lunedì 8 giugno 2009

la storia siamo noi



"... Cominciai a lavorare sul serio, al mattino mi alzavo alle 5 per il primo turno; oppure rientravo a casa a mezzanotte quando facevo il secondo stanco morto, abbattuto. Al circolo continuavano a rompermi le scatole perché facessi attività di partito. Il Capra ingenuamente arrivava perfino al ricattino involontario: "Come, noi ti abbiamo aiutato a trovare un posto, ora datti un po' da fare." Così cominciai a lavorare per la cellula, il sindacato, la commissione interna. Ma in modo svogliato. Poi vennero i fatti di Piazza Statuto.
Fu il primo segno del risveglio. Nell'estate del 1962, per la prima volta la base rivoluzionaria scavalcò apertamente il partito, mandò affanculo i vecchi tromboni. La battaglia durò tre giorni e l'Unità ci chiamò teppisti allineandosi coi borghesi. Fu il crollo per molti compagni delle ultime illusioni di un ravvedimento rivoluzionario del PCI. Mi ricordo di Pajetta: era con noi, non sapeva cosa fare, il grande dirigente non era più davanti a un folla entusiasta, ma in mezzo a gente esasperata che gli stava mangiando il piedistallo eretto in tanti anni sul suo passato di combattente. Quando gli arrivò una pietrata, allora si risvegliò mettendosi a sbraitare contro i padroni e gli sbirri, spingendoci all'attacco. Il suo passato di partigiano riemergeva dall'inconscio. Poi, a mente fredda, il giorno dopo, su l'Unità ci chiamò fascisti! Demmo tante botte in quei giorni e ne prendemmo. Alcuni compagni del gruppo come "Piero il tranviere" erano addirittura arrivati con le pistole. Mi ricordo bene di Adriano in quei giorni, si batteva contro tre o quattro poliziotti per volta.
La delusione più grossa l'avemmo l'ultimo pomeriggio; la polizia, quelle carogne fasciste del battaglione Padova avevano arrestato uno dei nostri più cari compagni della Fgci, Garino. Si era rimasti in pochi, eravamo alla fine; durante una delle ultime cariche Garino si era buttato avanti da solo, contro i plotoni che avanzavano compatti. Lo chiusero in mezzo pestandolo selvaggiamente, cercammo di strapparlo ai poliziotti, ma erano in troppi, ci ritirammo tutti pesti. Poi, la sera, andammo alla festa dell'Unità rionale: cercammo di fare una colletta per Garino e per gli altri. I dirigenti ci aggredirono con aspre critiche dicendo che ci eravamo lasciati trascinare dai fascisti e dai teppisti provocatori. Ricordo quella scena con rabbia e con dolore. C'era la tavolta solita, di "capoccia". Le bottiglie di barbera, gli agnolotti, i salamini caldi: la classica tavola piemontese a cui si riduceva ormai tutta la prassi rivoluzionaria di un partito che aveva innalzato un tempo su tutta la merda fascista e borghese la bandiera rossa della speranza e della rivolta. Tra un agnolotto e l'altro cu rimproverarono con disprezzo, loro che non si erano mossi dalla botte del vino per tutto il giorno. "Se quelli che si sono battuti contro la polizia sono fascisti", gridammo, "siamo fascisti pure noi!" "Certo che quasi quasi vi siete comportati da teppisti." Fu la rottura. Prendemmo un tavolo con salamini e vino e bagna cauda e lo sbattemmo in faccia ai dirigenti. E quella sera, per la prima volta fra compagni, finì con altre botte..."

Testimonianza, sui fatti di Piazza Statuto, di Sante Notarnicola, 25 anni, operaio chimico

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