mercoledì 24 febbraio 2010

destini



La mattina mi alzavo, di buon'ora. No, non perché fossi mattiniero ma, si sa, nelle caserme la tromba suona assai presto, e tocca poggiare i piedi per terra. Poi, dopo un'ignobile sbobba che chiamavano colazione, mi recavo alla palazzina del comando, dove ritiravo la cosiddetta bolgetta. Una sorta di cilindretto d'ottone, chiuso da un lucchetto e contenente all'interno le chiavi, le chiavi dell'armeria. Una volta in armeria, indossata una tuta blu da lavoro, dopo aver smontato qualcosa, una mitragliatrice, una beretta, un garand, aprivo il mio libro e mi mettevo a leggere. Certi giorni, in cui non avevo punta voglia di leggere, prendevo un paio di vecchi enfield (fucili a canna lunga di fabbricazione inglese) custoditi nel "reparto museo" e, con la scusa di provarne l'efficienza, me ne andavo a sparare al poligono di tiro all'interno della caserma.
Molte cose ancora avevano da succedere, molto da inventare, molto da vivere, da gioire, da penare. Chissà se, diversamente, in qualche modo, tutto sarebbe andato, comunque, come poi è andata. Allora non me ne curavo, di chiedermelo.

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