lunedì 30 aprile 2012

Occasioni perdute

roosvelt

"Roosevelt si rese conto troppo tardi che era stato un errore la politica di non intervento nella guerra civile spagnola, non se ne rese conto fino a quando non divennero chiare le intenzioni di guerra totale da parte di Hitler". Questa è stata una delle affermazioni, fatte da Rosa Pardo, dottoressa in storia, nell'ambito del seminario "L'internazionalizzazione di un conflitto", organizzato a La Granja dal "Centro de Investigación de la Guerra Civil Española" (CIGCE). Pardo ha precisato che gli Stati Uniti perseguirono una politica di non intervento, senza partecipare a nessun tipo di patto tra nazioni. "Gli Stati Uniti decretarono un embargo e il divieto di vendere armi ad entrambe le parti nel 1936, e non riconsiderarono più quella posizione, nonostante le simpatie del presidente Franklin Delano Roosevelt furono sempre per il bando repubblicano".
Il mantenimento di tale posizione aveva a che fare - secondo Rosa Pardo - con la politica estera di Roosevelt, "con il suo sforzo per la pacificazione, ed anche con questioni di opinione pubblica, in particolare con l'isolazionismo richiedeva che l'opinione pubblica degli Stati Uniti, che il paese non entrasse più in guerra, dopo quanto era successo nel corso della Prima Guerra Mondiale". Il presidente nordamericano stava molto attento a non inimicarsi la maggioranza dell'opinione pubblica che chiedeva che il paese non fosse coinvolto in conflitti internazionali.
"L'opinione pubblica cattolica era molto importante, perché, anche se non tutta era dalla parte di Franco, rappresentava 20 milioni di voti, su 120 milioni di persone che vivevano negli Stati Uniti".
Rosa Pardo ha insistito sul fatto che Roosevelt cercò di fare dei gesti in favore della Repubblica, in particolare nell'anno 1938, e cominciò a pensare di dover agire sul serio quando si rese conto che l'obiettivo della Germania era la guerra totale. Da allora provò a cambiare i termini dell'embargo, ma era oramai troppo tardi.

domenica 29 aprile 2012

Libertà e rappresentanza

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"Quella greca, era per una società in cui non c'era alcuna soggettività e, quindi, alcuna rappresentanza.
Si distingue in quanto è una società che contiene conflitti ed ingiustizie, ma che è sostanzialmente libera e, quindi, il conflitto e l'ingiustizia sono trasparenti e intellegibili. Nella società greca solo alcuni vengono riconosciuti liberi, ma tale libertà è concreta e realizzata. Coloro che non sono liberi sono conosciuti come schiavi, ed il conflitto tra sfere sociali ugualmente valide è riconosciuto da tutti.
Nelle società successive tutti vengono ri-presentati come liberi, ma la libertà non si realizza per tutti, e la mancanza di libertà non è riconosciuta."

Gillian Rose - da "Hegel Contra Sociologia"

venerdì 27 aprile 2012

Pulp

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Philippe de Broca ne sapeva di cinema. Aveva studiato presso l'École Technique de Photographie et Cinématographie, poi aveva lavorato come fotografo dell'esercito francese in Algeria, quindi aveva girato documentari ed aveva fatto da assistente ai principali registi della Nouvelle Vague. Era stato, ad esempio, assistente di François Truffaut ne "I quattrocento colpi".
Poi De Broca comincia a girare film a basso budget, in un ambito apparentemente di basso livello intellettuale: grandi commedie come Cartouche (1962), L'uomo di Rio (1964) e L'uomo di Hong Kong (1965), tutte con Jean-Paul Belmondo, come attore.
In "Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo" (Le Magnifique), del 1973, c'è come protagonista lo scrittore François Merlin (sempre Belmondo) che produce, a ritmo forzato, i romanzi che hanno per protagonista l'agente segreto Bob Sinclair. Merlin si è identificato completamente nel personaggio di Bob Sinclair, in lotta contro la spia albanese Karpov (ispirato al suo edito) ed innamorato della sofisticata Tatiana (ispirata ad una studentessa inglese che si è appena trasferita nel palazzo dove vive). Insomma, lo scrittore Merlin ricicla la sua vita miserabile e la trasforma in grandi avventure.
Uno scrittore di romanzi di spionaggio, già, un po' come quel Gerarde de Villiers che poi - a quanto pare - è lo scrittore europeo che ha venduto in assoluto più libri. De Villiers ha pubblicato oltre 180 romanzi della serie "SAS", il cui protagonista, Son Altesse Sérénissime (ecco perché SAS) Malko Linge, un principe austriaco, fa lavoretti per conto della CIA, e altre cose del genere. Villiers - che afferma di aver venduto oltre 150 milioni di copie dei suoi libri - vive in un lussuoso appartamento in Place de l'Etoile, a Parigi, arredato con armi e dipinti di arte erotica; simpatizza per l'estrema destra ed ha girato tutto il mondo - dice - per documentare le storie che scrive, prima di incominciare a farlo.

hariri

Un solo libro, volendo, può essere consigliabile leggere, di Villiers: quel "Dossier Hariri" che parla dell'assassinio dell'ex primo ministro libanese (magari aiuterebbe a capire meglio l'attuale conflitto siriano) e che si dice si basi su una copia delle relazioni dei servizi segreti francesi, fornita allo scrittore dall'allora presidente Chirac, buon amico di Villiers. Ah, sembra che a Beirut il "Dossier Odessa" (La liste Hariri) si venda tutt'ora come il pane!
Pulp, certo! Ma anche Twain, Dickens, Burroughs (entrambi, sia quello di Tarzan che quello de Il Pasto nudo), Conan Doyle, London, Hammett, Chandler e molti altri hanno pubblicato come Pulp, il meglio di ciò che hanno scritto.
Oggi come oggi, sta venendo fuori l'ennesimo dibattito sulla presunta "fine della cultura". Gli è che Mario Vargas Llosa ha appena scritto un libro su "La civilizzazione dello Spettacolo" (vi ricorda niente il titolo??). Le solite menate su "cultura alta" e "cultura bassa", con contorno di sacro furore contro la cultura di massa e la sua presunta banalità. Le solite idiozie di chi non ha capito che se l'Ulisse di Joyce fosse fatto a fette e spedito in fascicoli, come posta elettronica, avrebbe un impatto formidabile. Con la sua pornografia, le sue banalità, il suo ritmo biblico. Letteratura popolare, Joyce, a differenza del tempo che ha perso Proust a scrivere delle sue madeleine.
Letteratura popolare, basta non farsi ingannare dalla confezione, dall'involucro.
L'autore deve soffrire e il lettore deve godere. Quando si verifica il contrario, è meglio non fidarsi.

giovedì 26 aprile 2012

Raccontane ancora!

aleph

L'Aleph, "il luogo dove si incontrano, senza confondersi, tutti i luoghi del mondo, visti da ogni angolazione", per dirla con Borges, non sta più in fondo alla scala che porta allo scantinato. L'Aleph, il piccolo Big Bang in cui si concentrano tutti i punti di vista, e tutte le possibilità, adesso abita dietro gli schermi luminosi, più o meno grandi, dei nostri monitor. Era il 1984, quando William Gibson, in "Neuromante", utilizza per la prima volta la parola "cyberspazio". Luogo di incontri e avventure, di nuove frontiere, economiche e culturali. Internet, la rete. Un profluvio di correnti letterarie, musicali, e anche politiche; un profluvio di storie. La cybercultura, la cultura prodotta dalla rete, per la rete. Come dire che le storie che ci raccontiamo si servono degli schermi dei nostri dispositivi, cambiando la relazione che stabiliamo con le storie stesse: il tempo che siamo disposti a dedicare alle storie e il luogo dove le "consumiamo".
Secondo Carl Sagan, "viviamo in una società che dipende profondamente dalla scienza e dalla tecnologia, dove però praticamente nessuno sa niente di questi temi. E ciò costituisce una ricetta sicura per il disastro".
Oggi, quello che si chiama "web 2.0", consiste di narrazione orale, di narrativa digitale, di ipertesti, periodici, riviste ed altre pubblicazioni, digitali, di radio e di televisione via Internet, di un universo multimediale. Senza contare i social network. La differenza, rispetto al "web 1.0", sta nello sviluppo di applicazioni (dette, di seconda generazione) che cercano di ridurre la distanza fra coloro che accedono alla rete e quelli che pubblicano sulla rete. Per lo più, questo oggi si riduce ancora al fatto che i cosiddetti scrittori, cantautori, ecc. utilizzano Internet come primo luogo di comunicazione e commercializzazione del proprio lavoro, creando il sito web, o un blog dove presentare il prodotto,facendo anche atto di presenza sui social network, a tal fine. A questo, ha fatto da contraltare la constatazione che esiste una nuova realtà, con le sue proprie caratteristiche, e tale realtà (chat, e-mail, social network) è stata integrata in certe opere.
Così, Internet è diventata, tanto il territorio per la diffusione di un autore, quanto lo scenario ed il soggetto di nuovi prodotti.
Tramontata, nell'immaginario, la figura dello scrittore che batte furiosamente sui tasti della Olivetti Lettera 22 e che sforna foglio dopo foglio, che poi accartoccia e getta compulsivamente per terra, l'era digitale ci ci consegna un nuovo concetto di autore, soprattutto per la presenza degli autori sulle reti sociali come Facebook e Twitter; in particolare quest'ultimo, a causa delle sue caratteristiche formali.

twitter

Il cosiddetto "artista", insomma, smette di essere solo un "creatore", in senso stretto, e si converte in "produttore", come se sviluppasse uno strumento che poi il pubblico andrà ad utilizzare, e diffonderà secondo i suoi propri interessi che non coincidono necessariamente con quelli dell'artista. Il suo, diventa un lavoro che fornisce una struttura - un utensile - nella quale l'utente si esprime, e crea, a sua volta. In questo modo, lo sviluppo di un'opera ha luogo dentro la "società dell'informazione". Viene demistificato il processo di scrittura, nella misura in cui l'autore scambia opinioni sul proprio lavoro, e consegue "followers", che può anche sfruttare. Sul blog tecnologico del New York Times, è stato spiegato come un autore che si dedichi esclusivamente a questo può sopravvivere - a prescindere da qualsiasi campagna pubblicitaria - impegnandosi a costruire il proprio impero di "followers" su twitter e usando Youtube per caricare video dove legge brani che documentano il progredire del suo lavoro.
Ma tutto questo continua ad essere solo marketing e pubblicità.
Ci sono anche cose nuove: blog che servono come spazio di sperimentazione e che, poco a poco, prendono coscienza di essere un canale per la creazione di contenuti originali ed esclusivi. Anche il micro-racconto in rete meriterebbe un'indagine. Non è certo un sotto-genere nuovo, dal momento che le sue origini affondano nelle prime forme di espressione orale, e rimandano alle favole, agli indovinelli, ai proverbi. Una forma primordiale di letteratura, a ben vedere, mai passata di moda e che ha trovato in Internet (anche su Facebook e Twitter) il suo spazio perfetto, tanto di diffusione quanto di consumo.

mercoledì 25 aprile 2012

Il più crudele dei mesi

varsavia

E' la seconda metà del mese di Aprile del 1943, quando le forze di sicurezza naziste cominciano il lavoro di "liquidazione" del ghetto ebreo di Varsavia. E' da gennaio dello stesso anno che la resistenza armata del ghetto si oppone alle deportazioni. I combattenti sono isolati, male equipaggiati e non hanno alcuna speranza di vittoria.
La comunità ebraica di Varsavia è una delle più grandi d'Europa e, a dispetto di una lunga storia di antisemitismo russo e polacco, ha sviluppato un fiorente quartiere, già a partire dal 13° secolo. Con l'invasione nazista della Polonia, nel settembre del 1939, era naturale che gli ebrei polacchi cercassero rifugio e aiuto nella comunità di Varsavia. A Novembre, il quartiere venne sigillato e venne innalzato un muro alto 20 metri, che lo circondava per 11 miglia; era stato creato il ghetto. Ad eccezione di un un piccolo numero di lavoratori specializzati che uscivano dal ghetto, durante il giorno, per andare a lavorare, il contatto con e dall'esterno era proibito, e punito con la morte. I non-ebrei vennero allontanati dal ghetto, mentre 138.000 ebrei, dall'esterno, furono portati dentro. Fame e malattie, in particolare tifo, si impadronirono dell'area sovraffollata. Nell'estate del 1941, erano già morte 5.000 persone al mese. Conseguenza di questo forzato sovraffollamento, fu la creazione di una comunità: con i suoi ospedali auto-organizzati, librerie, teatri, orchestre e scuole. Giornali e pubblicazioni clandestine, si moltiplicavano, via via che il ghetto si radicalizzava. Emersero due blocchi principali. Da una parte, ci fu quella che prima sarebbe stata un'improbabile alleanza fra i comunisti, i sionisti di sinistra e l'anti-sionista Socialist Bund. Insieme, avrebbero formato il gruppo armato di resistenza conosciuto come ZOB (Organizzazione di battaglia ebraica); dall'altra, un gruppo più piccolo di sionisti di destra si unì nel ZZW (Unione Militare Ebraica).
L'estate del 1942, vide la "Soluzione Finale" entrare in una nuova fase. I nazisti ordinarono al Consiglio Ebraico di fornirgli 6.000 persone al giorno, per la deportazione verso il campo di Treblinka. Le notizie arrivate dal campo, portarono alla decisione di resistere e non permettere alcuna ulteriore deportazione. Era l'autunno quando si formarono le prime unità combattenti ebraiche. Male equipaggiate, dipendevano dall'esiguo numero di armi leggere che venivano rubate ai tedeschi, e dalla piccola quantità di armi che riusciva ad arrivare dalla resistenza, all'esterno.  Ma, ostili alla sinistra e profondamente compromessi con il tradizionale anti-semitismo polacco, il governo polacco, in esilio a Londra, negò qualsiasi supporto.
Solo più tardi, col procedere dei combattimenti, la Guardia del Popolo (le forze di resistenza comuniste) avrebbe dato aiuto agli insorti e, ad un certo punto, sarebbero anche entrati nel ghetto per combattere a fianco della resistenza ebraica.
Nel gennaio del 1943, le forze naziste circondarono il ghetto per incominciare le deportazioni di massa. La comunità rifiutò di obbedire e i combattenti occuparono le strade. Per dodici settimane i combattenti dello ZOB e dello ZZW riuscirono a controllare il ghetto, e a tenere a bada i nazisti. Senza nessun piano di battaglia a lungo termine, e senza alcuna speranza di sopravvivere, sapevano solo di stare salvando la loro comunità da una morte certa nei campi di sterminio. La maggior parte dei combattenti erano armati solo di una pistola e di bottiglie molotov; ben poca cosa contro i carri armati e l'artiglieria tedesca. Erano le sei del mattino del 19 aprile del 1943, quando le SS entrarono nel ghetto, con l'intenzione di dare inizio alla "liquidazione". Contro tutte le previsioni, i combattimenti continuarono fino a metà maggio, quando i nazisti raggiunsero il loro obiettivo: 13.000 ebrei erano stati uccisi e 50.000 deportati a campi di sterminio. Solo un mazzo di combattenti era riuscito a scappare e ad unirsi agli altri gruppi di resistenza. Alcuni di loro sarebbero sopravvissuti per partecipare alla liberazione di Varsavia, nell'agosto del 1944. Un'altra storia, questa, con i sovietici a solo 15 chilometri, quando la resistenza prese il controllo della città. 
Ma Stalin, deliberatamente e cinicamente, decise di lasciare la resistenza al proprio destino. Una Polonia indipendente sarebbe stata un grande inconveniente.
Uno degli ultimi sopravvissuti dei combattenti del ghetto, Marek Edelman, avrebbe detto: " Nessuno credeva che si sarebbe salvato. Sapevamo che la nostra lotta era condannata, ma essa avrebbe mostrato al mondo che c'era una resistenza contro i nazisti, che si potevano combattere i nazisti."

martedì 24 aprile 2012

Un vecchio bambino prodigio

von neumann

John von Neumann (1903-1957) 
di Hans Magnus Enzensberger
 
 
Doppio mento, faccia di lunapiena, camminando vacilla –
un comico dev’essere
o un rappresentante generale di moquette,
un bonvivant membro del Rotary.
 
Guai però se Jáncsi di Budapest
incomincia a pensare!
È inesorabile il tic-tic che gli fa nel cranio
il suo morbido processore,
uno sfarfallio gli attraversa la memoria,
fulmineo sputa fuori equazioni babistiche.
 
A Eichmann e Stalin ha dato scacco matto
in tre mosse: Gottinga – Cherbourg,
Cherbourg – New York, New York – Princeton.
In prima classe ha lasciato la zona di pericolo di morte
 
Gli bastava poco, quattr’ore di sonno,
tanta panna sullo strudel al papavero
e un po’ di conti correnti in Svizzera.
 
Anche chi non ha mai sentito parlare di lui
(e sono i più)
col mouse in pugno aziona
la sua algebra combinatoria.
E per quanto concerne l’ intelligenza artificiale:
senza la sua oggi forse sarebbe
ancora una trovatella senza dimora.
Non conta se si tratta di una partita ai dadi
o di un uragano,
di automi fertili o tabelle del tirassegno,
il gesso fra le dita fa fatica a stargli dietro,
così veloce è la sua rete neuronale.
 
Scarabocchia gli spazi di Hilbert, maniacale
nello schizzare anelli e ideali. Senza limiti
opera con operatori illimitati.
La cosa principale: soluzioni eleganti
per indurre il pianeta a danzare.
 
Un vecchio bimbo prodigio, interfaccia col
servizio segreto.
Rombando atterrano gli elicotteri sul suo prato.
«Fat man» su Nagasaki: matematica pura.
La guerra come droga. Non ci può essere
un’arma troppo grossa. Sempre di buon umore
al lunch con gli ammiragli.
In realtà era timido, e ci sono enigmi
davanti ai quali la sua scatola nera fa cilecca.
L’amore, ad esempio, la stupidità, la noia.
 
Pessimismo = peccato contro la scienza.
Energia in pillole, controllo del clima, eterna crescita!
Trasformare l’Islanda in un paradiso tropicale:
non c’è problema. Il resto è ciancia.
 
Poi la gita aziendale su un’altra isola,
in doppiopetto e occhiali affumicati: Bikini.
«Operazione Bivio». Il test era riuscito.
Dieci anni ci sono voluti al cancro da radiazioni
per disinnescare le sue sinapsi.

Hans Magnus Enzensberger

lunedì 23 aprile 2012

lacrime vere

Heston

Le strade sono piene di accattoni. L'intera città è piena di barboni senza fissa dimora. Il poliziotto Andy Rusch entra nell'edificio, schiva con cura gli straccioni che dormono per le scale ed entra nel suo appartamento. Una casa modesta che condivide con il vecchio "Sol", un ingegnere in pensione che passa le sue giornate a ricordare con nostalgia i tempi migliori. Rusch tira fuori un pacchetto, lo mette sul tavolo e lo apre, rivelandone così il contenuto: alimenti che sono un lusso irraggiungibile per la maggior parte della popolazione (burro, caffè ...) e che il poliziotto ha ottenuto in seguito ad un indagine su un omicidio avvenuto nei quartieri alti della città, dove ha avuto accesso solo temporaneo, grazie al suo status di uomo di legge. Sol contempla con stupore quei tesori, delizie che probabilmente pensava di non poter mai più tornare a gustare. Ma c'è ancora una sorpresa: il poliziotto tira fuori un altro pacchetto, e dentro ... della carne. Un filetto di verità. Qualcosa che Sol non vedeva da moltissimi anni. Sopraffatto dall'emozione, il vecchio comincia a piangere.

Nel 1966, lo scrittore americano Harry Harrison pubblica il romanzo "Make room! Make room!" (In Italia, pubblicato col titolo di "Largo! Largo!"), Che descrive una New York affollata e da terzo mondo, come risultato del processo inarrestabile della sovrappopolazione. Il pretesto poliziesco di base, la risoluzione di un crimine inspiegabile nella casa di un uomo ricco e potente, è solo una modo per mostrare un mondo sprofondato in un incubo malthusiano, dove la penuria di cibo scatena i più bassi istinti. Uno stato di polizia assicura che ci sia abbastanza cibo e acqua per continuare mantenere una popolazione così alta, ma non basta ad impedire che New York continui ad essere una sorta di jungla, dove prevale la legge del più forte. Harrison sviluppa una fotografia delle disuguaglianze sociali che hanno avuto luogo in un futuro immaginario che per noi oramai è passato (siamo nel 1999), che, però, evidentemente, continua a corrispondere a molti luoghi del mondo, di allora e di adesso.
Hollywood si accorse che il soggetto poteva essere adattato allo schermo con risultati impressionanti, e dal romanzo venne tratto un film  affidato al regista Richard Fleischer, e ad una delle icone del tempo, Charlton Heston. Harry Harrison non poté, però, intervenire in alcun modo sulla sceneggiatura, e si dichiarò alquanto insoddisfatto del risultato, asserendo che "Soylent Green" (in Italia, uscito col titolo "2022: i sopravvissuti") riflette solo a metà lo spirito del romanzo. Ciò non toglie che nel film ci siano dei momenti eccezionali e delle sequenze dotate di un'enorme forza.
Probabilmente la sequenza più memorabile è quella in cui Sol, stanco di vivere in un mondo prosciugato dal sovrasfruttamento delle risorse e dal sovraffollamento, ricorre al servizio di eutanasia volontaria. Viene data una "morte dolce" a coloro che desiderano porre fine alla loro misera esistenza: il paziente si distende su un divano, sceglie la musica che desidera ascoltare e il tipo di immagini che vuole vedere proiettate davanti a lui, quindi gli vengono somministrati quei farmaci porranno fine, in modo indolore, alla sua vita, mentre gode dell'esperienza audiovisiva da lui scelta.
E' una scena molto potente, e chi ha visto il film non la dimentica, ma dietro quella sequenza c'è una storia vera anche più emozionante, se possibile, una sorta di segreto tra i due protagonisti.
Il personaggio di Sol è stato interpretato dal leggendario Edward G. Robinson, che aveva allora 79 anni. L'attore aveva tenuto nascosto a tutti di avere un cancro terminale, per cui i medici gli avevano dato solo poche settimane di vita. Per tutto il film aveva svolto il suo lavoro come era solito fare, e nessuno sospettava della sua condizione, nemmeno Charlton Heston, che era un suo amico personale da molti anni. Ma la sequenza della morte del suo personaggio era proprio una delle ultime del film che Robinson doveva girare. Prima che ciò avvenisse, il vecchio attore si appartò con Heston, ed ebbe una conversazione privata con lui. Gli disse delle sue condizioni, e lo informò del fatto che la sua morte era imminente. Heston crollò immediatamente. Ma questo era proprio ciò che il suo vecchio amico voleva: dargli l'opportunità di offrire un momento unico sullo schermo, e trarne così qualcosa di artisticamente proficuo della sua morte. Robinson gli chiese di mantenere il segreto, e in quelle condizioni andarono a girare.
La troupe rimase colpita dalla strana forza che promanava da entrambi gli attori, durante quella scena. Edward G. Robinson sembrava che fosse già alla ricerca in un altro mondo, proprio come il personaggio da lui interpretato. Ma tutti lo ritenevano un grande attore, e nessuno ravvisò in lui nient'altro che il prodotto di un talento particolarmente fortunato. La cosa più sorprendente per tutti, invece, fu la facilità con cui Heston - noto per una piuttosto bassa flessibilità interpretativa - era riuscito a esprimere la tristezza richiesta dalla situazione.
La scena si svolge nella stanza in cui Sol sta affrontando la sua eutanasia volontaria. Mentre si prepara a morire, Rusch gli parla attraverso un interfono. Il poliziotto non può interferire, ed è costretto a seguire la morte del suo amico attraverso uno vetro. Entrambi contemplano le immagini che vengono proiettate: immagini di ciò che la Terra era prima che l'avidità dell'uomo distruggesse l'ambiente. Un ambiente che il poliziotto non è riuscito a conoscere, ma che il vecchio ricorda di aver visto quando era giovane. Rusch, abituati alla decrepita metropoli decadente dove ha sempre vissuto, non crede ai propri occhi. Non aveva nemmeno idea di cosa fosse un paesaggio completamente naturale. Qualcosa che, fino a quel momento, credeva fossero solo esagerazioni del suo vecchio amico. Poi arriva un breve dialogo tra i due. Ad un certo punto in questo dialogo, il vecchio dice:

- "Riesci a vederlo?"
- "... Sì"
- "Non è bello?"
- "Oh, sì"
- "Te l'avevo detto!"
- "Come potevo saperlo? Come avrei mai potuto immaginarlo?"

Con stupore di tutta la troupe, gli occhi di Charlton Heston cominciarono a diventare rossi, bagnati di lacrime, e sembrarono tradire un dolore sorprendentemente credibile. Era lo stesso Charlton Heston di sempre? La scena era buona, naturalmente, ed venne montata nella versione finale del film.
Solo dodici giorni dopo la fine di quella ripresa, Edward G. Robinson morì. Così, quando uscì il film, il pubblico e la critica poté vedere sullo schermo ciò che aveva sorpreso la troupe: le lacrime del duro Charlton Heston ... erano vere!

Sono qui!

domenica 22 aprile 2012

La lotteria della democrazia

lotteria

In un articolo pubblicato sul "Physica A", "Accidental Politicians: How Randomly Selected Legislators Can Improve Parliament Efficiency" (Politici accidentali: Come i parlamentari selezionati in modo casuale possono migliorare l'efficienza del Parlamento), cinque ricercatori dell'Università di Catania (Non nuova a queste cose) asseriscono che i moderni parlamenti bicamerali funzionerebbero in modo più efficiente se alcuni - ma non tutti - dei membri fossero selezionati in modo casuale (per sorteggio), piuttosto che per elezione. I ricercatori hanno creato un modello, riferendo agli ipotetici parlamentari la loro capacità di esprimere voti in base al prevalere dei loro interessi personali, o al prevalere degli interessi della società. Per i parlamentari eletti con l'aiuto di un partito politico - contrariamente a quelli scelti a caso - il loro interesse personale a compiacere il partito in cambio di un sostegno alla rielezione, era uno degli interessi prevalenti. I ricercatori hanno scoperto che, sia in termini di numero di leggi approvate sia di benessere sociale raggiunto mediante tali leggi, una combinazione di parlamentari eletti e di parlamentari sorteggiati sarebbe la più efficiente. Questo modello è solo un prototipo, naturalmente, e si riferisce ad una legislatura con una sola camera e ad un ordinamento bi-polare.
Quello che potrebbe sembrare il sogno allucinato di un matematico, tuttavia ha dei riscontri storici. La pratica era comune nell'antica Grecia; ad Atene veniva usato un dispositivo, chiamato kleroterion (nella foto), in cui venivano inseriti i nomi dei cittadini da estrarre. Più tardi, i rappresentanti sono stati scelti in modo casuale in altri luoghi. A Bologna, a Parma, a Vicenza, nella Repubblica di San Marino, a Barcellona e anche in alcune parti della Svizzera. Anche nella Firenze del secolo XIII e XIV e a Venezia dal 1268 fino alla caduta della Repubblica, nel 1797; ed era inteso sia come un'opportunità per le minoranze, sia come un modo per opporsi alla corruzione. Certamente, in molti luoghi, oggi, viene usato per la formazione delle giurie popolari, ma non solo. Ad esempio, in Islanda, dopo il collasso finanziario, si sta disegnando una nuova costituzione, e per farlo è stata designata un'assemblea formata da 950 cittadini scelti a caso.

sabato 21 aprile 2012

Ricorsi

Marquez

Racconti perduti (di Gabriel Garcia Marquez)

[…]
Non so se esista, ma andrebbe fatta, una raccolta di storie che si ripetono in tutto il mondo, alle quali sempre chi le riferisce assicura di avere assistito. O mentono, com'è probabile, gli autori del racconto, oppure queste vicende tornano ad accadere di tanto in tanto in culture ed epoche diverse. […]
Di queste storie ricorrenti, la più strana, tremenda e complicata è senz'altro quella accaduta, pare, in un luogo dell'Afghanistan, molti anni fa. Un uomo incontrò per caso in un mercato una donna che gli parve la più bella del mondo. Invece di corteggiarla, come si fa in Occidente, seguendo i costumi locali andò dai genitori di lei a contrattare il matrimonio. La fanciulla accettò per obbedienza, ma impose come condizione al marito di dormire separatamente e di non avere con lui rapporti sessuali se non le rare volte che lei lo avesse deciso.
Il marito si sottopose a queste regole inconsuete, finché una notte scoprì che la moglie se ne scappava di casa mentre lui dormiva per andare da un amante segreto che aveva fin da prima del matrimonio, e che viveva in una capanna non molto distante dalla sua. Allora il marito prese la spada e la seguì, aspettò che uscisse per tornare a casa e decapitò l'amante con un terribile fendente. Poi pulì l'arma in modo così accurato che quando la moglie la esaminò — sospettando che potesse essere lui l'autore del delitto — non trovò nessuna traccia che le consentisse d'incolpare il marito. Costui finalmente poté coronare il desiderio di dormire e giacere con la donna più bella del mondo, la quale finì per essere felice con lui e gli diede tre figli.
Molti anni dopo si trovarono a passare davanti alla capanna dell'amante morto; la donna non riuscì a nascondere il nervosismo e chiese al marito di allontanarsi subito di lì. Allora il marito commise un'imprudenza che lo tradì: «Un tempo non avevi tanta fretta», disse. La donna non batté ciglio, ma la sera, quando il marito tornò a casa, trovò i tre figli decapitati con la stessa spada con cui aveva decapitato il rivale, e mai più in vita sua ebbe notizia della donna più bella del mondo.
Questa storia, con molte varianti, si ripete in vari luoghi, ma l'ultima versione 1'ebbi da un professore universitario che mi assicurò d'essere stato in Afghanistan e di averne conosciuto il protagonista. Aggiunse anche un particolare importante: l'uomo aveva una cicatrice sulla schiena, per un colpo infertogli dalla spada insaziabile della moglie che aveva tentato di decapitare anche lui. Questo dettaglio trasformerebbe in una storia d'oggi una vicenda ritenuta molto antica, dei tempi in cui, nei delitti passionali, si preferivano le spade alle armi da fuoco ed era impossibile concepire una storia a lieto fine, proprio come accade oggi che sono letterariamente screditate.
Ho letto Le mille e una notte quando avevo appena uso di ragione e forse questo è il motivo più importante per cui continuo a considerarlo un libro indimenticabile. Ebbene, ogni volta che sento raccontare la storia dell'amante decapitato riaffiorano in me le sopite emozioni delle lontane letture della mia infanzia, ma non riesco a rintracciare questa storia nelle varie versioni che posseggo dei meravigliosi racconti di Shahrazàd. M'imbatto sempre, invece, in un'altra storia terribile che le assomiglia: quella della donna che in casa mangiava solo riso, infilzando ogni chicco con uno spillo, finché il marito scoprì che non aveva fame perché di notte fuggiva di casa per andare nel cimitero a cibarsi di morti.
Ritrovo spesso anche un'altra storia, tra le più belle che abbia mai letto: quella del pescatore che chiede al vicino un piombo per la rete con la promessa che gli darà in cambio il primo pesce della giornata. Mantiene la promessa e quando la moglie del vicino pulisce il pesce per cucinarlo gli trova nello stomaco un diamante grosso come una nocciola.
Mi capitano sotto gli occhi questo e molti altri meravigliosi racconti, ma non riesco a trovare la fonte della terribile storia della donna più bella del mondo che decapita i figli perché il marito le aveva ucciso l'amante. Forse un lettore benevolo vorrà aiutarmi a trovarla?

Gabriel Garcia Marquez da “la Repubblica” 1983

fonte: http://salvatoreloleggio.blogspot.it

venerdì 20 aprile 2012

tempo di crisi

calze
Se nel mezzo della II Guerra Mondiale, ci furono severe restrizioni, in Inghilterra, nella vita di tutti i giorni, al fine di poter concentrare ogni sforzo verso la produzione della macchina da guerra, le cose non è che poi migliorassero molto, finito il conflitto.
Tutto, o quasi tutto, era razionato, dal carburante all'abbigliamento. Utilizzando un sistema a punti, si controllava 'abbigliamento cui poteva accedere la popolazione. Ogni capo di vestiario, comportava la spesa di un certo numero di punti, e quindi bisognava analizzare ciò che era necessario e che cosa era più o meno importante. Il numero di punti, per ogni capo di vestiario, veniva determinato dalla quantità di materia prima che serviva per la sua produzione, e dalla mancanza di tale materia prima ... naturalmente, c'era il mercato nero, come alternativa al razionamento.
Cosa fare quando si doveva decidere di acquistare un capo piuttosto che un altro? Un cappotto o un paio di calze? E, come sempre, nelle situazioni difficili vengono fuori le opportunità. No, non il mercato nero, ma un'iniziativa legale, chiara e spiritosa. Se qualcuno, in questo caso qualcuna, da una parte può risparmiare, dall'altra può concedersi un piccolo lusso. E così, concedendosi di risparmiare i punti che servono a comprarsi le calze, può acquistare un altro indumento. E come si fa? Semplice, dipingendo le gambe, di modo che simulino delle calze.
Nella foto sopra, potete vedere l'immagine del negozio Croydon in cui si annuncia il servizio, e potete anche vedere alcune donne che si sottopongono alla sessione di pittura.
Il cartello recita: "Niente più sfilature [per le calze] Dipingiamo le calze sulle gambe, in tutte le tonalità..."

giovedì 19 aprile 2012

nascite e aborti

colfax

Il brutale massacro, avvenuto il 13 marzo del 1873 - domenica di Pasqua - a Colfax, Louisiana, rimane sorprendentemente poco conosciuto, considerando l'entità della violenza perpetrata e le implicazioni enormi che avrebbe implicato. Accadde esattamente 8 anni dopo la fine della Guerra Civile Americana e, oltre ad annunciare la fine della cosiddetta Ricostruzione, la seconda nascita degli Stati Uniti, segna anche il momento preciso in cui "la libertà muore".
Da quel giorno in poi, l'America entra in un periodo oscuro di segregazione, talmente sistematica ed endemica da durare per quasi cento anni.
Finita la guerra, i radicali repubblicani sono impegnati nell'emancipazione dei neri e nella loro integrazione nel sistema politico, mentre i democratici e i suprematisti bianchi stanno facendo tutto il possibile per ripristinare, nel Sud, la situazione precedente alla guerra, e per cercare di intimidire i loro ex schiavi, dissuadendoli dal voto. E' il 1868, quando queste due posizioni inconciliabili si scontrano frontalmente in Louisiana, in seguito al fatto che la pressione repubblicana ha portato all'elezione di 137 deputati neri.
I suprematisti bianchi aprono una campagna di terrore contro il nuovo governo; repubblicani bianchi e neri vengono minacciati, picchiati e uccisi nel disperato tentativo di allontanarli dalle urne e dagli incarichi. Quando l'elezione del governatore della Louisiana, nel 1872, fa divampare la polemica fra i candidati democratici e quelli repubblicani, dal momento che ciascuno reclama la vittoria, i bianchi colgono l'occasione per distruggere una volta per tutte questa roccaforte nera. Con lo scatenarsi di un'ondata di violenza in tutto lo stato, circa 150 neri si riuniscono presso il tribunale di Colfax, nel centro della Louisiana, per mobilitarsi e per difendere i propri diritti civili. Per diverse settimane, un gruppo di ex-soldati confederati chiede l'appoggio delle contee circostanti, fino a quando, a mezzogiorno della Domenica di Pasqua, una folla di oltre 300 uomini bianchi a cavallo, armati di fucili e cannoni, si dirige a Colfax. Ne consegue una sparatoria, e il palazzo di giustizia viene dato alle fiamme. I difensori, in inferiorità numerica, sventolano una bandiera bianca di resa, ma vengono freddati, uno per uno, mentre cercano di fuggire dal palazzo in fiamme. Almeno cinquanta, i neri catturati, vengono poi giustiziati sommariamente. All'alba del Lunedi di Pasqua, Colfax appare disseminato dei cadaveri mutilati di oltre 100 uomini neri.

Ad essere incriminati, per il massacro di Colfax, sono 97 persone, ma i capi di accusa non sono di omicidio, bensì di aver cospirato per privare le loro vittime dei diritti civili garantiti dalla 14° emendamento. Gli avvocati degli imputati oppongono il fatto che l'emendamento non autorizza il governo federale a perseguire i cittadini; dal momento che la controparte è il governo dello stato. Per la maggior parte degli accusati, il caso si conclude a tarallucci e vino, ma tre degli imputati vengono giudicati colpevoli. L'appello arriva fino alla Corte Suprema degli STati Uniti, nel caso "Stati Uniti contro Cruikshank", un processo che è diventato un punto di riferimento legale. E', il 27 marzo 1876, quando la Corte Suprema stabilisce che per l'Enforcement Act del 1870, sulla base della Carta dei Diritti, l'emendamento 14 viene applicato solo alle azioni commesse da parte dello Stato, e non a quelle commesse da individui, o che partono da cospirazioni privati. In altre parole, il processo per i fatti di Colfax era incostituzionale, e i suprematisti bianchi erano liberi di fare la guerra contro i neri, sicuri di godere di assoluta impunità. Il caso Cruikshank ha effettivamente consentito ai partiti politici di fare uso di forze paramilitari. Ha aperto la strada ad ogni sorta di leggi discriminatorie contro i neri, e, da allora in poi, la Ricostruzione è stata abbandonata.
Il massacro di Colfax rimane tutt'ora un episodio sepolto della storia americana. Nella stessa Colfax, i fatti del del 13 aprile 1873 vengono ricordati, non come un massacro, ma come una "rivolta". C'è perfino un obelisco commemorativo, ma non è in onore dei 100 e più neri uccisi. Invece, l'iscrizione scolpita è "nel ricordo amorevole" dei tre eroi ... Ovvero, a coloro che caddero per la supremazia bianca, durante i combattimenti susseguiti alla rivolta di Colfax .
A colfax, e nella promessa infranta della Ricostruzione, è stata tracciata la linea di condotta, non solamente per quanto riguardava i diritti civili degli afro-americani, ma, soprattutto, per quale tipo di nazione sarebbero diventati gli Stati Uniti d'America.

mercoledì 18 aprile 2012

Lincoln’s Body

lincoln

Abraham Lincoln, il più celebre dei presidenti degli Stati Uniti, ma anche il più ... misterioso. Non per niente, è appena diventato, in un film, un eccellente cacciatore di vampiri. Quando venne assassinato, gettò nel lutto più nero un'intera nazione. Il suo funerale durò ben due settimane, un funerale itinerante su rotaie. Solo che alla fine del tour il corpo di Lincoln non trovò affatto riposo. Ladri e politicanti cercarono, con tutti i mezzi, di impossessarsi della salma, anche decenni dopo essere stata sepolta in un blocco di cemento e acciaio.
Era il 21 aprile del 1865 - sei giorni dopo il suo assassinio - quando il corpo imbalsamato di Lincoln cominciò il suo viaggio in treno lungo 1.600 miglia. Non era solo, Lincoln, su quel treno. Lo accompagnava il corpo del figlio, William Wallace Lincoln, morto di febbre tifoide all'età di undici anni, quasi 3 anni prima. Quel macabro viaggio, doveva servire a dare, a tutto un paese, la possibilità di piangere uno dei suoi più amati, e più giovani, presidenti. Come un lungo serpente, il viaggio si sarebbe snodato lungo 400 stazioni ferroviarie, comprese quelle di  Philadelphia e di New York City, per arrivare al Cimitero di Oak Ridge, a Springfield, Illinois, il 3 maggio 1865. Era previsto che il corpo rimanesse esposto, in ciascuna stazione, per due ore, dalle dieci a mezzogiorno. Il corpo, contenuto in uno speciale "vagone funerario", però, cominciò a decomporsi una volta arrivato alla stazione di New York, causando costernazione nei visitatori a causa del significativo cambiamento che aveva avuto il colorito della pelle.
L'ultima dimora, nel cimitero di Oak Ridge, era stata una decisione di Mary Todd Lincoln, destinata a non rivelarsi tranquilla! Era il 7 novembre del 1876, nella notte delle elezioni, quando una banda di falsari tentò di riesumare il corpo di Lincoln, per chiedere un riscatto di 200mila dollari (più o meno 4 milioni di oggi) e la liberazione di Benjamin Boyd (un falsario che si trovava in prigione). Il gruppo era entrato nella tomba di Lincoln, ed aveva rimosso il coperchio di marmo che copriva la bara, ma non era riuscita che a sollevare di poco la bara stessa quando un membro del Servizio Segreto specializzato nel combattere i furti nei cimiteri si accorse di quello che stava succedendo e chiese l'aiuto della polizia locale. E' interessante il fatto che quel Servizio Segreto fosse stato creato da Lincoln stesso, nel 1865, per combattere i falsari. 
Negli anni successivi, la bara di Lincoln - aperta, per dimostrare che il corpo era lì dentro - viaggiò verso un certo numero di locazioni segrete.
Il tentativo di sequestro del cadavere, insieme al fatto che il corpo si decomponeva nonostante l'imbalsamazione, portò ad un trasferimento dei resti di Lincoln in un sito temporaneo, dove venne seppellito insieme alla moglie; era il 1901.
Il figlio maggiore, Robert Todd Lincoln, suggerì che la bara di suo padre venisse piazzata dentro una gabbia di acciaio e che fosse sigillata da una colata di cemento, per prevenire qualsiasi tentativo futuro di trafugarla.
Trentasei anni dopo la morte del presidente, vennero chiamate 23 persone, per controllare che il corpo di Lincoln giacesse ancora nella bara. Dopo aver scalpellato via una parte del rivestimento di piombo che ricopriva la bara, gli uomini convocati poterono vedere le spalle e la testa di Lincoln, notando la barba (marchio di fabbrica) e la verruca, insieme alle macchie di muffa gialla che ricoprivano il suo vestito.
Ora, il corpo di Lincoln, insieme a quello delle moglie e dei suoi tre figli più giovani, giace nella Tomba di Lincoln, una struttura grandiosa ed uno dei primi monumenti nazionali degli Stati Uniti. Ci ha messo diverso tempo, e ha dovuto fare ben 17 viaggi, prima di arrivarci. Ora, sembra che ci vorrà del tempo prima che qualcuno possa di nuovo muoverlo, o vederlo. Dieci metri di cemento ed acciaio, stanno lì ad assicurarlo.

martedì 17 aprile 2012

Nell’alto castello

hess

Rudolf Hess, nato nel 1894, aveva incontrato Hitler nel 1919 e ben presto diede la sua adesione al NSDAP, il partito nazista, partecipando al Putsch del 1923 e, dopo il fallimento di questo, condivise la cella con Hitler. Il loro rapporto era molto stretto ed Hess divenne segretario del Führer, presidente del Comitato Centrale nazista, leader del Partito nazista, ministro di vari dicasteri... Al culmine della sua carriera politica, Rudolf Hess era considerato l'uomo più importante nella gerarchia nazista, secondo solo ad Hitler.
Il 10 maggio 1941, Hess si svegliò da un breve pisolino, dopo aver mangiato e dopo aver visitato la moglie ed il figlio - erano le cinque del pomeriggio - si diresse verso la pista della Luftwaffe di Augsburg, e salito a bordo di un Messerschmitt Bf110 decollò diretto verso la Scozia. Il suo aereo venne intercettato, e la RAF cercò di abbatterlo, senza successo. Infine, poco prima delle 23:00, a corto di carburante, Hess si lanciò con il paracadute dalle parti di Glasgow. Nell'atterraggio, si fece male ad una caviglia, ed un contadino lo aiutò, prima di consegnarlo ai militari.
La storia è assai interessante, ed ha dato luogo a molte teorie e speculazioni. La domanda più ovvia è: cosa ha spinto un personaggio così importante a volare verso il nemico durante una guerra? Hess, dopo il suo arresto, dichiarò di conoscere un duca inglese, il duca di Hamilton, ma questi negò di avere affari sospesi con Hess, anche se si erano conosciuti durante le Olimpiadi di Berlino del 1936. Hess disse di avere una proposta di pace per gli inglesi, redatta da Hitler in persona. Gli inglesi non presero sul serio la sua affermazione, ed Hess venne rinchiuso nella Torre di Londra, dove rimase fino alla fine della guerra. Il suo obiettivo - aggiunse poi - era quello di negoziare con il Regno Unito per abbandonare il fronte occidentale e potersi concentrare ad est, nella guerra contro l'URSS.
Le teorie, e le spiegazioni, su questo viaggio sono molteplici. Forse Hess cercava il modo di aprire la strada ad un governo, nel Regno Unito, in combutta con la Germania, oppure, forse cercava di salvarsi, convinto che i suoi connazionali avrebbero perso la guerra ... tante teorie, quasi una per ogni libro scritto sull'argomento A quanto pare, ci sono indizi che il Duca di Hamilton fosse davvero pronto ad accogliere Hess, ed aveva disposto una pista per l'atterraggio, nella sua tenuta, cosa che accrediterebbe l'idea che Hess fosse in contatto con degli inglesi pro-nazisti, alla ricerca di un percorso comune.
Dopo la guerra, Hess fu rimpatriato in Germania come un criminale di guerra, venne processato a Norimberga e condannato al carcere a vita. Rimase nel carcere di Spandau fino alla sua morte, nel 1987, e dal 1966 in poi rimase il solo detenuto ospitato nel famigerato carcere. L'enigma Hess si estende anche alla sua morte, improvvisa, e che potrebbe essere tanto un suicidio quanto uno strangolamento.

lunedì 16 aprile 2012

Dite a Mary …

conandoyle

Era il 13 luglio 1930, e migliaia di persone affollavano la Royal Albert Hall di Londra per vedere, e ascoltare dal vivo, Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di uno dei personaggi più popolari della storia letteraria: il sagace detective Sherlock Holmes. L'evento non avrebbe avuto nulla di speciale se non fosse per il fatto che l'eminente scrittore era già morto, da cinque giorni, per un attacco cardiaco nella sua casa di Crowborough, nel sud dell'Inghilterra, all'età di 71 anni.
A quanto pare, la sua morte non solo non aveva scoraggiato i suoi fan dal recarsi dalla conferenza, ma li aveva spinti, anzi, ad andarvi in massa per poter presenziare alla sua apparizione spettrale. I promotori principali dello spettacolo post-mortem, erano la vedova di Sir Arthur ed i suoi figli, tutti dichiarati seguaci della "scienza spiritista". I giorni precedenti alla conferenza, i giornali avevano scaldato l'atmosfera pubblicando dei titoli incendiari. Sulla copertina del The New York Times si poteva leggere: "La vedova annuncia un messaggio di speranza", un'idea simile a quella espressa sul New York American: "La famiglia di Sir Arthur Conan Doyle attende il suo ritorno in spirito". Da parte sua, il Daily Herald forniva dettagli su di un codice segreto che Conan Doyle aveva scritto affinché la moglie potesse verificare l'autenticità dei suoi contatti con l'al di là.
Membro fanatico della Society for Psychical Research, questo medico scozzese dall'aspetto serio e dai grossi baffi aveva dedicato gli ultimi decenni della sua vita allo spiritismo. Credeva in tutti i tipi di fenomeni paranormali, come la comunicazione con i morti, telepatia, l'ipnosi e le capacità medianiche, ed aveva anche difeso l'esistenza delle fate e degli gnomi. Aveva tenuto conferenze in giro per tutto il mondo, difendendo la causa spiritualista, aveva scritto diversi libri di contenuto esoterico ed aveva dichiarato più di una volta di aver parlato con il fantasma di suo figlio minore, Kingsley, morto di polmonite durante la Grande Guerra (come prova, mostrava una fotografia in cui appariva accanto al viso sfuocato di suo figlio). Asseriva di aver parlato più volte con gli spiriti di Joseph Conrad, di Cecil Rhodes e di Douglas Haig, tra gli altri. Arrivò ad aprire una biblioteca ed un museo parapsicologico spiritualista in Victoria Street, vicino all'abbazia di Westminster, cosa che gli procurò più di un mal di testa, oltre ad un dissanguamento economico. La sua posizione assurda nella famose frode delle "Fate di Cottingley" ed il suo scontro con l'artista della fuga Harry Houdini, che era stato suo amico (Conan Doyle insisteva nell'attribuire poteri extrasensoriali all'illusionista, nonostante questi, molto scettico sulle questioni soprannaturali, avesse cercato di spiegare più e più volte che si trattava solo di semplici trucchi), fecero scalpore e sottolinearono, quanto meno, la sua irragionevolezza. Come ebbe a dichiarare un suo collega che si interessava alla parapsicologia, "Sir Arthur era semplicemente il più grande dei creduloni, un gigante intellettuale con il cuore di un bambino."
I lettori delle avventure di Sherlock Holmes continuavano a stupirsi per il contrasto tra la personalità ingenua e innocente di Conan Doyle ed il carattere cerebrale, spietato e meticoloso del suo famoso personaggio, l'inquilino del numero 221B di Baker Street. Parzialmente ispirato alla figura del suo professore universitario Joseph Bell ed all'antecedente letterario del detective Dupin di Edgar Allan Poe, Sherlock Holmes era diventato un prototipo di intelligenza universale, penetrante e di acutezza di osservazione, una perfetta combinazione di metodologia sperimentale, inferenza, sottigliezza logica ed intuizione, un campione del modo di ragionamento deduttivo. Niente a che fare, come si vede, con il suo Creatore. Inoltre, lo scrittore non era mai riuscito a digerire il successo del suo personaggio, che per la maggior parte della gente era più reale del suo autore. Molte persone scrivevano lettere all'inesistente indirizzo del detective, chiedendogli di risolvere i loro casi, e Conan Doyle doveva sopportare che, per strada, lo chiamassero "Mr. Holmes". Così, quello che per qualsiasi altro scrittore sarebbe stato un elogio superlativo (che la gente credesse che uno dei suoi personaggi fittizi fosse realmente esistente), per Doyle era una terribile offesa. Il fatto era che lui voleva essere riconosciuto e considerato per quello che riteneva la parte più importante, preziosa e seria del suo lavoro: i suoi romanzi storici. Erano pochi ad averli letti allora, e quasi nessuno poi li ha mai letti. Al contrario, le storie di successo di Sherlock Holmes gli sembravano una forma minore di letteratura, banale, degli inutili passatempi. In questa, come in tante altre cose, il medico scozzese si sbagliava.
Era così geloso della fama del suo personaggio che più volte decise di farla finita con lui, e non lo fece perché sua madre lo dissuase sempre dal commettere un simile errore. Anche se, nel racconto "Il problema finale", lo fece scomparire precipitandolo nelle cascate di Reichenbach, nel corso di una lotta con la sua nemesi, il professor Moriarty. La risposta dei fan costernati non si fece attendere: inviarono centinaia di lettere di protesta e riempirono le strade di Londra di segni di lutto, appuntati ai loro cappelli. Più di ventimila abbonati abbandonarono lo Strand Magazine, la rivista mensile dove venivano pubblicate le sue storie. La questione divenne quasi una questione di stato (compresa la famiglia reale che espresse il suo dolore per la scomparsa del detective). Tale fu la protesta, che Conan Doyle fu costretto alla fine a "resuscitarlo".
Così, forse alcuni dei suoi lettori pensavano che quel pomeriggio di luglio, nel 1930, Conan Doyle potesse seguire l'esempio del suo personaggio. L'atmosfera alla Royal Albert Hall era di grande attesa. La gente si agitava nervosamente sulle proprie sedie, mentre la famiglia di Sir Arthur occupava un'intera fila di sedie sul palco. Solo una sedia era rimasta vuota, nel mezzo, con il nome dello scrittore stampato su un cartellino. La medium favorita di Conan Doyle, Miss Estelle Roberts, salì sul palco con disinvoltura.

- "Ci sono un gran numero di spiriti qui, in mezzo a noi!" - Esclamò - "Mi stanno chiamando, con forza!"

Poi cominciò a descrivere le caratteristiche dei fantasmi, il loro modo di parlare, il loro carattere, anche i loro vestiti .Dovette attendere quasi mezz'ora, fino a quando lo spirito di Conan Doyle non fece la sua comparsa. La medium annunciò l'arrivo tanto atteso: "Egli è qui! E 'qui". Indossando una cravatta nera, lo spettro camminò sul palco e si sedette sulla sedia vuota, mentre gli spettatori cercavano di riuscire a vedere qualcosa. Impossible.

La medium si diresse verso la vedova di Conan Doyle:

-"Ho un messaggio per lei, cara, da Arthur. Dice che un membro della sua famiglia questa mattina è entrato nella casa di Crowborough. È vero?"
- "Sì, perché? Ero io."
- "Il messaggio è il seguente: "Dite a Mary che ...".

Proprio in quel momento, la musica dell'organo coprì la voce della medium. Solo Lady Conan Doyle poté sentire.
Ed anche se continuarono a chiederglielo per il resto della sua vita, non volle mai rivelare il contenuto del messaggio.

sabato 14 aprile 2012

bunga bunga

Woolf

Virginia Woolf non passa certamente per essere una persona allegra, il fatto che si sia suicidata, affogandosi in un fiume, ci spinge ad immaginarla come una donna malinconica e depressa. Eppure, c'è stato in lei un altro lato, di donna allegra e vivace, che poche persone conoscevano, fino ad essere capace di partecipare, insieme ai suoi amici, ad una gigantesca burla, di cui la vittima fu, addirittura la Marina Imperiale Inglese, la quale ne è uscì ... con le ossa rotte.
 
Virginia Woolf e i suoi fratelli facevano parte del Circolo Bloomsbury , un gruppo di intellettuali che aveva adottato quel nome dal momento che tutti vivevano nel quartiere di Bloomsbury, a Londra. Erano, per lo più, scrittori, artisti e accademici. Questo gruppo, legato innanzitutto da un rapporto di forte amicizia, si rese responsabile di uno scherzo piuttosto pesante, per gli standard di quel tempo in Inghilterra. Era il 1910, e vigevano ancora le regole, molto formali, dell'era vittoriana.
Lo scherzo venne architettato e portato a termine da sei membri del Bloomsbury: il poeta Orazio Cole, la scrittrice Virginia Stephen (poi Virginia Woolf), suo fratello Adrian Stephen, Guy Ridley, Anthony Buxton e l'artista Duncan Grant . Il piano consisteva nello scurirsi la pelle, e di vestirsi e di acconciarsi in modo da passare per una "famiglia reale". Il 7 febbraio 1910 era tutto pronte, e questo è, più o meno, quello che avvenne:
- Il 10 febbraio 1910, arrivò un telegramma al Ministero degli Affari Esteri del Regno Unito, firmato da un certo signor "Tudor Castle":

    "Il Principe Malaken di Abissinia e la corte arrivano 16:20 pm. Weymouth. STOP. Vuol vedere Dreadnought. STOP. Spiacente ultimo momento. STOP. Dimenticato telegrafare prima. STOP. Abbiamo interprete. STOP. "

Il segretario del ministero passò, a sua volta, il telegramma al vice-ammiraglio May, comandante della "Corazzata Dreadnought ", ancorata nel porto di Weymouth. La notizia si diffuse per tutta la nave.
A quel tempo, la corazzata "Dreadnought" era l'orgoglio della marina inglese. La sua entrata in servizio, nel 1906, aveva rappresentato un progresso significativo nella tecnologia navale. Tale era la sua importanza, che il suo nome è stato collegato con tutta una generazione di navi corazzate.
E' stata la prima nave da guerra alimentata da turbine a vapore, cosa che l'aveva resa la più veloce corazzata del mondo. La sua sola presenza incuteva rispetto e timore in tutte le altre marine europee.
Era tutto pronto per ricevere il sultano con una cerimonia degna del suo rango, ma all'ultimo minuto si resero conto che non avevano lo spartito musicale dell'inno di Abissinia (oggi Etiopia). Il vice-ammiraglio non si fece problemi, e ordinò di suonare l'inno di Zanzibar; del resto, era la colonia più vicina all'Abissinia. Sulla nave tutti hanno lavorato come le formiche, hanno reso brillanti i cannoni e tirato a lucido con la cera i corridoi, avevano preparato un banchetto, arredato il salone principale e srotolato il lungo, lunghissimo tappeto rosso che veniva utilizzato per ricevere le regalità. In meno di due ore, tutto era pronto e pulito. Il vice-ammiraglio May aveva inviato una delegazione alla stazione ferroviaria per ricevere il sultano, che sarebbe arrivato da un momento all'altro dalla stazione di Paddington, Londra.
A Londra, era una tipica giornata da mese di febbraio, nuvolosa. Al numero 14 di Fitzroy Square, nel quartiere di Bloomsbury, la signorina Virginia Stephen si applicava sotto il naso un bel paio di baffi finti, sopra una barba che si era dipinta sul volto con dell'unguento. Anthony Buxton e Guy Ridley intanto le arrotolavano il turbante sulla testa, ridendo nervosamente mentre immaginavano le probabili conseguenze. Adrian, il fratello di Virginia, stava scegliendo il cappello più adatto: lui era l'interprete. Non avendo trovato dizionari Abissini aveva creato un idioma che era una miscela di swahili con citazioni in latino e greco di Omero e Virgilio. Nel soggiorno, Duncan Grant si lamentava della taglia della sua tunica, mentre Horace Cole, che era la mente, stava provando il suo ruolo di cancelliere di Abissinia con grande disinvoltura. Infine Vanessa, la sorella di Virginia, scattò loro una foto, e scesero tutti in strada. Presero un taxi per la stazione di Paddington, poi salirono sul treno che li avrebbe portato a Weymouth.

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Una piccola barca li trasportò verso la grande nave da guerra. Salutarono il vice ammiraglio May mentre la banda suonava l'inno nazionale di Zanzibar, che loro mostrarono di gradire, in quella loro strana lingua mischiata di latino e greco. Virginia disse "bunga bunga", un paio di volte, rischiando di far saltare tutto il piano, considerato che i suoi amici riuscirono a stento a trattenere le risate.
Il vice ammiraglio May ordinò che, secondo il protocollo, venissero sparate le 21 salve di cannone, di rigore, per rendere loro onore, ma loro rifiutarono, adducendo motivi religiosi. Mentre passavano in rivista le truppe incominciò a piovere leggermente. Adrian Stephen si rese conto che i baffi posticci di Duncan Grant cominciavano a staccarsi, e spiegò al vice ammiraglio che preferivano entrare al coperto, perché il freddo e la pioggia non erano comuni in Abissinia e il sultano e la sua corte avrebbero potuto ammalarsi. Inoltre, chiesero se potevano avere stuoie per la preghiera e donarono delle false decorazioni militari ad alcuni degli ufficiali.
Furono prudenti, e non accettarono di passare nel salone per il banchetto, che era già apparecchiato, per paura di essere scoperti. Avevano già avuto abbastanza fortuna, finora. Si congedarono molto educatamente e, alle note solenni di "Dio salvi la regina", il gruppo di amici tornò sulla piccola barca, che li riportò a riva, da dove vennero scortati fino alla stazione ferroviaria, per tornare a Londra.
La burla era stata perfetta, ma sarebbe mancato quel quid di sublime, se nessuno ne fosse venuto a conoscenza!

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Il mondo doveva sapere cosa era successo, e Orazio Cole se ne incaricò. Raccontò tutto al Daily Mirror.
Il giornale pubblicò la foto che il gruppo si era fatta prima di prendere il taxi. Il famoso "Bunga-Bunga" dell'allora sconosciuta Virginia Woolf divenne così popolare in Inghilterra, che il vice ammiraglio May non poté mettere piede a terra senza che i ragazzi dei vicoli di Weymouth lo seguissero al grido di "Bunga Bunga". Il "Bunga-Bunga" arrivò ad essere cantato nelle sale da concerto. Le caricature del Times e del Mirror dicevano "Bunga-Bunga".
La nave ammiraglia della Marina dell'Impero britannico ne uscì male, e la questione, naturalmente, venne discussa in Parlamento, mentre l'Ammiragliato si rifiutava di credere che dei burloni avessero messo a repentaglio una così importante istituzione. D'altra parte, la stampa richiamò l'attenzione sulla fragilità della "inteligencia" dell'Impero. Avrebbero dovuto punire i colpevoli senza che la punizione desse troppa importanza allo scherzo di un gruppo di mattacchioni, ma si era in un secolo nuovo, un po' più tollerante.La regina Vittoria era morta. Quando il Parlamento si interessò del fatto, nessuno parlò di follia, ma solo di gioventù corrotta e annoiata.
Molto più tardi, e poco prima del suicidio, Virginia Woolf dichiarò in una conferenza: "Sapevamo che una delle conseguenze dello scherzo, sarebbe stata la revisione dei regolamenti che definivano gli standard di sicurezza", e aggiunse, con l'ironia che la caratterizzava: "Mi rallegra pensare di essere stata utile al mio paese ".

fonte: http://www.sentadofrentealmundo.com/

venerdì 13 aprile 2012

dal fango

vidali

Parla Herbert Matthews:
"Il sinistro Vittorio Vidali ha passato la notte in prigione, interrogando brevemente i prigionieri che gli venivano portati e, quando decideva, come quasi sempre decideva, che facevano parte della quinta colonna, sparava loro alla nuca col suo revolver. Ernest Hemingway mi ha raccontato che ha sentito dire che Vidali ha sparato così tanto che la pelle fra il suo pollice e l'indice della mano destra appare malamente bruciata."

Come raccontò lo stesso Hemingway, a Joris Ivens in una lettera, l'episodio si colloca nella mattina dell'8 novembre 1936. I prigionieri erano stati catturati per le strade di Madrid. Non si sa fino a che punto il prelievo dalla prigione e l'immediata esecuzione dei Paracuellos venissero portati a termine via via che proseguiva la caccia, la cattura e l'uccisione dei sospetti per le strade della città, ma è del tutto probabile che sia accaduto.
Una testimonianza scritta, più concreta di quella di Hemingway, ci dice dove si trovava Vidali in quel momento. Proviene dalla mano di colui di cui Vidali era l'ombra, in quei giorni: Enrique Castro Delgado. Questi, dopo un colloquio con Jose Diaz che è malato, autorizza l'ingresso nel Partito comunista, di Carrillo e Cazorla, e li integra entrambi come comandanti nel 5° reggimento. Quindi manda ad avvisare Vittorio Vidali, dandogli conto del colloquio con Jose Diaz, e di Carrillo e Cazorla, i cosiddetti "giovani barbari". Infine, dà l'ordine al suo braccio destro, Tomás, di cominciare il massacro.
Già, dove si trovava Vidali? In molti libri di storia della guerra civile spagnola, non appare nemmeno, oppure viene appena nominato. Un membro ufficiale dell' "esercito fantasma" che operò in Spagna durante la guerra.

"Era arrivato in Spagna, inviato da Mosca, come delegato del Soccorso Rosso Internazionale. Era sposato con una certa Maria Modetti [sic], anch'essa italiana, che era stata l'amante di Mella, il "martire cubano", e, a quanto pare, anche di Diego Rivera. Era dolce e buona, di una femminilità affascinante, un modo di parlare lento e triste, come lei, che era tutta tristezza. Lui era scortese, ubriaco, donnaiolo e terribilmente ambizioso. Era uno di quegli uomini che Mosca manda in certi posti, per consentire loro di "rinascere politicamente", una possibilità di cui approfittano anche a costo del crimine stesso. I due, Carlos e Maria, erano vecchi funzionari di Mosca, una città dove, con le continue purghe di Stalin, avevano imparato come la paura faccia pisciar sotto le persone."

Nel suo libro, Vidali, si accompagna a Castro per gran parte di quelli che sono per lo più appunti che parlano del corso della guerra, corredate di opinioni - sempre dure e scontrose - sugli esuli. C'è Castro con lui, quell'unica volta che - come dichiara - avrebbe sparato con una pistola. Successe ad Almería. Una trasmissione radiofonica di Vidali, venne interrotta da un bombardamento. Uscirono dall'edificio:

"E si diressero alla sede del Partito... ma durante il viaggio ... le due pistole sparavano senza sosta contro le persone che incontravano per la strada e che sembravano sospette. Alla fine della giornata erano due specialisti del terrore, due tecnici della "formula" ... Camminare e uccidere li calmò."

Vidali, che in Spagna utilizzò lo pseudonimo di Carlos Contreras, era arrivato nel 1934 dal Messico, dove già era entrato in azione. Del suo lavoro dentro il PC tra il 1934 e il 1936 non si sa nulla. In un'intervista ha parlato del suo ruolo, molto attivo come "organizzatore", durante l'assalto al Cuartel de la Montaña. Amutio Martinez gli dedica un capitolo, nel suo libro, "Chantaje a un pueblo":

VITTORIO VIDALI, «Comandante Carlos» o «Carlos Contreras»

Comunista italiano, di Trieste, esiliato come Togliatti, Longo ed altri che avevano agito durante la guerra. Formatosi come attivista ed agitatore a Mosca ed inviato dal Comintern e dalla GPU in America Latina, insieme a Guralsky e a Marcucci per aiutare Codovila, poi delegato del Comintern e amministratore dei fondi che dovevano servire per aiutare i partiti comunisti, utilizzando di solito come copertura il Soccorso Rosso Internazionale.
Instancabile attivista e geloso di Marcucci, che egli descrisse come intellettuale sdolcinato e blando. Un tipo ripugnante, era una miscela di spia, di agitatore comunista e di gangster, duro ed implacabile con tutto quello, e tutti quelli, che vedeva come un ostacolo alla politica di Mosca. Fanatico stalinista, non indugiava mai a dissertazioni dottrinali, mostrandosi sempre insolente e prepotente, presuntuoso ed arrogante, tranne che con coloro ai quali doveva obbedienza. Allora, con questi, si mostrava strisciante e servile.
Bestemmiava continuamente, ed il castigliano che parlava era costellato di frasi ed espressioni della "Boca" di La Plata, in Argentina, le peggiori che conosceva. Corpulento, forte e piuttosto alto, con modi di fare e un gesticolare che a volte lo facevano apparire come una furia scatenata, cosa che in realtà era. Di lui, Togliatti, in un'occasione, disse:
«Per comandare, è un sergente prussiano, ma per agire, è un ruffiano e un mezzano»
Senza dubbio, lo riteneva utile e necessario al fine di addomesticare i riluttanti, dal momento che era un suo strumento servile e determinato.
Arrivò in Spagna ad opera di Codovila, alla fine del '34. La sua missione apparente, come in America, era il Soccorso Rosso Internazionale e lo conoscemmo all'inizio del '35. A fronte della durezza, e dei tratti ripugnanti che abbiamo segnalato, sapeva mostrarsi amichevole e talvolta divertente, di buon umore, scherzoso a proposito della rigida disciplina stalinista, spesso organizzava feste e baldorie, dove non mancavano le le donne, e dove mostrava tutto il suo degrado morale. Disponendo di molto denaro, non si tratteneva dall'utilizzare tutte le risorse per attrarre coloro che voleva coaptare.
Esecutore, quando era necessario mettere in atto, con durezza e senza scrupoli, le linee guida che definiva "la casa", tutte le sue attività in Spagna hanno avuto un parallelismo costante e coincidente con quelle di Codovila, però pronto a tutto, anche ad uccidere, quando si doveva raggiungere lo scopo progettato.
Prima della guerra, dovunque i pochi comunisti organizzassero tumulti o intervenissero con la violenza durante assemblee, raduni o manifestazioni di piazza, c'era sempre "Carlos" lì vicino o era lui a cominciare.
Agitatore professionale di grande esperienza ed addestrato in sudamerica, sapeva  sfuggire molto abilmente e con grande astuzia alla polizia. Descrivere in dettaglio fatti e misfatti sarebbe, come nei casi di Codovila e di "Pedro", molto lungo, tanto più in questo caso, dal momento che "Carlos" agì molto intensamente durante la guerra ed ai margini di quello che era un apparato militare. Fin dal primo giorno si immerse nella grande turbolenza che era venuta a prodursi. Conosceva bene la strada, e in mezzo al popolo disorganizzato, eccitato e violento, era nel suo elemento. Sapeva cosa aveva dentro, di coraggio, di ansia e anche di odio, coltivato nel corso di una vita di costante penuria, di miseria e di ingiustizia, e sapeva approfittare di questo "clima" a beneficio dei piani del Partito Comunista. Sotto la sua direzione e grazie alla sua incessante attività il tremendo alluvione comunista crebbe rapidamente, di giorno in giorno, come un ascesso, fino a raggiungere un'energia difficile da guidare o da frenare. Nei quartieri popolari di Cuatro Caminos, Vallecas, la Ventas, ecc, era  dove si poteva trovare il "Comandante Carlos", come si cominciò a chiamarlo.
Per lui tutto era utilizzabile e organizzabile; tutto era valido, le persone e le procedure. Formò e diresse le prime pattuglie e squadre di polizia, dispose di locali e di caserme, organizzando la "pulizia" di coloro che venivano segnalati come fascisti, imponendo apertamente i metodi dettati dal NKVD (N.d.T: Commissariato del popolo per gli affari interni). Prostitute, ruffiani, criminali abituali, tutta la feccia dei bassifondi di Madrid che "Carlos" ormai conosceva perfettamente, venne utilizzata da questo degenerato a vantaggio del partito e usata nelle azioni, nei punti e nei luoghi adatti. Sapevo sempre trovare gli elementi più adatti per i suoi piani, e avendo mano libera, poteva mettere in gioco i suoi istinti perversi, senza che nessuno dei dirigenti comunisti lo frenasse. Gli attivisti si moltiplicavano e facevano dappertutto atto di presenza, come un acido corrosivo che cominciava a rompere la forza delle organizzazioni sindacali. Alcuni dirigenti del Partito Comunista si mostrarono sorpresi e stupiti per la crescita improvvisa e fulminea dei suoi seguaci; la loro capacità era stata sopraffatta e non erano capaci di affrontare la tempesta. Il "Comandante Carlos" era il perfetto animatore, il direttore di quella "grande festa rivoluzionaria", per citare Cesar Falcon in "Mundo Obrero" di quei giorni. La tessera del partito sarebbe diventata per molti una carta bianca, per altri rappresentava una buona assicurazione, una copertura per i loro precedenti e un appoggio per sistemarsi. Ne vennero stampate a migliaia e distribuite a pioggia. Nel corso del tempo proteggeranno le azioni più basse, la vigliaccheria ed altri crimini ripugnanti. Il reclutamento dei soldati, di solito con le lusinghe e la promessa di promozioni e incarichi di alto livello, era il compito di una squadra capitanata da 'Carlos', e formata da E. Castro Delgado, Fernandez Navarro, Francisco Galan e un portoghese esiliato da anni che chiamavano comandante Oliveira. Una delle prime tessere che vennero date a dei militari professionali fu quella del tenente colonnello Barceló, che fino al 18 luglio era stato aiutante del vice capo del governo, e ministro della guerra, Casares Quiroga. "Carlos", quando si vide nominato Commissario politico del Quinto Reggimento, si appuntò la stella di comandante. Era di gran lunga l'attivista più importante dell'apparato militare del partito. La prima unità militare che organizzò fu la "Compagnia d'Acciao", poi "Battaglione d'Acciaio", che venne successivamente integrata nel Quinto reggimento. Entrò in conflitto con Fernando de Rosa, che aveva organizzato il "battaglione ottobre», la prima unità delle milizie della gioventù socialista, dal momento che, conoscendolo bene, non gli permise minimamente di intervenire nell'organizzazione e azione di questa unità, che era considerata come un modello per tutti quelli che andavano a combattere in montagna, finché non si integrò nella Brigata Mista. Tutte le unità che furono create attraverso il Quinto reggimento, nelle quali, nonostante la leggenda, non tutti quelli che vi si arruolavano erano comunisti, marciavano al ritmo dato da «Carlos». Poi, con la creazione della Brigate internazionali, gli venne assegnato un campo più vasto per le sue azioni. Venne nominato, su ordine di Togliatti, commissario politico di una delle brigate, ma era dappertutto. Non era molto accettato, né riceveva molte simpatie, tra la maggioranza degli italiani che formavano il Battaglione Garibaldi; conoscevano la sua storia e il suo ruolo di agente del NKVD, e lo temevano. Senza perdere il suo contatto con Codevila, ed insieme all'attivista sovietica "Carmen la Gorda", che conosceva dai tempi di Mosca, esercitava un completo dominio sul Partito Comunista Spagnolo e sui suoi quadri, dandogli la struttura e il tono del Partito Comunista Sovietico. Come conseguenza di alcune intromissioni in delle cooperative agricole dell'UGT, della zona vinicola di Valencia, ci fu un serio confronto, ai primi di settembre 1936. Si rese conto così che nel Levante, in particolare a Valencia, non sarebbe stato facile manovrare e preparare le sue trappole, come a Madrid, e la sua presenza lì, da allora, fu poco frequente e solo per brevi viaggi. Un membro del Partito Comunista di Valencia ci ha detto che pensava che avessero sospetti su di lui e che fossero difficili da trattare; non avevano alcun interesse che questo elemento si convincesse del contrario, e gli confermarono che era vero che fosse sospettato, dal momento che sapevano che era uomo senza coscienza, fanatico e disposto a servire, a qualsiasi costo, quelli che lo comandavano: "era logico che mi riteneva difficile da trattare, dal momento che lo avevo avvertito che non gli sarebbe piaciuta la nostra reazione se avesse insistito a disturbare le nostre organizzazioni, con i suoi metodi. Lui e i comunisti valenciani avevano cercato di stabilire a Valencia una rappresentanza e un ufficio di arruolamento del Quinto Reggimento, sebbene il Comando Provinciale della Milizia non lo avesse autorizzato."
"Quando seppe che facevo parte del governo ad Albacete, venne a salutare, manifestandosi cordiale e disponibile, senza dubbio per vedere se era sparito da noi il sospetto che, diceva, avevamo su di lui, sospetto che ho ritrovato anche in Di Vittorio (Nino Nanneti), commissario, come lui, delle Brigate internazionali, ma uomo molto distinto, pur essendo comunista. Lo vedevo molto spesso, ma senza mai essere entrato in stretti rapporti, visto che conoscevamo i suoi compiti fino ad oggi, e sapevamo che non aveva cambiato metodi".

In occasione della Conferenza Nazionale dei Commissari, svoltasi nel marzo del '37 ad Albacete, il rapporto pronunciato da "Carlos" fu uno dei più settari, pieno di censure e minacce nei confronti di coloro che si opponevano all'azione corrosiva dei comunisti.

"Ai primi di luglio del 1937, tornato alla Federazione di Valencia, ho dovuto mettere in guardia Jose Diaz personalmente che c'era una certa verità a proposito di una "consegna" segreta che era stata comunicata alla "Radio", a Valencia, e che riguardava diversi leader socialisti - me compreso -, la nostra reazione sarebbe stata violenta e avrebbe dato luogo ad un un grave conflitto. Pochi giorni dopo Jose Diaz è venuto alla Segreteria della Federazione per comunicarci che si era incontrato con "Carlos", che aveva accusato di essere l'autore della "consegna", e che egli aveva negato che fosse vero; che era disposto a venire e a darmi tutti le spiegazioni necessarie a far scomparire i miei dubbi al riguardo. Ho risposto a Jose Diaz - che come un uomo di non grande intelligenza, ma con abbastanza buon senso, sapeva qual era la verità a proposito di quello di cui l'avevo avvertito - che sarebbe meglio che non comparisse davanti a me e gli ho consigliato di stare lontano dai nostri luoghi e rispettare i nostri militanti. Jose Diaz mi ha assicurato che non avrebbe fatto nulla di cui preoccuparsi."
"Carlos", è stato il diretto istigatore in innumerevoli casi tragici che si sono verificati durante la guerra. E 'stato uno dei migliori e più perfetti esecutori che l'NKVD abbia avuto in Spagna. Uno dei primi compiti ripugnanti che portò a termine, utilizzando persone di bassa condizione, come osservato in precedenza, avvenne nei primi giorni della guerra e fu l'assassinio del comandante di artiglieria di stanza nel Parco di Madrid, Rexach. Mancò poco che questo delitto provocasse un grave conflitto tra la CNT e il Partito comunista, che avevano le caserme una di fronte all'altra, nella stessa strada, nel quartiere di Cuatro Caminos.
Questo elemento è stato uno dei più crudeli e sinistri, utilizzato dall'Unione Sovietica. Sarebbe rimasto in Spagna fino alla perdita di Barcellona. Alla fine della seconda guerra mondiale tornò in Italia, dove aiutò Togliatti e Longo, usando i metodi che conosceva, a riorganizzare il Partito comunista italiano, che poi lo avrebbe nominato segretario della zona di Trieste. Poi cadde nel dimenticatoio, e finirono per disprezzarlo quando smise di essergli utile.

da "Justo M. Amutio - Chantaje a un pueblo"


Vidali morirà a Trieste nel 1983. Fu sempre restio alle interviste, in particolare da parte dei giornali. Ne accettò qualcuna da parte dei ricercatori, ma limitandosi a parlare di quello che compariva solo nei suoi libri. Nel suo piccolo appartamento alla periferia di Trieste c'erano solo alcuni libri sul Messico e sulla guerra civile spagnola, una foto di lui con Che Guevara, un dipinto ad olio di Lenin, alcune stampe, tra cui una di Picasso, foto e disegni raffiguranti lui e quella che fu sua moglie, Tina Modotti.

giovedì 12 aprile 2012

Prima o poi

Ramon

All'inizio del ventesimo secolo, il nitrato era la più redditizia fra tutte le materie prime che venivano esportate dal Cile. Le miniere di nitrato, di proprietà cilena ma dominate dal capitalismo inglese, erano note per le terribili condizioni di lavoro e di sfruttamento del lavoro. I minatori venivano pagati in gettoni che potevano essere spesi solo nei campi minerari, e nonostante questo, spesso, il pagamento veniva ritardato, anche fino a tre mesi.
E' il mese di dicembre del 1907, quando migliaia di minatori, con le bandiere cilene, peruviane, boliviane ed argentine, scendono dalle colline e marciano su Iquique per chiedere migliori condizioni di lavoro. Ai minatori, si uniscono, per solidarietà, 12.000 lavoratori di tutti i settori. E' lo sciopero generale, l'industria e il commercio sono paralizzati. Cinquemila lavoratori occupano la Scuola di Santa Maria da circa una settimana, mentre il Presidente del Cile, Pedro Montt (salito al potere con l'appoggio del movimento operaio) dapprima cerca di arrivare ad un compromesso fra i minatori e i padroni delle miniere. Poi, di fronte all'atteggiamento di chiusura dei padroni, attua un cinico voltafaccia e ordina al Generale Roberto Silva-Renard di mettere fine allo sciopero.
Sono le 14:30 del 21 dicembre, quando Silva-Renard intima agli occupanti di abbandonare la Scuola in cui sono asserragliati, entro un'ora. Per protesta, i capi dello sciopero salgono sul tetto. Fedele alla sua parola, un'ora dopo, Silva-Renard fa aprire il fuoco. Alla prima scarica di fucileria, tutti i capi dello sciopero cadono morti.I minatori, ammassati nell'edificio, insieme alle loro famiglie, fuggono in tutte le direzioni in un disperato tentativo di sottrarsi alla morte che arriva, spietata, per bocca delle mitragliatrici. 
Dopo, i soldati prendono d'assalto il cortile della scuola, sparando fin dentro le aule, senza curarsi delle invocazioni di pietà provenienti da donne e bambini. Quando è notte, di nascosto, migliaia di corpi vengono gettati dentro una fossa comune. Ai sopravvissuti viene ordinato, in punta di sciabola, di tornare al lavoro.

Ramon2

Antonio Ramón Ramón è un anarchico spagnolo di origine andalusa. Da Granada, è emigrato in Cile, con la sua famiglia, quando ancora era un bambino. Fra i minatori in sciopero, di quel dicembre 1907, c'è anche il suo fratellastro Mauricio Vaca. E' fra i 3.600 massacrati dal generale! Antonio non ha fretta, aspetta. Il generale Silva-Renard non è mai comparso davanti a nessun tribunale, per il suo crimine. Antonio aspetta per ben 7 anni, pur di avere l'opportunità di far comparire il generale davanti alla giustizia. E' il 14 dicembre del 1914, quando, in una strada nel centro di Santiago, lo pugnala 7 volte, alla testa e alla schiena. Sopravvivrà, il macellaio, fino alla sua morte, tre anni dopo, nel 1920. Sopravvivrà, cieco e immobilizzato nel suo letto, per tre anni

Questa storia, è anche un documentario, adesso. Un film prodotto dalla televisione cilena, La venganza de Ramón Ramón, basato su un libro scritto da Igor Goicovic Donoso. Nel documentario, si può vedere la storia di Antonio Ramón Ramón e la sua vendetta.

mercoledì 11 aprile 2012

Beffato!

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Tolosa, Francia, 17 Agosto 1944, più o meno le 18:30. Una piccola colonna di camion, con a bordo una cinquantina di prigionieri, ha appena lasciato il carcere di Saint-Michel, e percorre la via Albi, diretta a nord-ovest.
Mezz'ora più tardi, nei pressi di Buzet-sur-Tarn (Haute Garonne), una colonna di veicoli militari tedeschi, compresa una macchina della Gestapo, abbandona la strada e comincia ad inerpicarsi su per un sentiero, verso il bosco.
Ben presto, dal bosco, si odono grida, colpi di fucile, raffiche di mitra. La sparatoria continua per 45 minuti. Dopo di che, la colonna di veicoli emerge dal bosco e torna sulla strada, in direzione di Tolosa.
Due giorni dopo, informati da alcuni residenti, le autorità di Buzet-sur-Tarn vanno nel bosco e scoprono che è avvenuto un massacro. Trovano una sorta di pira funeraria, ancora fumante. Sono i resti carbonizzati dei 50 prigionieri, tutti membri della Resistenza. Tra i cadaveri bruciati, c'è quello di Francisco Ponzán Vidal, noto anarchico spagnolo e militante della CNT.
Già, ma chi era Ponzàn? Asturiano di Oviedo, nel 1936, quando scoppia la guerra civile, fa l'insegnante a Huesca. Per sette mesi farà parte del Consiglio d'Aragona, in qualità di sottosegretario per l'Informazione e la Propaganda. Fino al giorno in cui, il consiglio, e le sue collettività agricole, verranno soppressi dalla Divisione del Generale Lister, suu ordine del primo ministro repubblicano Negrin. Ponzàn si arruola nella colonna ‘Rojinegra’, guidata dal suo amico, e compagno, Maximo Franco. Qui, organizza e guida un'unità di guerriglia specializzata in atti di sabotaggio dietro le linee nemiche, "Los Libertadores". Nel 1937, viene promosso capitano e coaptato nel SIEP (Servicio de Información Especial Periférica), i servizi speciali dell'esercito repubblicano, oramai completamente militarizzato. Ci resterà fino alla fine della guerra, e all'esilio.
In Francia, Ponzàn, ci arriva via Andorra, nel febbraio del 1939. Prima di essere arrestato e internato nel campo di concentramento di La Vernet, riesce a
stabilire un certo numero di depositi di armi. Quando, più tardi, viene assegnato a lavorare in una fattoria, comincia subito a costruire una rete anarchica di resistenza sui Pirenei orientali. Ben presto, la sua reputazione lo porta all'attenzione dell'esercito inglese che, nel novembre del 1939, arruola Ponzàn e il suo gruppo per organizzare un'operazione di "stay behind", in previsione dell'arrivo della Wehrmacht. Il gruppo di Ponzàn, costituito completamente da membri della CNT-FAI, includeva José Estevez, Pedro Marcos Bilbao, un ufficiale della marina mercantile spagnola, José Villa Briga Abizando, Antonio Castreo de la Torre, Onofre García Tirador, Juan Manuel (‘Juanel‘), Agustín Remiro, Saturnino Carod e Francisco Denís, ‘El Català’, Juan Zafón, Pascual ed Eusebio López Lagarta, Vicente Moriones, Amádeo Casares, Rafael Melendo, Ricardo Rebola, Ginés Camarasa, Victorio Castán, Coteno
Quando i tedeschi invadono la Francia, nel maggio 1940, si è oramai stabilita una robusta linea di comunicazione e una struttura di resistenza, in previsione di un'invasione tedesca della Spagna e del Portogallo. Ponzàn è reduce fresco da un raid in Spagna, dove ha riportato ferite non gravi. La danza ha inizio.
Dal 1940 al 1943, il gruppo di Ponzán riuscirà a salvare la vita a migliaia di combattenti della resistenza, e a mettere in salvo in Spagna i prigionieri di guerra che riuscivano ad evadere.
Nell'aprile del 1943, la polizia di Vichy lo arresta per possesso di documenti di identità falsi e lo fa condannare a 8 mesi di reclusione. Il suo ruolo nella resistenza, tuttavia, non era conosciuto fino al giugno del 1944, quando, poco prima della data di scadenza per il suo rilascio, viene tradito. Proprio la stessa mattina in cui gli alleati danno inizio allo sbarco in Normandia, la Gestapo lo trasferisce a Saint-Michel, carcere di massima sicurezza a Tolosa, dove rimane per tre mesi. Lo tortureranno fino a quella fatidica sera del 17 agosto - due giorni prima che la Resistenza liberasse Tolosa - quando insieme al altri 50 compagni (il numero esatto non è noto) viene ucciso a sangue freddo, il corpo cosparso di benzina e bruciato.
Dopo la Liberazione Ponzán riceverà elogi postumi dal primo ministro Clement Atlee, dal generale Eisenhower,e dal generale De Gaulle, che lo decorerà con la Medaglia della Resistenza e con la Croce di Guerra con la Palma, e gli conferirà la promozione, sempre postuma, al grado di capitano dell'esercito francese.
Una bella beffa per l'anarchico che si era battuto contro la militarizzazione delle milizie spagnole

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martedì 10 aprile 2012

Futilità - ovvero è solo un libro

titanic

Ai primi di aprile, un transatlantico di lusso attraversa l'Atlantico. La nave non ha a bordo sufficienti scialuppe di salvataggio per i suoi oltre 3000 passeggeri, ma non ha alcuna importanza dal momento che è ritenuta "inaffondabile". Ma, di notte, al largo della costa di Terranova, cozza contro un iceberg. La nave affonda e la maggior parte dei passeggeri annega.
No, non è la storia dell'affondamento del Titanic, ma la trama di un romanzo, "Futility", pubblicato nel 1898, 14 anni prima del Titanic!
Scritto da Morgan Robertson, un ex marinaio, "Futility" voleva essere una condanna dell'arroganza umana. La storia, racconta il viaggio dagli Stati Uniti all'Inghilterra di un transatlantico ritenuto inaffondabile. E poiché la nave è considerata inaffondabile, traspora il numero minimo di scialuppe di salvataggio consentite dalla legge e, per lo stesso motivo, si permette di andare a tutta velocità anche attraverso la peggiore nebbia. Naturalmente, quando la nave, il cui nome è, incidentalmente, "Titan", andrà a sbattere contro un iceberg, andrà giù, uccidendo tutti, tranne una manciata di passeggeri.
Al momento della sua pubblicazione, "Futility" non fu un libro popolare. Era un epoca in cui gli americani si sentivano ottimisti riguardo la tecnologia, e Jules Verne e HG Wells erano assai in voga. Il pessimismo tecnologico non piaceva alla critica popolare. Infatti, nonostante una rispettabile carriera, Robertson oggi sarebbe un autore del tutto dimenticato, se non fosse stato per il disastro del Titanic. Nel momento in cui il Titanic era nella sua fase di progettazione, il libro era già fuori catalogo. Ma dopo che la vera nave "inaffondabile" affondò, nel 1912, la gente cominciò a notare alcune somiglianze sorprendenti tra la finzione di Robertson e la realtà del Titanic, fin dall'incipit del romanzo:

"Le 92 porte dei diciannove compartimenti stagni potevano essere chiuse in mezzo minuto girando una leva. Queste porte si sarebbero chiuse automaticamente in presenza di acqua. Con nove compartimenti allagati la nave sarebbe ancora stata in grado di galleggiare - e nessun incidente di navigazione conosciuto avrebbe potuto riempirne così tanti - il Titan era considerato praticamente inaffondabile.
Costruito in tutto e per tutto di acciaio, e destinato solo al traffico passeggeri, non trasportava nessun carico combustibile che potesse minacciare la sua distruzione per fuoco. Era ottocento piedi di lunghezza, settantamila tonnellate, 75.000 cavalli di potenza, e durante il suo viaggio di prova aveva raggiunto una velocità di venticinque nodi all'ora, a fronte dei venti, delle maree e delle correnti. In breve, era una città galleggiante che conteneva tra le sue mura d'acciaio tutto ciò che serve a minimizzare i pericoli ed i disagi dell'attraversata atlantica e a rendere la vita piacevole."

Ci sono molte differenze tra il Titan e il Titanic. Il Titanic viaggiava dall'Inghilterra agli Stati Uniti, il Titan andava nella direzione opposta. 705 persone sono sopravvissute al naufragio del Titanic, e solo 13, a quello del Titan. Ma le somiglianze sono inquietanti. Entrambe le imbarcazioni vengono descritte come "inaffondabili". Come il Titan, il Titanic portava meno della metà delle scialuppe di salvataggio necessarie a salvare tutti. Le navi erano più o meno delle stesse dimensioni - 800 piedi di lunghezza per il Titan, 882 per il Titanic - e colpirono i loro iceberg più o meno alla stessa velocità sul lato di dritta.
Dopo il disastro, un editore ristampò "Futility", con il titolo più invogliante di "Wreck of the Titan". Vennero apportate anche alcune modifiche al testo, ma erano solo per rendere il Titan più veloce e più potente del Titanic, dal momento che le somiglianze inquietanti erano già presenti nel manoscritto originale. Robertson, tuttavia, non ci guadagnò sopra mai niente, praticamente, e morì nel 1915 per un overdose di protiodide.