martedì 10 maggio 2011

Contro il Vuoto

jesi

Un libro del 1979, quello di Furio Jesi a proposito della cosiddetta "cultura di destra". E nel 1979, all'intervistatore che gli chiedeva cosa volesse dire cultura di destra, Jesi poteva rispondere che è “la cultura entro la quale il passato è una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare nel modo più utile, in cui si dichiara che esistono valori non discutibili, indicati da parole con l’iniziale maiuscola”. Tradizione, Passato, Razza, Origine, Sacro. Qualcosa del genere. Ovvero, tutto il ciarpame fatto di luoghi comuni che ama alludere ad un "nucleo mitico profondo ed inconoscibile, ma fondante e modellante". In una parola, il vuoto.
Eppure questa cultura di destra, questa "pappa omogeneizzata" comincerà in quegli anni, in quella fine degli anni '70, ad esser fatta propria dalla sinistra, più o meno extra-parlamentare.
Jünger e il suo operaio, insieme al concetto del politico di Carl Schmitt, cominceranno a contaminare gli operaismi di Cacciari e Tronti. E sugli scaffali delle librerie degli intellettuali a sinistra, cominceranno a far bella mostra di sé Céline, Drieu La Rochelle ed Ezra Pound (intervistato allora in tv da Pasolini). E ancora, Heidegger, e perfino Evola.
Una sorta di pre-pentimento (propedeutico ad altri pentimenti e dissociazioni), in cui si stava a sinistra del partito comunista rivalutando però la "rivoluzione conservatrice", e la "comunità", da preferire rigorosamente alla storia di Marx ed Hegel. Ci si appropriava - o si tentava di farlo - di un patrimonio culturale da strappare, con le unghie e con i denti, ad una destra cui non parve vero di poter finalmente "instaurare un dialogo al fine di superare la dicotomia destra-sinistra".
Di tutto questo, Jesi era già cosciente, ed allarmato. Scriveva infatti che "la maggior parte del patrimonio culturale, anche di chi oggi non vuole affatto essere di destra, è residuo culturale della destra". Esagerato? Forse non tanto, se si pensa come oggi, più di trent'anni dopo, continuino a circolare scritti, accolti con entusiasmo a sinistra come rivoluzionari, che "parlano per non dire nulla".
E allora, può servire l'indagine, fatta da Jesi, sugli apparati linguistici e iconici sottesi al fascismo, al nazismo, al razzismo, tuttora ben presenti nel nostro asfittico panorama culturale.
 
- Furio Jesi, Cultura di destra. Con tre inediti e un’intervista, a cura di A. Cavalletti, Roma, Nottetempo, 2011. -

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