mercoledì 30 settembre 2009

medioevi



G. de' D. (1318 - 1389)


Giovanni de' Dondi da Padova
per tutta la vita
costruì un orologio.

Un assoluto prototipo, insuperato
per quattrocento anni.
Un meccanismo plurimo, di ruote
ellittiche e dentate,
connesse ad ingranaggio,
e il primo bilanciere;
un'inaudita fabbrica.

Sette quadranti mostrano
la postura dei cieli
e le mute rivoluzioni
d'ogni pianeta.
L'ottavo,
il meno appariscente,
segna l'ora, il giorno e l'anno:
A.D. 1346.

Forgiò di propria mano:
una macchina celeste,
inutile e industre come i Trionfi,
un orologio verbale
che fabbricò Petrarca.

A qual uopo sciupate il tempo vostro
con il mio manoscritto,
se a grado non siete
di rifarlo?

Sorgere e tramontare del sole,
congiunzioni dell'orbita lunare,
Feste mobili e fisse.
Una calcolatrice, eppure,
ancora e sempre il cielo.
D'ottone, d'ottone.
Sotto codesto cielo
oggi viviamo noi.

La gente di Padova
non badava alla data.
Un golpe dopo l'altro,
carri d'appestati sul selciato.
I banchieri
pareggiavano il bilancio.
Scarseggiavano i viveri.

L'origine di quella macchina
è problematica.
Un computer analogico.
Un Menhir. Un Astrarium.
Trionfi del tempo. Sopravvanzi.
Inutili e industri
come un poema d'ottone.

Guggenheim non mandava
a Francesco Petrarca
l'assegno a fine mese.
De' Dondi non aveva contratti
col Pentagono.

Altre belve. Altre
le parole e le ruote. Eppure
il medesimo cielo.
In codesto Medioevo
oggi viviamo noi.

H.M. Enzensberger - Mausoleum -

martedì 29 settembre 2009

tempo senza tempo



Il linguaggio Hopi ha una caratteristica peculiare che lo ha reso piuttosto famoso tra i linguisti: è un linguaggio "senza tempo". Il linguaggio Hopi "[...] riconosce il tempo psicologico, simile alla "durata" di Bergson, ma questo tempo è estremamente diverso dal tempo matematico T utilizzato dai nostri fisici. Tra le proprietà peculiari del tempo Hopi è che esso varia con ciascun osservatore, non permette la simultaneità, e ha zero dimensioni; non può, per esempio, esservi assegnato un numero maggiore di uno. Gli Hopi ad esempio non dicono "Sono rimasto per cinque giorni", ma "Il quinto giorno me ne sono andato". (Language, thought & reality - BL Whorf)

lunedì 28 settembre 2009

Uomini di merda!



Brutti, sporchi e cattivi e, forse proprio per tutto questo, più veri del vero. Niente mezze misure! Bisogna colpire forte, alla bocca dello stomaco e, anche così, ci sarà sempre qualcuno che si rifiuterà di capire. Forse per questo, ANCHE per questo, il film parte come un documentario, a la "Cloverfield", per poi diventare qualcos'altro. Siamo a Johannesburg, ma potremmo essere a Lampedusa. Il campo di concentramento ha assunto le caratteristiche di un gigantesto slum, e gli alieni vanno condotti altrove, più lontano. Ordine di sfratto! C'è un funzionario, gretto e burocratico, che sembra uscito da un libro di Orwell. Wikus, il suo nome. Imparerà, con ritardo e con difficoltà, ma imparerà. A sue proprie spese e sui propri errori.
Imparerà che solo gli alieni, possono salvarci dagli esseri umani!
Siamo dalle parti del capolavoro. come se il Romero de "La Notte dei Morti Viventi" avesse incontrato Pohl & Kornbluth, senza dimenticare Sheckley. Militari sadici e mafiosi nigeriani che indugiano alla magia e al cannibalismo, armi aliene che, come l'oro della Prima Internazionale, si trasformano in inutile carbone, se cadono nelle mani sbagliate.
Citazioni western e metafore sportive (memorabile la corsa dell'alieno che corre, "coperto" dal transformer, come in una scena di "quella sporca ultima meta"), perfino un pizzico di splatter, tanto caro al produttore Peter Jackson.
E, perfino, a mio modo di vedere, un grazioso omaggio a Phil Dick che può essere letto nella predilizione, da parte degli alieni, per ... il cibo per gatti.
Grazie!

District 9
Regia di Neil Blomkamp
Con Sharlto Copley, Kenneth Nkosi, David James, Jason Cope, Vanessa Haywood, Louis Minnaar
112' circa

venerdì 25 settembre 2009

tempo



Con il passare degli anni, ciò che più profondamente cambia non è né il presente né il futuro, bensì il passato!

giovedì 24 settembre 2009

un'idea



"Una psiche priva di sufficienti idee ha bisogno di persone, è incapace di distinguere tra le persone e le idee che esse incarnano.
Nella sua vittimizzazione, essa cerca dei padroni. Da ciò nasce la dipendenza da ogni sorta di maestri psicologici, dallo psichiatra al guru e a tutti i vicoli ciechi dei falsi amori in nome delle idee, dove innamorarsi è un modo per cercare idee, e la battaglia tra gli amanti si rivela alla fine una incompatibilità di fantasie e uno scontro tra prospettive psicologiche."

- James Hillman - da "Re-visione della psicologia" -

mercoledì 23 settembre 2009

Contro il lavoro



Nella mia qualità di studioso, di uomo realmente colto, e come tale un gentiluomo, suppongo di potermi considerare fra i membri indegni di quel corpo indefinito costituito dai gentlemen. E' questa l'opinione dei miei vicini, in parte forse per le ragioni che ho detto, in parte perché non mi si vede esercitare né professione né commercio.

- Thomas De Quincey -

martedì 22 settembre 2009

Fatti nostri!



Humphrey Slater cominciò presto, come pittore di successo, ma, altrettanto presto, scambiò i suoi pennelli con la lotta politica, si iscrisse al Partito Comunista e partecipò alla guerra civile spagnola. Poi tornò nella natia Gran Bretagna, ad addestrare i volontari durante la seconda guerra mondiale, pubblicò alcuni romanzi popolari di enorme impatto, uno di essi venne immediatamente trasformato in un film ("Conspirator", in italiano "Alto Tradimento" di Victor Saville con Robert Taylor e Liz Taylor). Nel frattempo flirtava con il servizio di spionaggio e, infine, nel 1958, si recò in Spagna a scrivere le sue memorie. E qui sparì. Nessuno sa come o dove, ma Humphrey Slater è morto in Spagna a 52 anni e la sua morte resta un mistero, impenetrabile quasi come quello per cui, da quella data, i suoi romanzi non sono stati più ripubblicati da nessuna parte.
Solo adesso, in Spagna, vengono editati i suoi primi due lavori, 'Eretici' e 'Cospiratore' (Galaxia Gutenberg), in cui la sua esperienza politica e il suo disincanto verso la militanza comunista sono ben presenti. Solo ora i lettori sapgnoli avranno modo di conoscere il lavoro di questo autore amico di scrittori come George Orwell e Virginia Woolf e di pittori come Lucien Freud e Francis Bacon. E potranno ad dentrarsi nel mistero della sua scomparsa in Spagna, dove andò la prima volta come comunista e dove ritornò venti anni dopo come un furibondo anti-comunista.
Humphrey Slater potrebbe essere stato un pittore di successo. I suoi inizi nel mondo dell'arte non potevano essere migliori. Nato nel 1906, aveva passato molto tempo in Sud Africa ed era tornato a casa dove, dopo aver completato gli studi d'arte, si sposò a soli vent'anni. Poco dopo organizzò la sua prima mostra, che ebbe ottime recensioni. Ma Slater non era fatto per seguire facili strade.
Nei primi anni trenta si affilia al Partito comunista britannico, con grande dispiacere di sua moglie. Le discussioni tra di loro su questo tema si riveleranno senza dubbio un materiale molto utile quando anni dopo scriverà 'Cospiratore', la storia di un matrimonio borghese tra una giovane donna e un soldato che è in realtà un militante comunista e una spia per il governo del Mosca.
Slater aveva incontrato lo spionaggio da entrambi i lati della barricata. Dapprima, era stato attentamente monitorato dai servizi segreti britannici a causa della sua militanza e dei suoi frequenti viaggi a Berlino, dove aveva avuto incontri con le cellule comuniste mentre cercava di sfuggire alle grinfie del nazismo al potere. Poi, quando la seconda guerra mondiale finì, stava per diventare un agente al servizio di Sua Maestà.
Tra le due fasi della vita, c'era stata una conversione politica, una vera "caduta da cavallo" paragonabile solo a quella di Orwell (e a quella di Koestler). Come Orwell, Slater era andato in Spagna, prima come giornalista e poi come facente parte delle Brigate internazionali, in qualità di ufficiale capo delle operazioni. A quel tempo, la sua militanza gli era già costata il matrimonio. E anche un paio di giorni di carcere, per aver gettato vernice rossa su Hitler. Non esattamente su colui che era il presidente del governo tedesco, ma sulla sua figura di cera esposta al Madame Tussauds di Londra.
Era stato in Spagna per più di due anni ed era tornato nel Regno Unito con gli ultimi brigatisti, e solo dopo essere stato ferito. E fu lì che perse la fede nel comunismo. Ne 'Gli eretici'. nelle storie di tre giovani durante la guerra civile (correlate alle avventure quasi identiche di altri tre giovani nell'Avignone del XIII secolo), si narra di quella stessa trasformazione ideologica.
Rimase nel Partito fino al 1941, quando fu espulso per aver rifiutato di discutere le sue divergenze con l'organizzazione. Durante la seconda guerra mondiale si unì ad un gruppo di istruttori volontari che sarebbero entrati in azione solo in caso di un'invasione tedesca. Lì si relazionò con dei trotzkisti, e la cosa consolidò la sua reputazione di "nemico dei comunisti". Alla fine della guerra creò, insieme a Orwell larivista 'Polemics', che si autodefiniva come "fortemente anti-comunista". Il percorso politico di Slater era giunto al termine!
In seguito divenne uno scrittore. Un romanziere di talento in grado di tenere viva l'attenzione del lettore grazie al ritmo veloce del suo racconto, senza perdere l'occasione di lanciare messaggi politici. In 'Eretici' questi messaggi contro lo stalinismo e le sue forme sono più che evidenti. Uno dei personaggi, durante la guerra civile, assiste alla persecuzione intrapresa dalla gerarchia comunista nei confronti di altri gruppi di sinistra e contro alcuni dei suoi militanti più imprevedibili.
Prima della fine degli anni Quaranta pubblicò 'Cospiratore', che ebbe ancora più successo del romanzo precedente. L'argomento sembra preso di peso dalla sua propria vita: corre l'anno 1946 e un soldato britannico, di famiglia benestante, si innamora di una ragazza di 17 anni, insolitamente matura, anche di buona famiglia. Durante la prima parte, procede come un romanzo d'amore, con i dubbi della ragazza al momento di accettare la proposta di matrimonio, poi le nozze e viaggio di nozze attraverso la Francia e l'Italia. Tutto è perfetto per Harriet, la giovane protagonista, che ha sposato Desmond, un attraente militare dal promettente futuro per vivere con lui in una elegante casa georgiana a Sussex Square. Finché un giorno scopre che il marito, che è apparentemente un conservatore, come ci si può aspettare di un soldato al servizio di Sua Maestà, ha un secondo lavoro come spia per l'Unione Sovietica.
La descrizione dei servizi segreti sovietici non potrebbe essere più cupa. Desmond, la spia, grazie al suo posto nell'esercito è stato in grado di inviare informazioni utili a Mosca, non si rende conto di quello in cui si è cacciato fino a quando non riceve un primo avvertimento per non aver chiesto ai suoi capi il permesso di sposarsi.
Poco dopo comunica ai suoi superiori che la moglie è a conoscenza della sua attività. Il responso è che non ti puoi fidare di una ragazza di estrazione borghese, senza alcuna inclinazione per il comunismo , quindi deve essere uccisa. È la morale del militante: fino alla vittoria finale del comunismo, il più importante principio etico consiste nel fato che ciò che aiuta la rivoluzione è bene e ciò che la ostacola, è male. Gli stessi principi che Slater ha visto applicare decine di volte durante la guerra civile per giustificare l'emarginazione di molti leader quando non la loro eliminazione fisica.
Dopo questi due romanzi, ci fu il flirt con il servizio di intelligence britannica per il quale venne interrogato in vista del suo eventuale arruolamento in qualità di agente. Venne bocciato, in parte perché la relazione preparata su di lui da parte dei funzionari concluse che aveva una "paura quasi esagerata"circa i comunisti e la loro capacità di espandersi nel mondo.
A 50 anni decise di ritornare in Spagna, un paese dove non era più tornato dalla sua fuga precipitosa nel 1938. Voleva scrivere le sue memorie. Poco si sa di quel periodo. Solo che è morto nel 1958. Se ne ignora il luogo e le circostanze. Le ombre che si proiettano sulla sua scomparsa riguardano anche il fatto che nessun suo libro è mai stato ristampato nonostante il suo successo iniziale. Mezzo secolo dopo, il mistero della sua morte continua, ma due suoi romanzi tornano alla luce.

lunedì 21 settembre 2009

Cinema!



G.M. (1861-1938)

Si alza il sipario. Egli batte le mani. Il palcoscenico è vuoto.
Robert-Houdin è morto da tempo. Nel sottopalco del teatro
al Passage de l'Opéra la polvere gronda dalle macchine magiche.
Esausta è La bottiglia inesauribile. Il pipistrello rivelatore tace.
Sbadigliando Parigi abbandona Le Fantastiche Illusioni. Il cranio
chirurgo viene fischiato. Il sogno di un astronomo non fa più cassetta.
La testa amputata è un fiasco. Il baraccone è piombato nel buio.
Il maestro sbigottisce, ha un'idea.

Batte le mani. Un padiglione di cristallo si dispiega
come manovrato da spiriti, a Montreuil. Una serra. Un serraglio.
Lampioni svettano dal parquet. Faticano i paranchi.
Serrande salgono e scendono. Su cavalletti e treppiedi
si muovono latte, lenti e manovelle. Sventolano drappi.
Sbatacchiano i ciak.
Un intero atelier germoglia e si ramifica in camere oscure,
scenari, modelli, quinte, costumi: un macchinario che produce
prodigi, una fabbrica che genera spiriti.
Facciamo pressappoco lo stesso mestiere, dice Apollinaire.
Il maestro addobba e inchioda e inchiostra. Gira e stira.
E inquadra e inguaina. E intonaca. E intona. E sviluppa.

E martella, miscela, stampa, taglia e fa tutto da sé e risponde: Io
sono nel contempo intellettuale e manuale. Suona sette parti,
un'orchestra intera in un sol uomo. E batte le mani.
Lo schermo si oscura. La celluloide traballa e sobbalza.
Egli è il primo, sempre il primo.
Il proiettore gira. Un'automobile appare, sosta e si tramuta
in in carro funebre- Quattro bianchi clowns si tramutano
in un negro gigantesco.
Con ritmo frenetico tutto si tramuta in tutt'altro. Poi esplode.
Poi espande in mille pezzi. Il film è finito. Il cinema comincia.
I Canti di Maldoror guizzano sulla parete bianca. Sul soffitto
passeggiano degli eruditi. Orologi sputano demoni.
Un fumatore d'oppio sogna.
Dagli ombrelli scaturiscono damigelle. Gulliver cresce e si contrae.
La prima reclam esalta la senape Burnibus.

Da una valigia, che esce da una valigia, escono innumerevoli valigie.
Tutti i disastri del progresso sfrecciano innanzi sotto forma d'incubo,
di gag, di sortilegio. Il Maestro batte le mani. E' ora di accendere le luci.
E' lui che ha inventato tutto. L'arresto. La dissolvenza. Il copione.
L'esposizione doppia. La presa in combinazione. La dissolvenza incrociata.
Lo studio.
Il mare delle sue invenzioni lo sommerge, fosforescente,
in bianco e nero. Fanciulle dipinte a mano dipingono con esili pennelli
l'immagine.
Ciò che vedete è il primo film a colori.

Egli batte le mani. E contraffà il non-ancora-accaduto:
L'esplosione dell'incrociatore Maine nel porto di Havana. Il processo Dreyfuss.
L'esplosione del monte Pelé e L'inconorazione di Edoardo VII d'Inghilterra.
Il produttore aggiusta la storia nel teatro di posa. Tutto molto più bello,
più giusto, più esatto e più autentico del vero! Un demiurgo, dicono,
un mago, un'alchimista della luce! Sarà. Eppure non ne ha certo l'aria,
piuttosto, col pizzetto l'embonpoint e i mustacchi, pelato e gioviale,
pare un ammaestratore di pulci.

Egli batte le mani. Già tutto il marchingegno tracolla.
I film s'incendiano. Le macchine cadono a pezzi. La rovina è prossima.
Gli scenari corrono all'immondezzaio. Una frana di fuliggine seppellisce l'inventore.
Un rullo compressore lo stende sul selciato. Che tragedia.
Passano dieci anni.
In un chiosco della Gare Montparnasse siede un vecchissimo signore.
Giocattoli vende, bonbons e piccole trombette. Batte le mani.
Nessuno si ricorda. Nulla accade. E' questo il suo ultimo trucco.
Poi d'improvviso è scomparso.

H.M. ENZENSBERGER - Mausoleum -

domenica 20 settembre 2009

ESPLOSI!



8th Street, New York

Phil Ochs è strafatto e cerca di ricostruire l'intera trama del film "Tempi difficili" per Dylan che invece sembra in procinto di fare un tuffo a rondine dal balcone di un appartamento dell'8th Avenue. Uno di quegli affari eleganti, fatto apposta per farci le feste con della gente bionda disseminata tra i mobili. David Blue, in doppiopetto gessato da gangster, distribuisce indiscriminatamente tranquillanti per animali. Fisicamente, sembra l'unico in grado di gestire Phil Ochs nel caso in cui sia necessario venire alle mani. Dylan è su di giri per qualche strana roba chimica e continua a darsi dei colpetti su tutto il corpo come se seguisse un suo ritmo interiore. I suoi occhi serpeggiano per la stanza alla ricerca di un'apertura. Viene messo all'angolo da una lente 16mm, una giraffa, una ragazza bassa che continua a parlare di matrimonio, e da un sottofondo di svariati strimpellatori di chitarra acustica che fanno finta che lui non sia a portata d'orecchio. Di sotto stanno allestendo un'altra scena del film che prevede T-Bone Burnett vestito da giocatore di golf professionista, con tanto di sacca e cappellino. Il posto si sta riempendo di pazzi. Un piano più sotto, dal marciapiedi di fuori, Ginsberg ci grida che adesso possiamo riprenderlo mentre legge una poesia. Non sembra importi a nessuno. La troupe gronda sudore a causa delle luci e intanto arriva sempre più gente. Di tanto in tanto la fidanzata di qualcuno riesce a scorgere Dylan e cerca di convincere il fidanzato a guardare in cima alle scale. Lui sta accovacciato come un pipistrello dentro a una giacca di pelle nera e mastica tabacco Red Man. Ne offe un po' a una ragazza che gli sta accanto che si sente obbligata a masticarlo. Ma lo sputa tutto giù dal balcone. Manca di poco il Tom Collins di uno che però non si accorge di niente. Nel caminetto hanno acceso il fuoco elettrico per creare un po' di atmosfera. T-Bone si appresta a colpire la palla dal tappeto persiano. E non abbiamo ancora lasciato la città.

- Sam SHEPARD - Diario del Rolling Thunder Revue -

giovedì 17 settembre 2009

Scuola!?!



Chiudiamo le scuole
di Giovanni Papini


Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto - contro la morte - contro lo straniero - contro il disordine - contro la solitudine - contro tutto ciò che impaurisce l'uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.
Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi - in città e in campagna e sulle rive del mare - davanti a' quali non si passa senza terrore. Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all'immobilità, all'abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po' di ricchezza a' fratelli più ricchi o diminuirono d'improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m'intenerisco sopra questi uomini, ma soffro se penso troppo alla loro vita - e alla qualità e al diritto de' loro giudici e carcerieri. Ma per costoro c'è almeno la ragione della difesa contro la possibilità di ritorni offensivi verso qualcun di noialtri.
Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano - delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?
Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano.
Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente! - la scuola può essere il laboratorio di nuove verità. Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi. Quali?
Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera". Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.
Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.
Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli. Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più.
L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà.
Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!)
Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi.
Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento.
Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.
Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia!
L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione. Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé. Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano. Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati. Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico. Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori. Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto.
Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe). La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.
Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro". E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d'averla scappata bella". Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c'è ancora un po' d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti.
La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio - e non è dir poco. Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi!
Si parla dell'educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni.L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.
Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione; politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative. Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia.
L'anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli.
Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità e per la morte.

- Giovanni Papini -

mercoledì 16 settembre 2009

mugshot



Con ogni probabilità il primo ad apparire sorridente in una fotografia, fu Alfonso Capone. E che foto! Un "mug shot" scattato all'indomani della strage di San Valentino, le spalle contro il muro per la foto segnaletica di rito.
Già, il "mug shot"! La faccia incorniciata dentro un foglio con sopra scritto "wanted!" che, dopo qualche anno, sarebbe diventato una foto formato tessera con relativa scheda informativa. Uno strumento - come dire - livellatore, che rendeva uguali tutti coloro costretti a posare loro malgrado.
Colpevoli e innocenti, anarchici e mafiosi, serial killer e rockstar, nazisti e pacifisti. Così, i "Pinkertons" scorrazzavano per il west, a fotografare e ad ammazzare, con brio e senza fare differenza, banditi, disertori e scioperanti. Il passo susseguente, lo compì la polizia francese, nel 1871, quando fotografò i protagonisti della Comune di Parigi ed allegò il ritratto di ogni condannato al suo dossier giudiziario. La pratica si diffuse ed anche in Inghilterra divenne ben presto obbligatoria e, grazie al riconoscimento fotografico, nel giro di pochi anni vennero arrestati 375 evasi.
Era una febbre: alla Expo del 1889, venne presentata la «Fiche antropométrique de Bertillon», e con clamore generale fu adottata da tutte le potenze europee, colonie comprese, dalla Russia e dagli Stati Uniti: al classico "mug shot" frontale, Bertillon aveva affiancato quello di profilo, a cui erano state aggiunte una serie di misurazioni del viso e del corpo, e in seguito le impronte digitali.
A questo punto, nascono i problemi. Il primo, e il più grave, attiene alla quantità: la galleria dei "furfanti" (Rogue's Gallery) della polizia di New York, a pochi mesi dall'adozione del metodo antropometrico, conta già 24.000 immagini di ricercati!
A cercare bene, c'è posto per tutti! E, a cercare bene, le si trovano dappertutto, le foto segnaletiche. Sul primo numero della «Révolution Surréaliste» campeggia la foto segnaletica di Germaine Berton circondata dai ritratti di Picasso, De Chirico, Eluard e Man Ray. Frugando in rete, se ne trovano un bel po', di foto segnaletiche. Chessoio, un Mussolini arrestato a Berna, nel 1903, per vagabondaggio, ma anche Luigi Galleani, anarchico italo-americano, estradato in Italia nel 1919 e condannato a nove mesi di prigione, sette anni dopo, per insulti al duce. Oppure, ritratti e schedati con lo stesso metodo, ci sono, Hermann Goering, per crimini contro l'umanità, e Frank Sinatra, per molestie sessuali. Come se, fotografati, si rimanesse ... "colpevoli in eterno". Colpevole per scherzo Elvis Presley, in visita negli uffici dell'FBI, nel 1970. Colpevole Jane Fonda, nel mirino per la sua propaganda anti Vietnam e arrestata all'aeroporto di Cleveland perché in possesso di strane pillole, vitamine per la verità, e perché diede un calcio al poliziotto che cercava di trattenerla.
Colpevoli per possesso di droga, Jimi Hendrix e David Bowie. Pochi dollari di cauzione e di nuovo fuori. Chi invece non rivide mai più la luce della libertà fu Robert Stroud, due omicidi e un ergastolo trascorso ad allevare canarini e a studiarli fino a conquistare fama internazionale e un posto ad Hollywood, grazie a Burt Lancaster nel film "l'Uomo di Alcatraz".
Nelle varie segnaletiche che gli vennero scattate nei suoi cinquant'anni di detenzione Stroub non sorrise mai. E non sorrise neppure Al Capone nel ritratto che gli venne fatto, un'altra volta, nel giugno 1931, pochi minuti dopo l'arresto per evasione fiscale. Nello stesso anno e nello stesso mese in Italia il regio decreto n. 773, nell'ambito delle leggi di pubblica sicurezza, rendeva obbligatoria la carta d'identità munita di fotografia. Un primo discreto "mug shot", senza foto di profilo, però!
Poi è venuto FaceBook, ma questa è un'altra storia. Forse!

martedì 15 settembre 2009

Vola, civetta!



Nel Labirinto, "ci si trova"! Ed occorre "muoversi" lungo il percorso in cui esso si dipana, "puntando al centro" per poter "risolvere il problema"; e, subito dopo, "cercare una via d'uscita" per sfuggire alla logica stessa di quella ricerca.

lunedì 14 settembre 2009

Raimondo di Sangro



R. di S. (1710 - 1771)

Oggi ancora i fabbricanti di bare di San Domenico favoleggiano di lui, corvi intrisi di segatura,
mormorano leggende di cadaveri scomparsi, ballate commiste di magia e di industria.
Ah, le invenzioni sgorgate dal ribollente cervello del nostro principe, son da tempo disperse!
Necessiterebbe un intero trattato per descriverle tutte con precisione.

Si rinchiuse per anni e anni. Nei suoi forni la matria fantasticava mille metamorfosi.
Emerse, un giorno, con fuochi d'artificio. Sul palcoscenico pirotecnico le fiamme mostrarono
incantate visioni di palazzi, loggiati, alberi, zampilli e cascate esplodere in cielo,
mentre i razzi simulavano artificialmente il cinguettio degli uccelli.

Esitando tra l'utile e il prodigioso, come un aruspice antico, bizzarro e acuto ingegno,
sbiadisce l'ametista in diamante, cuoce dal marmo il lapislazzuli, dalla resina il marmo;
dalla posacea, che qui cresce in grandi quantità, fabbrica seta finissima, anche cappelli e pelle
per calzature, e anche carta. Di più, da una pianta, nessuno può pretendere.

Cinque colori stampati da una sola lastra e con un solo procedimento (ma noi non crediamo a tutto);
un carro nettunico costruito in tal guisa da navigare autonomo e maestoso sui flutti del mare
senza l'uso di visibili meccanismi o forze motrici; fu per il re causa di enorme stupore
veder passeggiare sull'acqua la vettura (non nutriamo dubbio alcuno).

Pari a una droga era questa sua scienza. Dal cinabro e dal mercurio, da oro e madreperla
facea sgorgare il sangue dei martiri, in colori psichedelici.
Alcuni dicono:
Conosceva il sistema per rendere dolcezza all'acqua di mare. Fu dunque un ciarlatano?
Briciole per topi di biblioteca. Kulturgeschichte. Muffa in pot-pourri.

Eppure nella cripta del maestro si erge innanzi a noi una prova: i due scheletri,
avviluppati in una rameosa rete d'arterie, cadaveri metallizzati, enigmatici, violetti,
preparati fin nei più esili vasi capillari della cornea e dei reni. Unica certezza è
che costoro capitarono vivi fra le sue mani. Fu dunque un mostro?

Come un'allegoria di marmo egli si erge, avvolto in una marmorea rete, davanti al suo palazzo.
Ma chi è quell'angelo al suo fianco, quel genio con la fiaccola, colui che lo vela o svela,
dalla sua follia lo libera o in essa lo attorciglia? Chi è in questa luce abbagliante e torva
il negromante? Chi l'illuso? Chi l'illuminato? Chi l'impostore?

- H.M. Enzensberger - Mausoleum -

venerdì 11 settembre 2009

Evaristo



Dì, ti ricordi di Nestor?
Bada, lui si faceva chiamare Evaristo.
Io non l’ho mai conosciuto
eppure non l’ho più dimenticato.
Nestor prese il fucile
non per minacciare
per farsi vedere
non per ferire
per farsi ascoltare
non per uccidere
per troppo amare.


Quando a Lima erano le 15,30 del 22 aprile 1997, meno di un giorno
fa, ero all'aeroporto di Monaco di Baviera e ha suonato il mio
cellulare. Era Nestor Cerpa Cartolini, ovvero il comandante Evaristo,
che mi chiamava. Qualcuno, un giornalista tedesco forse, gli aveva
dato il mio numero e gli aveva fatto sapere che ero disponibile a fare
parte di uno scudo umano per interporsi fra i sequestratori dell'Mrta,
che da 126 giorni occupavano la residenza dell'ambasciatore giapponese
a Lima, e la follia di Fujimori, un discendente di giapponesi che, per
quanto ci costi riconoscerlo, rappresenta la peggior spazzatura giunta
su un continente che ha sempre accolto bene gli emigranti.

Luis Sepùlveda

giovedì 10 settembre 2009

La vita, istruzioni per l'uso ...



"Gli immigrati che sbarcavano per la prima volta a Battery Park non tardavano ad accorgersi che quel che gli era stato raccontato della meravigliosa America non era per niente esatto: la terra forse apparteneva davvero a tutti, ma quelli che erano arrivati per primi si erano già ampiamente serviti, e a loro non restava altro che ammassarsi in dieci nei tuguri senza finestre del Lower East Side e lavorare quindici ore al giorno. I tacchini non cadevano già arrostiti direttamente nei piatti e le strade di New York non erano lastricate d’oro. Anzi, il più delle volte, non erano lastricate affatto. E allora capivano che era proprio per fargliele lastricare che li avevano fatti venire. E per scavare gallerie e canali, costruire strade, ponti, grandi dighe, ferrovie, dissodare foreste, sfruttare miniere e cave, fabbricare automobili e sigari, carabine e vestiti, scarpe, chewing-gum, corned-beef e saponette, e costruire grattacieli ancora più alti di quelli che avevano scoperto all’arrivo."

Georges Perec

mercoledì 9 settembre 2009

di questo ...



«(...) una giovane intellettualità radicale che attacca il capitalismo in riviste e libri, in una maniera piuttosto violenta e uniforme. Ad uno sguardo superficiale essa appare come un serio avversario di tutte le forze che, diversamente da essa, non cercano di ottenere immediatamente un ordinamento razionale della società umana. E tuttavia, anche se la sua protesta può essere autentica e spesso anche feconda, è però troppo facile. Perché di solito si leva contro casi estremi: la guerra, i madornali errori della giustizia, i tumulti di maggio... senza considerare la vita normale nel suo inappariscente errore. Non è spinta al gesto della ribellione dalla stessa struttura di questa esistenza, ma solo ed unicamente da alcune delle sue emanazioni più visibili. E quindi non tocca interamente il nucleo della realtà data, si limita ai simboli; stigmatizza certe degenerazioni vistose e dimentica la serie dei piccoli eventi di cui si compone la nostra vita sociale normale e di cui quelle degenerazioni debbono essere considerate come il risultato. Il radicalismo di questi radicali avrebbe un peso maggiore se penetrasse veramente nella struttura della realtà, invece di prendere le sue disposizioni dal piano nobile. Come può cambiare la vita quotidiana, se non la prendono in considerazione neanche coloro che avrebbero il compito di sommuoverla?»

- Sigfried Kracauer, Gli impiegati, (1930) -

martedì 8 settembre 2009

Critica della democrazia




Nel 1968, dopo un primo sciopero (con occupazione) iniziato il 20 maggio, seguito da una ripresa del lavoro votata a forte maggioranza il 10 giugno, la fabbrica Peugeot di Sochaux era stata di nuovo occupata da una minoranza di scioperanti. Quando la mattina dell’11 i celerini sgomberarono violentemente gli occupanti, le squadre di non scioperanti che arrivavano in macchina per riprendere il lavoro si unirono agli scioperanti contro le forze dell’ordine. Gli scontri causarono due morti fra gli operai. Alcune voci evocarono l’uso di fucili da caccia da parte degli insorti e di alcuni morti fra i poliziotti che le autorità avrebbero tenuto segreti. Vere o false, voci del genere attestano la violenza degli scontri e il modo in cui sono stati vissuti: come un confronto diretto con lo Stato.
Così, dopo aver votato la fine dello sciopero, non solo un gran numero di operai non ritornarono al lavoro, ma si unirono agli estremisti rimasti fino a quel momento isolati: la prima occupazione aveva mobilitato solo un migliaio di persone su oltre 30.000 salariati, di cui 3.000 sindacalizzati. Si può certo far valere la scarsa democrazia delle assemblee manipolate dalla CGT, che si tenevano sotto la pressione dei media e sotto la minaccia di una polizia sempre presente. Ma il fatto di contraddire così massicciamente il proprio voto, e senza essersi riuniti nella buona e dovuta forma per deciderlo, mostra che lo spazio-tempo del voto non è mai primario né decisivo, contrariamente a quanto vorrebbe il principio democratico.

lunedì 7 settembre 2009

Questioni irrisolte



L'episodio degli incendiari che negli ultimi giorni della Comune erano andati per distruggere Nôtre Dame, e si erano scontrati con il battaglione degli artisti della Comune, é ricco di senso, e pone delle questioni ancora irrisolte.
Quegli "artisti", unanimi, avevano ragione di difendere una cattedrale in nome di valori estetici permanenti e, in definitiva, in nome dello spirito dei musei, quando, invece, altri uomini volevano, quel giorno accedere all’espressione di sé stessi, ponendo, con la demolizione della chiesa, la propria sfida totale ad una società che, con la sconfitta della Comune, si accingeva a ricacciare tutta la loro vita nel silenzio?
Gli "artisti della Comune", comportandosi da specialisti, si trovavano già, e di nuovo, in conflitto con una manifestazione coerentemente estremista della lotta contro l’alienazione.
Bisogna rimproverare agli uomini della Comune di non aver osato rispondere al terrore totalitario del potere con l’impiego della totalità delle loro armi.
La frase «coloro che fanno delle rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi una tomba» serve a spiegare anche lo stesso silenzio di Saint-Just di fronte alla ghigliottina!

venerdì 4 settembre 2009

Agar - Agar



"La vita non è questa noia distillata in cui da sette eternità si fa macerare la nostra anima, non è questa infernale morsa in cui ammuffiscono le nostre coscienze, e che ha bisogno di musica, di poesia, di teatro e di amore per esplodere di quando in quando, ma così poco che non vale la pena di parlarne. (…) Buongiorno, buonasera, come sta, il tempo è bello, la pioggia rinfrescherà la terra, dicono i bollettini d'informazione, venga a prendere il tè, il tric-trac, le carte, le bocce, il gioco della dama e gli scacchi, ma non è di questo che si tratta, voglio dire che non è questo a definire la vita immonda in cui viviamo. Quel che la definisce è che ci hanno distillato, a noi tutti, le nostre percezioni, le nostre impressioni, e che le viviamo solo col contagocce, respirando l'aria dei paesaggi dall'alto e dal bordo e l'amore dall'esterno del paniere, senza poter prendere tutto il paniere. E non che l'amore non abbia anima, è l'anima dell'amore a non esserci più. Con me l'assoluto o niente, ed ecco quel che ho da dire a questo mondo che non ha né anima né agaragar."

- Antonin Artaud -

giovedì 3 settembre 2009

A passo di Java



Per anni, questa canzone è stata attribuita a Raymond Callemin, detto Raymond la Science (un membro della Banda Bonnot). Ed era quello che venne indicato sul disco della prima registrazione di questa canzone. Ma il brano è stato scritto da Guy Debord negli anni 1960, e rilasciato su disco nel 1973 con musiche di Francis Lemonnier e la voce di Jacques Marchais.
"La Java des bons enfants" apparve su "Pour en finir avec le travail" (scaricabile qui), un disco prodotto dai situazionisti e dai loro amici.

La canzone si riferisce all'8 novembre 1892, quando l'anarchico Émile Henry, all'epoca dicianovenne, pose una bomba alla sede della compagnia delle miniere di Carmaux a Parigi.
Dopo la scoperta della bomba, da parte di un poliziotto, la stessa venne trasportata al commissariato di Rue des Bons Enfants dove esplose, causando 5 morti.
Emile Henry fu arrestato dopo diversi altri attentati, il 27 aprile 1894, e decapitato un mese più tardi.

Lo Stato francese ricostruì il commissariato all'angolo della Rue des Bons-Enfants, spostandolo dal n.21 al n.24.




La Java des Bons-Enfants

In Rue des Bons Enfants,
Si vende tutto al miglior offerente.
Una volta c'era un commissariato
E adesso non c'è più.

Un'esplosione fantastica
Non c'è rimasto un mattone
Si è pensato fosse stato Fantomas,
Ma era la lotta di classe!

Un pollo zelante arrivò subito
Portando una pentola
Che era girata sottosopra
E che lui rigirò imprudentemente.

Il brigadiere, il commissario,
Mischiati a dei volgari polli
Si sparsero dappertutto in pezzi
Che poi vennero ramazzati via.

Contrariamente a quel che si crede,
YHanno avuto quel che si meritavano
La sorpresa è profonda,
La si può vedere fino alle fondamenta.

Questo è ciò che serviva
Per far la guerra ai palazzi,
Sappiate che il vostro migliore amico
Proletari, è la chimica.

I socialisti non hanno fatto niente,
Per ridurre il danno
Del capitalista infame
Fortunatamente arriva l'anarchico.

Non ha pregiudizi,
I pretii verranno mangiati,
Niente più patria, e nemeno colonie,
E qualsiasi potere, lui lo nega.

Ancora un piccolo sforzo,
E potremo dire che saprà
Regolare radicalmente
Il problema sociale in sospeso.

In Rue des Bons Enfants,
Si vendono bistecche al miglior offerente,
Si vede un avvenire radioso
E il vecchio mondo s'è rotto.

mercoledì 2 settembre 2009

I poeti, che brutte creature!



Era un compito urgente e c'era poco tempo. Pablo Neruda, console del Cile in materia di immigrazione spagnola, aveva compiuto grossi sforzi per salvare i profughi dalla guerra civile. Le istruzioni da parte del governo di Pedro Aguirre Cerda erano precise: si accettano solo quelli che sono utili per l'industria, l'estrazione mineraria e l'agricoltura. Ma il poeta aveva scritto il suo canto d'amore a Stalingrado e aveva il suo metodo: né trotskisti, né anarchici.
Il 3 settembre 1939, la Winnipeg sbarcò a Valparaiso. Aveva lasciato la Francia il 4 agosto, con duemila rifugiati spagnoli. "Erano pescatori, contadini, operai, intellettuali, una parata della forza, dell'eroismo e del lavoro. La mia poesia, nella loro lotta, era riuscita a trovare una patria. E mi sono sentito orgoglioso" - ha ricordato in "Confesso che ho vissuto".
Come aveva fatto con quasi ogni episodio della sua vita, il poeta convertì la storia del Winnipeg in un mito. Un poema di eroismo e di libertà. "Che la critica aborrisca tutte le mie poesie, se crede. Ma questa poesia, che oggi ricordo, non potrà mai essere distrutta" - scrive - "Per la prima e ultima volta devo esser parso un Giove agli emigrati. Decretavo l'ultimo sì o l'ultimo NO. Ma io sono assai più per il Sì che per il NO, quindi dico sempre sì".
Si tratta di una leggenda affascinante, naturalmente, ma una leggenda. In una lettera del giugno 1939, il poeta informa i suoi superiori: "Per esempio, io ho rifiutato l'ingresso agli anarchici, il Messico li ha ricevuti fino a poco tempo fa e ora non sa cosa fare."
L'impresa del Winnipeg, la cui importanza non viene disconosciuta, non è stata esente da quelle divisioni che la guerra civile aveva generato. Questo è stato stabilito sia da due biografi del poeta, il tedesco David Schidlowsky, autore di una monumentale inchiesta, Las furias y las penas, e l'inglese Adam Feinstein (A passion for life), come dallo scrittore americano Stephen Schwartz. Quest'ultimo è implacabile: "Neruda svolse il ruolo di Schindler in senso inverso. Sfruttando il suo status diplomatico, fece in modo che i passaporti necessari per imbarcarsi sul Winnipeg fossero solo per quei rifugiati che condividevano il suo credo politico, che poi era quello di Joseph Stalin. I rifugiati rifiutati vennero condannati a pene detentive o a morire in quella Francia che di lì ad un un anno sarebbe caduta nelle mani degli eserciti di Hitler."
L'anarchico spagnolo Josep Peirats fuggito in seguito alla vittoria di Franco, finito in un campo di prigionia e poi fuggito, cercò di raggiungere il Winnipeg insieme ad un paio di compagni, ma venne rifiutato - si dice - perché non era stalinista. Secondo un resoconto della CNT sulla rivoluzione spagnola, i viaggi erano controllati dai comunisti e, nel caso del Cile, Neruda "fece la selezione".
Tuttavia, durante l'operazione del Winnipeg, vi furono dei rigugiati che non erano comunisti e che riuscirono ad infiltrarsi a bordo. Fu il caso di Fernando Solano Palacio, che viaggiò come clandestino.
"Il signor Neruda cercò con tutti i mezzi, per quanto ignobili e sleali fossero, di respingere il maggior numero possibile di anarchici, imbarcando i comunisti al loro posto, senza essere in ciò ostacolato, avvalendosi del suo incarico di agente consolare, nonostante avesse messo la sua attività, non al servizio del Cile, bensì al servizio del Partito comunista e dei suoi amici" - ha raccontato nel suo libro di memorie "El éxodo. Por un refugiado español".
Almeno Solano riuscì ad arrivare in porto. Il pittore Eugenio Granell Fernandez, invece, fu invitato a scendere durante il viaggio. Trotzkista per tutta la vita, venne esiliato a Santo Domingo. Secondo David Schidlowsky, l'86% delle domande di rifugiati anarchici vennero rifiutate: "La percentuale di anarchici che finirono in Cile fu lo 0,9% del totale, a dimostrazione del successo dei regimi comunisti e di Neruda ".
Questa è l'altra storia del Winnipeg.

martedì 1 settembre 2009

Ricordando ...



Se morissi adesso o fra due giorni o un anno
Ecco il mio testamento.

Il testamento di un comunista.
Avido di conoscenza e d'amore, vissuto e morto povero e curioso.

Lascio tutto il mio disprezzo a chi mi ha usato.

Lascio tutto il mio odio a chi mi ha dato un mondo senza gioia,
Da attraversare a pugni stretti.

Lascio la nostalgia per le moschee di Gerusalemme e gli ulivi di Puglia
Ed ogni roccia, pianta, finestra, stella
Che i miei occhi hanno accarezzato nel cammino.

Lascio universi di dolcezza
Alle donne che ho amato.

Lascio fiumi di parole
Dette e scritte
Spesso con rabbia,
Raramente con saggezza,
In malafede mai,
Un mare di parole
Che già evapora al vento rovente del tempo.

Lascio a chi vorrà raccoglierlo,
Il testimone del mio entusiasmo
Nella folle staffetta mozzafiato,
-volgendomi indietro non so più se ho corso da solo-.

Lascio il mio sorriso a chi sa ancora sorridere
e le mie lacrime a chi sa piangere ancora.

Non è poco.

In cambio, voglio essere sepolto senza cippi e lapidi
Fra le radici di un albero grande
In piena nuda terra rossa e grassa
Perchè il mondo con me respiri ancora
E si nutra con me di ogni fibra.

Con me (non vi sembri retorica)
Solo una bandiera rossa
E la nave di ritorno
Intagliata con le unghie nella pietra
Di un prigioniero assetato di vita
Nel deserto del Neghev.


- Dino Frisullo -