venerdì 30 settembre 2011

esecuzioni

commentari

XXV

Con le nuove condizioni attualmente predominanti nella società schiacciata sotto il tallone di ferro dello spettacolo, notiamo ad esempio che un assassinio politico è visto in una luce diversa; in un certo nodo smorzata. Ci sono molti più dementi di prima dappertutto, ma ciò che è infinitamente più comodo è che se ne può parlare in modo demenziale. E tali spiegazioni mediali non sono imposte da un qualsiasi terrore regnante. Al contrario, è l'esistenza pacifica di tali spiegazioni che deve suscitare terrore.
Quando nel 1914, poco prima dello scoppio della guerra, Villain assassinò Jaurès, nessuno dubitò che Villain, individuo probabilmente un po' squilibrato, aveva ritenuto di dover uccidere Jaurès perché, agli occhi degli estremisti della destra patriottica che avevano influenzato profondamente Villain, Jaurès appariva un uomo che sarebbe stato sicuramente nocivo per la difesa del paese. Quegli estremisti avevano però sottovalutato l'immensa forza del consenso patriottico nel partito socialista, che l'avrebbe spinto rapidamente all'«unione sacra»; e questo sia nel caso che Jaurès fosse assassinato, sia nel caso che gli si lasciasse l'opportunità di perseverare nella sua posizione internazionalista di rifiuto della guerra. Oggi, di fronte a un simile avvenimento, i giornalisti-poliziotti, noti esperti di «fatti sociali» e di «terrorismo», direbbero subito che Villain era conosciuto per i suoi reiterati tentativi di omicidio, spinto da una pulsione indirizzata ogni volta verso uomini che potevano professare opinioni politiche disparate,ma che casualmente presentavano tutti una somiglianza fisica o di abbigliamento con Jaurès. Diversi psichiatri lo confermerebbero, e i mass media, attestando semplicemente la loro competenza e la loro imparzialità di esperti incomparabilmente autorizzati. In seguito, l'inchiesta ufficiale della polizia potrebbe portare, fin dal giorno successivo, alla scoperta di di varie persone rispettabili, pronte a testimoniare che Villain, ritenendo un giorno di essere stato mal servito alla «Chope du Croissant», aveva minacciato ripetutamente in loro presenza di vendicarsi entro breve tempo del gestore del caffè, abbattendo davanti a tutti e sul posto uno dei suoi migliori clienti.

Ciò non significa che in passato la verità si imponesse con frequenza e rapidità: perché alla fine Villain fu assolto dalla Giustizia francese. Fu fucilato solo nel 1936, quando scoppiò la rivoluzione spagnola, perché aveva commesso l'imprudenza di risiedere alle Baleari..


- Guy Debord - Commentaires sur la Société du spectacle, 1988

giovedì 29 settembre 2011

contro dio

dio condannato

L'evento ebbe luogo il 16 Gennaio del 1918, un anno dopo da quando era stato rovesciato lo zar. Un tribunale popolare, presieduto dal commissario per la pubblica istruzione, Anatoly Lunacharsky, si dichiarò competente a processare e a giudicare Dio per i suoi crimini contro l'umanità.
Alle 8.15 della mattina di quel giorno vennero lette le accuse che il popolo russo, in rappresentanza della specie umana, muoveva a Dio.
Il principale capo d'accusa contro l'Onnipotente era: genocidio.
Sul banco degli imputati venne posta una Bibbia e i pubblici ministeri produssero ampie prove di colpevolezza sulla base di dati storici, mentre i difensori d'ufficio, designati dallo Stato sovietico, portarono tutti gli argomenti possibili in favore dell'innocenza di Dio. Il processo durò cinque ore. Gli avvocati della difesa chiesero l'assoluzione, portando a sostegno delle loro tesi la "grave forma di demenza e numerosi disturbi psichiatrici" dell'imputato. Tuttavia, la Corte aveva chiarito fin dall'inizio che non avrebbe accettato una mozione di assoluzione in ragione dell'estrema gravità dei reati in giudizio.
Infine, il Tribunale del Popolo dichiarò Dio colpevole dei crimini che gli venivano imputati e, a seguire, il presidente del Tribunale pronunciò la sentenza:
"Si condanna Dio alla fucilazione che avverrà alle 6:30 pm del 17 gennaio 1918, e tale decisione non lascia spazio a ritardi o ad appelli."

La pena di morte venne eseguita da un plotone di fucilazione, che simbolicamente sparò cinque raffiche di artiglieria contro il cielo di Mosca.

mercoledì 28 settembre 2011

dalla parte sbagliata

4 N

Una delle caratteristiche distintive della Guerra Civile Spagnola, a fronte di altri conflitti, risiede nel fatto che molti spagnoli - militari e non - si trovarono nelle zone dominate da una delle due forze, pur non simpatizzando affatto con tale forza che gli era "capitata", e molti di loro vi rimasero per tutta la durata della guerra, alcuni imboscati, altri collaborando controvoglia, e la maggior parte nascondendo i propri sentimenti. Tuttavia, la loro ideologia non coincideva con quella della parte in cui servivano e molti di loro cercarono di riunirsi con la propria parte. Che ci riuscissero o meno, fu anche questione di fortuna.
Uno dei casi più noti, di soldati che hanno combattuto dalla parte che teoricamente non gli atteneva, è quello del comandante Vicente Rojo. Cattolico praticante e di idee conservatrici, Rojo è stato sicuramente il paradigma del militare che partecipò alla guerra civile spagnola nel campo "sbagliato". E' nota la storia della sua entrata nell'Alcazar di Toledo, durante l'assedio, per trattare con Moscardò per la resa della fortezza, ed il tentativo da parte di molti suoi amici e commilitoni, che lì si trovavano, di farlo rimanere con loro. Ma il suo giuramento alla Repubblica gli impedì di venir meno alla parola data, cosa di cui informò il capitano Emilio Alamàn, un suo caro amico, dicendogli di essere molto preoccupato per la sicurezza della sua famiglia, che risiedeva a Madrid. Dopo un'esitante carriera professionale nell'esercito popolare, Rojo avrebbe conseguito il grado di generale e sarebbe andato in esilio, nel 1939, da cui sarebbe tornato in Spagna solo nel 1957, dopo che ebbe ricevuto l'indulto per la pena detentiva che gravava su di lui.
Anche se, per lo più, si crede il contrario, la maggioranza dei generali spagnoli non si sollevarono il 18 Luglio del 1936. Dei 19 generali di divisione, solo quattro si unirono a Francisco Franco, e dei 53 generali di brigata, solo 20, e fra questi solo 13 avevano un comando sulle truppe. In totale, 24 generali su 70. Durante la guerra, i repubblicani fucilarono 15 generali, e i nazionali 6. Inoltre, vennero condannati, o espulsi dall'esercito, 7 da parte dei repubblicani, e 10 dai nazionali. Ovviamente, la tragedia di questi 38 generali, fucilati, condannati o espulsi, derivò dall'essersi schierati dalla parte "sbagliata". Solo 4 generali, tutti di Brigata, riuscirono a passare dall'altra parte, nel corso della guerra. E due per parte! Eugenio Espinosa de los Monteros e Abilio Barbero, passarono le linee e si unirono ai franchisti, mentre Juan García Gómez Caminero e Rafael Rodríguez Ramírez fecero il percorso opposto.
Furono però gli aviatori militari quelli che ebbero più facilità a cambiare bandiera. Durante le prime fasi della guerra ci fu un'ondata di aviatori che, approfittando del servizio di guerra, passarono dalla "loro" parte. Il caso più eclatante di fuga dal bando nazionale fu quella del sergente Félix Urtubi che dall'Africa raggiunse Madrid, non senza prima avere ucciso il suo osservatore di volo. Va anche ricordato che alcuni aviatori scapparono con i proprio aerei direttamente all'estero, in Marocco e in Algeria, senza passare al campo nemico.
Nell'esercito spagnolo, ad ogni modo, ci fu un folto gruppo di ufficiali che, per situazione geografica, e non ideologica, prestarono diversi servizi alla Marina di Guerra repubblicana, occupando posizioni nello Stato Maggiore. Ciò nonostante, alla fine della Guerra Civile, molti di loro furono riammessi nella Marina di Franco.

martedì 27 settembre 2011

Facerias

Facerias_photos_anthropometriques

Sant Andreu, distretto di Barcellona. Le 10 e 45 del mattino dell'ultimo venerdì di Agosto. Nelle strade deserte, fra il Paseo Verdún ed il Calle del Doctor Pi i Molist, cammina un uomo. Improvvisamente, il crepitio di un mitra. Una raffica, come se fosse una mano enorme e potente, lo solleva e lo sbatte contro il muro. Una pistola appare, quasi come per magia, nella sua mano. Una Walter P38. I suoi occhi scrutano il lungo viale alberato, alla sua destra, che porta alla clinica per Malattie Mentali, "Santa Cruz". Non c'è segno di vita. La consapevolezza di essere stato tradito, gli arriva improvvisamente, di colpo. Facerias non riesce a vederli, ma stanno sparando dalle finestre che si affacciano all'incrocio fra il Paseo Urrutia ed il Calle del Doctor Pi i Molist. Sparano. Una raffica di mitra gli fracassa la caviglia. Poi, altri colpi di fucile, Mauser, colpiscono l'asfalto e rimbalzano tutt'attorno ...

lunedì 26 settembre 2011

Prima della Rivoluzione

butterworth

Esce con una brutta copertina, il libro di Butterworth, "Il mondo che non fu mai"! C'è da dire che l'edizione italiana segue quella originale a distanza di poco più di un anno; e chi l'avrebbe mai detto? Curioso, considerato anche il fatto che l'autore, storico e drammaturgo, ha pubblicato finora un solo altro libro, "Pompei. The Living City".
Qui, invece, intesse oltre 500 pagine con le vite di alcuni dei più notevoli rivoluzionari che, alla fine dell'800, erano stati "radicalizzati". Radicalizzati dalla povertà, dal'ingiustizia, dalla tirannia zarista e dalla sanguinosa repressione della Comune di Parigi. Uomini e donne che avevano creduto nelle parole di William Morris, che "Nessun uomo è abbastanza buono da poter essere padrone di un altro uomo". Uomini e donne che avevano condiviso una visione del mondo, del mondo come avrebbe potuto un giorno essere: una comunità cooperativa, libera dalla sfruttamento, dall'oppressione e dal conflitto. 
Tutte queste storie, di ciascuno di essi, vengono raccontate alll'interno di una storia che fa da cornice e che parla di come questi gruppi di utopisti, spesso anche ingenui, furono oggetto di penetrazione da parte di sinistri funzionari di una stato segreto, il cui compito era quello di proteggere lo status quo. Poliziotti e spie che, nell'ombra, seminavano incertezze e dissidenze, coltivavano tensioni, seducendo con l'inganno e spingendo i più creduloni ed idealisti a commettere crimini che non avrebbero potuto, altrimenti, nemmeno concepire.
Il libro di Butterworth avvince e, allo stesso tempo, mostra come siano assai poco cambiate le pratiche di infiltrazione, in questo secolo e mezzo: il colonnello Wilhelm Stieber (1842-1882), consigliere segreto del governo di Bismarck, capo dell'intelligence militare per la confederazione tedesca del nord, e consigliere della famigerata "terza sezione" dello zar di tutte le Russie; Peter Rackovskij (1881-1910), erede del mantello di Stieber in quanto capo dell'Okrana fuori dalla Russia; Allan Pinkerton (1849-1880), cartista voltagabbana nato a Glasgow, esperto in crumiraggio e politica anti-operaia, organizzatore e fondatore del Servizio Segreto degli Stati Uniti, e in ultimo, ma non da meno, l'ispettore capo William Melville (1883-1917), sovrintendente del Ramo Speciale della Metropolitan Police, e poi capo del Secret Service Bureau.
Gli intrighi criminali e le cospirazioni di questi uomini furono innumerevoli, inclusa la sponsorizzazione, da parte di Rackovskij, dei Protocolli dei Savi di Sion e del suo ruolo nello stabilire la fatidica alleanza franco-russa con le sue tragiche conseguenze dell'estate del 1914.
Per la politica radicale e rivoluzionaria, il cui fine è la distruzione della dominazione stessa, la spietatezza dell'élite di potere rappresenta un problema perenne. Gli anarchici e gli altri oppositori alla tirannia riponevano una fede assoluta nella coscienza individuale, dando legittimità ad ogni "opinione onestamente sostenuta", rifiutando la coercizione, il potere centralizzato, e il concetto di "bene superiore"; ma il corollario di tutto questo, come fa notare Butterworth, è che il movimento rimane "indifeso, quasi per principio, nei confronti delle infiltrazioni.
Butterworth descrive come, nel 1892, William Melville sfrutta questa ingenuità per progettare il cosiddetto "Walsall Bomb plot" per incastrare sei anarchici, quattro dei quali finirono in galera. Sotto copertura di Melville si muoveva Auguste Coulon, mezzo francese, mezzo irlandese, agente e spia che era coinvolto con Henry Samuels, un'altra creatura di Melville e Rackovskij, responsabile dell'esplosione del 1894 a Greenwich Park, che fornì la trama a Joseph Conrad per il suo "L'agente segreto".
"Il mondo che non fu mai" racconta in modo preciso e coinvolgente questa lotta fra una generazione di rivoluzionari demonizzati, impegnati nella lotta per il progresso e la giustizia sociale, da una parte, e le forze di polizia politica, dall'altra, al servizio degli interessi politici di tiranni, despoti ed élite privilegiate, da San Pietroburgo a San Francisco.
Una notizia che merita di essere riportata, attiene al fatto che per anni il "Metropolitan Police Special Branch" inglese ha combattuto tenacemente per impedire l'accesso ai loro file a partire dal 1890, il periodo di Melville. Quando Butterworth li richiese, la prima volta, avvalendosi dell'applicazione di un legge sulla libertà di informazione, gli venne risposto che i documenti erano andati perduti, ridotti in poltiglia durante lo sforzo bellico nella II guerra mondiale, oppure distrutti da una bomba. Poi, nel 2001, sono improvvisamente riapparsi, dopo essere stati utilizzati come base per una tesi di dottorato svolta da un ufficiale dei Servizi. Una sentenza ha fatto sì che Butterworth entrasse finalmente in possesso dei documenti che ha, poi, ha così bene utilizzato.
Layout 1

venerdì 23 settembre 2011

Autoritarismi

autorita

I primi successi della lotta portarono l’Internazionale ad affrancarsi dalle influenze confuse dell’ideologia dominante che sopravvivevano in essa. Ma la disfatta e la repressione che essa incontrò ben presto fecero passare in primo piano un conflitto tra due concezioni della rivoluzione proletaria, che contengono entrambe una dimensione autoritaria dalla quale l’autoemancipazione cosciente della classe viene abbandonata. In effetti, la polemica divenuta inconciliabile fra i marxisti e i bakuninisti era duplice, incentrandosi volta a volta sul potere nella società rivoluzionaria e sull’organizzazione presente del movimento, e passando dall’uno all’altro di questi aspetti le posizioni degli avversari si capovolgevano. Bakunin combatteva l’illusione di una abolizione delle classi con l’uso autoritario del potere statale, prevedendo il ricostituirsi di una classe dominante burocratica e la dittatura dei più sapienti, o di coloro che sarebbero stati ritenuti tali. Marx, convinto che il maturarsi inseparabile delle contraddizioni economiche e dell’educazione democratica degli operai avrebbe ridotto il ruolo di uno Stato proletario a una semplice fase di legalizzazione dei nuovi rapporti sociali che si sarebbero imposti oggettivamente, denunciava in Bakunin e nei suoi partigiani l’autoritarismo di una élite cospirativa che si era deliberatamente posta al di sopra dell’Internazionale, e che concepiva il disegno stravagante di imporre alla società la dittatura irresponsabile dei più rivoluzionari, o di coloro che si sarebbero designati da sé come tali. Bakunin reclutava effettivamente i suoi partigiani sulla base di una tale prospettiva: «Piloti invisibili nel cuore della tempesta popolare, noi dobbiamo dirigerla senza un potere visibile, ma tramite la dittatura collettiva di tutti gli alleati. Dittatura senza fascia, senza titolo, senza diritto ufficiale, e tanto più potente per il fatto di non avere alcuna delle apparenze del potere». Così si sono opposte due ideologie della rivoluzione operaia contenenti ciascuna una critica parzialmente vera, ma perdendo l’unità del pensiero della storia, e istituendosi esse stesse come autorità ideologiche. Organizzazioni potenti, come la socialdemocrazia tedesca e la Federazione Anarchica Iberica, hanno fedelmente servito l’una o l’altra di queste ideologie; e dappertutto il risultato è stato molto diverso da quello che si era voluto.

- Guy Debord - La Società dello Spettacolo - Cap. IV -

giovedì 22 settembre 2011

carte da decifrare

karl-marxs-manuscript-for-das-kapital-1867

Solo una volta, in vita sua, Karl Marx tentò di avere un impiego regolarmente pagato, in qualità di commesso in un ufficio delle ferrovie inglesi. C'è da dire che, però, la sua domanda non venne nemmeno presa in considerazione, a causa della sua scrittura pressoché illeggibile. Viene da pensare al povero vecchio Engels, uno dei pochi - se non l'unica persona - a riuscire di venire a capo di tutti quegli scarabocchi.

mercoledì 21 settembre 2011

I problemi e le soluzioni

kaplan1
Vladimir Lenin aveva appena lasciato una fabbrica, dove aveva tenuto un discorso ai lavoratori, quando Fanya Kaplan - una rivoluzionaria delusa da Lenin, che aveva assunto poteri dittatoriali e soppresso tutti gli avversari politici - esplode tre colpi di pistola contro il leader bolscevico, ferendolo alla spalla e alla mascella, senza però riuscire ad ucciderlo. Questo attacco -  che segue di una settimana l'omicidio del capo della sicurezza bolscevica di Pietrogrado, Moisei Uritskij - provoca allarme e panico nella mente dei leader rivoluzionari della Russia, tanto che Lenin, seriamente ferito, riceve un telegramma da parte di Josef Stalin, che invoca "un aperto e sistematico terrore di massa" contro i responsabili. Così, negli attacchi gemelli contro Lenin ed Uritskij, i bolscevichi trovano finalemnte la scusa che avevano a lungo cercato, al fine di consolidare il potere totale, eliminando ogni opposizione, fra cui anche i loro ex compagni, i socialisti rivoluzionari.
In un decreto ufficiale che annuncia il "Terrore Rosso", il 1° settembre 1918, si può leggere:
"Noi trasformeremo i nostri cuori in un acciaio che verrà temprato dal fuoco della sofferenza e dal sangue dei combattenti per la libertà. Renderemo il nostro cuore crudele, duro e inamovibile, così che nessuna pietà possa entrare, e in modo che non si debba tremare alla vista di un mare di sangue nemico. Spalancheremo le chiuse di quel mare [...] Per il sangue di Lenin e di Uritskij, di Zinoviev e di Volodarski, ci sarà una marea del sangue della borghesia - ancora più sangue, quanto ne servirà."
Le rappresaglie per "il sangue di Uritskij" erano cominciate subito, a Pietrogrado, dove più di 500 socialisti rivoluzionari vennero fucilati senza processo per aver partecipato all'abortita Terza Rivoluzione Russa- Nel mentre, altrove in Russia, decine di migliaia fra oppositori politici e nemici di classe - senza alcuna colpa individuale - sarebbero stati  giustiziati sommariamente nei mesi successivi.
Quanto all'aspirante assassina di Lenin, la ventottenne Fanya Kaplan venne presa immediatamente in custodia, ma  - a dispetto del perdurare dei metodi di interrogatorio brutali della Ceka - si limitò alla seguente dichiarazione:
"Il mio nome è Fanya Kaplan. Oggi ho sparato a Lenin. L'ho fatto da sola. Non dirò chi mi ha procurato il revolver. Non darò alcun dettaglio. Avevo deciso di uccidere Lenin molto tempo fa. Lo considero un traditore della Rivoluzione. Sono stata esiliata ad Akatui per aver partecipato ad un attentato, a Kiev, contro un ufficiale zarista. Ho scontato undici anni di lavori forzati. Dopo la rivoluzione sono stata liberata. Ho sostenuto la Costituente e continuo a pensarla allo stesso modo".
Dopo quattro giorni di torture, la Kaplan continuò a rifiutare di coinvolgere altri avversari politici di Lenin. Andò davanti al plotone di esecuzione il 3 settembre 1918.

martedì 20 settembre 2011

E’ lenta … ma arriva

La-patagonia-rebelde
“La Patagonia rebelde” è un film di Héctor Olivera e Osvaldo Bayer, del 1974, che racconta la violenta repressione, in Patagonia, di un'insurrezione operaia, negli anni 1920-1921, nel quadro del crollo internazionale del prezzo della lana e della crisi del mercato del bestiame. Le conseguenze per i lavoratori rurali della regione argentina furono la disoccupazione e l'immiserimento delle condizioni di vita. La sezione locale del FORA (Federazione Operaia Regionale Argentina), controllata dagli anarchici, soprattutto nelle città di San Juliàn e di Rio Gallegos, ne approfittò per condurre una campagna di reclutamento fra braccianti, taglialegna ed altri lavoratori salariati. La reazione, da parte dei proprietari terrieri fu assai dura e si svolse per mezzo di licenziamenti, violenze e intimidazioni. Il governo nazionale mandò il 10° Reggimento di Cavalleria, agli ordini del colonnello Héctor Varela, un uomo la cui brutalità non conosceva limiti, il quale ordinò esecuzioni di massa, costringendo le vittime a scavare le proprie fosse, rinchiudendo gli scioperanti nei granai, e poi facendo aprire il fuoco su di loro. Vennero massacrate più di 1.500 persone. Varela, non venne mai promosso, ma neppure investigato, a causa della sua condotta. Il Presidente Yrigoyen scelse il silenzio.
Solo qualche anno dopo la giustizia raggiunse Varela ... per mano di un anarchico di nome Gustav Wilkens . . .


lunedì 19 settembre 2011

cinema!

spanish hollywood

Nella foto, si vede Riette Kahn al volante di un'ambulanza. Il veicolo è un dono dell'industria cinematografica americana alla Spagna. E' il 18 Settembre del 1937, e, prima di arrivare a destinazione, girerà tutti gli Stati Uniti, per raccogliere fondi per "aiutare i difensori della democrazia spagnola" impegnati nella guerra civile.

sabato 17 settembre 2011

Passato Imperfetto

 

Due tavole, realizzate da Carlos Giménez nel 1976, in cui vengono condensati 40 anni di franchismo, di speranze e di disperazioni - e che, poi, sarebbero andate ad essere parte di una serie a fumetti intitolata, non senza ironia, "Spagna, una, grande, libera!". Due tavole, da guardare e da pensare, come un passato imperfetto. Un passato, imperfetto, che non passa!

gimenezgimenez2

(click sulle immagini per ingrandirle)

venerdì 16 settembre 2011

Ridere, bisogna …

0000403896-008

Ricordando Abbie
di Howard Zinn

Mi è capitato di recente di raccontare a Kurt Vonnegut di un tipo che conosco, Bill Breeden, un predicatore camionista che abita nelle foreste dell'Indiana assieme alla moglie e ai figli. Quando il suo paesello, Odon, ha dedicato una strada a John Pointdexter, complice di Reagan nello scandalo Iran - Contras, Breeden ha rubato il cartello e ha annunciato che l'avrebbe liberato solo in cambio di un riscatto di 30 milioni di dollari, appunto la cifra coinvolta nello scandalo. Secondo Vonnegut, Breeden era un "pagliaccio ispirato. Come Joe Heller. E Abbie Hoffman".
Abbie Hoffman occupa un posto tutto suo nella storia contemporanea.
Non c'è stato nessuno come lui, nessuno capace di combinare uno spirito brillante e claunesco con una linea politica rigorosa. E non c'è stato nessuno capace come lui di unire, come con un colpo di grancassa, la rivoluzione culturale degli anni Sessanta con le tumultuose proteste per la giustizia razziale e contro la guerra nel Vietnam, e pochissimi che siano riusciti a trasbordare l'energia e l'impegno di quegli anni fin negli anni Settanta e Ottanta, senza un momento di pausa e senza incertezze. Le farsesche avventure di Abbie sono state istruttive nel senso migliore del termine, come un insegnante esperto utilizza le risorse dell'umorismo e della drammaturgia per creare una profonda analisi sul mondo in cui viviamo.
Abbie è entrato nel novero di un prestigioso gruppo di artisti che hanno impegnato tutto il proprio talento nella battaglia per la pace e la giustizia, che sia con la musica come Bob Dylan, Woody Guthrie, Paul Robeson, Joan Baez, Pete Seeger, o con l'umorismo come Mark Twain, Lenny Bruce, Dick Gregory o, come John Steinbeck, Theodore Dreiser, Arthur Miller e James Baldwin, con la scrittura. Un movimento politico ha bisogno di molto di più di un'organizzazione efficace, di un'analisi fine o di un qualche discorso ispirato. Ha bisogno di anima e di cuore, e Abbie ne aveva in abbondanza. Ha bisogno di passione e di vita, che da Abbie sgorgavano a fiotti avviluppando le persone che toccava. Lui si definiva un "organizzatore della comunità" (sempre inteso che questa comunità si allargasse fino a diventare la nazione intera), ed è vero, però in questo modo dimenticava l'aspetto più sconvolgente del suo apporto ai movimenti dagli anni sessanta: Abbie ha contribuito a trasformare gli istinti antiautoritari delle giovani generazioni nella resistenza politica al razzismo e alla guerra. Ha saputo parlare alla dolcezza e alla voglia di un mondo non violento dei figli dei fiori, ma dicendo: "ho sempre tenuto il mio fiore nel pugno chiuso".
Sul finire di questo libro Abbie entra in clandestinità, inizia a "nuotare", secondo il suo linguaggio in codice. C'è gente che non s'è mai trovata in pericolo quanto Abbie, eppure ha mollato lo stesso il movimento. Invece Abbie, che rischiava l'ergastolo e l'arresto da un momento all'altro, s'è rifiutato di tacere. Ha subìto un intervento di chirurgia plastica, s'è tagliato e tinto i capelli e s'è spostato nel paese con un'audacia che sarebbe stata stupefacente per chiunque ma che da lui, Abbie Hoffman, ci aspettavamo. Mentre era latitante ha tenuto comizi, è apparso in televisione, ha scritto almeno quaranta articoli e ha parlato alla radio. Ha perfino fatto un giro turistico del palazzo dell'FBI a Washington. Tuttavia non era solo. Sin dai primi giorni della latitanza, dopo il penoso addio alla moglie Anita e ai tre figli, mentre si trovava in Messico ha trovato un'anima gemella: Johanna Lawrenson è diventata così la sua "compagna di fuga" negli anni della latitanza e anche dop, fino alla morte di Abbie nel 1989. Insieme hanno combinato qualche tiro mancino alla Abbie. Per esempio, sono stati in giro per l'Europa per sei mesi, concedendosi pranzi suntuosi in cinquantaquattro dei migliori ristoranti del mondo, ovviamente senza pagare perché Abbie aveva una falsa lettera che lo presentava agli "chef" come un inviato di Playboy per un servizio sulla nouvelle cousine francese.
A un certo punto si sono trasferiti nel villino di Johanna nelle Mille isole del fiume San Lorenzo, uno dei più bei posti del continente. Il canale del San Lorenzo, che collega i Grandi laghi all'Atlantico è stato una delle grandi imprese del secolo, un enorme complesso di bacini, argini, centrali idroelettriche, ponti, autostrade e nuove comunità. Però dal punto di vista ambientale ha avuto esiti disastrosi, con intere isole cancellate e diecimila persone sradicate.
Quando Abbie e Johanna si sono trasferiti da quelle parti il Genio dell'Esercito ha presentato un piano per rendere navigabile il fiume anche in inverno con una combinazione di rompighiaccio e sbarramenti di tronchi. Abbie ha studiato la proposta e ha capito subito che avrebbe distrutto i luoghi dove si abbevera l'aquila calva in via di estinzione, disturbato la catena della vita acquatica ed eliminato le paludi.
Ci sarebbero state erosioni e alluvioni gravissime e l'acqua potabile sarebbe stata contaminata dai rifiuti tossici. Si temevano anche infiltrazioni di petrolio.
Abbie e Johanna hanno fondato Save The River! assieme a vicini e amici. L'esperienza organizzativa di Abbie è venuta molto utile. Quanto a lui, ha parlato senza sosta alla radio e in televisione, ha tenuto conferenze stampa, ha mobilitato esperti. Quando il Genio militare ha organizzato un'udienza sul progetto, si sono presentate ben seicento persone, e quando il senatore Daniel Patrick Moynihan ha tenuto un'audizione senatoriale la sala era gremita da novecento spettatori. Abbie è stato eloquente come al solito, e così nella primavera 1980 il Congresso ha ritirato il finanziamento al progetto. E' stata una straordinaria vittoria popolare.
Poco dopo Abbie ha deciso che non voleva essere più un fuggiasco e s'è accordato per tornare a New York e scontare un anno di galera.
Quando è tornato in libertà non poteva fermarlo più nessuno, ha inanellato una serie di comizi nei campus di tutto il paese. Poi nel 1987 ha partecipato alla disobbedienza civile alla University of Massachussets di Amherst, impedendo il passaggio ai reclutatori della CIA.
Lo conoscevo dai tempi del movimento per i diritti civili al Sud, poi in seguito le nostre strade si sono incrociate più e più volte. E adesso venivo convocato come "teste esperto" durante il processo a Abbie e compagni per i fatti di Amherst. Dovevo fare quello che avevo tante volte nei processi politici dell'era del Vietnam: parlare della necessità della disobbedienza civile di fronte alle pericolose scelte del governo.
In quel processo ci sono anche state alcune deposizioni sul ruolo della CIA da parte di ex-agenti che hanno raccontato le sue attività sanguinose e illegali in tutto il mondo. Però il momento più alto del processo è stata l'allocuzione finale di Abbie alla giuria. Chiunque avesse ancora in testa le sue intemperanze al processo di Chicago del 1969 dev'essere rimasto basito per l'abbigliamento, i modi, il linguaggio: sobri,ponderati, ragionevoli, persuasivi. Alla fine la giuria ha prosciolto gli imputati, e il pubblico ministero ha concluso: "Se c'è un messaggio in tutto questo è che...l'America media non vuole che la CIA si comporti così". In seguito ho rivisto Abbie una volta sola, quando abbiamo parlato a una manifestazione studentesca per la libertà accademica nel campus della Boston University. Sarebbe morto nell'aprile 1989, per quella che sembra un'overdose di barbiturici e alcol, nel momento più buio di una grave depressione. Dopo la sua morte ho parlato di lui una sera in un'affollata taverna nella downtown di Manhattan, assieme a Norman Mailer, Allen Ginsberg, Barbara Ehrenreich e altri. Ci aveva toccati tutti, in maniera diversa. Sentivamo tutti quanti che era fondamentale per il futuro del nostro paese che sopravvivesse la sua eredità fatta di divertimento e ribellione, di spirito indomito, di amore sconfinato per la giustizia.

- Howard Zinn -

giovedì 15 settembre 2011

Quanti siete?

mondo1
Si dice che i tiranni dell'antica Siracusa coltivassero il vezzo, fra le altre cose, di ... spostare le popolazioni. Mi spiego. Mettiamo il caso che la città di Catania (allora, se non sbaglio, si chiamava Etnea, o qualcosa del genere) non rientrasse più, urbanisticamente, nel loro gusto estetico. Be?, nessun problema. La buttavano giù, e la ricostruivano di sana pianta; non senza aver prima trasferito l'intera popolazione in un altro abitato, facendo loro spazio.
Questa cosa mi è venuta in mente quando mi sono ritrovato a mettere gli occhi su questa splendida mappa (mi raccomando, clicckate sul link, se volete vederla ad una risoluzione tale da consentire di riconoscere tutti gli spostamenti). Ecco, insomma, come sarebbe il mondo se, ad ogni popolazione corrispondesse un'area geografica nazionale, proporzionalmente, in modo da rispettare la scala delle densità demografiche.
Inutile dire che il primo dato che salta agli occhi, sciovinisticamente, attiene al fatto che l'intera popolazione italiana verrebbe trasferita in Angola! La Russia verrebbe popolata dai cinesi, mentre ai russi toccherebbe emigrare in Kazakistan. Agli indiani (gli abitanti dell'attuale India) toccherebbe patire il freddo delle lande Canadesi. Curiosamente, Brasiliani e Statunitensi rimarrebbero dove già si trovano. Gli australiani starebbero comodamente in Spagna, e così via. Ecco, a me la cosa ha intrigato parecchio e ogni tanto vado a riguardarmi qualche spostamento che mi è sfuggito.
Per completare l'opera, vi propongo un'altra mappa in cui ciascun'area geografica nazionale è stata artificialmente "ingrassata" o "dimagrita", di modo che venisse mostrata come sarebbe se riflettesse la densità della popolazione.
mondo2
fonte: http://bigthink.com/blogs/strange-maps

mercoledì 14 settembre 2011

Narrazioni e Rappresentazioni

germinal

Tra il 1892 ed il 1894 si verifica tutta una serie di attentati anarchici che segnano in modo durevole lo spirito e l'evoluzione politica del movimento operaio francese. Questo studio di Caroline Garnier si concentra su come la letteratura si impossessi di questi fatti e si ponga la questione delle motivazioni dei terroristi. Caroline Garnier dimostra come, al di là delle divisioni politiche (romanzieri anarchici o anarchizzanti e scrittori e romanzieri borghesi), si svolga un dibattito sulla comprensione dei fatti. Un dibattito che oppone coloro che collocano il terrorista sul piano della follia, della patologia, per poter meglio ignorare i problemi sociali profondi che vengono sollevati - da una parte - e quelli che, pur senza approvarla, vedono nella violenza una rivolta disperata che ha avuto origine in un vero e proprio senso di oppressione - dall'altra.

Caroline Garnier, « La représentation du terroriste anarchiste dans quelques romans français de la fin du xixe siècle », Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique, T. 96-97, 2005, pp. 137-157

Lo scritto, in francese, può essere letto per intero a http://chrhc.revues.org/index952.html

martedì 13 settembre 2011

cause ed effetti

mafia

"La camorra non cesserà mai, nonostante le sfuriate di persecuzione che si è preteso farle, finché non sarà affatto scomparsa l’ultima delle cause che le danno vita. La plebaglia ne ha paura, ma la rispetta, perché da questa specie di prepotenti che la opprimono è sicura di essere difesa, quando la prepotenza e l’abuso le cadono sopra da altre parti. In qualche momento potrà anche odiarla, ma la difenderà sempre, riguardandola come la sola, come l’unica autorità, dalla quale possa sperare qualcosa che somigli alla giustizia."

Da Napoli ad occhio nudo,1878, di Renato Fucini

lunedì 12 settembre 2011

teocrazie

ricciardi

1861 e 2011

«Lo Stato ha bisogno di soldi? Prendiamoli ai preti».
E' la proposta sostenuta in parlamento dall'estrema sinistra, il 22 maggio 1861 in Parlamento. La propugna il deputato napoletano Giuseppe Ricciardi, mazziniano e anticlericale. Sa che non può farcela (a Roma ci sono ancora i soldati di Napoleone III che vegliano sui beni del Papa), ma, venerdì 28 giugno 1861 la sua linea è l'unica ad essere alternativa a quella governativa, che chiede l'approvazione di un prestito pubblico di 500 milioni, pari a 2 miliardi e 200 milioni di euro oggi. «Questo prestito - insiste Ricciardi - basterà appena quest'anno. E gli anni venturi?». «L'alternativa è l'incameramento della mano morta ecclesiastica». «Nelle province meridionali - sottolinea Ricciardi - i soli frati sono più di 33 mila, i preti 60 mila. Le mense vescovili sono di una ricchezza scandalosa. L'arcivescovo di Capua ha una rendita personale annua di 40 mila ducati borbonici» (pari a 748 mila euro odierni). «I conventi nella sola terra di Bari possiedono per più di 15 milioni di lire», equivalenti a quasi 66 milioni di euro. «L'Umbria, con 550 mila abitanti, nutre 361 conventi, che posseggono oltre 43 milioni», pari a oltre 187 milioni di euro. «Napoli annovera oltre 100 conventi straricchi. Occupano le migliori posizioni, mentre mancano terreni per erigere case per i poveri». Infine, il Patrimonio di San Pietro: «Sarà nostro fra breve. Renderà enormi rendite alla Nazione».

sabato 10 settembre 2011

Manovre

cris

Quelli che portano via la carne dalle tavole
insegnano ad accontentarsi.
Coloro ai quali il dono è destinato
esigono spirito di sacrificio.
I ben pasciuti parlano agli affamati
dei grandi tempi che verranno.
Quelli che portano all’abisso la nazione
affermano che governare è troppo difficile
per l’uomo qualsiasi.

Bertolt Brecht

venerdì 9 settembre 2011

Fotogenica

Fusilamiento_amanecer

Fino al 1936 le guerre erano state solo degli assunti, scarsamente dotate di quel realismo destinato a turbare la colazione . I lettori di giornali raramente dovevano confrontarsi con le immagini dei morti. I combattenti posavano per il fotografo, come se si trattasse di un gruppo di amici che andavano a divertirsi. Non c'erano immagini di azione, né tantomeno di civili feriti, o semplicemente terrorizzati.
Nel 1936, invece, accadde semplicemente che era stata perfezionata la tecnica delle macchine fotografiche leggere che facilitavano la libertà di movimento, la rapidità e la spontaneità. Inoltre, proliferavano le riviste illustrate con il loro impatto. A questo punto non mancava altro che una guerra e un gruppo di professionisti disposti ad andare molto lontano.
La Spagna divenne il campo di battaglia ideale dove il fotogiornalismo ebbe il suo battesimo del fuoco. Professionisti disposti ad andare lontano, si diceva, ma anche ad andare abbastanza vicino da ottenere una buona foto. Poi addirittura alcuni (Alfonso, Santos Yubero, Centelles, Brangulí ...) stavano già lì.
Paco Elvira, fotografo e docente di fotogiornalismo presso l'Università Autonoma di Barcellona, ha selezionato immagini di 12 fotografi di fama, ed altre di autori anonimi, per un catalogo su "La guerra civile spagnola" che viene pubblicato in Spagna, da Lunwerg. Il conflitto spagnolo, spiega, ha prodotto "la maggior quantità di fotografie iconiche e significative fino alla guerra del Vietnam, scoppiata quasi 30 anni dopo". "Che le guerre siano fotogeniche è indiscutibile", dice lo scrittore Ignacio Martinez de Pison, nella prefazione al libro.
Il grande maestro, senza dubbio, era Robert Capa. E la sua grande scuola, ancora senza dubbio, fu la guerra di Spagna. Grazie ai servizi che ha pubblicato su di essa, è stato consacrato come "il miglior fotografo di guerra". E' sua l'istantanea più famosa, il miliziano ucciso a Cerro Muriano (che non appare in questo catalogo), ed altre, scattate durante l'offensiva repubblicana sul fiume Segre, nel 1938, che mostrano la vicinanza del giornalista nei momenti di pericolo. Le sue ultime foto vennero scattate durante la grande ritirata degli spagnoli attraverso i Pirenei. Rimase fedele alla sua onestà professionale fino alla fine: morì, saltando su una mina, in Indocina, nel 1954.
Capa è passato alla storia. Minori riconoscimenti ha avuto Gerda Taro, che in Spagna condivise con Capa impegno e coraggio. Taro fu l'unica fotografa a morire nella guerra civile spagnola: venne schiacciata da un carro armato a Brunete, nel 1937. Alcuni dei suoi negativi spuntarono fuori nel 2007, dentro la "valigia messicana", insieme a materiale di Robert Capa e di David Seymour, anche lui caduto in azione nel 1956, in Egitto.
Il catalogo comprende alcune di queste istantanee sconosciute. Paco Elvira rivela che una di esse è la foto scattata sul fronte d'Aragona, nel 1937, da Robert Capa, dentro la quale appare, in un angolo, Agustí Centelles, fotografo spagnolo che ha lasciato molto materiale prezioso sulla guerra in Catalogna ed Aragona. E proprio Centelles, nel suo diario scritto nel campo di concentramento di Bram nel 1939, mette in evidenza l'utilità del proprio lavoro: "Grazie al mio archivio fotografico sarà data l'opportunità di poter vedere lo svolgimento della guerra, i bombardamenti, le scene del 19 luglio a Barcellona. Sono stato l'unico fotografo che ha trascorso l'intera giornata in giro per la città ".

giovedì 8 settembre 2011

Hotel Abou Salim

hotel

Abou Salim è un quartiere di Tripoli, ed è anche il nome della sua prigione politica direttamente collegata al servizio di "intelligence" della capitale. In questa prigione, il 29 giugno 1996, il regime di Gheddafi massacrò, nel giro di due ore, 1.200 prigionieri che si erano ribellati. Il governo non ha mai fornito un elenco dei morti, né ha mai restituito i corpi alle loro famiglie.
Il 15 febbraio 2011, Fatih Tarbel, avvocato che assiste le famiglie delle vittime del massacro di Abou Salim, viene arrestato davanti al tribunale di Bengasi. E' l'ultima goccia, gli eventi e le manifestazioni, innescati daquesto arresto, provocano due morti nei due giorni seguenti.
Quando, lo scorso 24 agosto, il carcere viene assaltato dai ribelli, e i prigionieri liberati, la gente comincia ad usare "Abou Salim" come se fosse la "katiba" di Bengasi***.
Il carcere è enorme, e vi alloggiano in circa venti persone per cella!

fonte: http://setrouver.wordpress.com/
 
*** "Katiba el Fadil bu Omar", è il nome dato alla residenza che ospitava Gheddafi, durante le sue visite a Bengasi

mercoledì 7 settembre 2011

Taccuini

boxlinfernalequinlan

I "Taccuini" di Orson Welles. Esistono? Non esistono? Forse no, forse sì. Chissà. Magari sono solo un falso, ben costruito, questa serie di appunti che seguono. Del resto, "L'infernale Quinlan" costruiva prove false per incastrare criminali veri, no? E allora, che importa?

Pentìti
Nell'arte americana il problema più grave è il tradimento della sinistra da parte della sinistra. L'autotradimento. In un certo senso, per stupidità, per ortodossia, per colpa degli slogan, per puro e semplice tradimento. Siamo pochi della nostra generazione a non aver tradito la nostra posizione... è terribile. Quello che c'è di male nella sinistra americana è che ha tradito per salvare le sue piscine. Non è stata distrutta da McCarty, si è distrutta da sé, cedendo il passo ad una nuova generazione di nichilisti.

Brecht
Era terribilmente simpatico, un cervello straordinario. Si vedeva che era stato educato dai gesuiti. Aveva quel tipo di cervello disciplinato che caratterizza l'educazione gesuitica. Come artista era un anarchico, anche se si considerava un perfetto marxista. Quando gli ho detto che il suo Galileo era terribilmente anticomunista è diventato aggressivo.

Unione Sovietica
Sono in pieno medio evo. Nessuno pensa per conto suo. E' molto triste. Quest'ortodossia ha qualcosa di terribile. Vivono di slogan che hanno ereditato e nessuno sa cosa significhino.

Fascismo
Il vero fascismo è il "gangsterismo" della classe media penosamente organizzata. C'è più di un intellettuale francese che mi crede fascista. Scambiano il mio fisico con le mie idee. Come attore interpreto un certo tipo di personaggi: re, grandi nuomini, ecc. Questo perchè il mio fisico non mi permette di interpretare altri ruoli.

Orson Welles

martedì 6 settembre 2011

Non qui, non ora

hugo

"Di che cosa si compone una sommossa? Di nulla e di tutto. Di una elettricità che si sviluppa a poco a poco, di una fiamma scaturita improvvisamente, di una forza errante, di un soffio che passa. Questo soffio incontra delle teste che parlano, dei cervelli che sognano, delle anime che soffrono, delle passioni che bruciano, delle miserie che urlano e le trasporta. Dove? A caso. Attraverso lo Stato, attraverso le leggi, attraverso la prosperità e l'insolenza degli altri."  

Victor Hugo, I miserabili

lunedì 5 settembre 2011

Viaggiare

Itaca

Cominciamo dalla fine o dall'inizio non importa. Che ogni fine è anche un inizio, come racconta lo splendido libro che ho letto durante questo viaggio, "Il Signore degli Inganni", di Zachary Mason. Una collana di racconti, variazioni sul tema di Ulisse, i suoi viaggi, i suoi compagni. Giocata su manoscritti, veri o presunti, che raccontano un'altra storia di Odisseo. C'è sempre un'altra storia, fra il vero e il falso - che importa? Mito, altrove, altroquando, dimensioni parallele e tempo. Viaggi, dicevo, e non vacanze: ché la vacanza, una volta, per noi, non esisteva nemmeno. Non c'era la vacanza. C'era l'estate, e basta!
Comincio - dicevo - a raccontare qualcosa. Dopo, alla fine del viaggio. Sulla nave che mi riporta indietro. Così ho cercato di sottrarre al viaggio il vizio della nota, dal vivo. Scrivo dopo. Che già c'è la fotografia ad ottundere la suggestione e lo stupore per quel che si trova, via via, per strada. Se a qualcuno, che passa per di qui, pungesse vaghezza di volerle vedere, le foto, può trovarle, fra un po’, su Facebook, o su Picasa.
Cominciamo, non dall'inizio, o dalla fine. Cominciamo, e basta. Cominciamo da, e su, questa nave che si è colorata di follia. Ad Igoumenitsa è stata assaltata, praticamente. Due ore e passa ad imbarcare torme di famiglie dall'etnia - si dice così, oggi - indefinita. Coperte multicolori e bambini, buste di tela da supermercato come bagaglio da trasportare, fazzoletti variopinti sul capo, le donne. Non so da dove vengano, non capisco che lingua parlino. Cazzi miei, come si suol dire. La notte è trascorsa, i ponti della nave - dentro e fuori - un tappeto di corpi. E' passata, la nottata, e già si vede la Puglia, il Gargano forse, nella foschia del mattino. Itaca alle spalle, quasi un ricordo non ancora. C'era il palazzo di Ulisse, a Itaca, fra Stavros e le capre. Guardava il mare, un po' più in alto. Non di molto. Più sotto sulla destra, Frikes, da dove Telemaco lasciò la casa paterna per cercare notizie. A Frikes sono sbarcato, da Vassiliki (Lefkadia); un'altra nave. E Frikes ci ha accolto con un sorriso, come un sorriso: luogo felice. Da ripensare mentre si ritorna, per ritornarci, su questa nave di folli dove un panino di gomma e una birra costa quanto un litro di vino e una opa grigliata con salmoriglio e con tanto amore: dieci euri!! Continuiamo a tornare ...
Era davvero il palazzo di Odisseo, quello. Vero e reale, come Ilio e Cnosso, come Argo e Micene. Come è vero che Itaca, forse, sono due. E magari, il sud dell'isola con il sonnacchioso ed enorme porto di Vathi (una città che vivrebbe benissimo senza porto: tanto gli è superfluo!), non è Itaca. Magari il mare, ai tempi di Omero (che, giuro, l'ho incontrato a Frikes, dove girava su un motorino), la tagliava in due e il sud dell'isola non è Itaca, bensì lo strano regno di Alcinoo ed i suoi Feaci. Ché strana, Vathi, lo è per davvero. Popolata da mercanti fenici - la lobby dei negozianti di souvenir - capaci di venderti un accendino a tre euri, quando lo compri, lo stesso, nel negozio di mesticheria, poco distante, ad 85 centesimi. Strana, Vathi! Ma forse, anche questo, è solo un modo di vedere. Un modo di viaggiare. E intanto la nave continua ad andare, ed io scrivo e ricordo, ricordo e scrivo. Cambio le carte in tavola, forse senza accorgermene. Bello il viaggio di andata, come sempre: almeno dopo, a ripercorrerlo con la mente. Il viaggio di andata ha sempre promesse da mantenere, e di solito le mantiene. A Igoumenitsa ci accoglie un cane, un occhio cieco, e ci guida - per davvero - alla stazione degli autobus. In fondo Vassiliki, ad aspettarci e tenerci compagnia per qualche giorno e per qualche notte. Dà piacere sedersi più volte allo stesso bar mentre ti impigrisci al conforto dell'abitudine che dura poco. Del resto, anche l'immortalità di Achille - come l'abitudine durante il viaggio - è una strana immortalità, che dura finché non si muore.
Fino alla prossima!