lunedì 11 luglio 2011

Quixote

Quixote-Sancho

La Spagna e il donchisciottismo
di Albert Camus

1085, durante le guerre di riconquista, Alfonso VI, re attivo che ebbe cinque mogli di cui tre Francesi, prese la moschea di Toledo agli Arabi. Informato che questa vittoria era stata resa possibile da un tradimento, fece restituire la moschea ai suoi avversari, poi riconquistò con le armi Toledo e la Moschea. La tradizione spagnola brulica di tratti simili che non sono soltanto tratti d'onore, ma, più significativamente, delle testimonianze sulla follia dell'onore.
All'altra estremità della storia spagnola, Unamuno, davanti a chi deplorava i deboli contributi della Spagna alla ricerca scientifica, ebbe questa risposta incredibile di sdegno e di umiltà: "Spetta a loro inventare". Loro erano le altre nazioni. In quanto alla Spagna, aveva la sua scoperta propria che, senza tradire Unamuno, possiamo chiamare la follia dell'immortalità.
In questi due esempi, tanto nel re guerriero quanto nel filosofo tragico, incontriamo allo stato puro il genio paradossale della Spagna. E non è strano che all'apogeo della sua storia, questo genio paradossale si sia incarnato in un'opera essa stessa ironica, di un'ambiguità categorica, che doveva diventare il vangelo della Spagna e, con un paradosso supplementare, il più grande libro di un'Europa eppure intossicata dal suo razionalismo.
La rinuncia sdegnosa e leale alla vittoria rubata, il rifiuto testardo delle realtà del secolo, l'inattualità infine, eretta in filosofia, hanno trovato in Don Chisciotte un ridicolo e reale portaparola. Ma è importante notare che questi rifiuti non sono passivi. Don Chisciotte si batte e non si rassegna mai. "Ingegnoso e temibile", secondo la vecchia traduzione francese, è il combattimento perpetuo. Questa inattualità è dunque attiva, essa stringe senza tregua il secolo che rifiuta e lascia su di esso i suoi segni. Un rifiuto che è il contrario di una rinuncia, un onore che si inginocchia davanti all'umiltà, una carità che prende le armi, ecco ciò che Cervantes ha incarnato nel suo personaggio deridendolo con una derisione essa stessa ambigua, quella di Molière nei confronti dell'Alceste, e che persuade meglio di una predica esaltata. Perché è vero che Don Chisciotte fallisce nel secolo ed i valetti lo beffano. Tuttavia, quando Sancho governa la sua isola, con il successo che sappiamo, lo fa ricordandosi dei precetti del suo maestro di cui i due più grandi sono d'onore: "Fai gloria, Sancho, dell'umiltà del tuo lignaggio; quando si vedrà che non te ne vergogni, nessuno penserà di fartene vergognare"; e di carità: "...Che quando le opinioni saranno in equilibrio, che si ricorra piuttosto alla misericordia".
Nessuno negherà che queste parole d'onore e di misericordia hanno oggi un aspetto patibolare. Si sospetta di esse nelle botteghe di ieri; e, in quanto ai carnefici di domani, abbiamo potuto leggere sotto la penna di un poeta di servizio un bel processo del Don Chisciotte considerato come un manuale dell'idealismo reazionario. In verità, quest'inattualità non ha smesso di crescere e siamo giunti oggi al vertice del paradosso spagnolo, a quel momento in cui Don Chisciotte è gettato in prigione e la sua Spagna fuori di Spagna.
Certo, tutti gli Spagnoli possono richiamarsi a Cervantes. Ma nessuna tirannia non ha mai potuto reclamarsi al suo genio. La tirannia mutila e semplifica ciò che il genio riunisce nella complessità. In materia di paradosso, preferisce Bouvard e Pecuchet a Don Chisciotte che, dopo tre secoli, non ha smesso anche lui do essere esiliato tra noi. Ma quest'esilio, per lui solo, è una patria che rivendichiamo come nostra.
Celebriamo dunque, questa mattina, trecentocinquanta anni di inattualità. E li celebriamo con quella parte della Spagna che, agli occhi dei potenti e degli strateghi, è inattuale. L'ironia della vita e la fedeltà degli uomini hanno fatto sì che questo solenne anniversario sia posto tra noi nello spirito stesso del chisciottismo. Esso riunisce, nelle catacombe dell'esilio, i veri fedeli della religione di Don Chisciotte. È un atto di fede in colui che Unamuno chiamava già Nostro Signore Don Chisciotte, patrono dei perseguitati e degli umili, egli stesso perseguitato nel regno dei mercanti e delle polizie. Coloro che, come me, condividono da sempre questa fede, e che non hanno anche nessuna altra religione, sanno d'altronde che essa è una speranza allo stesso tempo che una certezza. La certezza che ad un certo grado di ostinazione la sconfitta culmina in vittoria, la sfortuna arde con gioia e che l'inattualità stessa, mantenuta e spinta al suo termine, finisce con il diventare attualità.
Ma per questo bisogna andare sino in fondo, bisogna che Don Chisciotte, come nel sogno del filosofo spagnolo, scenda sino agli inferi per aprire le porte agli ultimi degli infelici. Allora, forse, in quel giorno in cui secondo le commoventi parole del Chisciotte "la vanga e la zappa si accirderanno con l'errante cavalleria", i perseguitati e gli esiliati saranno infine riuniti ed il sogno emaciato e febbrile della vita trasfigurato in questa realtà ultima che Cervantes ed il suo popolo hanno inventato e ci hanno trasmesso in eredità affinché la difendessimo, inesauribilmente, sino a quando la storia e gli uomini si decidano a riconoscerla e salutarla.
 
Albert Camus

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