Ignoranti

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Foucault su Verne

Nei romanzi di Jules Verne lo scienziato è una figura marginale. Non è a lui che capita l'avventura, per lo meno non ne è l'eroe principale. Formula delle teorie, dispiega un sapere, enuncia le possibilità e i limiti, osserva i risultati, attende con calma di constatare che ha detto la verità, che il sapere, eleggendo in lui la propria sede, non è ingannato. Maston ha fatto tutti i calcoli ma non è lui ad andare sulla luna, a sparare il cannone del Kilimangiaro. Cilindro registratore, svolge un sapere già costituito, obbedisce agli impulsi, funziona da solo nel segreto del suo automatismo e produce dei risultati. Lo scienziato non fa scoperte, ma è colui in cui è registrato il sapere, vuoto almagesto di una scienza che si elabora altrove. In Hector Servadac lo scienziato non è che una stele epigrafica: non per nulla si chiama Palmyrin Rosette.
Lo scienziato di Jules Verne è un semplice intermediario. Matematico, misura moltiplica e divide (come Maston o Rosette); tecnico puro, utilizza e costruisce (come Schultze o Camaret). É un homo calculator, nient'altro che un meticoloso «2пR». Perciò è distratto, non solo di quella sbadataggine che la tradizione attribuisce agli scienziati, ma di una distrazione più profonda: estraneo al mondo e all'avventura, egli aritmetizza, estraneo al sapere inventivo, egli lo cifra e lo decifra. Questo lo espone a tutte le distrazioni accidentali che il suo essere profondamente astratto manifesta. Lo scienziato è sempre dalla parte del difetto. Nei casi peggiori, incarna il male (Face au drapeau); o lo rende possibile senza volerlo né vederlo (Mission Barsac); oppure è un esiliato (Robert); oppure un innocuo maniaco (come gli artiglieri del Gun-Club); oppure, se è simpatico e quasi un eroe positivo, proprio dai suoi calcoli sorge una complicazione (Maston sbaglia ricopiando le misure della Terra). Comunque lo scienziato è colui a cui manca qualcosa (basti ricordare il cranio lesionato e il braccio artificiale del segretario del Gun-Club). Di qui un principio generale: scienza e difetto sono legati; c'è un rapporto proporzionale: meno lo scienziato sbaglia, e più è malvagio, o pazzo, o fuori del mondo (Camaret); più è un personaggio positivo, e più sbaglia (Maston, come suggerisce il nome e come il racconto lo raffigura, è un condensato di errori: si è sbagliato sulle masse , quando si è messo a cercare in fondo al mare il proiettile fluttuante, e sulle tonnellate quando ha voluto calcolare il peso della terra). La scienza parla solo in uno spazio vuoto.

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Nei confronti dello scienziato, l'eroe positivo è l'ignoranza fatta persona. In alcuni casi (Michel Ardan) entra nell'avventura autorizzata dalla scienza, e se penetra nello spazio riservato al calcolo, lo fa quasi per gioco: vuole vedere. Altre volte viene intrappolato senza volerlo. Certo, nel susseguirsi degli episodi, impara; ma il suo ruolo non è mai quello di acquisire il sapere per diventarne a sua volta padrone e detentore. Semplice testimonio, è lì per raccontare ciò che ha visto; oppure ha la funzione di distruggere e cancellare finanche le tracce del sapere infernale (è il caso di Jane Buxton in La mission Barsac). E, a ben guardare, le due funzioni collimano: in entrambi i casi si tratta di ridurre la (favolosa) realtà alla pura (e fittizia) verità di un racconto. Occorre sottolineare che in generale i grandi calcolatori di Jules Verne si impongono o ricevono un compito assai preciso: impedire che il mondo si fermi per effetto d'un equilibrio che gli sarebbe fatale; ritrovare fonti d'energia, scoprire il fuoco centrale, prevedere una colonizzazione planetaria, sfuggire alla monotonia del regno umano. Si tratta insomma di lottare contro l'entropia. Di qui (se si passa dal livello della favola a quello della tematica), l'ostinato ricorrere di avventure legate al caldo e al freddo, al ghiaccio e al vulcano, ai pianeti in fiamme e agli astri spenti, alle vette e agli abissi, all'energia propellente e al moto che si esaurisce. Incessantemente, contro il mondo più probabile — mondo neutro, bianco, omogeneo, anonimo — il calcolatore (geniale, pazzo, cattivo o distratto) permette di scoprire un fuoco ardente che assicura lo squilibrio garantendo il mondo dalla morte. Il difetto insito in chi calcola, l'intoppo che la sua follia o il suo errore introducono sulla grande superficie del sapere, precipitano la verità nel favoloso avvenimento in cui essa diventa visibile, in cui le energie si effondono di nuovo a profusione, in cui il mondo è restituito a una nuova giovinezza e in cui, tutti gli ardori fiammeggiano illuminando la notte. Fino all’istante (infinitamente vicino al primo) in cui l’errore si dissipa, in cui la follia sopprime se stessa, in cui la verità è restituita al suo troppo ovvio susseguirsi, al suo indistinto brusio.

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Risulta evidente la coerenza trea i modi della finzione, le forme della favola e il contenuto del temi. Il grande gioco d'ombre che si svolgeva dietro la favola era la lotta tra la probabilità neutra del discorso scientifico (questa voce anonima, monocorde, senza asperità, proveniente chissà da dove, che si inseriva nella finzione imponendole la certezza della propria verità) e la nascita, il trionfo e la morte del discorsi improbabili in cui andavano profilandosi, per poi sparire, le figure della favola. Contro le verità scientifiche interrompendone la gelida voce, i discorsi della finzione tendevano continuamente a risalire verso l'improbabilità assoluta. Sotto questo mormorio monotono che annunciava la fine del mondo essi facevano scaturire l'ardore asimmetrico del fortuito, dell'inverosimile caso, dell'impaziente “irragione”. I romanzi di Jules Verne sono la «negentropia» del sapere. Non la scienza diventata ricreativa; ma la ricreazione partendo dal discorso uniforme della scienza (…) I temi e la favola dei racconti di Jules Verne li apparentano ai romanzi di «iniziazione» o di «formazione». Ma da questi la finzione li differenzia radicalmente. (...)
I Viaggi di Jules Verne obbediscono a una legge diametralmente opposta: una verità si manifesta, con sue leggi autonome, dinnanzi agli occhi stupidi degli ignoranti, e disincantati di chi detiene il sapere. Questa nuda tovaglia, questo discorso primo di soggetto parlante sarebbe rimasto chiuso nel suo essenziale ritiro, se la condizione anomala dello scienziato (il suo difetto, la sua malvagità, la sua distrazione, lo strappo che forma nel tessuto sociale) non l'avesse spinto a mostrarsi. Grazie a questa sottile fessura i personaggi possono attraversare un mondo di verità che rimane indifferente, richiudendosi in se stesso non appena sono passati. Quando tornano hanno indubbiamente visto e imparato, ma nessun mutamento si è prodotto sulla faccia della terra e nel profondo del loro essere. L'avventura non ha lasciato cicatrici. E lo scienziato «distratto» torna nel ritiro essenziale del sapere: «Per volontà del suo autore, l'opera di Camaret era andata interamente distrutta e niente avrebbe trasmesso alle età future il nome del geniale e pazzo inventore». Le varie voci della finzione vengono riassorbite nel mormorio amorfo della scienza, e il moto ondeggiante del più probabile copre con la sua sabbia infinita i rilievi del più improbabile. E questo fino alla probabile scomparsa e ricomparsa di tutta la scienza, che Jules Verne nell'imminenza della morte, promette nell'Eternel Adam.

Michel Foucault, "La tecnica narrativa di Jules Verne" da "Il giro del mondo in ottanta giorni", Einaudi 1966

giovedì 22 novembre 2012

Ti lamenti? Ma che ti lamenti? …

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Orari più flessibili, telecamere in fabbrica e in ufficio, più salario in relazione alle performance. Sono alcuni dei punti dell’accordo di produttività, raggiunto da governo e parti sociali, ad eccezione della Cgil. Susanna Camusso ha ribadito la sua contrarietà verso un “testo sbagliato”, che “ridurrà i salari”. Dispiaciuto il governo. “Le motivazioni oggettivamente non tengono”, ha detto il ministro Corrado Passera.

I punti chiave su cui si basa l’accordo sono il rafforzamento della contrattazione di secondo livello e gli sgravi fiscali per il salario di produttività.

In concreto, per i lavoratori arriveranno cambiamenti su orari e qualifiche. Possibile il demansionamento, ma non unilaterale, con decurtazione dello stipendio e, per quanto riguarda i turni, una ridefinizione della loro distribuzione anche con modelli flessibili. Il demansionamento e la flessibilità dei turni sono due nuovi istituti contrattuali che potranno essere introdotti solo facendo ricorso alla contrattazione collettiva. Contrattazione collettiva anche “per le modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie”, ovvero la possibilità di introdurre la video sorveglianza sui luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda la riduzione del cuneo fiscale, sono in arrivo sgravi sui redditi fino a 40 mila euro annui lordi. Le parti sociali “sono consapevoli degli effetti che la contrattazione collettiva, in particolare al secondo livello, può esercitare sulla crescita della produttività” e “convengono sulla necessità di condividere col governo i criteri di applicazione degli sgravi fiscali e contributivi” per il salario di produttività.

Viene poi stabilito il doppio livello di contrattazione. Verrà depotenziato il contratto nazionale e saranno rafforzati quelli di secondo livello. In pratica le parti sociali potranno scegliere di quale secondo livello discutere: o territoriale o aziendale.

Entro il 31 dicembre 2012, la materia della rappresentanza sindacale “sarà disciplinata per consentire il rapido avvio della procedura per la misurazione della rappresentanza nei settori di applicazione dei contratti nazionali, in attuazione dei principi contenuti nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Le intese dovranno prevedere “disposizioni efficaci per garantire l’effettività e l’esigibilità delle intese sottoscritte, il rispetto delle clausole di tregua sindacale, di prevenzione e risoluzione delle controversie collettive, le regole per prevenire i conflitti, non escludendo meccanismi sanzionatori per le organizzazioni inadempienti”.

fonte: TMnews

Miserabile!

miserabile

Era il 1834, quando Jarm Logue rubò il cavallo del suo padrone e riuscì a scappare, sfuggendo ad una vita di schiavitù, nella quale era nato 21 anni prima. Purtroppo, sua madre, suo fratello e sua sorella rimasero schiavi. Ventisei anni più tardi, quando oramai Jarm era sistemato a New York - dove, dopo aver cambiato il suo nome in Jermain Wesley Loguen, aveva aperto diverse scuole per i bambine neri e si era fatto una famiglia, diventando un predicatore ed un famoso abolizionista, aveva anche pubblicato un'autobiografia - ricevette una lettera dalla moglie del suo vecchio padrone, nella quale lei gli chiedeva la somma di di mille dollari.
Ecco la lettera e, a seguire, la risposta furiosa di Logue.

Maury Co., Stato del Tennessee,
20 febbraio 1860.
Per JARM: -

Ho preso la penna per scrivere poche righe, per farti sapere che stiamo tutti bene. Io sono storpia, ma ancora in grado di muovermi. Il resto della famiglia sta bene. Cherry sta bene come sempre. Ti scrivo queste righe per farti sapere la situazione in cui ci troviamo - in parte come conseguenza della tua fuga del furto di Old Rock, la nostra bella cavalla che hai rubato. Anche se abbiamo recuperato la cavalla, lei non valeva più molto dopo che tu l'hai presa; e dal momento che abbiamo bisogno di alcuni fondi, avevo deciso di venderti, ed avevo ricevuto un'offerta, ma non ho ritenuto conveniente accettarla. Se mi manderai mille dollari per pagare la vecchia giumenta, rinuncerò ad ogni pretesa su di te. Scrivimi più presto che puoi, non appena leggerai queste righe, e fammi sapere se accetti la mia proposta. Come conseguenza della tua fuga, abbiamo dovuto vendere Abe ed Ann e dodici acri di terra; e voglio che tu mi mandi i soldi così potrò essere in grado di riscattare la terra che tu ci hai costretto a vendere, e quando riceverò la somma summenzionata, ti invierò la fattura della tua vendita. Se non acconsentirai alla mia richiesta, ti manderò qualcun altro, e puoi stare sicuro che non ci vorrà molto tempo perché per te le cose cambino. Scrivimi non appena ricevi queste righe. Indirizza la lettera a Bigbyville, Maury Count, Tennessee. Faresti meglio a soddisfare la mia richiesta.

Capisco che sei un predicatore. Dal momento che la gente del sud sta così male, sarebbe meglio per te venire a predicare alle tue vecchie conoscenze. Mi piacerebbe sapere se hai letto la Bibbia? Se è così puoi dirmi che cosa ne sarà del ladro che non si pente? e, se il cieco guida un altro cieco, quali saranno le conseguenze? Ritengo che non sia necessario aggiungere altro al momento. Al saggio è sufficiente una parola. Sai qual è il ruolo del bugiardo. Ti abbiamo allevato come abbiamo allevato i nostri figli; che non abbiamo mai abusato di te, e che poco prima di scappare, quando il tuo padrone ti aveva chiesto se ti sarebbe piaciuto essere venduto, avevi detto che non lo avresti mai lasciato e non saresti mai andato con nessuno.

Sarah Logue

_____________________________________________________________________________ Syracuse, N.Y., 28 marzo 1860.
MRS. SARAH LOGUE: -

Ho debitamente ricevuto la Tua del 20 febbraio, e te ne ringrazio. Da molto tempo mi chiedevo della mia povera vecchia madre, e sono felice di sapere che lei è ancora viva, e, come dici, "bene come al solito". Cosa questo significhi io non lo so. Vorrei che avessi detto di più su di lei.
Tu sei una donna; ma se tu avessi un cuore di donna non avresti mai potuto insultare un fratello dicendogli che hai venduto il fratello e la sorella che gli erano rimasti, perché lui è al di fuori del tuo potere di convertirlo in denaro.
Tu hai venduto mio fratello e mia sorella, ABE ed ANN, e 12 acri di terra, dici, perché io sono scappato. Ora hai l'indicibile cattiveria di chiedere che io torni e sia il tuo miserabile schiavo, oppure ti posso inviare mille dollari per consentirti di riscattare la terra, ma non per riscattare i miei poveri fratello e sorella! Se dovessi mandarti del denaro, lo farei per avere mio fratello e mia sorella, e non perché tu abbia della terra. Dici di essere storpia, e senza dubbio lo dici per strapparmi della pietà, perché sai che sono sensibile a queste cose. Ti compatisco dal profondo del mio cuore. Nondimeno sono così indignato, da non poterlo esprimere con le parole, che tu sia così crudele, da strappare in pezzi i cuori che io amo tanto; che possa arrivare al punto di impalarci o crocefiggerci per non avere compassione del tuo povero piede, o gamba che sia. Miserabile donna! Devi sapere che io valuto la mia libertà, per non parlare di mia madre, di mio fratello e di mia sorella, molto più che tutto il tuo intero corpo; anzi, molto più della mia stessa vita; più di tutte le vite dei proprietari di schiavi e dei tiranni che vivono sotto il cielo.
Dici che hai delle offerte per comprarmi, e che mi venderai se non ti mando i mille dollari, e con lo stesso fiato e quasi nella stessa frase dici, "lo sai che ti abbiamo allevato come abbiamo fatto con i nostri figli". Donna, hai allevato i tuoi figli per il mercato? Li hai allevati per essere frustrati sulla schiena? Li hai allevati per essere portati via in catene? Dove sono i miei poveri insanguinati fratelli e sorelle? Puoi dirmelo? Chi è  stato a mandarli nei campi di cotone e a tagliare canna da zucchero, chi li ha mandati ad essere incatenati, frustati, fino a gemere e a morire; e laddove nessun loro parente può sentire i loro gemiti, o aiutarli e assisterli nel loro letto di morte, o seguire i loro funerali? Miserabile donna! Dici di non averlo fatto? Allora rispondo che lo ha fatto tuo marito, e tu eri d'accordo - e la lettera che mi hai scritto prova quanto il tuo cuore lo approvasse. Vergognati!
Ma, a proposito, dov'è tuo marito? Non parli di lui. Ne deduco, perciò, che è morto; che andato verso il grande giudizio, con tutti i peccati contro la mia povera famiglia sulla sua testa. Pover'uomo! andato incontro agli spiriti della mia povera gente, oltraggiata ed assassinata, in una parola laddove la Libertà e la Giustizia GOVERNANO.
Ma dici che sono un ladro, perché ho preso la vecchia giumenta con me. Hai avuto modo di imparare che avevo più diritti io sulla vecchia giumenta, come tu la chiami, di quanti MANNASSETH LOGUE ne avesse su di me? E' stato un peccato più grande che io rubassi quel cavallo, di quanto lo sia stato, da parte sua, rubarmi alla culla di mia madre? Se tu e lui ritenete che io avevo perso tutti i miei diritti a vostro vantaggio, non dovrei dedurre che ora tu abbia perso tutti i tuoi diritti a mio vantaggio? Hai avuto modo di imparare che i diritti umani sono mutui e reciproci, e che se tu prendi la mia vita e la mia libertà, tu perdi la tua vita e la tua libertà? Davanti a Dio e al Cielo, c'è forse una legge per un uomo che non sia una legge per tutti gli uomini?
Se tu, o un altro che specula sul mio corpo e sui miei diritti, vuoi sapere quanto considero i miei diritti, allora bisogna che tu venga qui e che mi metta le mani addosso per ridurmi in schiavitù. Pensi di terrorizzarmi mostrandomi che l'alternativa è darti i soldi, o dare il mio corpo alla schiavitù? Allora lasciami dire che vedo la tua alternativa con disprezzo  e scherno indicibile. La tua alternativa è un oltraggio ed un insulto. Non muoverò nemmeno un capello. Non tirerò un respiro più corto, nemmeno per salarmi dalle tue persecuzioni. Rimango in mezzo ad un popolo libero, che, grazie a Dio, simpatizza per i miei diritti, e per i diritti dell'umanità; e se i tuoi emissari e venditori verranno qui per re-ridurmi in schiavitù, e sfuggiranno all'irriducibile vigore del mio proprio braccio armato, ho fiducia che i miei forti e coraggiosi amici, in questa città ed in tutto lo stato, saranno e i miei salvatori ed i miei vendicatori.

Tuo, & c.,
J.W. Loguen


fonte: http://www.lettersofnote.com

mercoledì 21 novembre 2012

Aneddoti

aneddoti

favole

Cenerentola

W.C.Heinz, critico di boxe e romanziere, ha scritto a proposito di James J. Braddock, "Non apparirà in nessun elenco come uno fra i dieci migliori, però ...dal momento che altri vedono sé stessi riflettersi in lui, e nei suoi combattimenti, è possibile che abbia appartenuto a più persone, rispetto a qualsiasi altro campione della storia". E' stato questo il segreto del successo di una persona comune che seppe guadagnarsi il rispetto dei suoi avversari e l'affetto di un'intera nazione. I pugni di Braddock non sparavano missili, ma la sua boxe era un diretto al cuore. Al cuore di migliaia e migliaia di sostenitori che giurarono che, la notte del 13 giugno 1935, Jimmy Braddock aveva regalato loro il prezzo del biglietto. Avevano pagato per vedere un incontro di pugilato, ma Jimmy aveva regalato loro un miracolo. Una serata memorabile. No, non è stato uno dei migliori pugili di tutti i tempi. Ma è stato uno dei più coraggiosi.
Era passato nei professionisti a 21 anni, nei mediomassimi, e si era guadagnato il soprannome di "Bulldog di Bergen", insieme alla reputazione e alla fama, ottenendo così di potersi battere per il campionato. Ma, contro Tommy Loughran, perse di stretta misura, ai punti, per decisione unanime della giuria. E lì cambio tutto. Coincidenze, cose che succedono, il crack della Borsa di New York, la vita di migliaia di persone distrutta, anche quella di Braddock. Perse tutto e, appena sposato con Mae, si preparò ad affrontare i peggiori anni della sua vita. Sempre peggio: si fratturò la mano, più e più volte, cominciò a perdere fiducia in sé stesso mentre perdeva contro rivali di poco conto. 16 volte, su 22. Fuori del ring, faceva qualsiasi lavoro riuscisse a trovare, per quanto duro fosse, per la sua famiglia, per i suoi tre figli. Dovette ricorrere agli aiuti sociali del governo, mentre gli davano 24 dollari al mese, per spaccarsi la schiena sui moli di Jersey.
A volte la vita ti dà anche una seconda possibilità! Nel 1934, il suo allenatore, Joe Gould, gli offrì un incontro con John 'Corn' Griffin, pesi massimi. Doveva fare da vittima propiziatoria per l'aspirante al titolo, che aveva anche l'appoggio della mafia. Ma i sordi servivano a Jimmy, e accettò. Con una mano lesionata dalle numerose fratture, con problemi alle costole e troppo più basso, accettò. Voleva dare il suo addio alla carriera di pugile, e gli sembrava un bel modo di farlo. Ma Braddock non era un ... sacco da allenamento!
Un gancio sinistro, come un tuono, esplose sul mento di Griffin che non seppe mai come avesse fatto ad arrivare, e con quella violenza ... Vuole la leggenda che il lavoro, come scaricatore al porto, sia stato decisivo perché Braddock imparasse ad usare la sua mano "cattiva".
Così, Braddock tornò sul ring, una seconda giovinezza, diventando così uno specchio per migliaia di persone che si identificavano con un perdente che era stato capace di rovesciare la sua condizione, con dignità. Divenne l'idolo di tutti quelli che avevano scordato il significato della parola speranza. Qualsiasi giornale scrivesse di Jimmy aumentava la tiratura, e ogni volta che Jimmy vinceva le vendita dei giornali si moltiplicavano, nei quartieri poveri. Tutti volevano sapere, subito, come aveva vinto. Fu appunto un giornalista, Damon Runyon, a dargli il nuovo soprannome "Cinderella Man", Cenerentolo. A Cenerentolo, per arrivare in cima, ne mancavo solo uno, di pugili. Max Baer, il campione. Forse era troppo per lui, per Cenerentolo. C'era la possivilità che, andando a combattere contro Baer, la carrozza ritornazze ... zucca!
L'Apollo ebreo (così, era conosciuto Baer) aveva appena finito di mandare all'ospedale Primo Carnera, un gigante di più di due metri, pupillo del Duce. Lo aveva massacrato durante quello che era passato alla storia come "l'incontro delle cadute". Dodici centimetri più basso dell'italiano, Max Baer lo aveva messo al tappeto per ben 11 volte! Buddy Shuberg, della Paramount Pictures, testimone all'incontro, sentenziò: "In realtà Baer ha salvato la vita di Primo Carnera. Joe Luis lo avrebbe ucciso!"
Ad ogni modo, Baer sembrava imbattibile, e alla sua condizione di campione univa la pessima reputazione di essere un killers sul ring: la stampa gli attribuiva la morte di due dei suoi avversari, basandosi sui referti medici dell'epoca che avevano rivelato che Baer aveva picchiato così forte da aver loro fatto uscire il cervello dal cranio. Questa fama sinistra era però smentita da chi condivideva con lui l'angolo del ring, che lo reputava un uomo giusto. C'è anche da dire che Baer pagherà, di tasca sua, fino alla morte, l'educazione dei figli dei pugili cui aveva dato il sonno eterno.
Comunque, prima di farlo incontrare sul ring con Joe Louis, l'idolo dei neri, i suoi promotori ritennero che fosse una buona opportunità per far soldi, quella di farlo combattere, per difendere il titolo, contro Braddock. Lo ritenevano troppo vecchio, per poter mettere in difficoltà Baer. I bookmakers pagavano la vittoria di Braddock 10 a 1. La stampa arrivò a scrivere che Braddock sarebbe stato ucciso. Tutt'al più, la speranza migliore sembrava essere l'ospedale, per Cinderella Man. Ma le favole, si sa ...

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Il 13 giugno del 1935, a Long Island, New York, davanti a 35.000 persone, nel vecchio Madison Square Garden, Braddock benne incoronato campione del mondo dei massimi. Fu la notte di Braddock, un pugile che era stato dato per spacciato anni prima. Fu la notte di un uomo che, senza nessun talento particolare, senza nessuna tecnica pugilistica, fece un recital di valore.
Baer non si era preparato al combattimento con coscienza, e sia lui che il suo staff erano convinti che Braddock non sarebbe riuscito ad andare oltre il quinto round. Fu l'errore della sua vita, per lui che aveva sempre definito la qualificazione di Braddock come uno scherzo. Sì, uno scherzo crudele del destino. Da una parte Baer che aveva detto "Quell'irlandese sembra un bravo ragazzo, non voglio fargli troppo male". Dall'altra Braddock, pronto per il suo viaggio all'inferno, come aveva scritto la stampa, pronto a prendersi una montagna di cazzotti.
Gould aveva architettato una strategia per fermare il destro di Baer. Il piano A, era quello di tenere a distanza i primi attacchi di destro del campione, per innervosirlo. Poi, magari Braddock poteva trovare il modo per penetrare la guardia del campione. La strategia di Gould pago, ma solo fino al terzo round. Dopo il quarto round,il fragore della battaglia crebbe. I presenti giurano che fu come se Braddock fosse stato toccato da una bacchetta magica, mentre dagli spalti cresceva il grido dei diseredati che urlavano, sempre più forte, "Jimmy, Jimmy, tu puoi". Un empito di coraggio e Braddock spinse Baer alle corde, colpo su colpo, e un vantaggio insperato ai punti. Pura elettricità. Dopo quindici round, Baer e la sua faccia insanguinata si diressero in silenzio verso l'angolo. Braddock a pezzi, esausto, gli occhi serrati per i pugni ricevuti, contemplava il pubblico del Garden in delirio.

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Il resto della storia ci racconta di come Braddock, risolti i suoi problemi economici, restituì i soldi ottenuti dal governo per l'aiuto sociale. E ci racconta di come, a 32 anni, accettò di difendere il titolo contro Joe Louis. Jackie Blackburn, l'allenatore di Louis, lo avvertì: "Puoi far paura a molti, Joe, ma non a Jimmy Braddock. Quell'uomo non si spaventerà mai. Se vuoi vincere, devi buttarlo giù". E il 22 giugno del 1937, Braddock buttò giù, al tappeto, Louis, al primo round. Fiero, forte e determinato, aveva deciso di finire alla grande e vendere cara la pelle. Poi, si sa, Louis si rialzò, dominò il combattimento e, con più classe, buttò giù Jimmy, all'ottavo round. Louis era il nuovo campione del mondo.
Consigliato dalla moglie, Braddock decise di appendere i guantoni al chiodo. Comprò una fattoria, lontano dalla città e lì andò a vivere con la moglie e i figli. Nel 1963, sui giornali venne pubblicata una fotografia di Braddock che lavorava, come operaio, alla costruzione del ponte Verrazzano, a Brooklin. Quando gli chiesero cosa ci facesse un campione in un posto come quello, rispose: "Che diavolo! Sono un operaio. Prima di diventare pugile ho lavorato sui moli del porto, e adesso ho bisogno di soldi. Non c'è niente di male in questo".
Nel 2005, Ron Howard e Russell Crowe gli renderanno omaggio con il film "Cinderella Man".
A North Bergen, New Jersey, oggi 'è un parco che reca il nome di James J. Braddock. Si dice che lì, alcuni ragazzi bianchi disadattati, quasi tutti di origine irlandese, cominciano a tirare di boxe. Ragazzi che continuano a credere che la favola di Cenerentola abbia un lieto fine. Che sognano di avere una seconda possibilità, nella vita.

martedì 20 novembre 2012

quando

liberazione di Parigi
Io so perfettamente quale sarà il momento preciso, l'attimo insondabile in cui potrà finalmente avere luogo, ancora una volta, da qualche parte e con qualche possibilità, una rivoluzione, un'insurrezione in grado ed in condizioni di lottare e di vincere. Avverrà.
Avverrà non appena si verificherà quello che racconta questa bella fotografia, scattata a Parigi nel 1944, nel momento in cui sta per avvenire la liberazione della città. Succederà non appena gli uomini e le donne, le persone, cominceranno a muoversi e a guardare con naturalezza, con "normalità", gli altri uomini e le altre donne, le altre persone, armate. Un vecchio Enfield, come quello della foto, imbracciato con tranquillità e preoccupazione, una vecchia Luger rapinata ad un ufficiale nazista dell'esercito occupante, magari sottrattagli dopo averlo messo a cuccia, a martellate. Uomini con le mani in tasca, appoggiati ad una colonna, uomini che parlano fra di loro, uomini che guardano, altri pronti ad agire, e disposti ad agire, a loro volta. Succederà allora, quando il monopolio di armi e violenza verrà considerato revocato. Succederà senza eccessivo rumore, senza urla o discussioni o litigi. Sarà così. E' sempre stato così. Sarà ancora così!

tempo, e calma

Time Enough at Last 2

Me l'ha fatto tornare in mente un amico, in uno scambio di parole e di pezzi di noi stessi, quando mi ha scritto dell'attesa della calma, e di un suo, di amico, che si è comprato in blocco un centinaio di volumi, per leggerli più avanti. Quando ci sarà calma. "Time enough at last", in italiano "Tempo di leggere". E come non poteva non tornarmi in mente quell'episodio seminale, di una serie seminale come "The Twilighit Zone". Ai confini della realtà. Ci sarà abbastanza tempo, alla fine. E' quello che tutti sogniamo in cuor nostro, forse.

Time Enough at Last

Anche Burgess Meredith, nei panni di Henry Danies, diretto da John Brahm, alla fine la trova la calma, e il tempo necessario.
Il mondo è stato spazzato via, tutto il mondo, compresa una moglie dispotica ed un capo oppressivo. Un mondo che sembrava congiurare per impedirgli di leggere, e proprio grazie ad un libro è riuscito a sopravvivere a quel mondo. Ora c'è calma, calma e tempo per poter leggere, e biblioteche. Libri, quanti libri! Libri da leggere, mese per mese, settimana per settimana, giorno per giorno. Cos'altro gli può servire? Cibo? Ce n'è a bizzeffe, di scatolame, nei supermercati vuoti e abbandonati. Ah, già! Ci vogliono gli occhiali, ché ad una certa età - ed Henry non è più un giovincello - si diventa presbiti e senza occhiali le parole si annebbiano, si confondono fino a diventare una massa indistinta, impossibile da decifrare. Eccoli, gli occhiali. Dove li ho messi? Ma cos'ho in tasca? Ah, vero, quella pistola che ho trovato, prima, mentre cercavo qualcosa da mangiare. A che serve la pistola? Qui non c'è nessuno da cui doversi difendere. Ma torniamo ai libri, e agli occhiali. Ah eccoli! NO! Mi sono caduti. Dove sono finiti? NO! Si sono rotti ... E dire che c'era tutto il tempo, e la calma, per Henry... 

lunedì 19 novembre 2012

Alla prossima!

insurgencia_libertaria

 

A proposito di un libro:
Salvador Gurucharri et Tomás Ibáñez
Insurgencia libertaria. Las Juventudes Libertarias en la lucha contra el franquismo
Barcelona, Virus, 2010, 344 pagine

consultabile qui

Nella galassia libertaria spagnola dell'epoca eroica, la Federazione Iberica della Gioventù Libertaria (FIJL), fondata nel 1932, rimane a lungo un oggetto non identificato, anche da parte dei suoi propri militanti. Per alcuni, questa "Gioventù" non poteva essere altro che una struttura di transizione atta a facilitare, una volta testati e formati, l'integrazione dei giovani militanti nel movimento libertario "adulto". Per altri, essa avrebbe dovuto essere l'emanazione, in seno al medesimo movimento, di una sorta di fronte della gioventù - una FAI dei giovani, insomma - portatrice di rivendicazioni specifiche e funzionante in maniera autonoma. Questa contraddizione, mai risolta, attraversa tutti i primi anni della sua storia. Quando scoppia la guerra civile, nonostante qualche velleità indipendentista espressa a livello locale, soprattutto in Catalogna, la FIJL non riesce a differenziarsi, sul piano ideologico, dalle organizzazioni consorelle. E come esse, finisce per arruolarsi sotto la bandiera della collaborazione antifascista. In nome di un'efficacia mal compresa, e a rischio di apparire altro che come un'entità appassionatamente impegnata a mettere la sua giovinezza al servizio di una politica di abbandono. Questa fu, di sicuro, una brutta partenza. Dal momento che la FIJL avrebbe potuto, al contrario di quello che fece, incarnare un'alternativa alla politica di prona collaborazione alle istanze della CNT-FAI. Questo non avrebbe sicuramente cambiato niente, ma avrebbe dato ad essa un vantaggio evidente, quello di aver almeno salvato l'onore del radicalismo.

fijaNel libro, questi primi passi sono appena abbozzati, dal momento che il suo vero oggetto non è quello di scrivere una storia generale della FIJL, ma di concentrarsi sul ruolo che essa giocherà nella lotta contro il franchismo. E' importante, però, sottolineare questo inizio proprio perché segnerà la storia di quest'organizzazione che sul bordo degli anni '60, e per tutto quel decennio, sceglierà una strategia fondata su un attivismo chiaramente assunto; opzione che la porterà a rompere con le istanze dei dirigenti della CNT e della FAI in esilio e, così facendo, a risolvere la contraddizione delle sue origini. Questo, perché la FIJL - di cui la giovinezza dei militanti è assolutamente relativa - funzionerà sempre più come una sorta di FAI-bis, ansiosa di riconquistare l'eredità combattente della mitica FAI di prima della sconfitta e dell'esilio. A rischio di riprodurne anche alcuni errori. Sarà assai lungo, tra la fine della guerra civile e gli anni '50, l'elenco dei resistenti libertari che pagheranno, con la perdita della vita e con anni di prigione, un severo tributo alla lotta (armata) contro il franchismo. Tale battaglia, ineguale e azzardata, utilizza diverse tattiche, intraprese da dei guerriglieri convinti che non ci fosse altra scelta che quella dell'opposizione frontale alla dittatura. Passano gli anni, le forze vacillano, e la direzione della CNT in esilio, che progressivamente si è convinta dell'inefficacia della lotta armata, decide di cambiare rotta. Oramai, gli irriducibili, e sempre più soli, combattenti dell'anti-franchismo attivo non possono contare altro che sulle loro proprie forze. Per molti di loro ci sarà la morte ad aspettarli, nella radura di un bosco o in una strada di Barcellona. Una morte con in testa un tricorno, una morte che si apre sulla leggenda, una morte come eredità.

barcellona1957

Gli autori del libro, Gurruchari e Ibáñez, sono strettamente coinvolti con l'«insurrezione» della FIJL degli anni '60. E' parte essenziale del loro essere libertari, lo stesso che all'epoca si è affermato e strutturato al momento in cui entrambi furono parte attiva della linea d'azione "diretta e violenta contro il franchismo", adottata dalla FIJL. E' per tale ragione che, all'inizio del libro, gli autori rinunciano ad ogni "ingannevole pretesa all'obiettività", precisando che sono ansiosi di raccontare questa storia con rigore e senza restrizioni, evitando di cedere a qualsiasi tentazione agiografica.
Fino alla fine degli anni '50, la FIJL si è accontentata di funzionare come un'associazione culturale e ricreativa di affiliazione libertaria. Bisognerà attendere, in effetti, la fine del decennio perché qualcosa cominci a muoversi. Si legge che i militanti della FIJL privilegiavano quella che veniva chiamata "socialità libertaria", organizzando, non solo tra di loro ma anche insieme ai nuovi immigrati dell'epoca, dei campeggi anarchici. Queste "università d'estate" - in un primo tempo solo spagnole, dopo internazionali - contribuiranno ad affermare la coscienza sociale dei partecipanti. Mai risolta, la questione del legame organico tra i gruppi di resistenza che agivano in territorio spagnolo, da una parte, e le strutture dell'esilio riconosciute e tollerate in Francia, dall'altra, costituisce, per tutto il primo decennio di attività, un problema, per cui la CNT si trova scissa in due organizzazioni fortemente rivali, di cui una - quella cosiddetta "ortodossa" - dominava l'esilio, mentre l'altra - detta "possibilista" - era nettamente maggioritaria in Spagna. I gruppi d'azione, legati più spesso alla prima, dipendevano da un organismo "idoneo" - la Commissione di Difesa - teoricamente responsabile del coordinamento e della logistica. Per diffidenza - o, semplicemente, per precauzione - molti gruppi cominciarono a sviluppare una logica di autonomia relativa che ben presto dimostrò i suoi propri limiti. Lasciati a sé stessi e privi di qualsiasi sostegno finanziario, è per necessità che cominciano ad entrare nel circolo (vizioso) dell'attività "espropriatrice" che finisce per occupare tutto il terreno della lotta armata.

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Per rispondere a questo bisogno di separazione - giudicato sempre più necessario - tra "legalità" militante ed "illegalità" combattente, si cercherà di creare, in due riprese, degli organismi indipendenti di coordinamento fra i gruppi che agiscono in Spagna: il Movimento Iberico di Resistenza (MIR), nel 1947, ed il Movimento Popolare di Resistenza-Comitato d'Aiuto alla Resistenza Spagnola (MPR-CARE), nel 1959. Questi due progetti, a distanza di dieci anni l'uno dall'altro, incontreranno la medesima feroce opposizione, da parte dell'Esilio libertario, che non intende cedere i propri poteri; ed avranno, malgrado tutti i loro difetti, il merito di voler porre una diversa articolazione fra attività "legale" e lotta armata.
Il lungo processo, che porterà nel 1961, durante il congresso di Limoges, alla riunificazione delle due CNT rivali, solleva un'ondata di entusiasmo. L'idea che sottende tale riunificazione è del tutto semplice: coniugare lo sforzo militante per accrescere il potenziale di lotta. L'ambiguità evidente che accompagna una tale riunificazione, viene ignorata in favore di una linea generale chiaramente offensiva. Ed è in un contesto euforico che viene adottata - durante una riunione "riservata" - una risoluzione che decide, all'unanimità, la creazione di un organismo, la Difesa Interna (DI), sotto la responsabilità diretta della Commissione di Difesa. La DI, la cui esistenza doveva rimanere segreta, aveva come compito essenziale di "procedere alla selezione di compagni giudicati idonei e sicuri che collaborassero alle sue attività combattenti".
Con il senno di poi, ci si può legittimamente domandare, viste le condizioni in cui avvenne la creazione della DI ed il ruolo che vi giocavano gli elementi più immobilisti dell'ortodossia CNT ( *La presenza, in seno alla DI, di Germinal Esgleas e di Vicente Llansola, che tutti sapevano in opposizione alla riunificazione della CNT, faceva presagire che il "sottomarino" - come veniva familiarmente chiamata la DI - era già affondato. Quando si sapeva, inoltre, che la DI era stata messa sotto l'autorità della Commissione di Difesa, il cui segretario era Angel Carballeira, una altro noto rappresentante dell'immobilismo...), come potesse, questo "apparato cospirativo segreto", suscitare un tale fervore nei suoi più fedeli partigiani!
Il dispositivo, insomma, nasceva già bloccato e nessuno poteva seriamente pensare che la sola dinamica unitaria riuscisse a regolare, da sé sola, la questione di metodo che doveva necessariamente essere affrontata, e che invece, a partire dall'euforia del momento, nessuno si poneva. Ed è in tal senso, a differenza di altri progetti nati già morti, che la Difesa Interna darà luogo ad una ripetizione, piuttosto che ad un salto di qualità, producendo effetti simili a quelli che erano stati prodotti nel passato recente.

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Perché, se questo "terrorismo senza terrore", da una parte, era teoricamente in vantaggio sugli altri, come l'ETA, che non partivano dalle necessarie considerazioni etiche - evitare di provocare la morte di vittime innocenti, per esempio - si negava però, cosi facendo, e contrariamente agli altri, di terrorizzare il nemico. Cosa che voleva essere, almeno al principio, il suo scopo principale. Questa contraddizione metodologica di base marcherà, senza che essa cerchi mai di risolverla, tutta la breve esistenza della DI; il cui solo progetto serio, ma illusorio, sarà quello di attentare alla vita del Generalissimo.
Come già detto, la DI nasce da un'ambiguità. La CNT in esilio, indebolita dopo 16 anni di crisi interna e di costante emorragia dei suoi effettivi, non aveva né i mezzi umani né la capacità politica di affrontare il compito cospirativo. Ammetterlo, avrebbe implicato che si disponesse verso una strategia, più modesta, di connessione con le nuove forme di conflittualità operaia che stavano emergendo in Spagna, accettando così di ripensare il proprio ruolo ed i fondamenti del suo intervento. L'altra strada, quella che guardava con favore - senza troppo crederci - alla linea attivista, però, aveva il vantaggio di blandire la militanza. Infatti, il congresso di Limoges del 1961 adotta (almeno) due linee: la prima, tradizionalmente sindacale, auspica un'alleanza con il sindacato socialista UGT e con il basco STV; la seconda, illusoriamente attivista, dà corso alla creazione della DI.
Nel libro, la FIJL - che agisce come una seconda FAI e come punta di diamante della DI - non si lasciò del tutto illudere ed ingannare da questa improvvisa conversione della CNT all'azione diretta frontale. La prova è che, riunita in plenum nell'ottobre del 1961, solo un giorno dopo il congresso di Limoges, essa deciderà di mettersi a disposizione della DI, precisando che nel caso alla DI fosse stato impedito di funzionare, essa avrebbe proseguito "a suo proprio nome" la tattica cospirativa. In altre parole, tra quelli che avevano proposto la sua creazione per ragioni puramente demagogiche, e quelli che dubitavano seriamente della sincerità dei primi, e la facevano funzionare, la DI aveva poche possibilità di essere altro da quella che realmente fu. Vale a dire, il nodo di un conflitto interno che finirà, quattro anni più tardi al congresso di Montpellier del 1965, per rimettere definitivamente in sella il settore immobilista, facendo implodere l'esilio libertario spagnolo: la CNT in esilio non sarà altro che un corpo vuotato di ogni forza, un cadavere simbolico.
Senza la FIJL, il DI sarebbe rimasto, come tanti altri progetti provenienti dai congressi della CNT in esilio, allo stato di pio desiderio. La FIJL si coinvolge completamente nella DI. VI è rappresentata da Octavio Alberola, ne fu la fonte ispiratrice e diede le gambe su cui marciare, dando così sostegno determinato ai militanti storici come Garcia Oliver e Cipriano Mera. Il primo si rese ben presto conto che, per le sue contraddizioni, l'organismo non aveva alcun futuro: passò la mano e se ne tornò velocemente in Messico, suo luogo di residenza. Il secondo, al contrario, si accompagnerà agli attivisti della FIJL fino alla fine dell'esperienza della DI, ed anche oltre.

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Nei fatti, pertanto, DI e FIJL finiranno per essere una cosa sola. E, naturalmente, sarà sulla FIJL che, ai primi fallimenti, pioveranno le critiche di quelli che, sia al suo interno che all'esterno, non volevano l'attivismo armato. Non sono omessi, nel libro, tutti i fallimenti; dalla perdita rocambolesca di un'agenda fortemente compromettente, ai mezzi logistici generalmente disastrosi, al dilettantismo continuato nella scelta degli obiettivi e nella pianificazione delle azioni, alle evidenti carenze nel reclutamento, fino alle probabili infiltrazioni della polizia, agli arresti di massa dei militanti nel corso del 1962 e, infine, alla gestione disastrosa della campagna dell'estate del 1963 che porterà all'esecuzione di Francisco Granado e di Joaquín Delgado, nell'agosto 1963. Nonostante tutto questo, la DI rimane l'ultima espressione della lotta libertaria contro la dittatura franchista.

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L'affare Granado-Delgado suona la campana a morto per il DI. Giocando sul riflesso legittimista di una basa largamente ostile all'avventura armata, il settore immobilista riprende velocemente le cose in mano. Riguadagnata allo "egleismo"  (* Il principale contributo di Esgleas Germinal, marito di Federica Montseny, alla causa libertaria spagnola è stato quello di essere riuscito a far coniare, a partire dalle sue pratiche burocratiche, il neologismo "egleismo" che, in bocca a suoi numerosi avversari, designa una variante dell'immobilismo quando si traveste di demagogia purista), la CNT tornerà ai suoi giorni tranquilli, in attesa della morte naturale del Caudillo che avrebbe segnato la fine del lungo esilio organico.
Quanto alla FIJL, essa paga un altissimo prezzo per la sua identificazione con il DI. Nell'aprile del 1963, il suo giornale, Nueva Senda, viene vietato dalle autorità francesi che, sette mesi più tardi, dichiarano l'organizzazione fuorilegge. Contemporaneamente, una vasta operazione di polizia, effettuata nel settembre dello stesso anno su tutto il territorio francese, porta all'arresto di 21 militanti, fra cui lo stesso Cipriano Mera. Oramai clandestina in Francia, la FIJL intraprende, intorno al suo nucleo di Londra, un difficile lavoro di riorganizzazione. Si tratta di denunciare il tradimento dell'accordo di Limoges, da parte del settore immobilista, e poi di di garantire coerenza alla linea scelta al momento della creazione della DI. Deciderà quindi, per proprio conto, di preparare un attentato contro Franco; con lo stesso insuccesso dei precedenti, il progetto dell'11 agosto del 1964, porterà all'arresto di Fernando Carballo e Stuart Christie.
La dissoluzione formale della DI - che costituirà il primo atto del processo di completa normalizzazione della CNT - verrà approvato dal congresso di Montpellier del 1965. La dura battaglia, condotta da Alberola e Mera, per mettere sotto accusa quelli che, in seno alla DI, l'avevano sistematicamente paralizzata, ebbe poco effetto sui delegati controllati da Esgleas e da Llansola, che vennero confermati in quanto segretario generale e segretario del coordinamento. Da qui, una vera e propria caccia alle streghe darà modo di ripulire la casa confederale, e le sue dipendenze, da qualsiasi impurità critica. Alla  fine, l'ordine regnerà a Rue Belfort!
Ormai senza nessuna speranza di poter influenzare il Movimento Libertario Spagnolo, la FIJL inizierà, stavolta in maniera indipendente, l'ultima tappa della sua esistenza. Quella che va dal 1966 al 1969, e che riattiverà attraverso il Gruppo Primo Maggio una strategia offensiva.
I legami, stabiliti dalla FIJL con la gioventù libertaria europea, in particolare i gruppi francesi, inglesi e italiani, ed in rottura con l'anarchismo istituzionale, contribuirà, in effetti, alla maturazione di un progetto neo-anarchico, di cui il maggio 1968 sarà il punto più alto di esplosione.
Parallelamente al lavoro di elaborazione teorica, preso in carico dalla rivista Presencia, la trasformazione della FIJL in Federazione Internazionale della Gioventù Libertaria si accompagna ad un rilancio dell'azione cospirativa. Il rapimento di Marcos Ussia, consigliere dell'ambasciata di Spagna presso il Vaticano, è il primo episodio. L'operazione, portata a termine a Roma il 30 aprile del 1966, esige la liberazione di tutti i prigionieri politici e sociali in Spagna, in cambio della libertà dell'ecclesiastico. Ussia verrà rilasciato una dozzina di giorni più tardi, senza che si fosse ottenuto niente in cambio. Ereditata in parte dalla DI, questa pratica spettacolare, fu il marchio di fabbrica del Gruppo Primo Maggio.
La FIJL finirà per estinguersi, a tutti gli effetti, nel 1973, quando nel frattempo una nuova ondata di attivisti si armerà.
Fino alla prossima volta.