mercoledì 30 novembre 2011

Frasi

rum-shipmates

La frase è attribuita a Winston Churchill. Si dice che fu proprio davanti al Consiglio di Ammiragliato che disse qualcosa come: "Non venitemi a raccontare della tradizione navale, non è altro che rum, sodomia e frustate."
La prima fonte che gli accredita, si trova nel diario di Harold Nicolson, un diplomatico britannico. Il testo esatto, che differisce leggermente dalla versione più popolare, è: "la tradizione navale? la tradizione navale? - disse Winston - Mostruosa. Nient'altro che rum, sodomia, preghiere e frusta".
Come si vede, per la strada si sono perse ... le preghiere. E questo è successo perché ha prevalso la versione di Peter Gretton, il quale racconta, in un libro, come Churchill, poco dopo essere diventato Primo Lord dell'Ammiragliato, nel 1911, brigò per un cambiamento nelle navi della Marina, di modo che il carbone cedesse il passo al petrolio. E fu qui che qualcuno obiettò, parlando di tradizione navale britannica, e Churchill sbottò in quella frase.
Detto questo, la persona interessata, Churchill, negò sempre di aver mai pronunciato quelle parole. Quando gli fu chiesto direttamente, rispose: "Non l'ho mai detto, anche se mi sarebbe piaciuto."

Fonte: www.thisdayinquotes.com

martedì 29 novembre 2011

alter-ati

IPADAN-1

Di chi è la colpa? Qual è l'origine della crisi? A sentir loro, tutta la responsabilità sarebbe del malvagio capitale finanziario, causa dei licenziamenti, il quale sta per far crepare il tanto gentile capitale produttivo (ultimamente reso con l'espressione più dolce di "economia reale", un termine molto in voga negli ultimi quattro anni), quello che dà lavoro! Ce lo stanno ripetendo tutti, non importa se siano sindacalisti o altermondialisti. Piangono e strillano contro il "capitalismo da casinò", contro "l economia finanziaria, "contro le borse (Wall Street, il male assoluto), contro gli speculatori cattivi, le odiose mega-banche, le agenzie di rating di merda, ecc. E con una sola voce, proclamano che: "Questa crisi non è la nostra! Noi non la paghiamo!" Dicono che dobbiamo essere noi (il famoso 99%) a sbarazzarci della cattivissima "oligarchia finanziaria" che ha infiltrato il sistema politico e che, in agguato nell'ombra, tira i fili per suo conto. La sua politica sarebbe una "Shock Economy", un'offensiva del capitale che in realtà sarebbe in perfetta salute, perché - in verità -  queste grandi bugiardi hanno un tesoro nascosto da qualche parte che dovrebbe essere espropriato e ridistribuito a tutti i poveri.
E che ci vuole! - dicono - Una bella patrimoniale contro i ricchi che hanno le tasche piene di soldi, rinvigoriamo gli Stati con delle politiche keynesiane di stimolo per spingere la gente a consumare, e la vita capitalista "normale" tornerà indietro, agli anni quaranta. I nostri stipendi aumenteranno, si potrà consumare, saremo di nuovo sulla trincea del lavoro e della competitività, ecc.
Così racconta questa leggenda metropolitana. Dice che la crescita economica ripartirà come non mai, che la formibabile macchina capitalista, finalmente ripulita dai suoi parassiti inutili, funzionerà per il bene di tutti (e non per pochi). Ognuno potrà finalmente avere un piccolo lavoro da formica e da ingranaggio, e tutti ancora una volta potranno tornare alla loro vita di lavoratori onesti, in una società che è strutturata per il lavoro e per il denaro .
Questo, un profilo sommario di questo alter-capitalismo che circola come discorso dominante - l'ideologia - nei media, nell'opinione pubblica della sinistra e della sinistra della sinistra: un capitalismo dal volto umano!
Niente di nuovo, a sinistra. E' lo stesso alter-capitalismo nostalgico dei tempi della "piena occupazione". Storicamente, lo stesso alter-capitalismo sostenuto a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, dopo la sconfitta della Comune, dal movimento operaio con quell'insieme di lotte di classe che hanno portato ai "socialismi reali" su tutto il pianeta, nel ventesimo secolo. Come dire, veniamo chiamati, ancora una volta, a ridistribuire le forme del capitalismo sociale (denaro, merce, valore) senza mai doverlo mettere in discussione. 
Ma non ci sarà mai un altro capitalismo (pensarlo è già un dispositivo che avviene dopo il crollo). Non ci sarà nessuna uscita dalla crisi. E il fallimento non avverrà per colpa della "finanza", ma per una crisi generale della civiltà in tutti i suoi aspetti, economici, sociali, soggettivi, politici, energia, ambiente, ecc.
Il conto è arrivato e la società borghese si trova davanti ad un bel dilemma. Socialismo o barbarie!

figli

naufraghi

E' novembre, e nel centro di Mosca è già caduta la prima nevicata importante di questo autunno. Nel "Centro Spagnolo", a pochi passi della stazione della metropolitana, "Kuznetsky Most", si riuniscono i cosiddetti "Figli della Guerra", i figli dei repubblicani che, durante la guerra civile spagnola, vennero inviati in Unione Sovietica, per aspettare una vittoria che non arrivò mai.
Oggi è venerdì, il giorno dei ragazzi, "el dia de los chicos", e si sono riuniti solo gli uomini, per passare la serata giocando a carte, fra battute e ricordi. Le "ragazze" si riuniscono il martedì. Molti di questi "figli della guerra", tornarono in Spagna, già fin dal 1956, altri sono morti. Questo venerdì, mentre chiacchierano seduti a un tavolo ricolmo di insalate, di salumi e dove non manca la vodka, arriva la notizia che una delle "ragazze" è morta ieri.
Molti di loro sono sui 90 anni, hanno vissuto tutta la loro vita in Unione Sovietica, prima, e in Russia, poi. Ora, a 20 anni dal disfacimento dell'impero sovietico, ricorda quei giorni con disapprovazione.
"Erano tempi molto cattivi", assicura Enrique Veintimilla Alonso, a sua volta figlio dei "figli della guerra" e attuale Segretario del Centro Spagnolo, "il denaro era senza valore". L'elevato costo dei prodotti è il ricordo più vivo di questi uomini: "Salami, vodka, zucchero ... non c'era niente", continua Henry.
"Quegli anni non li voglio nemmeno ricordare", afferma tassativo Manuel Pereira Alonso, "Inoltre, il Sindaco di Mosca, Gavrill Popov, introdusse la regola che chi non era moscovita non poteva comprare il cibo nei negozi, ed era un problema, perché io avevo ospiti a casa." Manuel sottolinea l'importanza della mancanza di materie prime: "La vodka poteva anche non essere necessaria ma lo zucchero e il pane ... !"
Altri, come Sotero Andrés, uno di questi "bambini della guerra" con più di 90 anni sulle spalle e una memoria lucida, trascorsero quei giorni in modo relativamente normale, e, nonostante le tensioni politiche, si resero conto di quello che stava succedendo quando fu tutto crollato: "Lo scoprii per caso. Stavo raccogliendo noci e funghi in un parco vicino casa mia, ed ho sentito un rumore molto strano e forte, mi sono girato e c'era una fila di carri armati." Era il colpo di stato contro Mikhail Gorbaciov nell'agosto del 1991, che inflisse il colpo decisivo al governo comunista.
Sotero ricorda che, dopo l'ascesa di Eltsin le sensazioni erano "positive", ma improvvisamente tutto andò storto, "c'erano lunghe code per comprare qualsiasi cosa. Siamo stati molto male."
Sotero allora aveva 70 anni, ma, come molti uomini della sua età, in quel periodo continuava a lavorare. Ricordate come, dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica, i pagamenti dei salari vennero ritardati, ma "non troppo". Invece Andrés Landabaso, figlio di un "bambino della guerra", assicura che nel suo caso i ritardi durarono "per sei mesi."
La politica è la questione più spinosa. Enrique ha visto l'ascesa al potere di Eltsin di buon occhio, almeno al principio, "c'era più libertà che in Unione Sovietica". Invece Nicolás Gregorio Rodríguez, un vecchio tutta la vitalità e nervi, risponde con enfasi: "Io ero libero anche prima."
La transizione alla democrazia è stato un cambiamento significativo anche per gli esuli spagnoli. Fino al 1991, i "bambini della guerra" avevano il sostegno economico della Croce Rossa, che era gestita dal Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Venuto a mancare il PCUS, è stato il governo spagnolo, tramite accordi con la Federazione Russa, che ha finanziato i costi di questo Centro.
Da allora il Centro Spagnolo, la loro "seconda casa", come tutti lo chiamavano, si è mantenuto "grazie alla volontà di continuare a vedersi, nonostante il passare del tempo, ed organizzare le attività per l'amicizia fra il popolo russo e il popolo spagnolo", come ci dice Enrique, il Segretario. Il denaro, dal 1992, proviene dalle quote associative e dalle sovvenzioni dell'IMSERSO (un organismo del governo spagnolo), che ha consentito al centro di sopravvivere nonostante la scomparsa del sistema sovietico. Almeno fino ad oggi, ora che la crisi minaccia di tagliare i fondi per il centro, che potrebbe essere costretto a chiudere già a gennaio.

fonte: http://rusiahoy.com/articles/2011/11/16/recuerdos_del_naufragio_veteranos_13120.html

lunedì 28 novembre 2011

se tutto va bene … siamo rovinati

materie prime

La fine del boom delle materie prime

Ci sono segnali che indicano come la recessione economica sia in procinto di trasformarsi in una nuova recessione globale. Dopo il crollo dei mercati finanziari, l'economia mondiale ad alto sostegno finanziario ha incontrato il suo secondo limite, quello delle finanze dello Stato. Un nuovo crack potrebbe colpire innanzitutto, come è avvenuto nella prima metà del 2009, i paesi fortemente esportatori, e li colpirebbe tanto più in quanto il loro mercato interno rappresenta una quota minore del loro PIL. Questo non fa ben sperare, soprattutto per la Germania, con cui le élite si felicitano per la sua leadership mondiale nei settori chiave dell'industria. Ci sarà un duro colpo anche per i paesi emergenti, tanto decantati, che hanno guadagnato la loro recente crescita economica sulla base di un orientamento basato esclusivamente sulle esportazioni.
Tuttavia, si può dipendere in molti modi dal mercato mondiale. Mentre la Cina, nonostante un controllo precario della produzione, agisce come la fabbrica del mondo, la maggior parte delle economie emergenti rimangono in gran parte dipendenti dalla esportazione di materie prime. Di fronte ai paesi sviluppati, il loro deficit abituale è irrimediabile. Strutturalmente parlando, hanno visto perfino deteriorarsi la loro posizione, nella misura in cui i loro processi di industrializzazione si sono ridotti o, nella migliore delle ipotesi, hanno rallentato. Questo fatto, finora, è stato nascosto dal boom delle materie prime, legato alla crescita economica globale ed alimentato dal deficit, e soprattutto legato all'appetito insaziabile della crescita esponenziale cinese per questo tipo di merci. Una nuova recessione globale metterebbe spietatamente in evidenza la situazione particolarmente disperata dei paesi produttori di materie prime.
Per esempio, in Brasile il boom degli ultimi anni si rivela assai fragile. Il successo delle esportazioni è infatti basato principalmente sulle materie prime industriali ed agricole, come il minerale di ferro, lo zucchero, l'etanolo, il caffè e la carne. Finché i prezzi di questi prodotti crescono, questi incoraggia la crescita e le riserve di valuta, ma in caso di recessione globale, questo processo può invertirsi in fretta, perché nasconde un serio cambiamento nella struttura delle esportazioni. Mentre la quota dei prodotti industriali è diminuita del 16% negli ultimi cinque anni, si osserva che quella delle materie prime è aumentata nella stessa percentuale. In altre parole, il contributo dell'industria al PIL è diminuito di quasi la metà. Un fattore importante di questa de-industrializzazione è costituito dal commercio estero con la Cina, dal momento che, in cambio di materie prime, essa ha inondato il mercato brasiliano di prodotti industriali a basso costo. Questo funziona solo fino a quando i prezzi delle materie prime rimarranno elevati.
Ma di gran lunga peggiore è la situazione di paesi come la Russia e il Venezuela, che vivono esclusivamente delle flebo delle loro esportazioni di petrolio e gas naturale. Certo, l'esaurimento delle risorse naturali promette, sul lungo termine, un eccesso di domanda, ma nel breve e medio termine, questi paesi potrebbero difficilmente sopravvivere ad un declino ciclico dei prezzi dell'"oro nero". Per quanto alle economie terribilmente indebitate degli Emirati e dell'Arabia Saudita, con i loro folli progetti di costruzione, rischiano il crollo in caso di un ruzzolone dei prezzi del petrolio. Una tale evoluzione sarebbe fatale non solo per i regimi autocratici dei paesi esportatori di petrolio, ma creerebbe una reazione a catena che aggraverebbe dell'altro la crisi finanziaria e la recessione globale.

- Robert Kurz -

(tradotto da: http://palim-psao.over-blog.fr/article-fin-du-boom-des-matieres-premieres-par-robert-kurz-87833688.html )

sabato 26 novembre 2011

Le sigarette fanno male!

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Il 26 novembre 1927, l'esplosione di un grosso carico di dinamite fa saltare in aria la "Manufactura Tabacalera Combinados", al 2279 di carrer Rivadavia, a Buenos Aires.
Ma procediamo con metodo. Erano passate poche settimane da quando, il 23 agosto, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano stati assassinati sulla sedia elettrica, quando, all'inizio di novembre, Bernard Gurevich, che produce le sigarette popolari "Combinados", annuncia che vuole mettere sul mercato una nuova marca di sigaretta, destinata agli operai. Questa sigaretta si chiamerà "Sacco y Vanzetti" (SyV). Ovviamente, l'intento è quello di usufruire gratis della pubblicità e della promozione che gli sarebbero derivati dall'utilizzo quei due nomi. Rosina Sacco, la vedova di Nicola, alza la sua voce di protesta contro una simile speculazione, e alla sua voce di condanna si unisce tutto il movimento anarchico argentino. A questo punto, la sentenza è stata emessa! Sarà Severino Di Giovanni a farsene materialmente carico. La sigaretta "SyV" non vedrà mai la luce, il giorno stesso dell'esplosione Gurevich annuncia il ritiro del progetto.

venerdì 25 novembre 2011

La bellezza dei numeri

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Hedwig Eva Maria Kiesler, meglio conosciuta come Hedy Lamarr, e da molti definita come la donna più bella del mondo - almeno, per quanto concerne la storia del cinema - fu, fra le altre cose, protagonista del primo nudo integrale in un film commerciale. Il film era Extasis, del 1933. E questo, per quanto attiene al cinema. Se parliamo di matematica ed ingegneria, invece, può essere interessante sapere che mise a punto e brevettò un sistema di codifica criptata per la trasmissione di dati digitali in radiofrequenza. Praticamente, telefonia mobile e wi-fi funzionano grazie a Hedy Lamarr, non certo grazie a Steve Jobs!

giovedì 24 novembre 2011

Anarchy in the UK

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Glen Matlock ex-Pistol e Chris Spedding (ex-membro del Nucleus), insieme ai musicisti degli album dei Pistols, hanno formato una nuova band e l'hanno chiamata KING MOB. Secondo Matlock, vogliono combattere la malattia chiamata "x-factor". Non è una brutta idea. Il solo problema è il nome della band. Soprattutto dopo tutto quello che ha avuto luogo in Inghilterra durante l'estate, ad esempio le sommosse che sono state una specie di "King Mob".
Matlock probabilmente si ricorda della rivista pro-situazionista che vene fondata dopo che i membri della sezione inglese dell'Internazionale Situazionista vennero espulsi. Chris Gray è stato il protagonista principale di quello sfortunato progetto, e quando fallì corse tra le braccia di Bagwan SHRI RAJNICHE, IL GURU ARANCIONE ... Incredibile. Prima di allora, Gray aveva pubblicato una raccolta di testi dalla rivista "SI", con il titolo "Leaving the 20th Century". E quello che aveva messo insieme, graficamente, il documento non era altri che Jamie Reid, che poi rispunterà fuori con Malcolm MacLaren nella gestione dei Pistols. Mac era stato un membro di "King Mob" con il nome di Malcolm Edwards - quindi deve essere stato da lì che Matlock ha avuto l'idea di chiamare il suo gruppo, King Mob.
Matlock venne buttato fuori dai Pistols da MacLaren, perché gli piacevano i Beatles. Sarà interessante vedere che tipo di materiale produrranno con questo "nuovo" King Mob. Temiamo il peggio.

Fonte: "Evening Standard", 17 novembre 2011

Ottava Rima

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Apprese non solo l'italiano, George Byron, ma anche il veneto, e il suo "Beppo: A Venetian Story" è scritto in ottava rima, in inglese. Ed è dal Beppo che è tratta questa dichiarazione d'amore verso la lingua italiana. Ho provato a tradurla, ma senza renderla in ottava rima.

[44]

Ne amo il linguaggio, quel morbido latino bastardo
Che si squaglia come i baci di una bocca femminile
Ha il suono del pennino che scrive sul raso
Con sillabe che alitano il dolce respiro del Sud
Come un liquido che scorre gentile senza mai inciampare
Tanto che non un solo accento sembra privo di grazia
Come il nostro aspro nordico fischio, il grugnito gutturale
che ci obbliga a sibilare, a bofonchiare e a sputare.


[44]

I love the language, that soft bastard Latin,
Which melts like kisses from a female mouth,
And sounds as if it should be writ on satin,
With syllables which breathe of the sweet South,
And gentle liquids gliding all so pat in,
That not a single accent seems uncouth,
Like our harsh northern whistling, grunting guttural
Which we're oblig'd to hiss, and spit, and sputter all.

mercoledì 23 novembre 2011

Il Valore della Critica

werkritik

Da una parte, il lavoro magistrale di Moishe Postone, il "Chicago Political Workshop" e il gruppo "Principia Dialectica", con base a Londra, dall'altra, gruppi tedeschi e austriaci, come Krisis, Exit, Streifzuge o il gruppo 180° con teorici come Roswitha Scholz, Norbert Trenkle, Robert Kurz, Anselm Jappe, Gerard Briche, Ernst Lohoff, ed altri. "Una reinterpretazione della teoria critica di Marx", così come la definisce Postone, è apparsa nel corso degli ultimi due decenni. Diversamente dalle letture tradizionali di Marx, con cui rompe, questo approccio - a volte etichettato come il movimento del valore critico (wertkritik) - ha diversi interessi principali. Questa critica si è fatta ampiamente notare per aver articolato un approccio teorico che pone particolare attenzione al carattere "feticista" della produzione di merci, alla dimensione astratta (lavoro astratto) di tutto il lavoro, alla distinzione tra valore e ricchezza materiale, e alla natura del capitale come "automa". Così, diversamente dai marxismi tradizionali, i soggetti principali del capitalismo non sono né il proletariato, né la borghesia, ma piuttosto il capitale stesso (il valore che si auto-valorizza). Il Valore non è limitato alla sola sfera economica, ma impone la sua struttura a tutta la società. Il Valore è una forma sociale di vita e di socializzazione. Un fatto sociale totale. Uno dei punti centrali di questo nuovo lavoro teorico è lo sviluppo di una critica che non si ferma al livello sociologico degli antagonismi di classe, alla questione dei rapporti di distribuzione e di proprietà privata dei mezzi di produzione. La classe capitalistica gestisce un processo di produzioni di merci a suo profitto, ma non ne è né l'autore né il padrone. Lavoratori e capitalisti non sono che le comparse di un processo che li oltrepassa, la lotta di classe se esiste non è in realtà altro che una lotta di interessi all'interno della forme di vita e di socializzazione capitaliste. Così, al contrario dell'anticapitalismo tronco, la critica del valore osa infine criticare il sistema nella sua totalità, e, in primo luogo, critica, per la prima volta, il suo principio di sintesi sociale, il lavoro in quanto tale, nella sua doppia dimensione concreta ed astratta, come attività socialmente mediatrice, e specifica storicamente al solo capitalismo, e non come semplice attività strumentale, naturale e trans-storica - come se il lavoro fosse l'essenza generica dell'uomo che verrebbe catturata esteriormente dal capitale!
E' il doppio carattere di questa forma di vita sociale e di sfera separata della vita che è il lavoro, e non il mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione, che forma il nocciolo del capitalismo. Nella società capitalistica solamente, il lavoro astratto si rappresenta nel valore, il valore è l'oggettivizzazione di un vincolo sociale alieno. Il valore di scambio di una merce non è altro che l'espressione, la forma visibile, del valore "invisibile".
Un movimento di emancipazione dal feticismo del valore non può più criticare questo mondo a partire dal punto di vista del lavoro. Non si tratta dunque più di liberare il lavoro dal capitale, ma di liberarsi dal lavoro in quanto tale, e non facendo lavorare le macchine al nostro posto dal momento che il modo industriale di produzione è intrinsecamente capitalista (la tecnologia non è neutra), ma abolendo un'attività che viene posta al centro della vita come mediazione sociale. D'altronde, la critica non deve certo fornire, in allegato, un manuale d'uso per un'organizzazione alternativa dell'utilizzo della vita. Essa, la critica, sviluppa una spiegazione possibile del mondo presente, delle sofferenze reali delle nostre proprie vite e delle esigenze sociali con cui vengono imposte, ma non è un manuale d'uso che spiega come si costruisce una "società ideale". L'unico criterio proposto dalla "Critica del Valore" è che nessun medium feticista (come è oggi il lavoro) si frapponga fra gli individui sociali, e fra gli individui sociali e il mondo. E dal momento che questo non è mai esistito, resta tutto da inventare. Ma non ci può essere nessun compromesso possibile con l'economia, cioè a dire con il lavoro come forma capitalista del metabolismo con la natura e come mediazione sociale fra gli esseri umani. Possono essere privilegiate, fuori dal lato economico, altre dimensioni (il dono, il mutuo appoggio, la cura) che possono esistere in parallelo dal momento che il Valore è una forma sociale che invade tutto: bisogna uscire totalmente dall'economia, inventando altre forme di mediazione sociale fra noi, diverse dal lavoro, dalla merce, dal denaro, dal capitale che collega la nostra "capacità lavorativa" ai suoi assetti sociali e alle sue macchine.
Un'altra caratteristica di questo nuovo lavoro teorico è stata quella di fornire una struttura che permettesse di comprendere il processo di crisi economica iniziata negli anni '70, e i cui considerevoli effetti attuali vengono spesso compresi come una semplice "crisi finanziaria". Ancora un altro apporto è stata l'elaborazione di una teoria socio-storica della conoscenza e della soggettività che rompesse con l'epistemologia contemporanea e che ci facesse comprendere diversamente l'anti-semitismo, il razzismo, la politica, lo stato, il diritto, la dominazione patriarcale, ecc.

martedì 22 novembre 2011

Lo sbirro che spruzza

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Venerdì scorso, mentre camminava lungo la linea degli studenti seduti per terra a protestare, e spruzzando sui loro occhi una bomboletta di spray al peperoncino, il tenente John Pike - della polizia del campus universitario californiano - non pensava certamente che l'immagine che lo immortalava sarebbe diventata "virale" su tutto il Web! Non pensava certamente che si sarebbe diffusa non solo per l'università, ma anche per tutti gli Stati Uniti d'America e da lì, al mondo, diventando in breve uno dei meme di Internet (dicesi meme, un contenuto o un'idea che passa da una persona all'altra, cambiando ed evolvendosi lungo la strada).

Flow Your Tears

Il meme "Pepper Spray Cop" può essere seguito a:
http://www.buzzfeed.com/mjs538/the-pepper-spraying-cop-meme

Favole

auto

Fine della favola per l'industria automobilistica

Senza offesa per gli appassionati dell'economia dei servizi, la creazione di valore in senso capitalistico è possibile solo attraverso la produzione industriale, di cui il settore automobilistico costituisce ancora oggi il nucleo: una vasta gamma di fornitori e sub-appaltatori ne sono totalmente dipendenti. Pertanto, durante la grave recessione del 2009, i produttori di automobili sono stati, insieme al sistema bancario, i beneficiari privilegiati degli aiuti pubblici, e questi aiuti hanno assunto la forma di investimenti diretti da parte del governo (General Motors), di piani di salvataggio e garanzie, oppure di sussidi per favorire l'acquisto di veicoli. Quest'ultima è stata la più tempestiva, nella misura in cui l'eccesso di capacità globale del settore automobilistico, a lungo sostenuto da un potere d'acquisto fittizio, alimentato da bolle finanziarie, rischia di sciogliersi come neve al sole.
In un batter d'occhio, e come per un colpo di bacchetta magica, tutte le case automobilistiche sono state dichiarate "salvate". Allo stesso tempo, le banche centrali stavano facendo del loro meglio per attenuare il rallentamento economico riversando un fiume di soldi, dal momento che, tra tutti i settori di consumo, la vendita di veicoli ha un vantaggio significativo, in quanto è vero che l'auto rimane un oggetto essenziale del desiderio. Chiunque sia appena scappato dalla fame non sogna che una cosa: potersi permettere una macchina. Le vendite di auto in Cina hanno registrato ultimamente un tasso di crescita enorme, e sono bastati pochi mesi perché questo paese divenisse il nuovo Eldorado per gli esportatori tedeschi. Il fatto che la maggior parte di questa esportazione miracolosa riguardi molte costose auto di lusso, e non veicoli di fascia bassa veicoli, ci deve mettere in guardia: non si tratta di un solido consumo di massa arrivato a maturità, ma solo dell desiderio di "bruciare" da parte di un certo numero di nuovi ricchi che hanno costruito la loro fortuna sulla fragile bolla immobiliare cinese, che (insieme ai programmi di stimolo del governo) ha preso il posto della bolla statunitense, come motore dell'economia mondiale.
Chiaramente, le finanze pubbliche si trovano col fiato corto in tutto il mondo di oggi. La crisi del debito in Europa e negli Stati Uniti ha avuto un impatto negativo sull'economia. In Cina, il rallentamento si traduce in un'inflazione galoppante, e nel fallimento delle misure adottate finora dalla banca centrale per contenerla. E proprio come l'industria automobilistica aveva fatto parte dei primi beneficiari dei piani di salvataggio, ora ci si aspetta che sia la prima ad essere toccata dalla risacca, sempre più probabile, della recessione mondiale. Il miglioramento è stato troppo veloce e troppo esuberante. Nel secondo trimestre 2011, le vendite di veicoli in tutto il mondo hanno cominciato a ristagnare. Per il 2012, la revisione al ribasso delle previsioni riguarda circa 60-65 milioni di vetture.
Almeno, con la fine della fiaba dell'industria automobilistica, potrà essere rimesso all'ordine del giorno il problema, ancora irrisolto, posto dalla sovrapproduzione globale dal punto di vista della sostanza del capitale, cioè a dire dal punto di vista del valore. I candidati alla bancarotta sono sempre gli stesso, a partire dalla General Motors. Questo gruppo, i cui affari, le sovvenzioni iniettate dallo stato ci fanno apparire come un floridi, si ritrova sull'orlo del crollo, e il destino della Opel, filiale tedesca della GM, si troverà di nuovo sotto i riflettori. Le Voci, da qualche mese, sono quelle di una possibile vendita della Opel, ma nel caso di un altro collasso economico, chi vorrebbe ancora una simile impresa? La ripresa sovvenzionata potrebbe rapidamente mutare in fallimento. In definitiva, la traiettoria del settore automobilistico esemplifica in modo esemplare i capricci dell'economia globale.

- Robert Kurz -

Originale su http://www.neues-deutschland.de/artikel/204941.ende-des-automaerchens.html

lunedì 21 novembre 2011

Gentili

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Non so se ci avete mai provato a guardare un film doppiato in russo! E' un'esperienza snervante. All'audio originale, reso a bassissimo volume, si sovrappone la voce dal timbro piatto del doppiatore che, in un delirio di onnipotenza, racconta quello che TUTTE le voci del film dicono. E lo fa con lo stesso tono incolore che userebbe per leggere la lista della spesa. Come ciò sia potuto avvenire nel paese di Majakovskij, Blok e Mejerchol'd rimane un mistero, ma tant'è, ed il fatto è anche che mi è "toccato" sottopormi a questo genere di tortura, pur di poter arricchirmi della visione di un gioiellino come "En ganske snill mann" (Un uomo piuttosto gentile), film norvegese del 2010 che mai vedremo in Italia, in italiano.
Una commedia, certo. Anche se la commedia, come genere, è uno di quegli strani fenomeni che spesso sfugge alla dittatura della catalogazione. Difficile da definirla fino in fondo (no, non sempre finisce con un matrimonio!), assai spesso ha decretato il fallimento dell'incauto regista di turno che vi si è cimentato mancando delle corde giuste. Non così per Hans Petter Moland che riesce a mettere insieme una tragicommedia decisamente intelligente e provocatoria.
L'uomo piuttosto gentile del titolo è Ulrik (interpretato da Stellan Skarsgård), appena uscito di galera, dove ha scontato 12 anni per omicidio. Il problema - per così dire - è che Ulrik è davvero una persona dolce, su cui, però, i guai tendono ad addensarsi. Il suo vecchio boss che vuole commissionargli un omicidio, il padrone dell'officina, dove gli è stato procurato un lavoro, che non smette mai di parlare in soliloqui monotoni e sfinenti persino quando è in terra per un infarto, la padrona di casa del buco dove alloggia, con un apparecchio televisivo difettoso che lui mette a posto, e che gli serve merluzzo tutte le sere in cambio di sesso condito di invettive religiose che si conclude con una pacca sulle spalle, la ragazza che lavora alla contabilità in officina perseguitata da un ex-marito violento. Tutto è perfetto nel film, dai personaggi tutti importanti e nessuno secondario, al taglio della sceneggiatura che muove i personaggi stessi, senza lasciare che siano loro a prendere il sopravvento.
Come dire, fra l'ultimo Hitchcock e i Monty Python, la commedia è un affare terribilmente serio!
   

Title: Somewhat Gentle Man
Actors: Stellan Skarsgård, Bjørn Floberg, Jorunn Kjellsby, Gard B. Eidsvold, Bjørn Sundquist
Directors: Hans Petter Moland
Writers: Kim Fupz Aakeson
Producers: Erik Poppe, Finn Gjerdrum, Per Henry Borch, Peter Bøe, Stein B. Kvae

domenica 20 novembre 2011

NO!

braccia tese

Quando venne scattata questa foto, ad Amburgo nel 1936, durante la cerimonia per il varo di un veliero, August Landmesser aveva già avuto a che ridire col partito nazista che lo aveva condannato a due anni di lavori forzati, per aver sposato una donna ebrea ed aver avuto, con lei, due figlie.
Nella foto, si distingue chiaramente August, le braccia conserte, mentre si rifiuta di tendere il braccio nel saluto ad Hitler, che presenziava alla cerimonia.
Si ignora quale sia stata la sorte di quest'uomo. Quello che sappiamo per certo è che le due figlie sopravvissero, ed una di loro, nel 1991, riconobbe per caso il padre, in questa vecchia foto pubblicata da una rivista in quell'anno.

venerdì 18 novembre 2011

per scrivere

pennaAsfera

Penne a sfera e lavoro astratto: una poesia

La prima penna a sfera venne prodotta
dalla Reynolds International Pen Company nel 1945
Reynolds non inventò la penna a sfera
ne acquistò semplicemente il brevetto
il prezzo venne fissato fissato a 12 dollari e 50 centesimi
ma il costo di produzione era di appena 80 centesimi
la novità della penna prese piede in fretta
produzione e profitti crebbero rapidamente
arrivò la concorrenza con Eversharp e Scheffer
che lanciarono sul mercato penne a 15 dollari
ma ora Reynolds aveva sperimentato metodi di produzione di massa
e il costo di una penna era sceso a 60 centesimi
la relazione comoda di Reynolds con Schaeffer ed Eversharp
per non pestarsi i piedi a vicenda si concluse
quando la Ball-point Pen Company of Hollywood
commercializzò una penna a 9 dollari e 95
e David Kahn annunciò una penna 3 dollari
Reynolds rispose con una penna a sfera per 3 dollari e 85
anche se i costi di produzione erano ormai scesi a 30 centesimi
a Natale del 1946 c'erano 100 produttori
alcuni vendevano penne per due dollari e 98
a febbraio del 1947 si trovava una penna a 98 centesimi
e l'anno successivo se ne vide una a 39 centesimi
ora costava solo 10 centesimi produrle in serie
nel 1951 i prezzi erano scesi intorno ai 25c
e la penna a sfera aveva efficacemente
sostituito la stilografica nell'uso quotidiano

una penna a sfera è il prodotto di una divisione mondiale del lavoro
è il prodotto della grande produzione capitalistica
la plastica viene prodotta dall'etilene
usando carburante che proviene da una raffineria
il greggio potrebbe venire dal Mare del Nord
estratto da torri alte due volte la colonna traiana
o può venire dai Paesi del Golfo
o dal Messico
o dalla Nigeria
o dal Brunei
o da qualsiasi altro posto
non lo sappiamo
la punta di metallo
da dove viene, quella?
quanto tempo ci è voluto per estrarre il minerale?
per raffinare il metallo?
per dare forma alla punta?
è un'evidenza schiacciante
che noi non possiamo in alcun modo lavorare
- per tutto il tempo di lavoro che c'è dentro -
per produrre un oggetto talmente semplice
come una penna


Fonte: Dagli archivi di poesia di Rotten Elements:

giovedì 17 novembre 2011

Inneschi

Da oggi la sigaretta “abbandonata” si spegne da sola - DaringToDo.com
Ricordo ancora quando un ex-partigiano mi raccontava di come si potesse costruire una bomba incendiaria a tempo, utilizzando una tanica di benzina insieme ad una scatola di fiammiferi svedesi con dentro una sigaretta senza filtro accesa e posta con la brace dalla parte opposta delle capocchie. Da oggi non si potrebbe più. Ma del resto nemmeno i fiammiferi svedesi si trovan più. E la benzina costa un botto ...

navigare (per non salire su quella zattera)

medusa

Questa storia comincia a Parigi, nel 1816. La monarchia francese era stata rimessa sul trono grazie agli inglesi. che un anno prima avevano sconfitto ed esiliato Napoleone. La monarchia in Francia aveva smesso di essere assoluta e aveva dovuto adattarsi a diverse modifiche. In questo contesto, e come gesto di buona volontà e di sostegno a Luigi XVIII, appena insediato, gli inglesi offrirono alla Francia il porto di St. Louis, in Senegal, nella costa occidentale dell'Africa.
St. Louis era un importante porto commerciale ed un centro di rifornimento quasi obbligatorio per chi navigava diretto al Capo di Buona Speranza, in Sud Africa. Per prendere possesso del porto, il nuovo re francese aveva preparato una flotta con la quale avrebbe viaggiato il nuovo governatore di St. Louis, il suo reggimento di soldati e le prime famiglie chiamate a colonizzare l'insediamento.
Il primo grande errore, fu quello di nominare capitano un tale Hugues Duroy de Chaumereys e metterlo a capo della flotta. Era stata una scelta politica e inadeguata, considerato che De Chaumereys era un aristocratico di 53 anni, ed erano 25 anni che non saliva su una nave. E nemmeno ai suoi tempi migliori aveva mai comandato una nave, figuriamoci una flotta!
Le navi partirono il 17 giugno del 1816. La flotta era composta da quattro navi, la Loira, l'Argus, l'Eco e la fregata Medusa. Su quest'ultima viaggiavano il capitano, i passeggeri civili, le più alte cariche e la maggior parte della truppa. Circa 400 uomini, tolte le donne ed i bambini. Il passeggero più importante era il colonnello Julian Désiré Schmaltz, governatore di Nuova Senegal; un uomo arrogante e presuntuoso che non tardò ad impressionare l'inesperto capitano.
Il Governatore Schmaltz voleva arrivare a St. Louis il più rapidamente possibile, facendo una rotta più diretta. Il "suggerimento" del governatore implicava di avvicinare pericolosamente la flotta alla costa e di navigare seguendo il suo profilo. Quella zona della costa africana era (ed è) ben nota per i suoi banchi di sabbia, per le scogliere e per i complicati problemi di navigazione, tra cui il famoso banco di Arguin, che con la bassa marea diventa quasi un isolotto. Era una rotta che perfino i pirati più esperti avevano cura di evitare. Si preferiva navigare in mare aperto, nell'Oceano Atlantico, e lasciare che fossero i venti prevalenti da ovest ad avvicinare le navi alla riva, sfruttando l'alta marea; cosa questa che, secondo Schmaltz, sarebbe stata solo una perdita di tempo.
Così, il capitano si lasciò influenzare dal governatore ed ordinò di cambiare rotta. I marinai e la truppa erano indignati. Sia perché venivano costretti ad obbedire agli ordini di due aristocratici monarchici ignoranti che non sapevano nulla di navigazione, sia perché conoscevano i rischi.
La Medusa, essendo la più veloce nave del convoglio, si era lasciata alle spalle la Loira e la Argus. L'Eco la seguiva dappresso, e riuscì a tenere il passo per diverse miglia, ma poi decise di rallentare, per precauzione, mentre la Medusa continuava per conto suo e abbandonava il gruppo.
Era il 28 giugno (dopo 11 giorni di navigazione) ed il capitano De Chaumereys s'era fatto un nuovo amico, un certo M. Richefort che si era presentato come un "esperto esploratore dell''Africa". Quest'uomo, che doveva essere il nuovo Comandante del Porto di St. Louis, aveva ancora meno esperienza navale di De Chaumereys. Ben presto il capitano si fece manipolare da questo ciarlatano e cominciò a prendere tutte le decisioni che Richefort gli consigliava.
Il capitano e il suo nuovo amico sembravano due gemelli. Passeggiavano per la nave, camminando elegantemente, impartendo, con sufficienza, ordini a destra e a manca.
L'alba del 2 luglio illuminò i volti angosciati dei passeggeri. All'improvviso, si accorsero che l'acqua del mare s'era fatta scura, e, sporgendosi, videro che la prua della nave era piena di fango. Di fronte alla preoccupazione evidente, e alle domande, Richefort sorrise con calma e gentilmente rispose:
"Mio caro signore, noi sappiamo quello che facciamo. Stia certo che potete stare tranquilli. Sono passato due volte per il Banco di Arguin, ho navigato il Mar Rosso e, come potete vedere, sono ancora vivo".
Il Governatore Schmaltz, che non aveva idea di cosa stesse succedendo, continuava a dettare la rotta e a dare ordini a tutti coloro che lo avvicinavano. Richefort si era installato accanto al Governatore, in qualità di suo assistente per la navigazione, mentre il capitano De Chaumereys cercava di rassicurare le persone che intanto avevano cominciato a protestare. Alla fine, non ce la fece più e chiese all'equipaggio di "fare quel che ritenevano più conveniente."
Quella mattina, prima di mezzogiorno, si concluse il viaggio della Medusa. Le cronache riferiscono che la nave stava navigando in acque profonde 80 braccia. Il braccio è una vecchia unità nautica di lunghezza, per calcolare la profondità dell'acqua, equivalente ad un paio di braccia tese, circa un metro e 70 centimetri.
"Non c'è motivo di allarmarsi", ripeteva De Chaumereys ai passeggeri, fino al punto che cominciò a gridarlo, dal momento che il panico cominciava a diffondersi. Erano le 15:00 e la Medusa navigava su poco più di sei braccia (10 metri) di acqua, che continua a diventare sempre meno profonda. Quasi tutto l'equipaggio aveva smesso di preoccuparsi del capitano, mentre lui ed il suo amico continuavano a mostrarsi allegri e sorridenti.
Cinque minuti più tardi, la nave  si arenò su una secca e cominciò lentamente ad inclinarsi su un lato. Era il Banco di Arguin. Secondo i testimoni che in seguito riportarono i fatti, le facce del capitano e di Richefort subirono una strana trasformazione, "gli occhi fuori dalle orbite, cominciarono a sudare copiosamente, si vedeva che erano in preda al panico, però guardavano in silenzio ... poco dopo, le proteste adirate dell'equipaggio li riportarono alla realtà."
Quasi immediatamente, Richefort venne ricoperto dai peggiori insulti che un uomo avesse mai ricevuto in tutta la sua vita, da parte dei marinai, dei soldati e dei passeggeri, ma anche gli ufficiali non si risparmiarono. Il capitano era ammutolito, mentre il governatore Schmaltz e la sua famiglia contemplavano indifferenti lo spettacolo, supponendo che, data la loro importanza (ricchezza), qualcuno sarebbe venuto in loro aiuto.
Intanto, nel tentativo di aumentare la galleggiabilità sul fango, l'equipaggio hanno iniziato a lanciare oggetti pesanti in mare, perché, secondo loro, rimaneva un piccolo lasso di tempo per cercare di disincagliare la nave della sabbia, con la prima alta marea , dal momento che ciascuna delle seguenti (maree) sarebbe stata inferiore a quella precedente. Così, dovevano liberarsi di tutto il carico pesante come armi, cannoni, pistole, barili di polvere da sparo e munizioni. De Chaumereys ordinò loro di fermarsi, per paura che il re non gradisse che le loro armi venissero gettate in mare. La nave, naturalmente, continuava ad affondare sempre più nel fango.
Passata la crisi nervosa, e grattandosi la testa, il capitano chiamò alcuni dei suoi marinai di fiducia e gli ufficiali di maggior rango per vedere cosa si poteva fare, dal momento che c'erano solo sei scialuppe di salvataggio.
Ancora una volta, il governatore se ne uscì con un'altra delle sue "brillanti" idee. Suggerì di caricare "le cose più importanti" insieme ai "passeggeri importanti" sulle poche scialuppe di salvataggio e di costruire una zattera per i soldati e l'equipaggio. La zattera sarebbe stata trainata dalle sei scialuppe fino alla costa.
La zattera venne costruita a tempo di record con gli alberi e le assi della Medusa. Venne messa insieme in modo rudimentale, non aveva alcun sistema meccanico di navigazione dal momento che doveva essere rimorchiata e nessuno si preoccupò di dotarla di un qualche remo. Misurava circa venti metri per sette.
Quando i soldati ed i marinai di basso rango iniziarono a salire a bordo della zattera - c'è che dice fossero 147, altri dicono 150 - questa andò giù fino al punto che l'acqua salì loro alle ginocchia. Era così carica da non esserci nemmeno un metro quadro di spazio a persona.
Va riferito che ci furono otto alti ufficiali che, con grande dignità, scelsero di  andare sulla zattera insieme ai loro soldati. Tanto era il sovraffollamento e il disordine, che 17 uomini decisero di non rischiare, preferendo rimanere sulla Medusa che stava lentamente affondando, inghiottita dal fango. Si nascosero per evitare l'imbarco forzato sulla zattera, che praticamente era un suicidio.
Anche se il dettaglio degli approvvigionamenti non potrà mai essere conosciuto con esattezza, si calcola qualche barile di vino e  di acqua dolce, un paio di barili di rum, un po 'di farina (che era inutile), e circa 20 chili di gallette che, alla fine, vennero prelevate dalle scialuppe.
Grazie al geniale suggerimento del governatore Schmaltz, cinque delle sei scialuppe vennero caricate di cose ridicole. Nella sesta presero posto le "persone importanti", come il capitano De Chaumereys (che fu tra i primi a saltare sulla scialuppa), il Governatore e la sua famiglia, i passeggeri ricchi e gli alti ufficiali che avevano preferito andare sulla scialuppa, piuttosto che rimanere con le loro truppe. Ovviamente, questo gruppo aveva più probabilità di sopravvivere rispetto a quei poveri diavoli sulla zattera che, ancor prima della partenza, erano tremanti, bagnati e affamati.
Sulla zattera, ben presto si resero conto che appoggiare una simile idea era stato folle. Molti marinai erano talmente risentiti che cominciarono ad inveire, ad alta voce, contro quelli che si erano accomodati sulla scialuppa. Quando cominciarono a trainarla, molti caddero in mare, altri cominciarono a piangere dalla paura e dalla disperazione, altri rimanevano sulla zattera, però completamente sdraiati, immersi nell'acqua; credevano così di salvarsi la propria vita. Ad un certo punto si accorsero che una delle scialuppe di salvataggio stava per passargli accanto. Così, quando la zattera arrivò abbastanza vicino, a pochi passi da braccia tese, De Chaumereys in preda al panico diede l'ordine di staccare la zattera, di tagliare le corde e di lasciare occupanti in balìa del mare.
"Fino a quel momento non credevamo che potessimo essere così crudelmente abbandonati. Abbiamo pensato che avessero visto una nave nelle vicinanze e che cercassero di avvicinarla più velocemente, per chiedere aiuto. Alcuni ufficiali che erano con noi sulla zattera, visto che la scialuppa ci aveva lasciato, presero le loro armi, non so se per uccidere o per suicidarsi, ma poi vennero fermati dal tenente Espiau.".
C'erano più di un centinaio di uomini abbandonati in mare, alla deriva, che non potevano che aspettare un miracolo o la morte.
Nel frattempo, e per la disperazione, alcuni dei barili erano stati gettati in mare per fare spazio, almeno a sedere. Ma non importava, il vero pericolo non era né la fame né la sete, il vero pericolo sarebbe stato l'istinto di sopravvivenza umana in così poco spazio. Al calar della notte, cominciarono a rendersi conto di quanto cattivo e crudele possa essere l'uomo in condizioni estreme.
I primi scontri e insulti finirono in un tumulto di coltelli, di machete e di sangue. Le prime vittime. In mezzo ad un inferno di lamenti, imprecazioni, dentro un'oscurità senza luna, la zattera procedeva più leggera: morirono 21 uomini quella prima notte, 18 vennero uccisi e 3 si suicidarono.
La fame, la privazione del sonno e il disorientamento. Le risse erano comuni, soprattutto la sera. L'equipaggio, ubriaco, si ribellò contro gli ufficiali e li uccise. Scoppiò una guerra tra la truppa e gli ufficiali, tra i marinai e i soldati, tra africani e francesi. tra militari e civili. Ogni notte era un incubo, ogni notte impazzivano, e chi voleva restare vivo doveva lottare. All'alba, si contava il numero dei sopravvissuti e si distribuivano le scarse razioni di farina e vino tra coloro che si rifiutavano di morire. Naturalmente, i più  deboli ed i moribondi venivano gettati nell'oceano, per avere più razioni.
Infine, la sete e la fame divennero insopportabili, e non ci furono più remore a tagliare la pelle e a strappare la carne da alcuni corpi per riempire il piatto. Erano i cadaveri dei compagni che erano restati intrappolati fra i pali della zattera, dopo una notte di tempesta.
Al tredicesimo giorno di deriva, la fregata Argus li avvistò. La zattera si trovava a quattro miglia dalla costa e contava solo 15 sopravvissuti. La nave non era stata mandata a cercare i naufraghi, li aveva trovati per caso. L'Argus stava seguendo l'ordine di recuperare un carico d'oro che era rimasto nello scafo della Medusa.
Dei quindici superstiti, cinque morirono poco dopo ...

Il chirurgo Henri Savigny, passeggero della Medusa e uno dei sopravvissuti della zattera, fece una denuncia presso le autorità, ma la giustizia non fece nessun corso. I funzionari cercarono di coprire tutta la storia, cercando di non farla venir fuori. Il senso di tutto questo era che i francesi, che credevano di essere i migliori velisti del mondo, sarebbero stati ridicolizzati dalla Marina britannica per questa loro evidente mancanza di solidarietà e di spirito di corpo, che sono le regole chiave della navigazione.
Che cosa ci si poteva aspettare da una Marina dove il capitano è il primo ad abbandonare la nave e il suo equipaggio? Sarebbe stata messa a nudo la realtà dell'esercito francese, diviso tra rivoluzionari e monarchici.
La stampa di quel tempo, unico mezzo di comunicazione dell'epoca ed alleata alla monarchia, nascose la tragedia, che che però emerse, e si diffuse, per merito di un periodico anti-monarchico. Ci fu un grande scandalo che scosse di nuovo la società francese. L'incompetente e codardo capitano De Chaumereys andò davanti alla corte marziale, ma incredibilmente venne dichiarato "non colpevole di diserzione",  nonostante le testimonianze e le prove contro di lui. Venne condannato a soli 3 anni di carcere per non aver evacuato l'intero equipaggio. Un verdetto molto benevolo se si considera che si trattava della Francia in cui si ghigliottinava per niente, a destra e a sinistra.

Il quadro, però, ha la sua storia, ed un suo dramma. Il suo autore era Théodore Géricault, ammiratore dei grandi pittori italiani che cercava di imitare. Decise di dipingere il naufragio e l'equipaggio abbandonato perché, viste le proporzioni dello scandalo, sapeva che un'immagine memorabile della tragedia avrebbe immortalato il suo nome, o almeno lo avrebbe reso noto in Europa. Il fatto è che, a quel tempo, non c'erano foto, e qualsiasi evento memorabile doveva essere tracciato, dipinto, raccontato in un'immagine, e le migliori opere, o le più esplicite, giravano l'Europa, permettendo all'autore di essere riconosciuto e quotato. Il tragico evento aveva talmente affascinato il giovane artista che, prima di iniziare a lavorare sul dipinto finale, aveva condotto ampie ricerche sul tema e aveva fatto molti disegni preparatori. Aveva incontrato due dei sopravvissuti, e attraverso la loro testimonianza aveva costruito un modello in scala, dettagliato e autentico, della zattera. La sua ossessione per la perfezione lo aveva guidato per obitori ed ospedali, dove si potevano vedere, con i propri occhi, il colore e la consistenza della carne dei morenti e dei morti. Si sottomise ad una settimana di digiuno volontario per sentirsi in qualche modo partecipe dell'ansia e dare così forma grafica alla disperazione ed al dolore.
Come l'artista aveva previsto, il quadro fu piuttosto controverso fin dalla sua prima esposizione al Salone di Parigi nel 1819, approfondendo le differenze politiche, e la tela fu oggetto di lodi appassionate, come di una critica e una condanna spietata. E anche se si guadagnò una meritata fama internazionale, il giovane pittore morì due anni dopo aver finito il quadro, mentalmente esausto, senza mai essersi ripreso dallo sforzo monumentale.
Dopo la morte di Gericault, si confrontarono due possibili acquirenti per la gigantesca (7,16 x 4,91 m) pittura. Uno era un aristocratico inglese e l'altro un gruppo di nobili francesi che volevano tagliare la tela in tanti piccoli pezzi, per poi venderli all'asta uno per uno. Di fatto, succedeva che il dipinto veniva considerato come un'opera antimonarchica che rappresentava chiaramente il classismo in cui si viveva sotto la monarchia francese. Tuttavia, ironia della sorte, fu lo stesso Luigi XVIII ad intervenire per salvare la tela, non permettendo che finisse in un museo straniero o che venisse tagliata a pezzetti, come previsto.
Donò il dipinto al Museo del Louvre dove tuttora si trova.

FONTE: http://www.sentadofrentealmundo.com/2011/10/los-canibales-franceses.html

mercoledì 16 novembre 2011

Il peggiore dei mondi

OrwellHuxley

Sebbene "1984" di Orwell, e "Il Mondo Nuovo" (Brave New World) di Huxley non siano i soli grandi romanzi distopici del XX secolo, essi hanno, senza dubbio, dato forma alla più parte delle visioni da incubo che continuano a minacciare il nostro futuro. Per cui, ha un senso contrapporre il mondo di Orwell, fatto di guerra costante e di controllo del pensiero da parte del governo, con quello di Huxley e della sua società pacificata dalla droga e dall'intrattenimento. Così a http://killswitchthefilm.com hanno creato un grafico che prende in esame i modi in cui le previsioni di ciascun autore si sono avverate nel corso degli ultimi anni.

Click su http://i.imgur.com/rrxW1.png, per vederne una versione ingrandita.

Fonte: http://flavorwire.com/231115/awesome-infographic-orwell-vs-huxley

martedì 15 novembre 2011

Siculi

rajk

Gli ungheresi, ancora oggi, si vantano di aver salvato l'Europa dai turchi. Dicono che hanno dovuto sopportare 150 anni di dominio ottomano, ma una parte del loro territorio, il Principato di Transilvania e, più precisamente, gli Szekely (i Siculi, da non confondere coi Siculi di Sicilia) furono il bastione che resistette, e fermò i turchi. Gli Szekely si sono sempre vantati di essere più ungheresi di tutti gli altri loro compatrioti e, anche, di parlare un ungherese più puro e più musicale di quello che si parla nel resto dell'Ungheria. Si diceva - ovviamente presso gli szekely - che anche i figli di un calzolaio, se szekely, erano principi del verbo. E figli di un calzolaio erano i fratelli Rajk!
Ma procediamo con ordine. Dalla fine della prima guerra mondiale e dal Trattato di Versailles che smembra l'Ungheria, riducendo il suo territorio ad un terzo. In tale situazione, gli szekely si ritrovano, da un giorno all'altro, in ... Romania! Non lasciano loro nemmeno i cognomi ungheresi, tant'é che i fratelli Rajk diventerebbero i fratelli Rajku, se non decidessero di non volere nemmeno una lettera rumena nel loro cognome, né tanto meno la nazionalità, e di emigrare a Budapest, per continuare ad essere ungheresi.
Il fratello maggiore, di nome Endre, scopre di avere stoffa sia per gli affari che per la politica - e questo proprio grazie al suo scilinguagnolo. Anche il fratello minore, Lazlo, ci sa fare con le parole, e anche lui si interessa alla politica, ma odia gli affari, come odia il denaro ed il capitale. Lazlo è un comunista, viene prima arrestato e poi bandito, va a combattere nella guerra civile spagnola, dopo la sconfitta viene arrestato in Francia e riconsegnato all'Ungheria che, nel frattempo, ha fatto un patto con Hitler. In Ungheria governa la Croce Frecciata, il partito dei fascisti ungheresi, e Lazlo finisce in prigione. E qui scopre che il fratello, Endre, è il secondo uomo più potente di Budapest. Commissario per gli approvvigionamenti e braccio destro del dittatore Ferenc Szálasi.
Sono otto anni che i due fratelli non si vedono. La fine della guerra si avvicina, niente sembra poter fermare l'avanzata dell'Armata Rossa. La Croce Frecciata reagisce in una frenesia di sangue: tutti i prigionieri politici vengono sommariamente processati e messi a morte. I cadaveri si accumulano nel cortile del carcere.
Stanno processando Lazlo, quando Endre si presenta nell'improvvisato tribunale. Chiede di poter parlare come testimone, e utilizza tutta la sua abilità oratoria per convincere la corte a rinviare la sentenza. Gli basta poco, fino all'arrivo dei russi e fino alla fuga precipitosa dei "croce-frecciati", fra cui lo stesso Endre che ripara prima in Austria, e poi, da lì, in Germania dove verrà catturato dagli Alleati ed imprigionato in attesa di rientrare a Budapest per essere processato.
Il nuovo governo ungherese ora è comunista, ed uno dei suoi uomini di punta, quello più rispettato dai suoi compagni, è Lazlo Rajk, un quadro indurito, prima dalla clandestinità e dal carcere, e dopo dalla Guerra di Spagna. Lazlo è così affidabile che prima viene incaricato della creazione dell'AVO (la polizia segreta del nuovo regime), e dopo gli viene affidato il Ministero degli Interni. Ed è nel bel mezzo di questa fulminea carriera che chiede, ed ottiene, di poter testimoniare nella causa di rimpatrio del fratello. Fece scialo delle sue migliori capacità oratorie per convincere il tribunale che quell'uomo che chiamava il dittatore "fratello e guida della nazione" e che aveva dichiarato, agli americani che lo interrogavano, di non essere anti-semita, ma a-semita ("credo semplicemente che l'Ungheria non abbia bisogno degli ebrei" - aveva detto); quell'uomo aveva tuttavia salvato dalla fame molti ungheresi, durante l'assedio di Budapest. Lazlo, così, riuscì ad evitare il rimpatrio del fratello e a pagare il suo debito.
Dal suo esilio in Germania, Endre segue, attraverso la radio, la scalata del fratello minore. Ma, d'un tratto, l'imprevisto: Lazlo viene accusato di tradimento della patria. E' il 1949, e sono le ultime purghe staliniste. I nemici del giorno sono i deviazionisti, come il Maresciallo Tito, che aveva osato decidere che la Jugoslavia non aveva bisogno dell'Unione Sovietica. E a peggiorare le cose, Tito conosceva Lazlo dai tempi della Spagna e lo aveva elogiato pubblicamente. L'Ungheria doveva inviare un messaggio inequivocabile di sottomissione a Mosca: il processo a Lazlo veniva trasmesso in diretta sulla radio, e milioni di ungheresi, dentro e fuori del loro paese (fra questi ultimi, Endre), ascoltarono con stupore Laszlo Rajk che si auto-incriminava. Il "siculo" dalla parola incendiaria recitò un mea culpa abietto e monocorde. Qualcuno insinuò che gli avevano promesso che lo avrebbero messo su un aereo, insieme alla moglie e al figlio di 5 mesi, e concessa la possibilità di una nuova vita a Pechino. Si dice che quando vennero per portarlo al patibolo, capì e gridò:"Compagni, non era questo quello che mi avevate promesso!".
Quello di Rajk fu un processo celebre. Sette anni dopo, con Krusciov al potere, Lazlo venne riabilitato, e fu permesso alla vedova di recuperare il corpo. Esigé, e ottenne, un funerale pubblico. Parteciparono centomila persone. La vedova non voleva discorsi. L'AVO si dichiarò incapace di infiltrarsi e di riuscire a boicottare un evento di simile portata: i suoi più alti funzionari dissero che solo Lazlo Rajk avrebbe saputo come fare. La miccia accesa in quella dimostrazione silenziosa (la prima così numerosa in un paese comunista), sarebbe arrivata all'esplosivo solo due settimane dopo. con l'insurrezione ungherese del 1956, e con la sua sconfitta decretata dai carri armati russi, mentre l'Occidente guardava da un'altra parte, come al solito.
Passarono gli anni. Endre morì. Anche la vedova di Lazlo morì. Gorbaciov salì al potere in Russia ed annunciò la Perestroika e la Glasnost. Intanto quel bambino di cinque mesi, di nome, anche lui, Lazlo Rajk, era diventato un uomo, e si era fatto promotore della riabilitazione e dei funerali pubblici di Imre Nagy, il martire politico della rivolta del 1956. C'erano più di 300.000 persone. Questa volta i discorsi ci furono! Lo stesso giorno, il governo comunista agonizzante, aprì la sua frontiera con l'Austria, e l'Ungheria divenne il corridoio attraverso il quale i tedeschi dell'Est andavano nella Germania Ovest: il Muro aveva già cominciato a rompersi, ma mancavano ancora un paio di giorni per vedere la prima mazza sulla TV.
Seguendo il vento della storia, Lazlo Rajk si candidò alle prime elezioni dopo la caduta del Muro. Arrivò secondo. Fu sconfitto dal Forum Democratico, il partito che difende i valori reazionari e nazionalisti cui aveva aderito suo zio Endre. A tutt'oggi, sono ancora al potere. Si vantano di sapere meglio di tutti gli altri ungheresi, quello che gli ungheresi vogliono. Parlano dei magiari come gli Szekely parlavano di sé stessi.
E il vento della storia continua a soffiare, pazzo.

lunedì 14 novembre 2011

Il potere della fotografia

maleta

Un documentario, per raccontare la storia delle tre casse, contenenti 4.500 negativi di foto scattate durante la guerra civile spagnola, che sparirono nel mezzo del caos del conflitto. Le tre casse vennero ritrovate, 70 anni dopo, in un appartamento di Città del Messico. 4.500 foto, frutto del lavoro di tre amici che si erano conosciuti a Parigi fra il 1936 e il 1937 e che stavano per diventare i migliori fotoreporter della loro epoca. Tre amici, auto-esiliatisi dai loro propri paesi, dalla Germania, dalla Polonia e dall'Ungheria, che andarono insieme in Spagna per combattere con le loro macchine fotografiche contro il fascismo. Robert Capa, David  "Chim" Seymour e Gerda Taro. Attraverso le loro foto, la pellicola fa vedere la storia, la storia della guerra e dell'esilio, fa vedere l'orrore dei campi di concentramento sulle spiagge del sud della Francia, dove morirono migliaia di spagnoli. Un film sulle fotografie del passato, ritrovate nel nostro presente e interroga i pochissimi sopravvissuti di allora ed i discendenti degli esiliati che ancora vivono in Spagna, in Francia, in Messico, li interroga - e ci interroga - su come vediamo il nostro passato, su come lo intendiamo e su come riusciamo ad ignorarlo. Un passato che, anche grazie alle fotografie, non solo non è morto, ma non è neanche passato!

domenica 13 novembre 2011

Le armi della critica

mk05

Esattamente, sessantaquattro anni fa, Mikhail Kalashnikov portò a termine la realizzazione del fucile d'assalto semiautomatico Ak-47. Un'invenzione così affidabile, così facile da produrre e, quindi, utile per avere voce in capitolo circa il governo di un paese. Inutile soffermarsi sulla qualità di questa arma micidiale, se non per il tempo di riportare una citazione da  Gerald W. Johnson, scrittore e storico:
"Siamo riluttanti ad ammettere che dobbiamo la nostra libertà ad un tipo di uomini che oggi odiamo e di cui abbiamo paura - uomini indisciplinati, disturbatori della pace, uomini che si risentono e che denunciano quella che Whitman aveva definito 'l'insolenza degli eletti' - in una parola, uomini liberi."

(Nella foto, Mikhail Kalashnikov imbraccia un AK-47, per la cui invenzione non ha mai guadagnato un rublo.)

venerdì 11 novembre 2011

di treni e di presidenti

Paul_Deschanel_en_visite_a_Tours_1920

"Io sono il Presidente e penso di essere caduto dal treno." Questa fu la frase sentì Andre Rabeau, quella calda notte del 23 maggio 1920, per cui pensò si trattasse di uno dei soliti ubriachi che era abituato a vedere durante il suo turno di guardia ferroviaria, a Mignerette, nella Loira. Quello che richiamò la sua attenzione fu che l'uomo era in pigiama e aveva dei lividi sul volto. Facendo il suo lavoro e in un atto di solidarietà, accompagnò il vagabondo presso una delle case più vicine alla stazione, perché gli ripulissero le ferite e per chiedere se ci fosse qualcuno della zona che lo conoscesse.
Paul Deschanel era stato eletto presidente della Repubblica francese il 18 febbraio 1920, all'età di 65 anni. Era riconosciuto come uomo di lettere intelligente e colto, membro di spicco dell'Accademia di Francia dal 1899. I suoi discorsi erano sempre memorabili, e la sua grande eloquenza commentata dalla stampa del tempo, ma sembra che il suo carattere non era in grado di sopportare il peso e la responsabilità che pesava sulle sue spalle, perché ben presto ci furono segni di stanchezza mentale e di comportamento non proprio regolare . Il presidente francese cominciò ad essere vittima di continui attacchi di ansia e di insonnia, che lo portarono a consumare una grande quantità di farmaci.
l 23 maggio 1920, Paul Deschanel e il suo entourage presero un treno - verso le 23, nella città di Montbrison (in cui appena inaugurato un busto). Quella notte il caldo era soffocante e il presidente Deschanel aveva cominciato a sentirsi male, si dice che avesse aperto il finestrino del suo scompartimento per ottenere un po' d'aria fresca, e così, cadde fuori dal treno, in pigiama.
Per fortuna il treno non stava andando molto veloce - si pensa a non più di 50 Km/h - così non subì lesioni, fatta eccezione per alcune abrasioni e contusioni. Un'altra cosa incredibile fu che nessuno del suo entourage si accorse che il treno aveva perso un così illustre passeggero. E questo fino alla mattina seguente, del 24 maggio, per una parata ufficiale a Montargis, dove le persone che affollavano i binari per dargli il benvenuto, aspettarono invano che il presidente si sporgesse dal finestrino.
Ma torniamo a quella notte, alla stazione di Mignerette, mentre il guardiano notturno aiuta un vagabondo che parla in modo incoerente e sostiene di essere "Il Presidente della Francia". Lo porta alla casa più vicina, dalla famiglia Dariot che si offre di aiutarlo. Mentre la donna pulisce le ferite, gli occhi le cadono sui piedi nudi dell'uomo e osserva: "Questi piedi ben curati, non sono quelli di un barbone, quest'uomo è una persona importante". Proprio in quel momento, il marito alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo e riconobbe il presidente della repubblica.
Naturalmente, quando i giornali seppero dell'avvenimento tragicomico, ne fecero strame. Vennero pubblicate decine di caricature che si facevano beffe del presidente. Paul Deschanel dimostrò comunque di avere ancora un sacco di intuito e si dimise da presidente il 21 settembre di quell'anno, sette mesi dopo l'assunzione della carica.
Gli vennero ancora attribuiti incidenti imbarazzanti, come nuotare con le anatre negli stagni del Parco Eliseo, o di firmare alcuni documenti con la firma di Napoleone, ma sembra che questo fosse solo il risultato di una campagna diffamatoria orchestrata dai suoi avversari politici, e che non ci siano prove sufficienti.
Il giorno dopo le sue dimissioni, Paul Deschanel si ritirò in una casa di cura, e una volta "liberato" dalla Presidenza della Repubblica, le sue condizioni cominciarono a migliorare rapidamente, in modo tale che venne presentato alle successive elezioni e fu rieletto senatore di Eure-et-Loir il 9 gennaio 1921.

fonte: http://www.sentadofrentealmundo.com/2011/11/el-presidente-que-se-cayo-del-tren.html

giovedì 10 novembre 2011

uomini di … situazione

yubero

Martin Santos Yubero, lavorò dapprima come fotografo ufficiale nella Spagna repubblicana di Azaña, coprendo la guerra civile, e dopo la vittoria del franchismo gli venne concesso di continuare a fare il fotografo. In questo modo, visse la maggior parte del ventesimo secolo, ed i momenti più importanti nella vita della Spagna - insieme ad altri momenti meno importanti - vennero registrati dalla sua macchina fotografica.
Nato nel 1903 e morto nel 1994, definito come "un uomo della situazione",  quando arrivò la Repubblica, fu repubblicano, durante la guerra civile, divenne anarchico, poi, quando toccò alla dittatura, non ebbe remore a dichiararsi falangista. Tutto questo gli permise di essere sempre un cronista grafico privilegiato della storia, e delle storie della Spagna, per circa 50 anni.
Sul blog Tu2sis si possono vedere le foto , quelle  fatte ad Azaña mentre esce di casa, o quelle scattate durante il suo insediamento come Presidente della Repubblica, ma, a scelta, anche quelle di Franco che bacia il crocifisso, oppure la partenza dei soldati della Divisione Azzurra, e ancora, le sfilate dei bambini.
Yubero accettò le nuove regole della Falange, e questo gli permise di muoversi liberamente per tutta la Spagna durante la dittatura, e così produsse un archivio enorme. Davanti al suoo obiettivo si trovarono politici, artisti, atleti, toreri e soprattutto la Madrid del popolo.
Chissà se ha creduto fino all'ultimo che ne valesse la pena, oppure se ha dubitato. Restano le fotografie. Ma non riesci a non pensare che le ha fatte un uomo di …

mercoledì 9 novembre 2011

peccati capitali

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In questa lettera - che è poi l’invio di un testo  - a Jaime Semprun ("Abolition" che verrà pubblicato anonimo sull’Encyclopédie des Nuisances), Debord dimostra come lo Spettacolo abbia saputo eliminare i sette peccati capitali, come mai erano riuscite a fare le civiltà teologiche precedenti. O meglio, tutti i peccati tranne l’invidia, perché questa consente la libera circolazione dell’equivalenza di tutto e tutti in una fungibilità assoluta. Una vera superbia o lussuria già non sarebbero più possibili, sarebbero incompatibili, se vere, con il funzionamento complessivo dello Spettacolo, ecco il puritanesimo strutturale, il neoperbenismo dello Spettacolo. Invidia come assurdo perché - aggiunge - i dati fondamentali di un individuo vietano che egli possa mai essere qualcos’altro, Retz non invidiava Mazzarino, La Bruyère non poteva essere Pascal ma lo Spettacolo vuole far credere a questa equivalenza quantitativa che uccide il gusto. 
 
Abolizione

"Abolire", che nella sua etimologia latina significa semplicemente distruggere, si è rapidamente specializzato nella dimensione giuridica e sociale. Antoine-Léandre Sardou, nel suo Nuovo Dizionario dei Sinonimi Francesi (1874) lo avvicina ad "Abrogare": "Abolire si dice di molte cose, dei costumi, delle usanze, delle leggi, ecc.: abrogare si dice solo per le leggi, per i decreti, per gli atti pubblici con forza di legge. Il mancato utilizzo è sufficiente per la abolizione , ma ci vuole un atto positivo per
l'abrogazione : una legge cade in disuso e viene abolita di fatto: ma può essere abrogata solo da un'altra legge o da una dichiarazione formale dell'autorità".
La Rivoluzione francese abolì i privilegi legali della nobiltà e del clero, per fondare l'uguaglianza  civile borghese. L'Ottocento abolì la schiavitù nelle colonie che dipendevano dalle potenze europee e, in seguito, non senza resistenze, negli Stati Uniti. Il programma rivoluzionario che doveva incontrare ovviamente una resistenza più duratura, si propose da quel momento di abolire lo Stato, le classi, la merce, ecc. Alcuni punti di questo programma sono stati in qualche modo già realizzati, ma in senso inverso, dal progredire della contro-rivoluzione di questo secolo, abolendo effettivamente molto di ciò che esisteva, e sempre nell'unica prospettiva e nella sola pratica del controllo assoluto, poliziesco e psichiatrico, e per mezzo dell'eliminazione di tutte le libertà fuorché quella dei "decisori" dello stato. Così, la futile ideologia dei "diritti umani" non è altro che un epitaffio sulla tomba di tutto ciò che tutti gli Stati hanno seppellito. L'abolizione della separazione tra città e campagna è stata raggiunta dal crollo simultaneo dell'una e dell'altra. La separazione tra lavoro e tempo libero è cessata quando il lavoro è diventato così massicciamente inutile e improduttivo (nel ridicolo "settore terziario"), da una parte, e quando il tempo libero è diventato un'attività economica così noiosa e così faticosa, dall'altra. Le disuguaglianze davanti alla cultura sono state abolite presso tutti e quasi ovunque nel mondo, per mezzo del nuovo analfabetismo - il vecchio progetto della soppressione dell'ignoranza si è trasformato in soppressione dell'ignoranza priva di diploma - e questo sia nella sua versione più dura (la scuola primaria) che nella sua versione soft (la neo-università); così la formula di Sardou verifica dappertutto la sua esattezza: "Il mancato utilizzo è sufficiente per la abolizione." Il denaro sta per essere abolito dalla moneta elettronica, attraverso la quale, fiduciosi e ben educati, i cittadini-bambini lasceranno la gestione dei loro piccoli salvadanai a delle macchine più competenti di loro, e che sanno, senza dubbio, meglio di loro, ciò che loro conviene e ciò da cui devono astenersi.
Sappiamo che il pensiero cristiano, la cui vita tenace dura, purtroppo, da quasi duemila anni, si era impegnato a stabilire che il mondo non è che una "valle di lacrime". Così aveva biasimato, in nome dei "peccati capitali", le principali dell'uomo reale; senza illudersi, tuttavia, di arrivare mai a sopprimerli, in tutte le società che ha così a lungo controllato.
La lista di questi peccati capitali è ormai dimenticata, al giorno d'oggi,  e solo la piccola minoranza dei nostri contemporanei, che ha mantenuto una certa familiarità con la lettura e il linguaggio, ricorda che sono stati convenzionalmente in numero di sette. Questi peccati capitali, radice di tutti gli altri, erano: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia.
Nel frastuono di proclami ininterrotti che ci informano a proposito di tutti i trionfi della società dominante sul terreno della sua schiacciante potenza energetica, del suo prodotto nazionale lordo, della sua crisi moderna e del suo computer colto, e di molte altre amabili astrazioni, ci si dimenta troppo modestamente di un fenomeno concreto di immensa importanza: l'organizzazione mondiale della società che è stata istituita con una velocità sempre crescente, nella seconda metà del ventesimo secolo, è riuscita ad abolire sei su sette peccati capitali (vale a dire, per esprimerlo in termini oggi più trasmissibili, una percentuale all'incirca pari al 86%). Lo proveremo in poche parole.
L'orgoglio è evidentemente morto presso l'elettore-amministrato, presso l'automobilista-“sondaggiato”, presso il telespettatore inquinato, presso l'abitante della casa popolare e presso il vacanziero dell'autostrada. Nessuno, che abbia accettato di sopravvivere così, può mantenere anche solo la possibilità di un movimento fugace di orgoglio.
L'avarizia non ha più alcun fondamento, dal momento che la proprietà tende a concentrarsi nello stato, che la dilapida per principio. La proprietà privata reale, accessibile a così poche persone, viene fortemente erosa dal controllo pignolo e dal diritto di intervento delle mille autorità collettive o corporative. Il salariato non può più risparmiare alcunché della sua povera paga, dal valore sempre cangiante, fittizio, fluido come l'acqua. Questo denaro stesso si allontana in un'astrazione sempre più lontana, semplici pagamenti elettronici, giochi contabili che avvengono senza di lui. E se pensa di conservare qualcuno degli oggetti più preziosi che ogni giorno il mercato ci offre, il ladro glielo porta via.
La lussuria è scomparsa quasi ovunque, a causa del movimento di liquidazione dei personaggi reali e dei gusti veri. Si è ritratta davanti alla marea di ideologia troppo visibilmente insincera, davanti alla fredda simulazione, davanti alle comiche pretese di robot con la passione automatica. L'AIDS è venuto a completare la disfatta.
Davanti alle trovate dell'industria agro-alimentare, la golosità si è arresa. Lo spettatore, qui come a teatro, pensa di non essere in grado di giudicare il sapore di ciò che mangia. Si affida quindi agli stimoli che gli vengono dai titoli dei piatti alla moda, dalla pubblicità, e dal giudizio della critica gastronomica.
La rabbia aveva tanti motivi, e così poche manifestazioni, che si è dissolta nella codardia generale e nella generale rassegnazione. Può un elettore, in buona fede, arrabbiarsi per il risultato di una elezione, che è sempre lo stesso, perfettamente prevedibile e garantito? Non potendo certo invocare un'innocenza delusa e beffata, un elettore è in ogni caso un colpevole. Non può provare rabbia che contro sé stesso, ed è questa una posizione scomoda che si vuole di solito evitare.
La pigrizia non è più possibile: c'è troppo rumore in giro. Ed è ancora peggio per tutti quelli che non sono felici sul lavoro, o una vacanza. La pigrizia è un piacere per chi ama la sua casa e la sua propria compagnia. I paesi moderni possono avere un gran numero di persone disoccupate, e molti altri che fanno un lavoro del tutto inutile. Ma non possono mantenere le persone pigre; non sono abbastanza ricchi per questo.

Si potrebbe obiettare che questa esposizione, nonostante la sua profonda verità, è un po' troppo sistematica, perché la realtà della storia è sempre dialettica; e che è una schematizzazione che impoverisce, presentando tutti i peccati capitali come perduti. Questa obiezione è infondata: non abbiamo dimenticato l'invidia, che sopravvive in modo contraddittorio, ed è l'unica erede di tutte queste potenze annientate.
L'invidia è diventata un movente esclusivo ed universale. L'invidia ha sempre proceduto dal fatto che molti individui vengono misurati su un'unica scala. Questa scala è stata, nella maggior parte dei casi, il potere e il denaro. Al di fuori di questa misura comune della limitazione, le realtà rimangono diverse; e tutti quelli che non si curano troppo del potere e della ricchezza rimangono ovviamente liberi dall'invidia. D'altra parte, un carattere invidioso può sempre rivaleggiare con persone nella sua sfera di attività. Un poeta può invidiare un poeta. E questo si può manifestare anche in un generale, una puttana, un attore, il proprietario di un caffè. Ma la maggior parte delle persone non suscitano quasi l'invidia di altri. Oggi, che le persone non hanno quasi niente e non amano nulla, vorrebbero tutto, senza trascurare il contrario. Ogni spettatore invidia pressoché tutte le vedette. Ma si possono anche invidiare simultaneamente tutte le caratteristiche di tutte queste vedette. Colui che ha provato la bassezza di fare carriera, e quindi è poco soddisfatto della sua carriera (c'è sempre qualcuno più in alto), vorrebbe avere anche l'onore ed il piacere di essere considerato come un incompreso, un ribelle e un "maledetto". E questo inseguire il vento è assolutamente vano, tutti i cornuti sono oggi condannati a correre senza fine. Ignorando la vita reale, non sanno che quasi tutti i tratti umani veramente radicati ne escludono necessariamente molti altri.
L'antico detto, "Non è dato a tutti di andare a Corinto." si può adattare al presente dicendo che non si può vivere tutti a Tokio.
E' facile da capire questo trionfo dell'invidia, la fusione incontrollabile del suo cuore radioattivo, e il suo ricadere dappertutto. I peccati capitali sono scomparsi dalle caratteristiche personali dell'individuo che agisce per conto proprio (o, nel caso della pigrizia, preferendo non agire). Ma l'invidia è il solo tratto che riguarda solamente gli altri. E' normale che rimanga sola, per divertire e per stimolare coloro che sono stati espropriati di tutto.
In quale secolo viviamo, certo queste stupefacenti trovate faranno sì che non ne venga dimenticato un solo giorno. D'altronde, Cesare Borgia non invidiava Michelangelo, Federico II non invidiava Voltaire, e M. Thiers stesso non avrebbe certo pensato di poter invidiare Baudelaire. Più recentemente, il presidente Valery Giscard non ha disdegnato di darci la soddisfazione di sapere che ammirava Flaubert (lo stesso Giscard che riunisce Homais, Bouvard e Pécuchet in un solo uomo) e che avrebbe dato volentieri anche fino ad un anno di attività politica, se gli fosse stata data l'assicurazione di poter creare un'opera artistica di importanza pari a quella di Flaubert, cosa che per lui valeva la rinuncia a due semestri di altri regali più sicuri. E addirittura parecchi analfabeti contemporanei, seduti sulle loro sedie, invidiano la cultura dei redattori di questa enciclopedia, e la ricchezza delle loro informazioni!

Abbiamo detto che la regressione intensiva ed estensiva della personalità porta inevitabilmente alla scomparsa del gusto personale. Cos'è che può piacere, in effetti, a chi è nulla, non ha nulla e non sa nulla - se non per un sentito dire idiota e falso? E quasi niente di specifico può dispiacergli: è proprio questo l'obiettivo che si pongono i proprietari e i "decisori" della società, coloro che detengono gli strumenti della comunicazione sociale, grazie ai quali si trovano nella situazione di manipolare i simulacri dei gusti scomparsi.
Edgar Allan Poe, nel "Colloquio di Monos e Una", che sceglie per soggetto l'imminente distruzione del mondo, e che è senza dubbio quello dei suoi scritti che anticipa ciò che i nostri contemporanei hanno scoperto così di recente, per quanto riguarda l'accumulo di rotture irreversibili e cieche dell'equilibrio ecologico, scrisse nel 1845:
"Tuttavia, innumerevoli città si innalzavano, enormi e fumanti. Le foglie verdi si arricciolavano al soffio caldo delle fornaci. Il bel volto della natura era deformato come per le devastazioni di una malattia ripugnante. E mi sembra, mia dolce Una, che il sentimento, pur assopito, di forzare e di cercare troppo lontano, avrebbe dovuto fermarci a questo punto. Ma sembra che pervertendo il nostro gusto, o meglio, trascurando di coltivarlo nelle scuole, abbiamo follemente completato la nostra propria distruzione. Perché, in verità, è stato in questa crisi che il gusto - quella facoltà che, marcando il territorio che si stende fra la pura intelligenza ed il senso morale, non può mai essere disprezzata impunemente - è stato allora che il gusto da solo avrebbe potuto portarci dolcemente verso la Bellezza, la Natura e la vita."
A quel punto, il gusto e la conoscenza sono scomparsi insieme con il senso dell'inverosimile e del ridicolo, niente lo ha dimostrato meglio dell'impostura archeologico-culturale del secolo, della quale sembra che pochissime persone ancora ridano, ed i principali gonzi preferiscono crederla dimenticata senza spiegazioni di sorta.
Verso il 1980, ci si estasiò su un esercito di migliaia di statue di soldati e di cavalli, un po' più grandi di quanto siano in natura, che i cinesi pretendevano di avere scoperto nel 1974, e che avrebbero dovuto essere state sepolte 22 secoli prima insieme all'imperatore Tsin Che Hoang Ti. Centinaia di giornali e decine di redattori ingoiarono l'amo con tutta la lenza e, garantito dall'entusiasmo dello stesso Giscard, questo tesoro venne esposto nelle più grandi città d'Europa.

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Infine sono emersi dei dubbi subordinati alla domanda se questi meraviglie viaggianti fossero degli originali, come aveva sostenuto il governo neo-maoista, oppure delle copie, come è stato costretto in seguito a correggere . Qui, la formula di Feuerbach, che già a quei tempi affermava di preferire la copia all'originale, era stata ampiamente superata dal progresso, in quanto si trattava di copie di originali che non erano mai esistiti. Fin da una prima occhiata alle foto degli "scavi", non si poteva che ridere dell'audacia dei burocrati cinesi, che prendevano, in modo così sfrontato, tutti gli stranieri per idioti. Cosa ancora più strampalata, in questa improbabilità assoluta, bastava vedere l'immagine di non importa quale testa di non importa quale statua (tutte molto simili) per sapere che in nessun luogo e in nessun momento della storia mondiale simili figure avrebbero potuto essere prodotte, nello stampo, prima del primo terzo di questo secolo (in realtà sono state fabbricate negli ultimi anni del regno di Mao, per compensare, attraverso una scoperta così abbondante e miracolosa, tutto ciò che era stato distrutto durante le follie della pseudo-"rivoluzione culturale"). Per comporre la povera forma di base di questi pupazzi giganti, bisognava che fossero già stati fabbricati i manichini esposti nelle vetrine all'inizio di questo secolo; bisognava che i dipinti di Gauguin, che hanno tracciato da poco tempo una nuova figura artistica dell'esotico nell'arte occidentale; e, soprattutto, bisognava che la statuaria stalinista e nazista - che poi è esattamente la stessa cosa - fosse già emersa negli anni '30.
Due secoli di approfondimento della storia della civiltà, della storia delle forme, e tutto ciò che è stato dimostrato da Winckelmann e da Schiller, da Burckhardt e da Elie Faure, e da cento altri, che vanno da Schlegel a Walter Benjamin, vengono dimenticati in un niente; poiché quelli che tengono la sputacchiera , come diceva il popolo di Parigi, quando ancora parlava, sono molto fiduciosi che non c'è, qui come altrove, una scienza che s'imponga; e che l'ignoranza può dire tutto, perché sa di non avere più da temere alcuna risposta.
E' perfettamente sicuro che migliaia di persone in tutto il mondo, e senza dover essere un archeologo o un sinologo, come noi, abbiano capito tutto fin dal primo istante. Ma che ne può sapere lo spettacolo, e ciò che esso informa? Sono dei puri ignoranti che spargono disinformazione tra le masse. E quanto a simili mediocri professionisti di tali questioni, quando naturalmente finiscono per apprendere dei loro errori, tramite qualche confidenza fatta in famiglia, allora essi pensano che sarà sicuramente più elegante, da parte loro, di non ricordarsi di niente.
Ed è per questo che in questa materia, il tiranno, come ha dimostrato La Boétie, ha tanti amici. Sono in tanti ad avere qualche piccolo interesse, insieme a quelli che ne hanno di grandi, che venga abolita la storia, che venga abolita la memoria.

-  Guy Debord   -

martedì 8 novembre 2011

Il potere delle storie

Neal

"[…] Migliaia di anni prima il lavoro era stato parcellizzato in compiti sempre uguali, in organizzazioni in cui le persone erano parti intercambiabili. Doveva essere così: era la base di un'economia produttiva. Ma era facile individuare una volontà all'opera dietro tutto questo: non esattamente una volontà maligna, ma di certo egoista. Chi aveva creato il sistema era geloso, non dei soldi e non del potere, ma delle storie. Se i dipendenti rientravano a casa alla fine della giornata con storie interessanti da raccontare, significava che qualcosa non aveva funzionato: un blackout, uno sciopero, una strage. Le Autorità Costituite non tolleravano che altri comparissero in storie personali, a meno che non si trattasse di storie false inventate per motivarli. Chi non riusciva a vivere senza storie era finito nei concenti o faceva lavori come quello di Yul. Tutti gli altri dovevano cercare qualcosa al di fuori del lavoro per sentirsi parte di una storia, e immaginai che fosse quello il motivo per cui i secolari erano così assorbiti dallo sport e dalla religione. Altrimenti come avrebbero potuto sentirsi parte di un'avventura? Qualcosa con un inizio, uno svolgimento e una fine, in cui giocare un ruolo importante? […]"

- Neal Stephenson, - Anathem - Il Pellegrino, pag. 437 -

lunedì 7 novembre 2011

Charlie

charlie

Quando si muore, si muore soli - cantava qualcuno - e lui è morto da solo.
Non si sa niente, a proposito di chi fosse e da dove venisse; gli hanno appiccicato addosso un nome - come si fa per comodità - e lo hanno chiamato Charlie. Charlie va bene, come sarebbe andato bene qualsiasi altro nome. I suoi resti sono lì, accatastati in quella che una volta era una trincea sulla Sierra Fatarella, in Tarragona, lungo la linea difensiva repubblicana della Battaglia dell'Ebro. E' solo uno scheletro mutilato, Charlie, ma è come se fosse tornato ben vivo. E' perfino finito sulla copertina dell'ultimo numero di "Volunteers", il bollettino della Lincoln Brigade!
Infatti, benché la maggior parte dei volontari internazionali abbandonasse il fronte e la Spagna nella primavera del 1938, alcuni dei brigatisti più esperti si rifiutarono di partire e preferirono rimanere a continuare a combattere. E forse Charlie era davvero uno di loro, anche a partire dal fatto che era alto più di un metro e ottanta.
Quello che si sa per certo, però, è molto poco. Si sa che cadde sotto i proiettili di una mitragliatrice. Una scheggia spaccò in due il suo femore destro e si conficcò profondamente nell'osso. Dentro la sua cassa toracica sono stati ritrovati nove proiettili. Qualcosa, come un'esplosione, gli ha strappato via la mano destra: il polso è troncato all'altezza dell'ulna e non sono state ritrovate le dita. Il piede sinistro è piegato in una posizione impossibile, sopra la gamba destra.
Charlie cadde sulla schiena, forse sul suo zaino, mentre stava sparando all'impazzata. Per terra è tutto un tappeto di bossoli di Mosin Nagant.
Con ogni probabilità, è stato ucciso da una granata, o da un proietto d'obice sparato dall'artiglieria franchista che massacrò tutti i difensori della linea dell'Ebro. 500, in totale, che rimasero a morire per permettere agli altri 25.000 di ritirarsi.
Charlie, da quando è tornato in vita, ha aperto una vivace discussione, legata al fatto di essere il primo ad essere stato trovato in uno scavo del campo di battaglia, e non in una fossa comune. Praticamente, qualcuno - presumibilmente il nemico - gli portò via l'elmetto e le armi, e lo lasciò lì, dov'è rimasto fino a che non è stato riportato alla luce, poche settimane fa.