lunedì 21 febbraio 2011

Parla Durruti

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Era il 4 novembre del 1936 e c'era molta attesa per il discorso che Durruti avrebbe tenuto alla Radio CNT-FAI, e che sarebbe stato trasmesso in tutta la Spagna. Quello stesso giorno, la stampa aveva dato la notizia della nomina di quattro ministri anarchici nel governo di Madrid. La Colonna Durruti non era riuscita a liberare Saragozza. Il problema principale, al fronte, era dato dalla difficoltà di approvvigionamento di armi. Durruti aveva fatto ricorso a tutti i metodi disponibili. Ai primi di settembre, aveva perfino mandato a Sabadell un commando di miliziani per farsi consegnare delle armi che erano state nascoste in vista di formare una colonna che non era mai stata creata. C'era anche da dire che, il 24 ottobre, la Generalidad aveva approvato il decreto di militarizzazione delle milizie che rimetteva in vigore il vecchio Codice di Giustizia Militare, a partire dal 1° novembre. Tanto gli amici, quanto i nemici, attendevano di sapere cosa avrebbe detto Durruti. Ben prima che cominciasse la trasmissione, la gente aveva cominciato ad affollarsi intorno agli altoparlanti dislocati per le ramblas, in attesa che la radio annunciasse: "Parla Durruti."
Il decreto di militarizzazione era stato oggetto di accesi dibattiti nella Colonna Durruti, che aveva deciso di rigettarlo, dal momento che non riusciva affatto a migliorare il controllo dei volontari del 19 luglio nelle milizie, né a risolvere la cronica mancanza di armi. Durruti aveva firmato, a nome del Comitato di Guerra, una lettera di rifiuto della militarizzazione indirizzata al Consiglio dei Ministri. La Colonna negava la necessità di una disciplina da caserma, e le opponeva la superiorità della disciplina rivoluzionaria; "Miliziani si; soldati mai!".

Alle 21:30 Durruti cominciò a parlare.

Aveva parlato per un'ora, Durruti, con la consueta energia e chiarezza. Aveva lanciato un allarme. Ricordava ai lavoratori la loro condizione di militanti rivoluzionari. Dava per scontato che i miliziani, che si opponevano al fascismo sul campo di battaglia, non dovessero essere disposti a rinunciare a lottare per l'emancipazione del proletariato e per la rivoluzione sociale. Non venne pronunciata una sola frase demagogica, o retorica, ma ogni cosa andò al suo posto. Ce n'era per tutti. Per chi stava in alto e per chi stava in basso. Per gli operai e per i gerarchi della CNT appoltronati ai posti di comando, per i cittadini comuni e per i consiglieri della Generalidad e per i ministri anarchici nuovi fiammanti. Contro la deriva burocratica, contro la politica del governo. Mentre, nella retroguardia, si confondeva il dovere con la carità, l'amministrazione con il comando, la funzione con la burocrazia, la responsabilità con la disciplina, l'accordo con il decreto e l'esempio con l'ordine e il controllo.
La minaccia di "tornare a Barcellona" fece tremare i rappresentanti politici della borghesia, anche se era troppo tardi per correggere l'errore imperdonabile, e ingenuo, di luglio, quando la rivoluzione venne rimandata "fino a dopo la liberazione di Saragozza".

La conseguenza immediata del discorso radiofonico fu la convocazione, da parte di Companys, per l'indomani, il 5 novembre alle undici di sera, di una riunione straordinaria presso il Palazzo della Generalitad  di tutti i ministri e di tutti i rappresentanti delle organizzazioni politiche e sindacali, per affrontare la crescente resistenza all'esecuzione del decreto di militarizzazione delle milizie, e lo scioglimento dei comitati rivoluzionari. Durruti era causa e oggetto del dibattito, ma tutti evitavano di pronunciare il suo nome. Companys sollevò la necessità di farla finita con "los incontrolados" che, indipendentemente da ogni organizzazione politica e sindacale, "disfanno tutto e tutti ci compromettono". Comorera (PSUC) dichiarò che l'UGT avrebbe espulso dai suoi ranghi coloro che non rispettano i decreti, ed ha invitato le altre organizzazioni a fare altrettanto. Marianet, segretario della CNT dopo essersi vantato del sacrificio dimostrato dagli anarchici con la loro rinuncia ai propri principi ideologici, si lamentò della mancanza di tatto nell'applicare immediatamente il Codice di Giustizia Militare, e aggiunse che dopo il decreto di scioglimento dei comitati, e grazie agli sforzi della CNT, ci sarebbero stati meno incontrolados.
E che non si trattava tanto di gruppi da espellere, quanto di resistenze da vincere, senza provocare ribellioni, e di individui da convincere. Nin (POUM), Herrera (FAI) e Fabregas (CNT) elogiarono gli sforzi fatti da tutte le organizzazioni al fine di normalizzare la situazione dopo il 19 luglio, e rafforzare il potere dell'attuale Consiglio di Governo. Nin mediò nella disputa tra Sandino, capo della Difesa, e Marianet sulle cause della resistenza alla militarizzazione, dicendo che "sostanzialmente siamo tutti d'accordo" e che c'era qualche timore tra le masse "di perdere ciò che avevano vinto", ma" la classe operaia s'impegna a formare un vero e proprio esercito". Nin vede la soluzione del conflitto in corso nella creazione di un commissario di guerra che rappresenti tutte le organizzazioni politiche e sindacali. Per Comorera, molto più intransigente di Companys, il problema fondamentale risiede nella mancanza di autorità del governo: "gruppi di incontrollati continuano a fare quello che vogliono", non solo per la questione della militarizzazione e della condotta della guerra, ma anche per lo scioglimento delle commissioni e dei consigli, o per quel che riguarda l'approvvigionamento di armi nella retroguardia, o per la mobilitazione al fronte. Mancanza di autorità che, per Comorera, si estendeva anche alle collettivizzazioni, "che continueranno ad essere effettuate per capriccio, senza essere sottomettesse al decreto che le regola". Companys accettò la possibilità di modificare il codice militare e di creare un commissario di guerra. Comorera e Andreu (ERC) insistettero sulla necessità di rispettare e far rispettare i decreti. L'incontro si concluse con un indirizzo unitario al popolo catalano per l'adesione disciplinata a tutti i decreti del Governo, e con l'impegno di tutte le organizzazioni a dichiarare il loro supporto per mezzo della stampa a tutte le decisioni del governo. Nessuno si oppose alla militarizzazione: il problema per i politici e per i burocrati era solo quello di trovare il modo per farsi obbedire.

Il 6 novembre il Consiglio dei ministri della Repubblica decideva, con voto unanime (che comprendeva i quattro ministri degli anarchici), la fuga del governo da una Madrid sotto l'assedio delle truppe fasciste. Il disprezzo della Federazione locale della CNT di Madrid si esprimeva in un manifesto bellissimo pubblico che dichiarava:

"MADRID, LIBERA DAI MINISTRI, SARA' LA TOMBA DEL FASCISMO. AVANTI MILIZIANI! VIVA MADRID SENZA GOVERNO! VIVA LA RIVOLUZIONE SOCIALE!".

Il 15 novembre una parte della colonna Durruti combatteva già a Madrid, sotto il comando di Durruti. Il 19 novembre, sul fronte di Madrid, un proiettile, vagante o non, lo colpisce.
Muore il giorno seguente.

Domenica 22 novembre, a Barcellona, una moltitudine, interminabile, caotica e disorganizzata, un corteo funebre. Avanza lentamente. Le due bande musicali non riescono a suonare all'unisono, aumentano la confusione. La cavalleria e le truppe motorizzate che dovevano precedere il corteo sono rimaste bloccate dalla folla. Le auto che trasportano le corone procedono a marcia indietro. Il corteo era guidato da molti politici e burocrati, ma i ruoli ufficiali se l'erano accaparrati Companys, presidente della Generalitad, Antonov-Ovseenko, console sovietico e Juan Garcia Oliver, ministro anarchico della Giustizia della Repubblica, che presero la parola sotto ill monumento a Colombo. Garcia Oliver anticipò gli stessi argomenti di sincera amicizia e di fratellanza tra antifascisti che avrebbe usato nel maggio 1937 per aiutare ad abbattere le barricate dei lavoratori in rivolta contro lo stalinismo. Il console sovietico dette inizio alla manipolazione ideologica di Durruti trasformandolo in un campione della disciplina militare e del comando unico. Companys gli rivolse il più vile degli insulti quando disse che Durruti "è morto ucciso alle spalle come muoiono i codardi ... o come muoiono coloro che vengono assassinati dai codardi". I tre sono concordi nell'esaltare soprattutto l'unità anti-fascista.
Il catafalco di Durruti era già la tribuna della controrivoluzione.
Tre oratori, alti rappresentanti del governo borghese, dello stalinismo e della burocrazia anarchica, si sono disputati la popolarità di un pericoloso incontrollato di ieri che oggi è un eroe imbalsamato . Quando la bara, otto ore dopo l'inizio dello show, e senza il corteo ufficiale, ma ancora accompagnato da una curiosa moltitudine, ha raggiunto il cimitero di Montjuic, non ha potuto essere interrata fino al giorno successivo perché centinaia di corone ostacolavano il cammino. La fossa scavata era troppo piccola, e una pioggia torrenziale impediva che venisse allargata. Non si sa come morì Durruti, dal momento che ci sono sette o otto versioni diverse e contraddittorie, ma è assai più interessante chiedersi perché morì due settimane dopo aver parlato alla radio. Il discorso alla radio di Durruti venne percepito come una pericolosa minaccia, e richiese una risposta immediata, con la riunione straordinaria del governo, e soprattutto con la brutalità dell'intervento di Comorera, appena temperato dalla CNT e dal POUM, ed infine con l'assunzione del compito comune di applicare e far rispettare i decreti.

La sacra unità antifascista tra burocrati operai, stalinisti e politici borghesi non poteva tollerare degli incontrollati della stazza di un Durruti: è per questo che la sua morte era urgente e necessaria. Nell'opporsi alla militarizzazione delle milizie, Durruti personificava l'opposizione e la resistenza rivoluzionaria alla dissoluzione dei comitati, al comando della guerra da parte della borghesia e al controllo statale delle imprese espropriate nel mese di luglio. Durruti è morto perché era diventato un ostacolo pericoloso alla controrivoluzione in marcia. E per la stessa ragione, Durruti doveva essere ucciso due volte.

Un anno dopo, nella commemorazione dell'anniversario della sua morte, la potente macchina di propaganda stalinista del governo di Negrin lavorò a pieno regime per attribuirgli la paternità di uno slogan, originariamente inventato da Ilya Ehrenburg, e approvato in seguito dalla burocrazia dell'alto comitato della CNT-FAI, con cui gli fanno dire il contrario di quello che aveva sempre detto e pensato: "Abbiamo rinunciato a tutto tranne che a vincere". Cioè, che Durruti rinunciava alla rivoluzione. Non esiste più nemmeno la versione completa e precisa del suo discorso irradiato il 4 novembre 1936, dal momento che la stampa anarchica del tempo aveva ammorbidito e censurato Durruti quando era in vita.
Una volta morto, Durruti, avrebbe potuto essere Dio. E fino a Tenente Colonnello dell'Esercito Popolare!

(materiale tratto da http://www.kaosenlared.net/noticia/habla-durruti )

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