giovedì 31 maggio 2012

il grugno del fascismo

muerte

In Spagna, questa immagine è famosa. Nella fotografia, scattata da Bartolomé Ros nel 1926, si può vedere il futuro dittatore Francisco Franco abbracciato a Millán Astray, cui si deve lo slogan “¡Muera la inteligencia, viva la muerte!”, espressione di quella brutale grettezza che sprofonderà la Spagna nel suo periodo più buio della storia recente. E' il momento della fondazione della Legione, e stanno cantando. Si possono leggere, quei musi! Dalla faccia paffuta del dittatore a venire, traspare tutta la stupidità innata del bifolco: sembra essere sul punto di sputare grumi di saliva da quella bocca che mastica la sua propria lingua, come farebbe un povero mongoloide. Da parte sua, Astray fa mostra di una sorta di ghigno furbesco e sprezzante, la quintessenza dell'arroganza impegnata a proteggere il proprio tornaconto, tutta la sfrontatezza vigliacca del teppistello prepotente, con quella sua miserabile bocca di denti marci che sembrano minacciare, ora di mordere, ora di sputare.

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La didascalia originale che accompagna la foto recita: “Millán Astray e Franco cantano insieme alla truppa. Millán Astray, fondatore della Legione, ha conferito a Franco il comando del primo battaglione.” Cantare, sì probabilmente stavano cantando, ma l'istantanea li ha congelati in un modo che li fa apparire come se uno stesse fischiando e l'altro insultando, o schernendo. Il braccio intorno alle spalle, messo da uno con quella faccia, sembra voler ammonire a non fidarsi di un individuo del genere.
Ecco, chi ha voglia di sapere cosa è stato il franchismo, qual era il clima morale e intellettuale, perfino il cibo che si mangiava, in quell'epoca, basta che dia un'occhiata a questa foto. Se ne può perfino sentire l'alito cattivo!

mercoledì 30 maggio 2012

solo un nome

dylanBob Dylan e Van Morrison, a quel tempo, avevano lo stesso impresario, il quale aveva decisa che avrebbero dovuto conoscersi fra di loro, e per questo motivo organizzò una cena in un ristorante di Londra. Sarebbe stata una magnifica opportunità, mettere faccia faccia due simili personalità musicali e studiarne quella che poteva rivelarsi una combinazione esplosiva. Qualcosa di simile allo storico incontro, che avvenne al Majestic, fra James Joyce e Marcel Proust! Chi lo sa, magari ne sarebbe scaturita una splendida e fruttuosa collaborazione! I due arrivarono al ristorante, si sedettero ed ordinarono educatamente da mangiare. I piatti cominciarono ad arrivare, e vennero consumati, in completo silenzio. Non si scambiarono una sola parola per tutta la cena. Quando Dylan ebbe finito il dessert, si alzò e andò via. Van Morrison si rivolse all'impresario: " Era in gran forma, oggi, giusto?"

Tre anni fa, Bob Dylan venne arrestato dalle parti del New Jersey. Solo, sotto la pioggia, un vecchio confuso, il compositore più famoso del pianeta camminava con addosso dei pantaloni di una tuta, un paio di stivali da pioggia e due impermeabili sopra la testa. L'agente di polizia si diresse verso di lui, per identificarlo, e quando cominciò a pensare che quel barbone poteva procurargli gli stessi problemi di un John Rambo, il vecchio protestò di essere Bob Dylan e di stare cercando una casa da comprare. Venne subito caricato sulla macchina della polizia, per controllare se era vero che viveva "nel tour bus vicino ad un grande albergo sulla riva dell'oceano". Un sergente, informato del fatto che Dylan era ospite della polizia, andò a controllare. Lo guardò dall'alto in basso, e sbottò: "Questo non è Bob Dylan". Probabilmente non lo era.

Ma, alla fine, Bob Dylan è solo un nome, un nome inventato. E poi, si è perso il conto degli anni in cui Bob Dylan ha continuato ad essere Bob Dylan. Le celebrità della sua grandezza tendono a campare di meno! Quand'era giovane, ed era già un'icona in vita, i capelli arruffati, i lineamenti infantili e insolenti, sempre barricato dietro gli occhiali da sole e il fumo delle sigarette; quand'era giovane scappava via dai suoi concerti, inseguito da centinaia di persone che volevano toccarlo. La scena che si ripeteva era la solita: Dylan chiuso in macchina, l'aria annoiata, circondato da una moltitudine che credeva di vedere in lui una sorta di coscienza rivoluzionaria. A quei tempi, per John Cordwell, Dylan si era trasformato nell'autore di grido più famoso della storia del rock. E lo aspettava al varco. Durante un giro di concerti, in Inghilterra, Dylan collegò la sua chitarra ad un amplificatore e, così facendo, traumatizzò tutti i puristi del folk. I quali le provarono tutte: da tagliargli i cavi, fino a chiamarlo "traditore". Cercavano di zittirlo. "Siamo venuti per ascoltare un cantante folk e ci ritroviamo un gruppo pop! Dove hai lasciato Woody Guthrie?".
Gli urlavano di tornarsene a casa. "Go home", gridavano. E Dylan rispondeva con "No direction home!". Durante un concerto a Manchester, Cordwell gli urla "Giuda". Dylan si avvicina al microfono e sputa un "Io non ti credo". Poi fa un paio di accordi con la chitarra ed esplode un "Tu sei un bugiardo!" Poi si gira verso la band e grida loro "Suoniamola fottutamente alta!".

C'è una scena in "Don't look back", il documentario girato da Pennebaker durante il tour inglese del 1965, in cui si vedono Bob Dylan e Joan Baez che corrono verso un furgone inseguiti da un centinaio di ragazzi. Dylan entra nel furgone e si siede con le spalle contro il finestrino. La folla circonda la vettura e grida e professa il proprio amore. Dylan guarda nell'obiettivo, un'espressione neutra sulla sua faccia da adolescente inquieto. Gli è rimasta sul viso, ancora oggi.

martedì 29 maggio 2012

La spedizione per l’Inghilterra

bambini baschi

La guerra civile spagnola cominciò il 18 luglio 1936, con il colpo di stato guidato dal generale Francisco Franco contro il governo repubblicano. Meno di un anno dopo, il 21 maggio 1937, quasi quattro mila bambini dei Paesi Baschi, nel nord della Spagna, tra cui Juanita, 8 anni e la sorella di 9, partono dal porto di Santurce, nei pressi di Bilbao, diretti a Southampton, in Inghilterra, come rifugiati. La loro storia è forse uno dei capitoli meno noti della guerra.

"Fu mio padre a volere che ce ne andassimo. Pensavo che il viaggio sarebbe stato molto interessante, un'avventura. Ma non fu così" - racconta Juanita Vaquer, che oggi ha quasi 82 anni, seduta nella sua casa a nord di Londra.

Messico, Francia, Belgio ed Unione Sovietica avevano già ricevuto dei rifugiati in fuga dalla fame e dalla violenza, ma fino ad allora, il governo britannico li aveva sempre respinti, con la motivazione che il gesto sarebbe andato contro il patto di non intervento sottoscritto dalle maggiori potenze europee. Ma il 26 aprile, si era verificato un evento destinato a cambiare il modo in cui veniva percepita la guerra di Spagna dall'esterno, e che avrebbe fatto sì che Londra assumesse una posizione leggermente diversa: il bombardamento di Guernica.
Gli aerei della Legione Condor tedesca, al servizio dell'esercito di Franco, rase al suolo la città, di circa cinque mila abitanti, punto di riferimento per la cultura e per la politica basca. L'attacco provocò centinaia di morti, e molti lo considerano uno dei primi bombardamenti indiscriminati di civili nella storia ed una prova prima della seconda guerra mondiale.

"Il governo britannico non ci voleva accettare, poi ci furono i bombardamenti. Dopo di ché accettò i bambini, però senza dare nessun contributo. Tutto doveva essere a cura dei volontari. E insistettero sul fatto che i profughi fossero, in percentuale, rappresentativi del governo basco: molti socialisti, molti nazionalisti e molti anarchici " - racconta Herminio Martinez, 83 anni, che viaggiava insieme al fratello.

La mattina del 21 maggio, i moli del porto di Santurce sembravano un alveare.
Molti libri di storia sulla guerra civile liquidano questo episodio in poche righe. A quei bambini, il viaggio avrebbe cambiato la vita.
L'Havana, una nave in grado di imbarcare, e trasportare, 400 persone salpò con a bordo con più di 4.200 passeggeri, tra bambini, educatori ed altro personale. La "spedizione per l'Inghilterra" - come venne chiamato il viaggio - era iniziata.

"Siamo saliti sulla nave. Era piena di bambini e noi non ne conoscevamo nessuno. Soffrivamo tutti di mal di mare, e una ragazza vicino a noi trascorse la notte urlando che voleva tornare a casa, che andassero a dire al capitano che voleva tornare dai suoi genitori " continua a raccontare Herminio. Dopo due giorni di viaggio, la nave attraccò a Southampton.
"Sul molo ci aspettava l'Esercito della Salvezza, con tanto di banda"
"Siamo stati portati in un campo. E mi ricordo che c'erano degli altoparlanti che continuavano a dire che dovevamo andare in un dato posto a mangiare, e ci dovevamo andare di corse", dice Juanita.
Due mesi più tardi, i bambini erano stati sparpagliati in decine di colonie distribuite per tutto il Regno Unito.
Fedele al suo impegno, il governo non si lasciò coinvolgere nella gestione dei rifugiati, gestione che venne organizzata da gruppi diversi, come i sindacati dei minatori, i quaccheri e numerosi comitati di aiuto.
Leonard Palmer oggi ha 91 anni, e ricorda che accompagnava suo padre, uno di quei volontari, in una colonia vicino alla foresta di Epping, a nord di Londra. "Andavamo in bici fino a Woodberry, al confine con la foresta di Epping e portavamo loro tavolette di cioccolato e sigarette (queste ultime per gli accompagnatori). Avevamo poco, ma loro non avevano niente. Sono contento del tempo che ho trascorso con loro".
Dal momento in cui vengono inviati alle colonie, il destino dei bambini si diversifica. E a partire da quel momento, le loro esperienze in Gran Bretagna sarnno diverse, le une dalle altre.
Herminio comincerà un pellegrinaggio che, alla fine, lo porterà prima a Swansea, nel Galles, e da lì a nord, a Leicester, quindi a Margate, all'estremità orientale ... Un periplo dell'isola che lui definisce "felice".
Juanita, invece, trascorrerà sei anni imprigionata in un convento cattolico, e prova ancora rabbia quando ricorda il suo trattamento ricevuto dalle suore. "Dopo essere stati felici con le nostre famiglie, per noi era una cosa terribile. Si comportarono molto male".
All'inizio, la spedizione in Inghilterra avrebbe dovuto durare solo tre mesi, ma per la maggior parte dei bambini la cosa andò avanti per diversi anni.
Molti vennero richiesti indietro, dalle loro famiglie, e restituiti dopo la fine della guerra di Spagna, nel 1939.
Ma altri, i cui genitori erano morti, o erano stati imprigionati, come nel caso dei genitori di Herminio, oppure esiliati, in questo caso rimasero  nel paese che li aveva accolti.
Nel 1945, oltre 200 continuavano a vivere nel Regno Unito. Juanita era fra di loro. Suo padre era morto in guerra. Sua madre si era risposata, ma la situazione familiare non era l'ideale perché lei tornasse. Su consiglio delle autorità basche in esilio, decise di restare in Inghilterra, dove ora
vivono i suoi figli e i suoi nipoti, e molti la credono inglese.
"Solo per tre mesi ... only for three months. Chi avrebbe mai detto che avrei vissuto qui per 75 anni. Per molte notti mi sono chiesta, cosa sarebbe successo se non avessero ucciso mio padre? E se non avessimo lasciato la Spagna?"

lunedì 28 maggio 2012

Due parole

Ali

"Sono America. Sono la parte che non riconoscete, ma vi abituerete a me. Sono negro, sicuro di me. Arrogante. Ali è il mio nome, non il vostro; la mia religione, non la vostra". "Il più grande" esce da un ristorante di Louisville, Kentucky, un ristorante costoso con vista sul fiume Ohio, un ristorante esclusivo, uno di quelli dove, per entrare, ti costringono ad indossare giacca e cravatta. Si sono rifiutati di servirlo, a causa del colore della sua pelle, lo hanno chiamato "scimmia", gli hanno detto di tornarsene in Africa, dandogli di "schiavo". La mano gli fa male per via del destro con cui ha mandato a sedere, lontano, uno dei camerieri, ma è l'anima quella che gli fa più male. Gli è capitato altre volte di essere chiamato schiavo, ma adesso la pazienza è finita. Una volta, a Miami, lo avevano arrestato mentre faceva il suo jogging mattutino. Gli avevano fatto passare una notte in cella, solo per il colore della sua pelle. Muhammad Ali sussurra a sé stesso due parole: ora basta! Si fruga nelle tasche dei pantaloni e trova la sua medaglia d'oro, quella che ha vinto alle Olimpiadi di Roma. La guarda, la medaglia, la guarda a lungo. La guarda per l'ultima volta, poi la serra nel pugno e la scaglia, lontano, fin dentro le acque dell'Ohio. Ora basta essere il campione dei bianchi!

Anni dopo, finita la sua carriera di pugile, Ali venne invitato a tenere una lezione all'Università di Harvard, ai neo-laureati. Alì tenne un discorso straordinario - senza leggerlo, dal momento che era dislessico. Parlò della vita e della cultura. Parlò di cogliere le opportunità che permettono di cambiare il mondo. Gli studenti, dopo un lungo, scrosciate applauso, cominciarono a gridargli "Vogliamo una poesia, campione!". Ali gesticolò in modo affermativo. Nell'aula scese il silenzio. Poi, Ali guardo verso gli studenti e ruppe quel silenzio con la sua poesia. "Me, We." Io, Noi. Due parole

domenica 27 maggio 2012

Differenze

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“La filosofia, fintanto che una goccia di sangue ancora pulserà nel suo cuore assolutamente libero, dominatore dell’universo, griderà sempre agli avversari con Epicuro: «empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui che attribuisce agli dèi i sentimenti del volgo». La filosofia non fa mistero di ciò. La confessione di Prometeo: «a dirti in breve, io tutti aborro i numi», è la sua propria confessione, la sentenza sua propria contro tutte le divinità celesti e terrestri che non riconoscono come suprema divinità l’autocoscienza umana. Nessuno può starle a fianco. Alle tristi lepri marzoline, che gioiscono dell'apparentemente peggiorata condizione civile della filosofia, essa replica quanto Prometeo replica al servo degli dèi Ermete: «…io, t’assecura, / non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù. / Meglio d’assai lo star qui ligio a questa rupe io stimo, / che fedel messaggero esser di Giove». Prometeo è il più grande santo e martire del calendario filosofico”.

- Karl Marx: Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro -

sabato 26 maggio 2012

O Pinche

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Mario Rodríguez Losada, (conosciuto anche col nome di Mario de Langullo - detto "O Pinche"), era uno dei tanti leggendari guerriglieri che, dopo la caduta della Repubblica, rimase sulle montagne del nord-ovest della Spagna, in Galizia,  a continuare la lotta armata contro il regime di Franco. Il suo gruppo di guerriglieri, uno dei più attivi nella regione, aveva base nella Sierra de Queija e gestiva la zona di El Bollo, La Gudina, Verin e Castro Caldelas, al confine col Portogallo, rimase a combattere fino all'agosto del 1968, quando O Pinche andò in esilio in Francia.

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Mario Rodríguez Losada (O Pinche, O Langullo. Guerrilla Warfare in Galicia [Kindle Edition]
di Antonio Téllez Solá (Autore), Phill Evans (Illustratore)

venerdì 25 maggio 2012

Le scritte sul muro

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Rovine, cadaveri, distruzione ovunque. Questo il modo in cui finisce il sogno hitleriano del Reich millenario. Finisce con i "sottouomini" slavi dell'Armata Rossa che occupano Berlino, con gli altari nazisti profanati, con le donne "ariane" stuprate.
William Vandivert, fututo fondatore dell’agenzia Magnum, aveva 33 anni quando, con la sua macchina fotografica, fermò le immagini che mostravano lo scenario devastato dell'ultimo atto nazista. Queste foto, alcune inedite e scattate alla luce di candele, ora possono essere viste in un galleria, sul sito web della rivista Life. Una dozzina di fotografie, dal divano, seduti sul quale si sarebbero suicidati Hitler ed Eva Braun, fino all'edificio della Cancelleria del Reich, bombardato, decorato con i graffiti dei nomi dei soldati sovietici. Firme apposte sui resti di un incubo finito nella primavera del 1945.

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giovedì 24 maggio 2012

il comparativo

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(...) Presso i Greci - lo si vede ancora in Esiodo - possiamo constare che, ad un determinato momento, la comunità decide che non deve più esistere un potere sovrano, che il potere, kratos, dev'essere deposto in mezzo alla comunità stessa e che ognuno dei suoi membri deve poter decidere a proposito degli affari comuni. Idea totalmente folle! Da dove viene? Nella sfera privata ognuno esercita un potere per così dire regale, il padrone di casa è come un re per i suoi figli, i suoi schiavi e sua moglie; ma affinché quello stesso individuo sia eguale rispetto agli altri nella comunità dei cittadini, è necessario trovare dei modelli di istituzioni che permettano che il potere sia completamente spersonalizzato e che circoli dagli uni agli altri, che si comandi e si obbedisca a turno e che ogni questione sia risolta mediante un pubblico dibattito nel centro della città.
Se prendiamo in considerazione l'Iliade, si vede chiaramente che questo avviene già: l'esercito acheo non ha più un unico re, come nel mondo miceneo. Il termine tecnico per indicare il re è basileus. Ora, questo sostantivo ammette un comparativo - si può essere più basileus di un altro, basileuteros - e un superlativo, basileutatos, ossia il più re di tutti: ciò significa che non c'è un solo re, ma più di uno, e che l'esercito greco è una coalizione di re che si sentono basileis, ciascuno dei quali ha portato con sé i propri uomini. Se uno di loro vuole andarsene, come Achille, può farlo: non dipende da nessuno. E quando si presenta un problema importante, come nella prima assemblea - o in altre, nel corso dell'Iliade -, l'esercito si dispone in cerchio, ossia lascia libero uno spazio al centro che è collettivo e impersonale. In questo spazio centrale tutti i re che lo desiderano, tutti gli aristoi, i migliori - non Tersite, per esempio, che ne viene scacciato - hanno pari diritto a farsi avanti ed a impugnare lo skeptron, che in quel momento non è più il simbolo di un potere regale particolare, ma diventa il simbolo di un eguale diritto di parola. Colui che vuol parlare avanza al centro per dare il suo parere al gruppo. Ciò esprime l'idea di una comunità guerriera di persone che, non volendo essere sottoposte all'autorità incontrollabile di un sovrano, ma volendo essere libere, decidono di costituire una comunità con un spazio libero al centro, in cui ognuno possa dire ciò che ha da dire. Questo rifiuto (dell'autorità incontrollabile) viene dall'idea che un uomo, aner, è tale solo se è libero dalla sottomissione ad un'autorità sovrana. E' questo ciò che sarà democratizzato e riguarderà non solo i signori della guerra, l'aristocrazia guerriera, gli Eupatridi, ma anche tutti gli ateniesi, tutti i cittadini di Atene, contadini o abitanti della città. L'insieme del corpo civico incarnerà questi ideali di non dominazione da parte degli altri, il ché porterà - soprattutto dopo le guerre contro i Medi - al fatto che i Greci avranno tendenza a definirsi greci in contrapposizione a quelli che chiamano i "barbari" - i quali non sono considerati uomini a pieno titolo, per quanto intelligenti possano essere, per quanto sapienti, anche più sapienti, e religiosi, anche più religiosi di loro come gli Egizi - nella misura in cui costoro accettano di essere dominati da un sovrano. I Greci, per parte loro, non lo accettano.
Questo ideale aristocratico, modificato nel corso dei secoli, resta ancora ben vivo.

Jean-Pierre Vernant – da “Senza Frontiere. Memoria, mito e politica” -

mercoledì 23 maggio 2012

2 maghi

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Al tempo della seconda guerra mondiale, c'era a Londra un mago molto conosciuto, chiamato Jasper Maskelyne. Maskelyne era un illusionista, rampollo di una famiglia di maghi inglesi, che si ritrovò senza più lavoro quando la guerra svuotò i teatri di Londra. Per cui decise di rivolgersi agli Alleati, e riuscì a convincerli che i suoi trucchi avrebbero potuto esser loro di aiuto. Andò a combattere sul fronte del Maghreb e si rese protagonista di alcune imprese straordinarie, come la famosa difesa di Alessandria. Al comando di un plotone di ceramisti, vetrai, disegnatori, falegnami ed altri artigiani ed artisti, Maskelyne mise in atto diversi trucchi, effetti ottici, giochi di luce, carri armati di cartongesso, città fatte di illusione; un turbinìo di ingegno che lavorava soprattutto ad obiettivi di distrazione e difesa. Il suo contributo alla vittoria della guerra in Africa è, ancora oggi, considerato fondamentale.
Avrebbe portato il suo ingegno sul "set" dello sbarco in Normandia!
Anche Juan Pujol Garcia alla fine ebbe il suo riconoscimento, anche se postumo, e anche se gliene importava il giusto. L'uomo misterioso che tutto il mondo conosceva come Garbo era anche lui un mago, ma un mago di un genere diverso. La magia di Juan Pujol fu quella di inventarsi come spia, senza che fosse mai entrato nemmeno in un consolato, in tutta la sua vita. L'abilità di Garbo consisteva nell'ingannare gli altri, e far loro credere tutto quello che voleva, qualsiasi cosa fosse necessaria. Un po', come se fosse uno scherzo. Uno scherzo - come dire - pesante. Sì, pesante. Ma serio.

"L'informazione segreta è facile da ottenere. Se è segreta abbastanza, allora la conosci solo tu. A questo punto, tutto quel che serve è un po' di immaginazione" - da "Il nostro agente all'Avana" (film del 1959 di Carol Reed) -

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Juan Pujol Garcia, prima di essere Garbo, era nato a Barcellona nel 1912. Fino allo scoppio della guerra, era un stato come qualsiasi uomo della classe media, un industriale, uno dei tanti della borghesia catalana del tempo. Non si discostava molto dallo stereotipo della persona della sua cerchia, salvco che una strana teatralità che lo rendeva un po'eccentrico. Come avvenne per tanti altri, la guerra civile cambiò il corso della sua vita. Trascorse il primo anno come un "topo", nascosto nella cantina della sua casa per sfuggire alla coscrizione, confidando, come la maggior parte, in una guerra di breve durata. Quando non riuscì a sopportare più la reclusione, si unì al bando repubblicano e quando finì la guerra rimase a Madrid. Madrid, molti non hanno dubbi nell'indicarla come la città delle spie, tra il 1939 e il 1945, soprattutto per la sua amicizia con l'Asse e per la sua posizione strategica. In ogni caso, Pujol si trovava a Madrid quando prese la decisione di cambiare tutto: si presenta all'ambasciata britannica ed offre i suoi servizi.
La seconda guerra mondiale stava avanzando senza pietà, ed il volontarismo era abbastanza comune a quel tempo. Alcuni sono semplicemente alla ricerca di un lavoro, di mezzi di sussistenza, ma non Pujol:
"Un piano cominciò lentamente a prendere forma nella mia testa: dovevo intraprendere qualcosa di fattibile. Dovevo fare la mia parte (“poner mi granito de arena”) per l'umanità."
Ma gli inglesi, che non sanno chi diavolo sia quest'uomo e cosa diavolo voglia, si dimostrano evasivi e gli raccomandano di restare neutrale.
Senza pensarci su due volte, Pujol va a tentare la fortuna presso l'ambasciata tedesca e si mette a disposizione del Terzo Reich. Incredibilmente, i nazisti lo accettato con entusiasmo come soldato dei servizi segreti tedeschi. Gli verrà data un'infarinatura, un addestramento sommario, e verrà inviato in Gran Bretagna, nel cuore degli Alleati, a spiare gli inglesi.
La farsa ha inizio nel 1941. Infatti, invece di trasferirsi a Londra, in realtà se ne va dalle parti di Lisbona, a Cascais per l'esattezza. Da lì, inizia ad inviare relazioni all'Abwehr (il servizio d'intelligence militare tedesco) come se si trovasse in Inghilterra. Senza saper parlare una sola parola di inglese, senza mai essere stato in Inghilterra, Pujol usa la stampa inglese, insieme a qualche guida di riferimento, come riviste e almanacchi, per mettere insieme ingredienti credibili nelle sue relazioni. Crea una rete di sub-agenti in tutta Europa che gli forniscono informazioni preziose. Un pilota portoghese, uno studente venezuelano, un maestro svedese. Qualsiasi cosa. Tutti erano falsi ed esistevano solo nella sua immaginazione ed in quella delle sue "vittime", i tedeschi. Però tutti avevano un nome ed un profilo personale molto dettagliato. Avevano una vita reale: si ammalavano, si sposavano, morivano, erano amanti di Garbo, cambiavano lavoro, ed indirizzo, e così via. Tutti questi agenti riferivano a Pujol tutte le informazioni che poi lui mandava ai suoi superiori tedeschi, sempre avidi di dettagli. Che se le bevevano! Il trucco risiedeva in un miscuglio di passione retorica, di dati più o meno certi che riusciva ad ottenere, oltre ad altri dati non verificabili e, soprattutto, c'era l'immaginazione.
Ma Pujol non aveva certo dimenticato i suoi propositi, ed il corteggiamento al "MI6" (Military Intelligence, Sezione 6. del Servizio Segreto Inglese), continuò a Lisbona, anche se a Madrid era stata respinto. Gli inglesi, che seguivano i suoi passi, non gli credettero nemmeno questa volta, e chiesero una prova. Come prova, Pujol passò ai tedeschi informazioni su un supposto convoglio alleato. La risposta tedesca fu immediata: non esitarono a dispiegare le loro forze sul luogo, e nel momento, indicato da Garbo, per difendersi da un attacco fantasma che, ovviamente, non avvenne mai. Gli inglesi lo arruolarono.
A questo punto, se lo portano in Inghilterra, lo addestrano e gli insegnano alcune cose. Perfezionano il metodo e gli forniscono informazioni più pertinenti e più succose per i nazisti. Dopo gli 11 mesi passati da Pujol, da solo, a scervellarsi, la nuova tattica prevede ora di passare informazioni precise ai tedeschi, però al momento sbagliato, in modo che il danno possa essere controllato o, male che vada, ridotto al minimo.
In pochi mesi, Pujol divenne una delle migliori spie della Germania, per il Reich. I rapporti di Garbo erano pieni di passione ed esenti da tutto quel ciarpame burocratico, ivi compresi proclami per la causa nazista e disprezzo per gli alleati. Per chi lo leggeva, Garbo era una persona, un camerata, un vero soldato del Reich, cui contribuiva notevolmente, e di cui nessuno sospettava minimamente. I mitomani nazisti, privi di ogni senso dell'umorismo, si bevevano qualsiasi cosa. Ora, Juan Pujol era pronto a mettere in scena il suo trucco più importante, l'evento più importante della guerra: l'invasione della Normandia.

Garbo, Rapporto del 9 giugno 1944. Letto personalmente da Hitler stesso:

"Dopo aver consultato personalmente l'8 giugno a Londra i miei agenti Jonny, Dick e Dorick, le cui relazioni sono state inviate oggi, io sono del parere, viste le grandi concentrazioni di truppe, nel sud-est e nell'est dell'Inghilterra, che non fanno parte delle attuali operazioni, che queste operazioni sono una manovra di distrazione per confondere il nemico e realizzare l'attacco decisivo altrove. A causa di continui attacchi nemici nelle aree menzionate, situate in una posizione strategica, l'attacco avverrà probabilmente nello Stretto di Calais "

Tutta Europa sapeva che gli Alleati avrebbero attaccato sul continente, da qualche parte. La domanda era dove. Lo sbarco, che Stalin reclamava da mesi, doveva tener conto del clima e dello stato del mare (la qual cosa ritardò di un giorno l'operazione), e doveva avere un sostegno sufficiente da parte dei servizi. Inoltre, non si trattava di un mero confronto militare, ma doveva sorprendere il nemico, come aveva fatto Hitler quando aveva attaccato la Francia, attraverso le Ardenne, nel 1940.
Dal punto di vista logistico, l'operazione di "inganno intelligente" era altrettanto complessa dell'operazione militare stessa. Si articolò attraverso una messa in scena degna di Hollywood: finti imbarcaderi, falsi rimorchiatori e falsi  convogli navali, rifornimenti paracudatati in aree sbagliate, bombardamenti sistematici di luoghi inutili, scelti con cura, ed un intenso traffico di radiotrasmissioni; il tutto per creare un'ombra convincente. Il problema era di riuscire ad inscenare il dispiegamento ed il rumore di un grande esercito. Ma alla regia c'era un grande. Il più grande. Maskelyne. Per settimane, i tedeschi controllarono ossessivamente lo stretto di Calais, riservando solo uno sguardo distratto alle spiagge della Normandia. Garbo continuò ad alimentare la menzogna più e più volte, nei suoi rapporti, confermando che tutte le prove puntavano su Calais, e sostenendo la tesi che la Normandia fosse solo l'invasione della menzogna. Garbo era, al tempo stesso, la stella delle spie tedesche ed il gioiello di quelle inglesi.
Naturalmente, a sbarco avvenuto, a Garbo venne chiesto conto del suo "errore" circa l'indicazione del luogo di attacco. La risposta di Pujol ai suoi amici tedeschi fu: "Sembra che le esercitazioni per la manovra di distrazione in Normandia abbiano avuto molto più successo di quanto si aspettavano. Così hanno annullato la seconda invasione, quella di Calais".
I tedeschi non capirono mai con chi avevano avuto a che fare. Quando persero la guerra Pujol conferirono a Pujol la più alta onorificenza (la croce di ferro), lo retribuirono con una paccata di soldi, lo ringraziarono per i suoi servizi e gli presentarono le scuse per la sconfitta. Il trucco era perfetto: era durato fino alla fine.

Bene, tutto questo è diventato anche un film, un documentario diretto da Edmon Roch, "Garbo, el espía (2009)". Giocato fra il fake e l'ironia, attraversato da frammenti di cinema, è una pastiche ambigua di realtà e finzione che si muove sul confine del credibile. E', per intendersi, a misura di Garbo. Il personaggio rimane misterioso. Non si sa se fu la Guerra Civile Spagnola a fare di lui una sorta di giustiziere, oppure se fu solo un opportunista trascinato dagli eventi, in un gioco di sopravvivenza destinato ad assumere dimensioni incredibili. Insomma, uno che ha salvato il mondo per caso, mentre pensava solo a salvare sé stesso! La scena in cui, a 72 anni, passeggia su una spiaggia della Normandia, non è molto chiara, ma è di un fascino assoluto, e sembra quasi metterci davanti agli occhi la giustizia poetica della storia. Le parole di Pujol, esagerate che ci raccontano come "l'umanità non poteva tollerare quel satanico splendore. Ed io ancor meno. Per questo ho lottato contro l'ingiustizia e l'oltraggio con le sole armi che possedevo".

martedì 22 maggio 2012

conseguenze

Pontiac

Fu una delle ribellioni più significative nella storia dell'America coloniale, quella che ebbe inizio quando una confederazione di tribù sotto la guida del capo Pontiac attaccò le forze britanniche a Fort Detroit. Era il 1764, e la guerra di Pontiac avrebbe infuriato per quasi due anni, prima che si raggiungesse una tregua - ma le conseguenze si sarebbero rivelate assai più drammatiche rispetto della stessa rivolta.
Per i nativi americani, fu la prima volta di una resistenza multi-tribale contro gli intrusi europei. Come fu anche la prima delle guerre indiane che non concluse con la sconfitta totale dei nativi americani. Pontiac impose un punto di vista pan-tribale destinato a modificare le susseguenti tattiche e strategie dei leader indiani. Per gli inglesi e per i coloni americani, il conflitto causò l'introduzione di nuove politiche che avrebbero portato direttamente alla guerra d'indipendenza americana. La ribellione di Pontiac documenta anche il primo tentativo di guerra biologica nella storia del Nord America.
Verso la metà del 1700, le Nazioni Indiane dell'Interno orientale erano completamente circondate dagli invasori europei. Quando gli inglesi entrarono in conflitto con i francesi, per il controllo del Nord America nel quadro della Guerra dei Sette Anni, i nativi americani si schierarono con i francesi, i cui progetti sulle terre indiane si limitavano al redditizio commercio di pellicce, piuttosto che alla colonizzazione. Nel 1760, dopo sei anni di guerra, i francesi si ritirarono improvvisamente dalla valle dell'Ohio e dai Grandi Laghi occidentali, permettendo così agli inglesi di occuparli. Pontiac, capo di una delle tribù indiane, tuttavia, rifiutò di arrendersi agli invasori affamati di terra, che non avevano alcun interesse a cementare l'amicizia scambiando doni.
Per l'inizio del 1763, Pontiac era riuscito - per la prima volta nella storia delle guerre indiane - a mettere insieme una vasta coalizione delle nazioni indiane (spesso in guerra fra di loro). Il 7 maggio, sferrava il suo attacco iniziale contro Fort Detroit. L'assalto era stato previsto, e il 120 uomini della guarnigione resistettero con successo ai vari tentativi di Pontiac. Ma solo due giorni dopo, la confederazione indiana attaccava i coloni isolati, al di fuori di Fort Detroit, e metteva sotto assedio la guarnigione del forte. Nel giro di poche settimane, erano stati presi tutti i forti ad ovest di Niagara, ad eccezione di Detroit e Pitt. In seguito a queste vittorie incredibili, all'inizio di settembre, gli indiani erano in procinto di ottenere una vittoria totale.
Ma all'insaputa di Pontiac, i francesi avevano già firmato un trattato di resa che poneva fine ad ogni ostilità tra le due potenze coloniali. Ora, gli inglesi potevano rivolgere tutta la loro attenzione alla rivolta di Pontiac. E lo fecero, con una brutalità genocida. Il generale Jeffrey Amherst - il comandante della forze britanniche in Nord America - ordinò di far pervenire agli indiani, coperte infestate con il virus del vaiolo. Migliaia e migliaia di nativi americani vennero spazzati via dall'epidemia.
Quando la notizia della conferma della resa francese, alla fine, arrivò alle orecchie di Pontiac, fu un colpo decisivo per la ribellione. Gli inglesi colsero l'occasione per porre fine al conflitto, che stava diventando troppo costoso, e fare la pace. Acconsentirono ad istituire la cosiddetta linea degli Appalachi - oltre la quale gli insediamenti non potevano invadere il territorio indiano.
Re Giorgio III avrebbe ben presto rinnegato la sua promessa ma - cosa assai più significativa - i coloni si infuriarono, a causa dell'ordine del re, credendo che l'espansione illimitata verso ovest fosse loro diritto, e il loro destino. Il risentimento aumentò ulteriormente, quando vennero introdotte delle nuove tasse per finanziare la difesa contro gli indiani. Quando, più tardi, scoppierà la guerra d'indipendenza, la maggior parte degli indiani combatterà dalla parte di quello che prima era il loro nemico, la Gran Bretagna.
Per quanto riguarda Pontiac, dopo la mancata cattura di Fort Detroit si ritirò, ma continuò ad incoraggiare resistenza contro l'occupazione britannica. Anche se gli inglesi avevano pacificato con successo la rivolta, decisero di negoziare comunque con il capo degli Ottawa, come segno di rispetto. Pontiac incontrò il sovrintendente agli affari indiani britannico nel luglio 1766, e pose ufficialmente fine alle ostilità. Tre anni più tardi, il 20 aprile 1769, venne assassinato. Si disse che gli inglesi avevano commissionato il suo assassinio.

lunedì 21 maggio 2012

fotografando

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E' il 28 ottobre del 1938, e il governo della Seconda Repubblica Spagnola ha organizzato una grande parata per salutare i volontari delle Brigate Internazionali che stanno per lasciare il paese. Siamo a Barcellona, sulla Diagonal, e le due immagini ritraggono le automobili su cui il presidente Azana e il capo del governo, Juan Negrin, insieme al generale Rojo, si dirigono alla manifestazione. Solo che Agustì Centelles, in queste due foto che finora nessuno praticamente conosceva, ha ritratto anche Robert Capa che appare nelle immagini con la sua nuova macchina fotografica, la Contax II che aveva da poco sostituito la fedele Leica.

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E di quella giornata, le foto che ancora oggi sono universalmente conosciute, e che all'epoca fecero il giro del mondo, sono proprio quelle scattate da Robert Capa. Centelles e Capa, a quanto pare, si incontrarono per tre volte, nella loro vita. Altre due, oltre questa. La prima volta fu a Teruel, e lo testimonia una foto scattata da Capa ad un sottoufficiale della Guardia d'Assalto, dove ad un'estremità del negativo appare Centelles. L'ultimo incontro avvenne a guerra finita, nel campo di concentramento di Bram, in Francia, dove Centelles era recluso e dove Capa andò per fare un reportage fotografico. Non esiste alcuna documentazione che attesti, però, che ci sia stato fra i due un qualche scambio, personale o professionale che fosse. Capa, al tempo, godeva già di una reputazione internazionale, mentre le foto di Centelles - fatte con una Leica che aveva dovuto comprare a rate - quando uscivano dalla Spagna, non recavano neppure il nome del suo autore.
Si tratta di due modi - quello di Capa e quello di Centelles - di vedere, e di fotografare. Centelles fotografa la "sua guerra", e per questo è molto vicino alle persone che mostra. E' complice delle immagini. Ne cattura il sentimento e il dramma. Capa, forse, è più freddo, se non proprio cinico, e la tecnica - ed il disporre del miglior materiale per realizzarla - ha più peso. Così, quando entrambi fotografano il cimitero del Campo di Concentramento di Bram, Capa mostra una fila di croci con un gendarme francese che quasi le presidia, mentre Centelles ci fa vedere i suoi compagni che rendono omaggio ai caduti. Ci sono ancora molte storie, da trovare, nelle foto di Centelles. Momenti unici, come questi. Momenti casuali, come l'immagine di Robert Capa "rubata" da quello che è stato definito "il Capa spagnolo".

sabato 19 maggio 2012

senza fantasia

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Ma perché mai, secondo lor signori, un'organizzazione criminale come la Sacra Corona Unita (sui giornali, volgarmente chiamata "mafia") dovrebbe aver interesse a far sì che il territorio in cui opera - con una certa dose di consenso, mi vien da dire - venga letteralmente militarizzato? Quale vantaggiosa conseguenza avrebbe dovuto mai trarre dal mettere in atto una vera e propria strage di innocenti, se non quella di trasformare ogni genitore di vittime potenziali in un cittadino pronto a collaborare con la polizia, contro le organizzazioni criminali che uccidono i suoi figli!?
Collaborare, già! Collaborare e magari invocare, tutti insieme, delle belle leggi speciali, che facciano il paio con il tanto taumaturgico rigore.
Liberismo e legalitarismo, insieme! Magari meglio sorretti da un bell'intervento dell'esercito, considerato che ha il vantaggio, l'esercito, di non somigliare più a quello degli anni '70, quello dei "proletari in divisa", ma di essere un bell'esercito professionale che tutto il mondo ci invidia (tranne l'India, ma questa è un'altra storia). Perché il copione è vecchio, ed è già stato messo in scena più volte, ma adesso sono cambiate alcune cose.
O certo, qualcuno prova a ripetere gli schemi (come il blog di "Panorama" che ha invitato - e poi ritrattato - a seguire la "pista anarco-insurrezionalista" anche per queste bombe), ma quello che serve allo stato, agli stati, in Italia come in Grecia, in questo momento, è di consolidare una gestione autoritaria della crisi.
Liberismo e legalitarismo (Monti e Napolitano, la chiamano "fermezza e coesione", ma è la stessa cosa). In modo che possano permettersi, col consenso, di liquidare tutte quelle situazioni - a partire dalla No TAV, non per niente definito dalla Cancellieri, la madre di tutte le preoccupazioni - che mettono in discussione la loro "TINA" ("There is no Alternative"). E, per loro, non c'è alternativa a Liberismo e legalitarismo. In una sola parola, al fascismo!

venerdì 18 maggio 2012

teneri assassini

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La notizia è di oggi, è su Repubblica. A qualcuno è venuta una delle solite belle idee. IL qualcuno è la commissione di Affari Sociali della Camera. La bella idea è quella che prevederebbe che i Comuni possano istituire una tassa, da far pagare ai proprietari di cani e di gatti, da destinare alla lotta contro il randagismo, dicono loro. A parte che -  a quanto mi risulta - una tassa sui cani si paga già, mi domando come farebbero a farti pagare una tassa sul quell'essere, chiamato gatto, e che ci onora della sua presenza. Mi piace, a questo punto, far leggere, a chi ne ha voglia, quanto segue, a proposito dei gatti. Giusto per capirsi.
Ah, a quanto pare, dopo le reazioni sul web, il governo, che in un primo momento si era dimostrato entusiasta, ha ritirato il suo appoggio!

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“Che cos'è un gatto ? Tutti i bambini lo sanno. Eppure i gatti, tra gli animali che
ci sono più familiari, mantengono un'aura di ineffabile mistero. A che servono?
Cosa vogliono? I gatti trascorrono l’85 per cento della loro giornata a non fare un
cavolo. Mangiare, uccidere, cagare e fare sesso non occupano che il quattro per
cento (al massimo) della loro esistenza. Il restante dieci per cento, lo impiegano
ad andare in giro. Altrimenti dormono, o stanno li seduti e basta. Si dice che i gatti
siano stati gli ultimi animali a venire addomesticati, dagli antichi Egizi circa 3500
anni fa. Ma anche i gatti hanno addomesticato noi, per i loro buoni motivi. Oggi,
soltanto un quarto dei «padroni» di gatti americani dice di essere andato
deliberatamente ad acquistare un gatto; nel 75 per cento dei casi, è stato il gatto ad
acquistare loro. E, come hanno dimostrato gli studi, ci sono molti più proprietari
di gatti - o meglio, persone che si definiscono tali - che gatti. Quando il vostro
gatto sparisce per un po', in realtà non è andato a caccia: è dal vicino a sbafarsi
una pappa gratis; o forse se la ronfa sul davanzale di uno dei suoi rincitrulliti
«padroni». I gatti devono mangiare l'equivalente di cinque topi al giorno. Un gatto
a cui venga dato libero accesso al cibo non mangia che una porzione grande
quanto un topo per pasto. Il vostro gatto ne fa cinque al giorno, di pasti? Certo che
no: ma stasera va a cena fuori.
Una delle caratteristiche che fanno andare i gatti per la maggiore è che sono
animali puliti, abituati a insabbiare con cura le proprie feci. Anche se non lo fanno
sempre: solo una volta su due. Accumulano roba lungo i confini di tutto il loro
territorio, come se piantassero dei maleodoranti cartelli con scritto «Alla larga» o
«Smamma». A un gatto il latte, il cibo per gatti e il riscaldamento fanno male. Il
latte gli fa venire la diarrea, il cibo per gatti gli guasta le gengive e il
riscaldamento lo costringe a fare la muta di continuo. Perciò si leccano e
inghiottono pelo, cosa che gli irrita l'apparato digerente.
Negli Stati Uniti ci sono circa 75 milioni di gatti, responsabili della morte di un
miliardo di uccelli e di cinque miliardi di roditori all'anno. Fino al xvn secolo, la
gente si divertiva un sacco a infilare dei gatti vivi nei fantocci di vimini che
riproducevano l'effigie del papa e a dargli fuoco. Ne derivava un effetto sonoro
che compiaceva i puritani, ma non i gatti: hanno un udito ipersensibile e riescono
perfino a sentire i pipistrelli.
Le ricerche hanno provato quello che tutti i padroni di gatti sanno: tolti gli
esseri umani, i gatti hanno una gamma di personalità più ampia di qualsiasi altra
creatura sulla terra. E si, sono intelligenti. Intelligentissimi. Sempre che ne valga
la pena. Esistono parecchie storie ben documentate di gatti abbandonati dai
padroni che li rintracciano in posti a centinaia di chilometri di distanza. Che
sappiano leggere le mappe? Forse. Di sicuro sanno dire l'ora, come recenti
esperimenti hanno dimostrato. Gli antichi Egizi adoravano i gatti come dèi:
ucciderne uno, intenzionalmente o meno, era un delitto capitale. Quando moriva
un gatto, il suo padrone era tenuto a depilarsi le sopracciglia. Di chi era stata
quell'idea ? Di un gatto, naturalmente. Loro mica le hanno, le sopracciglia.
I gatti possono agire alla cieca, usando le sole vibrisse
A differenza dei cani, possono muovere ciascun dito indipendentemente dagli
altri e «preformarne» la presa prima di colpire
Quando un gatto sguaina gli artigli, le sue zampe diventano grandi il doppio
«Ve l'avevo detto che era meglio telefonare ! »
La maggior parte dei gatti ha un parassita che si pensa abbia effetti a lungo
termine e irreversibili sul cervello umano. Il Toxoplasma gondiì può trasformare
gli uomini in raminghi scontrosi e malvestiti, e le donne in micine votate al sesso
facile e promiscuo. Metà della popolazione inglese è già stata infettata.”
da: "Il libro dell'ignoranza sugli animali" di John Mitchinson & John Lloyd

romanticamente

faust

Nella rivista "Rethinking Marxism", questa gemma nascosta, di Myka Tucker-Abramson, "La Riforma Economica della Magia nel Doctor Faustus":

L'introduzione dell'editore:
Per coloro che sono interessati a considerare un approccio marxiano alla letteratura, presentiamo "Marlowe è un marxista? La Riforma Economica della Magia nel Doctor Faustus", di Myka Tucker-Abramson. Compiendo una lettura ricca di sfumature dell'opera, scritta nel 1594, da Christopher Marlowe, Tucker-Abramson sostiene la necessità di una nuova interpretazione delle transizioni rappresentate nel dramma. Concentrandosi sulla magia come metafora strutturante per la sua analisi, ella sostiene che il gioco di subordinazione della "vecchia" magia dell'imperatore e della chiesa alla "nuova", e molto più potente, magia esercitata dal Faust per conto di Mefistofele (e Lucifero), segna un importante cambiamento in atto nel mondo di Marlowe. Per Tucker-Abramson, questo "nuovo" paradigma è rappresentativo del capitalismo emergente. L'inevitabile "caduta" di Faust nelle grinfie dei demoni che lo "servono" è un'analogia per le pratiche del capitalismo ed il modo in cui esse ridisegnano la soggettività umana. Così, l'opera si gioca assai meno sulle carenze morali del suo personaggio eponimo di quanto, invece, si giochi sulla perniciosa, distruttiva potenza di questo nuovo ordine, che va a stabilire il suo dominio.

Nel dramma di Christopher Marlowe, del 1594, "Doctor Faustus", la magia è una metafora per lo sfruttamento. Nel mio lavoro sostengo che "Dottor Faustus" si basa sul confronto, accuratamente costruito, tra la magia, vecchia ed inefficace, dell'Imperatore ed del Papa e la nuova magia, molto efficace, di Mefistofele e Lucifero. Il passaggio dalla magia cattolica alla magia luciferina, rappresenta la dissoluzione del vecchio ordine e l'ingresso del denaro nel sistema capitalista. Io sostengo che la sottomissione di Faustus al diavolo inneschi l'attimo in cui il più ampio processo di sfruttamento, e di feticismo delle merci, prende possesso dell'intero mondo sociale del dramma, dal Papa e dall'Imperatore fino al servo ed al mercanto di vini. Da questo punto di vista, Doctor Faustus non tratta di un fallimento personale o morale, ma è una mappatura della naturalizzazione, e della sfida, dell'ideologia capitalista.
Dopo aver fatto il suo patto con il diavolo, Faustus viaggia per tutta l'Europa, distruggendo il caos ed esercitando il suo potere sulla società feudale. In questi viaggi, spiccano due scene: quella in cui Faustus gioca uno scherzo al papa, e quello in cui impressiona l'imperatore, creando l'illusione di aver resuscitato Alessandro Magno, e la sua amante, dal regno dei morti.
Le interazioni di Faustus con il papa e con l'imperatore hanno luogo quando comincia a venir meno la magia del feudalesimo. La futile risposta del papa allo scherzo di Faustus: il suo sbraitare, "Bell, book, and candle; candle, book, and bell. /Forward and backward to curse Faustus to hell" ("Cero, libro e campana, – campana, libro e cero, / su e giù, per dannar Faust dentro l'inferno nero) smaschera il potere della Chiesa cattolica e la sua abilità a sfruttare, grazie alle false e superstiziose credenze, il collegamento del papa a Dio e, più in generale, il collegamento della chiesa al divino. Allo stesso modo, l'accettazione da parte dell'imperatore della risurrezione, operata da Faustus, di un Alessandro illusorio, rivela il modo in cui l'imperatore ed il papa fanno parte di un sistema di sfruttamento basato su una falsa (divenuta obsoleta) magia. Il potere e la ricchezza del papa e dell'imperatore non derivano dalla loro capacità magica di spillare denaro a loro sudditi attraverso il lavoro, ma, più crudamente, si basa sulla minaccia della dannazione fisica o spirituale. Se, come osserva Marx, la "dipendenza personale" del feudalesimo significa che "non vi è alcuna necessità, per il lavoro e per i suoi prodotti, di assumere una forma fantastica diversa dalla loro realtà", il papa e l'imperatore di Marlowe dimostrano quanto sia futile tentare di creare una forma fantastica dallo sfruttamento feudale. Come contrappunto, Marlowe mette in campo la magia di Mefistofele e Lucifero in quanto "vera" magia che, come vedremo, è legata al sistema emergente del lavoro salariato.
Molti pensatori si sono cimentati con il rapporto tra le riforme economiche e le riforme religiose del XVI secolo: tra, da una parte, la trasformazione da un modo di produzione agrario ad un modo di produzione capitalistico e, dall'altra, la trasformazione simultanea dalla regola cattolica a quella protestante. Mentre, sono stati messi in campo argomenti deterministici, da entrambi i lati, la risposta ovviamente non è mai così semplice. R.H. Tawney mette in evidenza il rapporto tra mutamenti materiali e mutamenti morali, nella società: "L'impeto a riformare o a rivoluzionare, in ogni età muove dalla realizzazione del contrasto tra l'ordine esterno della società e gli standard morali riconosciuti validi dalla coscienza della ragione dell'individuo. E naturalmente è in periodi di rapido progresso materiale, come nei secoli XVI e XVIII, che un tale contrasto è più acutamente sentito".
Seguendo le orme di Tawney, un gruppo di storici sociali ed economici, quali Christopher Hill, e K. George, e HR Trevor-Roper, hanno tutti teorizzato la complessa interazione tra rivoluzione economica e rivoluzione religiosa. Tuttavia, questo tipo di pensiero di una dialettica tra trasformazione economica e trasformazione ideologica raramente è filtrata nella critica letteraria del Doctor Faustus di Marlowe. Invece, i critici si sono in gran parte focalizzati sul rapporto tra il dottor Faustus ed una lettura calvinista, o hanno indugiato al tentativo di accreditare Faustus sia come critico che come esplicatore del protestantesimo. La ragione per cui i critici non sono d'accordo sul messaggio ideologico del Doctor Faustus è che il contenzioso di Faustus con la Riforma non è semplicemente dottrinale o metafisico, ma è anche una lotta che fa i conti con la trasformazione economica, sociale e politica che dava forma e prendeva forma dalla Riforma protestante. In quel che segue sosterrò, in primo luogo, che la magia nel Doctor Faustus può essere letta come una metafora del crescente potere demoniaco del capitale durante l'età moderna in Inghilterra; in secondo luogo, che il rapporto di Faustus col cattolicesimo e col protestantesimo è sempre mediato dall'emergere del primo capitalismo; e in terzo, che come risultato di questa interconnessione, la resa di Faustus al diavolo deve essere letta non come un fallimento personale (o come un argomento in favore di un protestantesimo più dolce e gentile), ma come emblematico di una lotta sociale, alle prese con l'emergere del protestantesimo e con il capitalismo nascente, nel XVII secolo in Inghilterra.


fonte: http://www.principiadialectica.co.uk/

giovedì 17 maggio 2012

Fahrenheit 451

Mandelshtam

"Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse,
e dovunque ci sia spazio per una conversazioncina
eccoli ad evocarti il montanaro del Cremlino.
Le sue tozze dita come vermi sono grasse
e sono esatte le sue parole come i pesi d’un ginnasta.
Se la ridono i suoi occhiacci da blatta
e i suoi gambali scoccano neri lampi.

Ha intorno una marmaglia di gerarchi dal collo sottile:
i servigi di mezzi uomini lo mandano in visibilio.
Chi zirla, chi miagola, chi fa il piagnucolone;
lui, lui solo, mazzapicchia e rifila spintoni.
Come ferri di cavallo, decreti su decreti egli appioppa:
all’inguine, in fronte, a un sopracciglio, in un occhio.
Ogni esecuzione, con lui, è una lieta
cuccagna ed un ampio torace di osseta."

Era una sera di maggio del 1934, a Mosca, quando Osip Mandelshtam dettò questi versi, che non aveva mai osato mettere per iscritto, ad un funzionario di partito. Il funzionario - Nikolaj Shivarov, esperto di questioni letterarie - scrisse tutto, poi fece firmare. Mandelshtam, convinto che il testo fosse già noto alle autorità, finì per auto-accusarsi. A niente gli erano servite le serate passate a simulare, insieme al suo amico Arkadij Furmanov, ex cekista, gli interrogatori che sapeva sarebbero arrivati.
La sua "confessione" rimane l'unico suo scritto autografato, custodito per più di settant'anni negli archivi della polizia segreta sovietica, dentro una cartellina beige. Il fascicolo personale di Mandelstham.
Non poteva scrivere, nei campi di lavoro dove rimase internato. Così, componeva i suoi versi, le sue poesie, i suoi poemi, dentro la sua propria testa. Poi li recitava alla moglie, Nadezda, più e più volte, fino a che. questa, non li mandava a memoria. Stalin aveva dato ordine di distruggere tutte le sue opere. Ma quelle chiuse a chiave nel cassetto della memoria della moglie, rimasero e, alla fine, vennero di nuovo trascritte e pubblicate.

mercoledì 16 maggio 2012

Cronologie

cannes

Il festival del Cinema di Cannes, iniziato ieri, ha scelto di auto-celebrarsi con un manifesto in cui si vede Marilyn Monroe che soffia sull'unica candelina di una torta. Sfruttando il riferimento alla celebre interpretazione della diva, durante quella che fu forse la più celebre festa di compleanno, si intende così celebrare il 65°anniversario del festival. Il manifesto, in proposito, non lascia dubbi. Secondo questa cronologia, era il 20 settembre del 1946 quando ebbe luogo la prima edizione della rassegna cinematografica che, poi, continuò a essere tenuta ogni anno a settembre, fino al 1952 (con due eccezioni, il 1948 e il 1950, in cui non ebbe luogo per problemi di bilancio). Dopo il 1952, anno in cui le relazioni fra Italia e Francia tornarono ad essere cordiali, si decise di spostare la rassegna al mese di maggio, in modo da non fare concorrenza alla Mostra el Cinema di Venezia che si teneva in autunno.E così, tutto sembrerebbe tornare, con quel numero, 65, che troneggia sul manifesto di quest'anno. Solo che ... tecnicamente, la prima edizione non ebbe luogo nel 1946, ma nel 1939!
Il primo settembre del 1939 venne inaugurato il Festival Internazionale del Film di Cannes, per essere cancellato il giorno successivo. Visto che quel giorno era stato scelto da Hitler per invadere la Polonia e dare così inizio alla Seconda Guerra Mondiale.

martedì 15 maggio 2012

tempo di crisi

LIONE comune

A seguito della sconfitta dell'esercito francese, da parte dei prussiani, e della cattura di Napoleone III durante la battaglia di Sedan, il 2 settembre 1870, il governo di Napoleone III crolla. Il 4 settembre 1870, un gruppo di borghesi repubblicani proclama la Terza Repubblica e istituisce un governo di difesa nazionale. Molti internazionalisti, che erano stati imprigionati dal regime di Napoleone III per la loro attività, vengono liberati, e salutati come eroi dalla classe operaia francese, ed Eugène Varlin ritorna dal suo esilio in Belgio.
Michael Bakunin, intanto, arriva a Lione con la speranza di trasformare la guerra tra la Prussia e la Francia in una rivoluzione sociale. Bakunin ha esposto la sua posizione in "Lettera ad un francese sulla crisi attuale".
A Lione, Bakunin si incontra con gli altri membri dell'Internazionale che condividono il suo approccio rivoluzionario socialista, tra cui Albert Richard di Lione, ed André Bastelica, di Marsiglia. Il 24 settembre 1870, a seguito di una manifestazione popolare che richiede "una tassa sui ricchi e la nomina degli ufficiali dell'esercito mediante libere elezioni", Bakunin ed i suoi compagni pubblicano un proclama (riprodotto qui sotto) in cui si chiama alla costituzione di una federazione di comuni rivoluzionarie che sostituisca lo Stato borghese. Il proclama viene accolto con entusiasmo, anche se c'è una certa riluttanza, da parte degli associati, a metterlo in pratica.
Quando il Consiglio municipale prova a ridurre il salario degli operai delle fabbriche locali che erano state nazionalizzate, migliaia di lavoratori manifestano davanti al municipio di Lione, permettendo a Bakunin e ad i suoi associati di occupare la sala comunale e ribadire le loro richieste. Ci sono scontri tra i manifestanti e la Guardia Nazionale che, alla fine, riprende il controllo della sala. Bakunin è arrestato, ma poco dopo viene liberato da un piccolo gruppo di compagni. Da Lione, Bakunin si dirige a Marsiglia, insieme a Bastelica, da dove poi rientrerà Svizzera. Una settimana dopo la partenza di Bakunin, da Marsiglia, anche lì viene messo in atto il tentativo di stabilire una comune rivoluzionaria. Mancano sei mesi, al marzo del 1871, e alla Comune di Parigi.

LIONE

LA FEDERAZIONE RIVOLUZIONARIA DELLE COMUNI

La situazione disastrosa del paese, l'incapacità dei poteri ufficiali e l'indifferenza delle classi privilegiate hanno portato la nazione francese sull'orlo della distruzione.

Se il popolo non si affretterà ad organizzarsi ed agire in modo rivoluzionario, il suo futuro è condannato; la rivoluzione sarà perduta. Riconoscendo la gravità del pericolo e considerando che un'azione urgente da parte del popolo non deve essere ritardata di un solo attimo, i delegati dei Comitati Federati per la Salvezza della Francia, ed il Comitato Centrale propongono l'adozione immediata delle seguenti risoluzioni:

Articolo 1 - La macchina amministrativa e governativa dello Stato, essendo divenuta impotente, viene abolita. Il popolo francese assume il pieno possesso del suo destino.

Articolo 2 - Tutti i tribunali civili e penali sono sospesi e sostituiti dalla giustizia del popolo.

Articolo 3 - Il pagamento delle imposte e dei mutui è sospesa. Le tasse vengono sostituite dai contributi, provenienti dai comuni federati, a carico delle classi ricche ed in proporzione a quanto è necessario per la salvezza della Francia.

Articolo 4 - Poiché lo Stato è abolito, esso non può più intervenire per assicurare il pagamento dei debiti privati.

Articolo 5 - Tutte le organizzazioni comunali esistenti sono abolite e sostituite, in tutti i comuni federati, dai comitati per la salvezza della Francia. Tutti i poteri di governo verranno esercitati da tali comitati sotto la supervisione diretta del popolo.

Articolo 6 - Ogni commissione nel capoluogo di un Dipartimento manderà due delegati alla Convenzione Rivoluzionaria per la Salvezza della Francia.

Articolo 7 - La Convenzione si riunirà immediatamente presso il municipio di Lione, dal momento che essa è la seconda città della Francia ed è nella posizione migliore per fornire le energie necessarie alla difesa del paese. Questa Convenzione, sostenuta dai tutto il popolo, salverà la Francia.

ALLE ARMI!!!

lunedì 14 maggio 2012

Imprenditori

A's Owner Charlie Finley with his manager Dick Williams in 1972. photo Ron Riesterer/Oakland Tribune

Negli anni Sessanta, Kansas City era una piccola città del Kansas, lontana dalla politica e dai grandi spettacoli. Nota per essere stata il luogo dove un tornado si portava via Dorothy, con tutta la casa, ne Il Mago di Oz, aveva recentemente attirato l'attenzione a causa del massacro di un'intera famiglia, che Truman Capote racconta in "A sangue freddo". Basta così, nient'altro. A Kansas City, viveva Charles O. Finley. Era un uomo d'affari americano che aveva fatto fortuna nel settore assicurativo. Nel dicembre del 1960, era diventato il proprietario della squadra di baseball della città, gli Athletics. La squadra giocava le sue partite casalinghe nello Stadio Comunale e , pur essendo l'unica squadra della città, giocava sempre con lo stadio mezzo vuoto. Finley doveva recuperare il suo investimento e per far questo cominciò a testare tutta una serie di strategie di marketing per cercare di promuovere, e rendere popolare, la sua squadra nell'apatica cittadina del Kansas, ma sempre senza risultato. Poi, in un momento di euforia, decise di giocarsi il tutto per tutto:
promette che avrebbe portato i Beatles a Kansas City, nel corso del loro primo tour americano, che stava per partire!
A questo punto, Charles Finley, meglio conosciuto come "Charlie O", aveva un bel problema, considerato quello che si è detto prima, a proposito della scarsa importanza della cittadina del Kansas, cui va aggiunto anche il fatto che la sua squadra di baseball si distingueva più che altro per la sua continua lotta per non essere l'ultima in classifica.
Come ci si aspettava, ed era ovvio, Kansas City non era nel circuito delle città dove i Beatles dovevano suonare. La città era appena considerata solo per quanto riguardava la musica country ed honky-tonk. Ed anche a livello turistico, lo "Stato del Ciclone" non veniva considerato dagli organizzatori del Tour. Forse fu proprio questo a colpire nell'orgoglio, Charlie O! La sua parola di cow-boy, la sua credibilità, il suo futuro imprenditoriale e gli investimenti della squadra, a questo punto, erano a rischio. Già stava considerando la possibilità di un suo linciaggio, anche fisico, oltre che mediatico, e perfino un esilio forzato, lontano dalla bella "città dei girasoli".
Tutta adrenalina, che, il 19 agosto 1964, lo spinse a salire su un aereo per San Francisco. Era a San Francisco che i Beatles avrebbero fatto il loro primo concerto americano. E a San Francisco riuscì a parlare con Brian Epstein, il manager dei Beatles. Insomma, per farla breve, offri ad Epstein 50mila dollari, in cambio di un concerto a Kansas City. Epstein rifiutò, spiegando che per l'unica data libera, il 17 settembre, il gruppo aveva programmato una giornata di riposo a New Orleans. Charlie ci rimase male, ma non mollò. La settimana dopo, a Los Angeles, tornò a fare un'altra offerta ad Epstein. Stavolta 100mila dollari. Al nuovo rifiuto, Charlie decise di alzare l'offerta a 150mila (un milione e mezzo di dollari attuali). Epstein si scusò e andò nei camerini, per parlare col gruppo. "Faremo ciò che tu ritieni più conveniente." - fu la risposta di John Lennon, a nome anche degli altri. Epstein tornò da Charlie, e si strinsero la mano. Niente contratti!
Il prezzo pagato era altissimo, e quando un giornalista chiese a Finley perché avesso voluto portarli a suonare a Kansas City a tutti i costi, quello, per giustificare il prezzo elevato, rispose: "I fans dei Beatles di oggi, sono i tifosi del baseball di domani".
La frase venne stampata sul retro dei biglietti per il concerto.

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Lo sforzo di Finley, non sarà del tutto invano, ma quasi. Ad assistere al concerto, ci saranno solo 20.207 persone, poco più della metà della capacità totale dello stadio, che aveva posti a sedere per 35.000 spettatori. Il giorno successivo, Finley, che aveva destinato il ricavato della serata a favore di un ospedale pediatrico, dovette staccare un altro assegno di 25mila dollari, per coprire l'importo della donazione minima che si era impegnato a dare all'ospedale, nel caso il concerto non avesse dato profitti.


fonte: http://www.sentadofrentealmundo.com

venerdì 11 maggio 2012

La malattia e la cura

suicide

A leggere i giornali, si direbbe che viviamo in un paese dove la causa principale di decesso sia quella che deriva dal darsi la morte per propria mano. I suicidi si sporgono da ogni pagina di carta stampata, fanno capolino da ogni telegiornale, con il loro quotidiano servizio di esequie. Suicidio economico. Quasi ci fosse stata - anche lì - una sorta di abolizione dell'equivalente di un art.18, che, prima, ne impediva l'attuazione! L'unica altra notizia, collegata e riproposta ossessivamente, in questi giorni, un po' più distanziata, è quella che ci informa, quotidianamente, delle ritorsioni che avvengono in tutto il paese, contro il colpevole, responsabile di questa presunta ondata di suicidi: Equitalia SpA (o Agenzia delle Entrate, a scelta).
Ma la notizia, il fatto, il fantasma che si aggira per l'Italia, rimane il suicidio generalizzato, per motivi economici. Insomma, sembrerebbe proprio che stia diventando quasi impossibile, uscire di casa la mattina, senza imbattersi in qualcuno che si faccia saltare le cervella o si precipiti giù da un quarto piano. Bisogna stare attenti! Anche perché c'è il pericolo del contagio. A detta di Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano:

"Studi epidemiologici internazionali dimostrano con certezza che le notizie dei suicidi da crisi economica, se presentate in modo sensazionalistico, inducono altri suicidi, innescando un pericoloso effetto domino. Le persone che compiono questi gesti estremi sono nella grande maggioranza dei casi entrate da tempo nel tunnel della patologia psichica, prevalentemente depressiva, che toglie la possibilità di trovare soluzioni alternative. I gesti estremi possono essere scatenati da fatti contingenti che esasperano una situazione economica già complessa, ma s’innescano in personalità da tempo fragili e vulnerabili che non hanno avuto la possibilità di chiedere aiuto per la loro sofferenza psichica."

E questo, nonostante il fatto che, se si vanno a guardare le cifre, dal punto di vista statistico, in Italia, i suicidi sono diminuiti e sono, comunque, in numero decisamente inferiore a quelli che avvengono nei paesi dove la crisi ancora non morde, come in Germania o in Finlandia. Mentre - pensa un po' - in Grecia il numero di suicidi corrisponde più o meno alla metà di quelli che avvengono da noi. Però la stampa e la televisione hanno deciso che ci stiamo ammazzando, e che l'unico rimedio è quello di assaltare un ufficio di Equitalia SpA, o dell'Agenzia dell'Entrate, e tutto passa. Fino alla prossima! 

giovedì 10 maggio 2012

Ritratti letterari

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Che faccia avrebbe Emma Bovary? Se lo deve essere chiesto, senz'altro, lo scrittore Brian Joseph Davis, e così ha deciso di tirar fuori dal testo di Flaubert tutte quelle tracce utili a dare forma al viso della protagonista di Madame Bovary, così come se lo immaginava l'autore. Però niente facilonerie del tipo "Madame Bovary, c'est moi". Davis ha dato in pasto le informazioni ad un software serio: quel "Faces ID" di Foresinc che viene usato anche dall'FBI per costruire gli identikit. Così, utilizzando gli oltre diecimila dettagli fisionomici, e le loro combinazioni, è riuscito (?) a dare un volto ai vari personaggi che si muovono dentro le pagine dei libri e ci ha fatto un blog, in cui vengono citate le informazioni ricavate dai romanzi, a corredo di ogni faccia. The composites, è il nome del blog. Certo è strano, accorgersi che la faccia di Sam Spade, de "Il falcone maltese" di Dashiel Hammett, non è quella di Humprey Bogart, o che il viso del Professor Humbert Humbert, della "Lolita" di Nabokov", non corrisponde affatto alle fattezze di James Mason, nel film di Kubrik, e così via.
Curiosamente, non riesco a vedere, sul blog, l'immagine presunta di Ignatius J. Reilly, il protagonista di "Una congrega di fissati" (conosciuto anche col titolo di "Una banda di idioti") di John Kennedy Toole. A quanto pare, a furor di popolo ne è stata richiesta una riformulazione. Evidentemente non sono il solo che ha sempre immaginato quel personaggio con la faccia di John Belushi!

mercoledì 9 maggio 2012

La morte nelle mani

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Strana storia, quella di Valentin Gonzalez, detto El Campesino, eroe della guerra civile spagnola, sponsorizzato dai sovietici, entrato nel mito nella battaglia di Teruel, dove Lister pensava di averlo mandato a morire. Ne riuscirà a venire fuori attraversando a nuoto il fiume Turia, con tutta la sua divisione. Diversi gradi sottozero - siamo nell'inverno fra il 1937 e il 1938. Molti moriranno, ma molti si salveranno. Lister lo vorrebbe far fucilare, ma non è il caso, vista la penuria di generali. Poi, dopo il 1939 finirà in Russia. Non è chiaro cosa gli succede, tra la fine della guerra civile spagnola e il processo Kravchenko. Si sposa con la figlia di un generale sovietico, lavora sulla metro di Mosca, compie atti di banditismo nel Caucaso. Quello che si sa è che scappò dal gulag siberiano ed arrivò a piedi fino alle montagne che confinano con l'Iran e le attraversò ad oltre 3mila metri di altezza.

Quella che segue, è la bella introduzione, scritta da Julian Gorkin, al libro di memorie "La vita e la morte in U.R.S.S." di "El Campesino".
Il libro, per intero ed in lingua inglese, per chi lo volesse, può essere scaricato QUI. Quanto a Julian Gorkin, rappresentante del POUM (di cui poi diverrà segretario internazionale) a Barcellona, c'è da spendere un paio di parole a proposito del fatto cui accenna, quando dice a proposito del Campesigno che "fui suo avversario, e rischiai anche di esserne vittima"[1]. Il fatto si riferisce a quando Gorkin, arrestato dopo le giornate del maggio '37 a Barcellona (sarà tenuto in prigione fino alla caduta della Catalogna, nel 1939) e imprigionato a Madrid, aspetta che arrivasse El Campesino, per essere fucilato. Per sua fortuna, il generale venne trattenuto sul fronte dell'Estremadura, ed il governo repubblicano lo fece trasferire a Valencia.

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Un uomo, uno spagnolo leggendario, è riuscito nella doppia impresa di sopravvivere alle peggiori persecuzioni nella Russia stalinista ed evadere, dopo un primo tentativo fallito, da quella che lui chiama "la più grande e infernale prigione totalitaria del mondo". Quest'uomo è Valentin Gonzalez, conosciuto con il nome di El Campesino, il primo comandante comunista durante la guerra civile spagnola.
Immagino che chiunque nel mondo - soprattutto i comunisti e i veterani delle Brigate internazionali - che lo riteneva morto e sepolto da tempo, sarà sorpreso di sapere che è ancora vivo. Solo un uomo come lui, di una resistenza fisica e morale sperimentata, risoluto e indomabile, poteva realizzare una simile impresa. Solo l'uomo che per due volte ha battuto la morte in Spagna (morte annunciata ufficialmente per due volte) poteva vincerla per la terza volta, in URSS, in condizioni ancora più difficili. Ora che conosco tutti i dettagli di questa fuga, posso affermare che questo è un caso unico in un'epoca eppure così ricca di vite prodigiosamente drammatiche.
Avrei potuto dare la notizia di questa fuga già alcuni mesi fa, ma per farlo ho aspettato che fosse al sicuro. Coloro che conoscono i mezzi di cui dispone, ed i metodi che impiega, la sinistra GPU- ieri NKVD, oggi MVD - per sbarazzarsi dei suoi avversari (ci ricordiamo di come ha soppresso Ignace Reiss, Krivitsky e Trotsky), comprendono la necessità di prendere precauzioni.
Prima di lasciargli la parola, mi sembra necessario dover fornire una breve biografia. In giro ve ne sono numerose, piene di inesattezze: quella dello scrittore americano Hemingway e l'altra, del tutto fantasiosa ed adattata alle esigenze della propaganda comunista, di Ilya Ehrenburg, senza contare quelle scritte per mano dei franchisti, di cui era la bestia nera. Per me, che sono stato un suo avversario ed ho evitato di essere una sua vittima [1], non si tratta di cancellare i suoi errori passati - cosa che non accetterei di fare - ma di presentarlo per quello che è: una delle più curiose figure del nostro tempo.

L'eterno ribelle

L'Estremadura è una delle regioni più arretrate della Spagna; con un'economia rivolta quasi esclusivamente all'agricoltura e all'allevamento; conta circa il 65% di analfabetismo. Essa comprende ampie zone e aree incolte, dove vivono masse di contadini senza terra e, talvolta, senza pane, cosa che spiega il loro tradizionale spirito di ribellione. La dura lotta quotidiana con una terra ingrata, gran parte della quale è occupata da montagne impervie, quasi selvagge, ha creato uomini rudi, energici, determinati e testardi. I contadini dell'Estremadura non sanno né leggere né scrivere, ma di solito hanno una forte personalità. Fernand Cortès, che ha conquistato il Messico, era nativo dell'Estremadura, come Pizarro, il conquistatore del Perù. Ed è nato in Estremadura anche Valentin Gonzalez, in un villaggio sperduto e da una famiglia molto umile. Ai tempi dei conquistadores, sarebbe stato probabilmente un capitano avventuroso, capace di grandi imprese. Nato nel primo decennio di questo secolo, è stato un grande ribelle ed uno dei comandanti più audaci della guerra civile. Uomo di non grande cultura, era tuttavia dotato di una grande intelligenza naturale, di una memoria incredibile, di uno spirito di decisione e di un'astuzia sorprendente. Senza queste doti eccezionali, una vita simile alla sua sarebbe stata inconcepibile.
Suo padre, di origine contadina, aveva lavorato alla costruzione di strade e, più tardi, nelle miniere di Peñarroya. Più che per convinzione dottrinale o filosofica, era un anarchico per istinto; era in realtà un ribelle nato. Questo genere di anarchico in Spagna abbonda, soprattutto tra i lavoratori della Catalogna e tra i contadini dell'Andalusia ed Estremadura. Un tipo primario, e perfino primitive, avido di azione diretta, animato da un ardente desiderio di giustizia, da spirito di sacrificio e indiscutibile solidarietà . Durante la Guerra Civile, era uno dei capi dei guerriglieri dell'Estremadura. Catturato dai falangisti insieme ad una delle sue figlie, vennero impiccati senza processo. Per una settimana intera i loro cadaveri rimasero appesi, legati l'uno con l'altro, recanti un cartello che li denunciava come il padre e la sorella di El Campesino.
Ha quindici anni, Valentin Gonzalez quando inizia la sua attività sindacale. Arrestato durante uno sciopero, per aver preso la difesa dei contadini, viene soprannominato dalla polizia El Campesino. Non è vero, come è stato detto, che questo soprannome gli fu dato dagli agenti russi all'inizio della guerra civile, in modo da ottenere la simpatia dei contadini. Nel 1925, all'età di sedici anni, durante lo sciopero dei minatori a Peñarroya, lancia una bomba dentro la stazione di polizia, uccidendo quattro guardie civili. Devi conoscere l'odio profondo del popolo spagnolo contro l'istituzione della polizia, per spiegare un fatto del genere. Suo padre gli aveva detto: "Se dovrai nasconderti un giorno, vai su' in montagna. Il denaro, la civiltà, le donne ti tradiranno, la montagna non lo farà mai". E' in montagna che si nascondevano, un tempo, i banditi d'onore. E' in montagna che va a nascondersi Valentin Gonzalez, in compagnia di un altro giovane terrorista; vivranno lì come banditi per diversi mesi. Arrestati, una volta che erano scesi in pianura, vengono atrocemente torturati, il suo compagno muore, ma lui, più forte e risoluto, sopravvive. Per diversi mesi, rimane nella prigione di Fuenteojuna, il paese immortalato nella commedia di Lope de Vega. Gli anarchici detenuti con lui contribuiranno alla sua formazione politica, mentre i contadini della regione lo riforniscono di cibo nella prigione. Quando uscirà, andrà a vivere illegalmente a Peñarroya, come capo di un gruppo di pistoleros.
Il popolo spagnolo, che ha dovuto lottare per trentadue mesi di guerra civile contro la reazione interna sostenuta dal nazi-fascismo europeo, era violentemente ostile all'esercito della monarchia, ed è per questo che, dall'inizio della guerra in Marocco, ha adottato nei confronti di questo un atteggiamento di opposizione. Raggiunta l'età del servizio militare, non è sorprendente che El Campesino manifesti i suoi sentimenti antimilitaristi. Appena arruolato, diserta. Arrestato e portato a Siviglia insieme ad altri disertori, riusce a fuggire di nuovo. Ripreso, viene imbarcato, in manette, per Ceuta, dove viene condotto a Larache. Un sergente, noto per la sua brutalità, che lo aveva schiaffeggiato davanti agli altri soldati, viene trovato morto pochi giorni dopo. A Larache, conosce un soldato comunista che lo converte alle sue idee. Comincia a rubare dei prodotti all'Intendenza, che poi vende, per sostenere la pubblicazione di un foglio antimilitarista. Diserta per la terza volta e va a vivere tra i Berberi, finché un'amnistia non gli permetterà di tornare in Spagna, a Madrid, dove nel 1929 aderisce ufficialmente al partito comunista.

La morte nelle mani

E' a Mosca che Lister e Modesto, gli altri due principali comandanti comunisti della guerra civile, avevano ricevuto la loro educazione politica e militare. El Campesino, invece, era una creazione diretta del popolo spagnolo: si comportava come un leader della guerriglia piuttosto che come un militare disciplinato. Dall'inizio della guerra civile, organizza di propria iniziativa un battaglione di miliziani, il cui numero aumenta rapidamente fino a formare una brigata e poi una divisione, la famoso 46ma divisione che porterà per tutta la guerra il nome del suo creatore. Quando Mosca decide, due mesi dopo l'inizio delle ostilità, di intervenire negli affari della Spagna, i suoi agenti ed esperti militari, consapevoli del valore di questo guerrigliero e dell'influenza che esercita sui suoi uomini, lo riconosce come uno dei principali capi militari, nonostante il suo carattere anarchico e i suoi continui atti di indisciplina. Avevano visto in lui lo Tchapaiev della guerra civile spagnola. Se fosse vissuto in Messico, al momento della rivoluzione anti-Porfirista, avrebbe giocato il ruolo di un Zapata o di un Pancho Villa. In effetti, aveva con questi ultimi molto più in comune di quanto avesse con il famoso capo dei partigiani russi. Ma, desiderosi di tenere nascosto l'aiuto generoso e disinteressato del Messico e di combattere il sentimento di amicizia che il popolo spagnolo provava per quest'ultimo paese, i funzionari di Mosca scelsero di creare intorno a lui la leggenda di un Tchapaiev spagnolo.
Fatta eccezione per il fronte settentrionale, El Campesino ha combattuto su tutti i fronti della guerra civile. Lo si vedeva comparire ovunque ci fosse una operazione difficile da compiere, o una situazione disperata da recuperare. Dava l'impressione di un'eroica follia; si tirava fuori dai peggiori pericoli quasi miracolosamente, senza che nulla lo poteva fermare e senza esitare sul prezzo da pagare. Aveva acquisito una reputazione quasi sinistra, non solo presso il nemico, ma anche tra i settori del campo repubblicano ostile allo stalinismo. E oggi lo spiega con un senso di amarezza:
"L'Ufficio Politico e gli agenti di Mosca, che controllavano completamente il famoso Quinto Reggimento, commisero e fecero commettere le peggiori atrocità, di cui poi rigettavano le responsabilità su di me. Hanno voluto circondarmi di un alone di terrore, non solo sul fronte, ma anche nelle retrovie. Sapevano che avevo buone spalle e potevo prendere tutto su di me."

Esattamente. Come è anche vero che a causa del suo temperamento passionale e del suo fanatismo, commise lui stesso parecchi eccessi. Tutti coloro che hanno assistito o hanno partecipato ad una guerra civile, sanno come è facile uccidere ed essere uccisi in tempi in cui domina la passione collettiva - una sorta di follia demoniaca che non conosce confini. Questo è stato il caso della Spagna come di qualsiasi altro luogo. Lo spagnolo è per natura gioioso, cordiale, generoso, ospitale, eppure ha in sé, come nessun altro popolo, il senso tragico della vita ed il disprezzo della morte. Questo viene scambiato per una fanfaronata, ma è qualcosa di più profondo. Questo popolo ha l'abitudine di dare tutto, di rischiare tutto, di sacrificare tutto con generosità ed altruismo assoluti. Quando la sua passione si scatena, è capace di tutto. El Campesino è il prototipo per eccellenza di questo popolo. Per tutta la guerra civile, ha letteralmente portato la morte nelle sue mani. In certi momenti sembra che siano le mani stesse che, senza l'intervento della coscienza, prendano l'abitudine di uccidere. El Campesino era l'unico in questo caso? Ci sono stati altri come lui, che in tempi normali non sarebbero stati in grado di uccidere neanche una mosca. A vederlo, si rimaneva quasi sorpresi che avesse potuto giocare un ruolo così sanguinario. Era un uomo davvero semplice, bonario, e a volte dava anche l'impressione di essere un timido. I responsabili del grande dramma non furono forse quelli che scatenarono la tempesta contro la legge e la giustizia? I crimini da loro commessi non hanno forse superato in orrore tutto ciò che è stato fatto nel campo repubblicano? I crimini del franchismo possono essere paragonati solo a quelli commessi dallo stalinismo in nome di una politica estranea agli interessi e alle aspirazioni del popolo spagnolo. Ed è questo, ciò che El Campesino capirà, più tardi, in URSS. Ed è questo, ora, il suo grande dramma personale.
Le imprese militari di El Campesino sono legate alle principali operazioni della guerra civile. Conquista il famoso Cerro de los Angeles, cosa che impedirà al nemico di prendere Madrid. La stampa comunista attribuì questa impresa a Lister. Ma quest'ultimo, in realtà, persa la sua posizione, si ritirò a Perales de Tajuna, dove si consolò della sua sconfitta, con un'orgia. El Campesino ha combattuto a Somosierra, a Segovia, a Caravita, a Guadalajara, in Andalusia, in Estremadura, sul fronte del Levante, in Aragona, sull'Ebro, in Catalogna ... E' a Madrid, quando Miaja crede che tutto sia ormai perduto. Dorme nel palazzo d'Oriente, nel letto di Alfonso XIII. Stabilisce il suo quartier generale a El Escorial, poi al Pardo, l'attuale residenza di Franco. Con un piccolo gruppo di fanatici, compie un colpo di mano a Lerida, dove fa prigioniero un colonnello franchista con tutto il suo stato maggiore. Venne ferito undici volte, e più di una volta seriamente. Prima la prende, poi la perde, Teruel; e ci rimane, ferito, nascosto, per cinque giorni. Appena i soldati franchisti cominciano a gridare ai repubblicani che El Campesino è stato ucciso, subito si alza e corre sulla linea del fuoco, si arrampica in cima ad una casa in rovina e, levatasi la camicia, grida ai soldati di Franco che possono convincersi da soli quanto lui sia vivo. Quelli si guardano sbalorditi, e nessuno di loro ha la presenza di spirito di sparargli. Infine, riesce a scappare, non senza aver perso il suo aiutante di campo e più di mille uomini, dopo una mischia feroce durata oltre cinque ore. Tutti lo credono perduto. Franco ha annunciato che lo tiene prigioniero e presenta ai giornalisti il suo cappotto coperto di sangue. Ma il cappotto, in realtà, lo indossava il suo aiutante di campo, ferito a morte; se l'era messo sulle spalle nella speranza di salvarlo. Il governo repubblicano manda un telegramma alla moglie, dove la informa ufficialmente della morte del marito ... Quando, in piena notte, El Campesino chiama al telefono Prieto, allora ministro della Difesa nazionale, quest'ultimo non crede alle proprie orecchie .
Come sempre, al dramma, qui, si mescola un elemento comico. El Campesino ed il suo amico, il colonnello Francisco Galan, avevano giurato nei primi giorni della guerra civile che non avrebbero toccato un pelo delle loro barbe fino a quando non fossero entrati a Burgos, la capitale dei franchisti. Vedendo questo evento allontanarsi in una prospettiva sempre più lontana, Galan aveva alla fine deciso di radersi. El Campesino voleva imitarlo. Venne allora convocato dall'ufficio politico del Partito comunista di Spagna, dove, alla presenza dei delegati provenienti da Mosca, gli venne formalmente vietato. E' una barba leggendaria, gli venne detto; è con questo ornamento che era noto in Spagna e nel mondo; rimuoverlo sarebbe un tradimento. Uno dei delegati russi aggiunse: "Questa barba non è tua, appartiene al popolo spagnolo, alla rivoluzione e all'Internazionale comunista. Devi tenerla per disciplina". Si voleva chiaramente far nascere la leggenda che la sua forza stava nella sua barba, come quella di Sansone nei capelli.
Fu l'ultimo a lasciare la Spagna, quando, dopo il crollo del Fronte del Centro, questa era interamente nelle mani di Franco. Tutti i leader comunisti erano fuggiti sugli aereoplani tenuti pronti per questo. I collaboratori di El Campesino, che erano con lui a Valencia, si resero conto che tutto era perduto e che la resistenza, che voleva intraprendere il loro capo, sarebbe stato solo un suicidio eroico, ma inutile. Gli si buttarono addosso, lo legarono ad una sedia e gli tagliarono la barba, che nascosero sotto un tetto, ripromettendosi di tornare a cercarla, un giorno. Armati fino ai denti, riuscirono ad uscire da Valencia su una potente automobile e attraversarono tutte le province del Levante e parte del sud della Spagna, fino ad un piccolo porto di pescatori situato tra Malaga ed Almeria, non senza aver lasciato dietro di sé qualche cadavere di falangista. Sia a causa della sua mancanza di importanza, sia a causa della confusione che regnava, il paese era ancora amministrato da un commissario socialista di nome Benavente. Questi li nascose nella sua casa. La stessa notte dopo il loro arrivo, i franchisti presero possesso del villaggio e della casa dove i fuggiaschi si erano nascosti. Non potevano supporre che, in una camera accanto alle loro, ci fosse il famoso El Campesino insieme ai suoi aiutanti. Eppure la loro presenza nella regione era stata segnalato dalla radio franchista, che inviava costantemente l'ordine di catturarli a tutti i costi. Questi ordini erano arrivati anche alle orecchie dei fuggitivi, insieme ai commenti del commissario franchista, do sua moglie e dei suoi collaboratori. Ad un dato momento uscirono dal loro nascondiglio, uccisero tutti quelli che si trovavano nella casa e guadagnarono il porto, dove si impadronirono della migliore barca a motore. Durante la fuga, la moglie di Benavente rimase uccisa. Diverse barche si lanciarono all'inseguimento dei fuggitivi, che navigavano in direzione di Melilla; in mare incrociarono un peschereccio, di cui requisirono il combustibile, e poterono raggiungere la costa del Nord Africa, arrivando ad Oran. Per la seconda volta, El Campesino era scampato ad una morte annunciata.

"Ho sfidato la morte ad ogni passo, prima in Spagna, poi in URSS. E' senza dubbio a quella che devo il miracolo di vivere, e quello, più straordinario ancora, di essere evaso dall'inferno sovietico. "

Lo dice con orgoglio, con energia. Raramente ho visto degli occhi come i suoi: così luminosi, così limpidi e pieni di risolutezza. I suoi capelli sono neri, crespi, e le sue sopracciglia cespugliose gli danno un'aria di ostinazione. I suoi lineamenti, tipicamente spagnoli, denunciano la sua origine araba. E' di taglia normale, piuttosto inferiore alla media. Il suo corpo non è vigoroso, ma ben proporzionato, e sembra avere dei nervi d'acciaio. Quale straordinaria vitalità! E' una vera forza della natura, un prodotto tipico della terra spagnola. Ho fatto un lungo viaggio per trascorrere una quindicina di giorni con lui. Quando riuscì a fuggire, era debole ed emaciato, ma la sua vitalità ha preso il sopravvento ed ha recuperato in fretta. I primi tre giorni, l'ho lasciato parlare quasi senza interruzione, era così tanto che non poteva esprimersi nella sua lingua madre, confidarsi con qualcuno! Non riesce quasi a stare fermo, va nervosamente avanti e indietro, gesticola ed esplode in imprecazioni indignate, si direbbe che ha bisogno di rompere qualcosa.

Alla fine, si siede e continua:

"Ho pagato terribilmente cara la mia libertà: mio padre e mia sorella, impiccati pochi mesi dopo l'inizio della guerra civile, e mio fratello minore, che aveva combattuto come un leone, fucilato alla fine della guerra. Non capisco come, essendo mio fratello, abbia potuto lasciarsi prendere vivo. La mia compagna e i miei tre figli perduti nella Spagna di Franco. La mia nuova compagna e una figlia perdute nella Russia di Stalin. Tuttavia, nessuno si creda che io abbandoni la lotta. Oggi mi sento più forte che mai. Morire, per me, sarebbe stata la cosa più facile; se ho messo una tale determinazione nel vivere, malgrado tutto, è perché volevo far conoscere al mondo la verità sull'inferno sovietico, e continuare la lotta per la libertà degli uomini e dei popoli. "

JULIAN Gorkin.

fonte: http://bataillesocialiste.wordpress.com