lunedì 16 marzo 2009

Il grugnito di Kowalski



"Gentle now a tender breeze
Blows whispers through
The Gran Torino
Whistling another tired song
Engines humm and better dreams
Grow heart locked
In a Gran Torino
It beats a lonely rhythm
All night long it beats"

Come Johnny Cash, anche Clint Eastwood possiede la magia. Quella sorta di "luccicanza" che permette di prendere in mano un "pezzo" non troppo brillante, non troppo bello, e di trasformarlo in qualcos'altro, in qualcosa di proprio, a volte di sublime.
Johnny Cash lo faceva con le canzoni, Clint Eastwood lo fa con le sceneggiature.
E una storia, forse esile, qui, in "Gran Torino", diventa una sorta di epica, giocata fra redenzione e sacrificio, fino alla logica amara conclusione. Gioca tutto sé stesso, Eastwood, in quello che ha deciso sarà il suo ultino film, anche come attore; cancellando e sottraendo, fino a mettere in scena la piega della sua bocca, e un grugnito, in cui c'è tutto quello che ormai rimane. Quello che serve. Tutto è ridotto ai minimi termini. Detroit è una città fantasma. Detroit è due strade e due case. Detroit è quello che il mondo è diventato, come lo hanno fatto diventare, dallo stato del Michigan fino al Piemonte, a Torino e altrove.
Fuori dai quartieri residenziali, dove vivono i figli, perfetti sconosciuti con i loro SUV giapponesi costruiti per rompersi a tempo. Là, dove l'ultimo americano - con tanto di bandiera a stelle e strisce sulla veranda - è un polacco. Là rimane l'unica e forse l'ultima possibilità di salvezza, portata dai ... migranti.
Fra due strade e due case, si consuma l'iniziazione e la tragedia.
Thao sceglierà, ed erediterà la "Gran Torino", insieme alle "scuse" di Kovalski, ed anche di Callahan, di Gunny, di Coogan ...
L'ultimo, estremo, tentativo di aggiustare l'equilibrio di un'asciugastrice che traballa!

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