venerdì 31 ottobre 2008

triangoli



C'è una storia, assai poco nota, che racconta di una parte di quei cinquecentomila spagnoli che, fra il gennaio ed il febbraio 1939, avevano attraversato la frontiera che separava la Catalogna dalla Francia per sfuggire alla "limpieza" del franchismo trionfante. Dodicimila circa, di quei cinquecentomila, attraverso varie vicissitudini, finiranno internati nei campi di sterminio nazisti. Erano ingombranti, i rifugiati spagnoli in Francia, e il governo non sapeva davvero che farsene. Dapprima, trattenuti sui Pirenei, poi trasferiti sulle spiagge del sud-est, rinchiusi fra mare e filo spinato, nella sabbia umida. Poi, con l'aggravarsi della minaccia di guerra, le autorità francesi costruirono le C.T.E (Compagnies de Travaillieurs Etrangers): ciascuna comopagnia consisteva di duecentocinquanta internati messi agli ordini di un ufficiale della riserva. Lavoravano alla costruzione di infrastrutture pubblice e al completamento della famosa, quanto risibile, "linea Maginot". Altri cinquemila rifugiati, ansiosi di battersi contro i nazisti, si arruolarono nei "Battalions de Marche" della Legione Straniera.
La disfatta cui andò incontro l'esercito francese, nel giugno del 1940, fece sì che molti di loro cadessero prigioneri dei tedeschi. Il ministro degli esteri spagnolo, nonché cognato di Francisco Franco, Ramon Serrano Suner, si spese in sollecitazioni nei confronti del Reich, affinché non fosse loro riconosciuto lo status di prigioneri di guerra.
Furono così rinchiusi nel campo di Mathausen, in Austria, allora riservato ai detenuti sia politici che comuni.
Anche la qualifica di "politici" venne loro negata, quella che dava diritto al triangolo rosso con al centro l'iniziale della nazionalità. "Rotspainer", oppure "Spanicher Bolschewik", così vennero chiamati e venne loro cucito addosso il triangolo blu che marchiava gli apolidi. Alcuni vennero destinati alla costruzione delle ville delle SS. e delle recinzioni del campo. La maggior parte andò a lavorare nella "Cantera", la cava di pietra.
Riuscirono in parte ad adattarsi, e a soprravvivere. L'età media era sui ventisette anni. Impararono un po' di tedesco dai volontari austriaci e tedeschi che avevano combattuto in Spagna nelle Brigate Internazionali. Organizzarono dei corsi di lingua: era importante capire cosa urlassero i Kapò. Nel giugno del 1941 costituirono il Comitato Spagnolo di Resistenza che fu la prima cellula dell'A.m.i (Apparato militare internazionale): un organizzazione di resistenza formatosi grazie all'apporto degli ex-miliziani delle Brigate Internazionali. Fu questo comitato che gestì il campo nel periodo intercorso fra la fuga delle SS e l'arrivo degli Alleati. Questi ultimi, quando arrivarono, furono accolti da un grande striscione:
" Los Espanoles Antifascistas Saludan A Las Forzas De Liberacion".
Nel frattempo era morto più dell'ottanta per cento di loro.
Fu l'unico gruppo nazionale che, immediatamente dopo la liberazione, costituì un tribunale straordinario che condannò a morte, e fece giustiziare, i connazionali che erano diventati Kapò agli ordini delle SS.
Nel campo di Mathausen c'è una stele, fatta erigere dal Governo della Repubblica Spagnola in esilio. Sopra una semplice scritta:
" Homenaje a los 7.000 Repubblicanos Espanoles muertos por la Libertad".

giovedì 30 ottobre 2008

"A volte il male ha un volto familiare"



Mai avrei pensato che il titolo dell'ultimo romanzo di Girolamo De Michele, "Con la faccia di cera", potesse essere tratto da una canzone, oramai quasi dimenticata, di Adriano Celentano, "Un albero di trenta piani"!
Però, a pensarci bene, considerato l'argomento e le ... edizioni, se parliamo di ecologia, bisogna dare a Celentano quel che è di Celentano. E andiamo avanti.
Si comincia da "Lost" (sì, proprio il telefilm-cult) e da un libro, per un attimo dimenticato sul sedile di un treno, e si finisce in un condominio di provincia, a Ferrara. E non c'è niente di meglio di un "isterigramma", per cercare di padroneggiare una situazione che, ad ogni pagina, scolora nella follia. Poi, a complicare le cose, una donna (e le donne, le cose, le complicano, e non poco), una donna che ... sembra che nelle foto non venga. Sarà perché si muove velocemente!?
E dire che il protagonista, e fotografo, con le immagini ci mangia!
Ma c'è anche una zia, per non parlar dello zio, una zia-che-non-ci-sta-tanto-con-la-testa che è scomparsa insieme al gatto, oppure, forse, no. Forse è solo la nebbia. E la nebbia evoca fantasmi. Allora, è - potrebbe essere - la fotografia la maniera per fermare e illustrare il racconto di quello che è realmente esistito. Prima che venga inghiottito per sempre dalla nebbia. C'è anche un'alzata di ingegno, nel libro, quando si fa dire che Ferrara non ha niente da invidiare, in bellezza, a Firenze! Ma, forse, è solo che a Ferrara, come a Firenze, a Taranto come a Siracusa, siamo diventati tutti, in qualche modo, dei fantasmi. Ed è per questo che ci fotografiamo!
Mi ero abituato alle lezioni di Girolamo su come si deva fare il caffé e su come si possano usare i gusci delle cozze come se fossero dei cucchiai per mangiare il riso. Ma, stavolta, la lezione è assai più "seria", fatta a base di chimica e distoria, di polimeni e di sigle di morte che suonano CVM e PVC. L'odore di mandorle amare non è quello che aleggia improbabile sul luogo del delitto in un altrettanto improbabile romanzo di Agatha Christie, con qualche piccolo omicidio. E' un olezzo che oramai impregna tutte le nostre belle città di morte.
Non manca come sempre, per non deludermi, la citazione da una canzone; dal giudice di De André. Non manca la musica.
E tutto sembra, e si muove, come se Bilal avesse sceneggiato "Il segno del comando".

martedì 28 ottobre 2008

Pasquale Moccia



L'ultima volta che l'ho incontrato - non è passato troppo tempo - eravamo da feltrinelli.
Era qualche anno che non ci vedevamo, e non sapevo che si fosse messo a ... scrivere libri.
Fatto sta che uscii dalla libreria con in mano un libro, e un indirizzo e-mail, nonché la promessa che, letto il libro, gli avrei scritto per dirgli cosa ne pensavo.
Il libro non l'ho ancora letto, e la mail non gliel'ho mandata ed entrambe le cose sono diventate una promessa che non manterrò mai più!
L'ho saputo adesso, pochi minuti fa, quando ho letto su rekombinant la mail di Francesco Panichi.
Dormi bene, Pasquale!

Porto di Mare



Non sempre il giovedì sera ti vien voglia di uscire di casa. Alle dieci, undici di sera, quando di solito comincia il concerto, l'ora è un po' tarda. Specialmente se la sveglia ti aspetta alle sei e mezza del mattino successivo. Così a volte la pigrizia, e la preoccupazione del giorno dopo, vince sulla voglia di rivedere qualche faccia amica e sul giocarsi la possibilità di ascoltare qualcosa che valga di essere ascoltato, sentito. Come giovedì scorso.
Forse non lo diresti mai, ma Romi Mayes non ci perde affatto nel confronto che qualcuno ha voluto fare con personaggi del calibro di Lucinda Williams e Mary Gauthier. Canadese di Winnipeg, e Winnipeg nei miei ricordi "meteo" compare come una delle città più fredde del mondo, non ha niente del freddo polare che mi verrebbe da associarle. Chitarrista di gran vaglia, oltre che song-writer di razza, per più di un momento mi ha fato sentire come se stessi ascoltando una versione femminile di Kris Kristofferson. Canzoni da farti sognare, nuove e antiche allo stesso tempo. Perfette nel loro incedere e nella loro struttura. Ma poi sa anche stupirti. Abbraccia i generi e li fa suoi. Il blues, come se fosse Janis Joplin e il rock'n'roll che fa battere le mani, a tempo. Un disco nuovo, impilato, sul tavolo, in vendita. Un disco prodotto con tutti i crismi da Gurf Morlix, e con gli arrangiamenti giusti. Poi, un altro disco, otto canzoni live. Li ho comprati entrambi. E il ricordo del concerto, più tardi, quando li ho ascoltati, ha sovrastato la perfezione di "Sweet Somethin' Steady". Poi sono passato al secondo, dove in fondo ho trovato la canzone che mi aveva stregato. "Drink Until Four". La voce e la musica, il cuore e la semplicità.

lunedì 27 ottobre 2008

marxismi!?!



"Monsignor Marx è marxista. Meglio chiarire: l´arcivescovo che siede sullo scranno che fu di papa Ratzinger a Monaco di Baviera si chiama Marx, ha per nome di battesimo Reinhard, e sta per pubblicare un libro, molto atteso in Germania, intitolato «Il Capitale. Una difesa dell´uomo», in cui rivaluta l´opera del suo omonimo Karl, cioè il filosofo di Treviri, trattandolo come un profeta della modernità: «Nella sua analisi del capitalismo aveva visto giusto». Il caso è molto tedesco e dialettico: il Marx alto prelato rivaluta il Marx fondatore del comunismo. Con una complicazione piuttosto seria, perché il Marx vescovo, in quanto membro del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, sovrintende ai contributi che confluiranno nell´enciclica sociale di Benedetto XVI. E allora, visti i tempi di depressione da subprime, prendiamo per buono ciò che dice il Marx Reinhard, ovvero che «un capitalismo senza un quadro etico è nemico del genere umano». Ma se tanto ci dà tanto, cioè se il Marx rivalutato da Marx finisce anche di sbieco nell´enciclica papale, si profila la notevole opportunità che riveli una sfumatura marxista o marxiana anche Ratzinger: e questo, non c´è santo o papa che tenga, non l´aveva previsto nessuno, neanche Marx (quello vero)."

- Edmondo Berselli (Repubblica, Lunedì 27 Ottobre 2008) -

poeti!



L'obiettivo è il consolato cileno. Il suo console, in particolare. Dicono che abbia delle simpatie anarchiche. "Dobbiamo 'buscar tre pies al gato'"- che tradotto vuol dire più o meno che dobbiamo metterlo alla prova, o, meglio ancora, "chiedere una cosa impossibile".
Gli chiederemo tre casse di esplosivo da cava!
Un incontro - come dire - "circospetto". Lui è seduto dietro una scrivania dorata; noi, le armi in pugno, rimaniamo in piedi davanti a lui. Ci racconta dell'oriente, di posti dove è stato console, e ci racconta del suo amore per la poesia spagnola. Forse è la nostra richiesta a non essere troppo ... "poetica". Non abbastanza, comunque.
Il suo "status diplomatico" gli fornisce una buona scusa per poter non promettere niente.
Tutte storie! E' solo spaventato da qualcosa che lo affascina ma che non sa riuscire ad amare.
No, non ci riesce: è solo un poeta. Troppo povero per il mondo. Si chiama Pablo Neruda.

venerdì 24 ottobre 2008

problemi con le donne



Sarà la Repubblica, in Spagna nel 1936, ad arruolare le donne e a costituire battaglioni femminili e misti.
Scrive Theo Rogers, in "Spain, a tragic journey", a proposito dello spirito di questi reparti: "Hanno armato la furia, ed essa si è rovesciata sulla città." A questo proposito c'è un aneddoto significativo. Nel novembre del 1936, durante un combattimento attorno ad un ponte sul Manzanarre, a Segovia, i legionari di Franco si trovarono di fronte ad un battaglione di miliziane. Queste, ad un certo punto, cessarono il fuoco. Il comando legionario, allora, fece avanzare una squadra seguita da un plotone, ma improvvisamente "quelle vipere" - così si esprime il rapporto dell'ufficiale legionario in comando - "aprirono un intenso fuoco di mitragliatrice che falciò parecchi soldati". Quando poi l'unità legionaria riuscì a stringere le fila, queste abbandonarono di nuovo la posizione, scomparendo. Il rapporto si conclude affermando: "preferimmo non inseguirle perché non abbiamo voluto cadere nella provocazione di questo isterismo femminile assetato di sangue".
Nel 1941, una commissione repubblicana, in esilio in Francia, valuterà intorno ai 23.570 i casi di stupro di miliziane cadute prigioniere nelle mani dei fascisti.

giovedì 23 ottobre 2008

ambasciate e trappole



Durante la guerra civile spagnola, ile ambasciate, i consolati e le loro dipendenze, rimasti in area repubblicana, divennero non solo centri di traffici di tutti i tipi ma si trasformarono in rifugi per i ricercati e per i capitali in fuga e, alla fine della guerra, perfino in comode basi per azioni di contro-guerriglia urbana. A Madrid, le ambasciate ostili alla repubblica affittavano appartamenti che trasformavano in "territori" a sovranità straniera.
Ad esempio, in uno di questi, il 3 dicembre 1936, vennero snidati a fucilate ben 387 fra falangisti e monarchici.
"Hanno abusato dell'ospitalità che è stata loro offerta" - dichiarò alla stampa, per giustificarsi, l'ineffabile ambasciatore uruguayano!
Vanno ricordate, però, tre eccezioni: quella della Gran Bretagna, la cui ambasciata era un club di bevitori di porto piùttosto che un luogo d'asilo; quella degli Stati Uniti, i quali non si sporcarono mai le mani con questioni di rifugiati; e quella del ... Siam. Quest'ultima era una falsa rappresentanza diplomatica, creata dai servizi di sicurezza per localizzare ed arrestare i ricercati. Installata al numero 12 della Calle de Juan Bravo, con tutte le apparenze esteriori in regola, compresa la bandiera. Gli ideatori della trappola fecero girare la voce che era un'ambasciata compiacente, e quindi la riempirono di microfoni per ascoltare le conversazioni.

mercoledì 22 ottobre 2008

Marx e il ciabattino



Al calzolaio Weitling, che durante le riunioni dell'AIT lo trascinava in furibonde polemiche, con le sue astruse teorie sulla società perfetta, corredate da decaloghi sui comportamenti cui ognuno avrebbe dovuto attenersi, Marx, dopo aver spiegato che una volta create le condizioni per la crescita di ciascuno, nella società socialista anche chi in precedenza era destinata a fare solamente la cuoca avrebbe potuto governare, alla provocatoria domanda " E chi farà il ciabattino?", rispose "Tu, naturalmente!"

martedì 21 ottobre 2008

compagni che tornano ... in mente



Non lo so perché, davvvero! Succede. A guardare la televisione, i suoi servizi giornalistici. Notizie. Morti. Muore giovane chi è caro agli dei, si diceva da qualche parte. E un motivo forse c'era, quello di far sì che non accadesse il peggiore dei mali: diventare la caricatura di sé stesso!
Così apprendo, oggi, della morte dell'ennesimo "padre della patria". Non sto nemmeno a dirne il nome. Il solito percorso, ""Giustizia e Libertà", poi la resistenza e la liberazione. Ah, certo, la CGIL, senza dimenticare il partito di sinistra senza compromessi, mai comunista: il psiup, lo votava anche mio padre (ah, lui era comunista!) e, fra i sessanta e i settanta a Siracusa, ricordo, arrivava oltre l'11%. Un bel primato! Ah dicevo, del morto eccellente. Ho visto passare gli ultimi fotogrammi della sua vita. Agitato come un pagliaccio, insieme ad altri pagliacci della politica. Estrema ingiustizia e vergogna. Ai miei occhi, ovviamente. No, non dirò il suo nome. Ne farò un altro invece. Un modo di rispondere, il mio, come al gioco delle carte. Un tressette, magari.
Alla meno!
Non lo so, dicevo, ma mi è tornato in mente, Gianfranco. Uno che diceva, quando era detenuto a Trani, che "io in carcere sto benone, è il posto migliore dove stare di questi tempi". Lo stesso che, quando scoprì di essere malato di cancro, argomentò: - "allo stato gliel'ho messa in culo!", ritenendo preferibile la morte ad un'esistenza da detenuto. Lo so, libertà è una parola desueta. La libertà con la maiuscola, al singolare. Niente a che fare con le libertà plurali, quelle da confezionare e riporre nei rispettivi contenitori.
Gianfranco, era entrato nel PCI nello stesso anno in cui sono nato io. Forse una differenza d'età eccessiva, per poterlo chiamare amico. Forse. E quando ne è uscito io avevo solo otto anni, Si è laureato che io ne avevo undici, di anni. Poco dopo esce da "Quaderni Rossi", quando si accorge della svolta "entrista" nel PCI che la rivista stava assumendo. Uno come lui che ha riversato i suoi più violenti e dissacranti insulti su pci, sui sindacati, sul movimento operaio e la sua storia, sugli stessi operai! Senza mai esserne fuori, da sinistra. Eran quegli altri, ad esserne fuori. Un partigiano che detestava l'antifascismo! Anarchico per aver studiato Marx e brigatista senza condividersi. E stanco, alla fine, dei tanti disperati tentativi di inventarsi un'altra storia. Una risata che li seppellirà, tutti! Compreso Gad Lerner che su "Il Lavoro" di Genova, il 13 febbraio 1981, provava a scrivergli un necrologio. Borghesi, non avete capito un cazzo!

Gianfranco Faina (Genova, 6 agosto 1935 - Vignola (MS) 11 febbraio 1981 - e oltre)

Qui, in questo zinco
sta un uomo morto,
o le sue gambe o la sua testa
o di lui anche qualcosa di meno,
o nulla, perché era
un agitatore.
Fu riconosciuto fondamento del male.
Sotterratelo. E' meglio
che solo la moglie vada con lui allo scorticatoio.
Chi altri ci vada
è segnato.
Quel che è lì dentro
a tante cose vi ha aizzati:
a saziarvi
e a dormire all'asciutto
e a dar da mangiare ai figli
e a non mollare d'una lira
e alla solidarietà con tutti
gli oppressi simili a voi, e
a pensare.
E siccome quel che è lì dentro ha parlato così,
l'hanno messo lì dentro e deve essere sotterrato,
l'agitatore che vi ha aizzati.
E chi parlerà di saziarsi
e chi di voi vorrà dormire all'asciutto
e chi di voi non mollerà d'una lira
e chi di voi vorrà dar da mangiare ai figli
e chi pensa e si dice solidale
con tutti coloro che sono oppressi,
quello, da ora fino all'eternità
dovrà essere chiuso nella cassa di zinco
come questo che è qui,
perché agitatore, e sarà sotterrato.

(Bertolt Brecht)

lunedì 20 ottobre 2008

il problema della chiesa



Nel 1834 i madrileni bruciarono conventi e chiese dei gesuiti, perché convinti che questi avessero avvelenato l'acqua dei pozzi. Lo stesso si ripetè, in quasi tutta la Spagna, l'anno dopo. Nella cosiddetta settimana tragica di Barcellona, nel 1909, molte chiese e conventi furono bruciati e si cominciò a sparare sui preti. Infine, nel 1931, nelle giornate di maggio, centinai di edifici religiosi furono assaltati e dati alle fiamme, soprattutto in Andalusia e a Madrid. Questa "tradizione spagnola", in realtà, mette in luce il grosso peso della chiesa cattolica negli affari della vita quotidiana, ed il sentimento popolare continuamente umiliato dal suo potere temporale ed economico. Possiamo valutarlo grossomodo così: 80.000 religiosi con un indotto di 140.000 persone occupate direttamente, 11.921 proprietà rurali, 7.828 proprietà urbane, 4.192 censos. Un giro d'affari di circa 129 milioni di pesetas, a cui vanno aggiunti gli interessi bancari di un capitale investito per più di 650 milioni di pesetas. DI fronte a questo impressionante impero non si può non sorridere del candore di Andrés Nin quando, sulle colonne de "La Vanguardia", nel 1936, scriveva: "La classe operaia ha risolto il problema della Chiesa semplicemente non lasciandone in piedi una".

L'espressione "A-dios" (con dio), usata come saluto, fu abolita allo scoppio della guerra civile, nel 1936, per la prima volta, nel piccolo villaggio di Tosas, sul litorale catalano. Venne sostituita con "salud". Furono le donne del paese a volerlo, perché "la guerra aveva fatto loro capire che non c'era più nessun dio in cielo".
Nel 1936, tutte le chiese di Barcellona (ad eccezione della cattedrale, salvata per i suoi tesori artistici) vennero bruciate, saccheggiate o, comunque, distrutte.

giovedì 16 ottobre 2008

e vabbé, facciamolo ...



SCIOPERO GENERALE NAZIONALE, per l'intera giornata di VENERDI' 17 OTTOBRE, DI TUTTI I LAVORATORI PUBBLICI E PRIVATI proclamato dal sindacalismo di base, con manifestazioni a ROMA e MILANO.

poeti



"Trasformare il mondo, ha detto Marx, cambiare la vita, ha detto Rimbaud: per noi queste due parole d'ordine fanno un tutt'uno".

Così concludeva il suo discorso André Breton, nel 1935, al Congresso degli Scrittori per la Difesa della Cultura. Inizialmente censurato dal Partito Comunista Francese, organizzatore del Congresso, l'intervento fu poi letto, dopo molte mediazioni, da Paul Eluard.
Sembra che il suicidio di René Crevel, avvenuto in quei giorni, non sia estraneo a quelle mediazioni.

"Si sa che la condizione del poeta pone automaticamente colui che la rivendica ai margini della società", così scriveva Benjamin Péret, qualche anno più tardi, dal suo esilio messicano, dopo la sfortunata conclusione della rivoluzione spagnola.
Sarà sempre lo stesso Breton a ricordarlo, con un'immagine esemplare:
Péret, in divisa da miliziano, sulla soglia di una casa di pescatori, una mano sul fucile, l'altra occupata ad accarezzare il capino di un gatto!

mercoledì 15 ottobre 2008

Desire




Una Jam Band dal nome buffo, "Gandalf Murphy and the Slambovian Circus of Dreams".
Un disco, tredici canzoni. Una, la prima, quella che apre le danze. "Desire", scritta da Joziah Longo, songwriter di razza. Ci mette in guardia, sulle note di una canzone che non si dimentica,
da chi ci vuole spaventare con discorsi a proposito di "terroristi stranieri che bussano già alle nostre porte". Non per niente il titolo del disco suona come "The Great Unravel" (Il grande chiarimento).
"I fantasmi dell'Americana si sono radunati tutti qui, per sognare insieme e nel sogno trovare un modo di riportare in auge la speranza che un tempo era parte di noi."
Così comincia "Desire" aperta dalla voce di Longo seguita, con discrezione, dalla fisarmonica di sua moglie Tink Lloyd (che suona anche violoncello, theremin e glockenspiel), a proclamare che
il desiderio è che si torni alla "terra di latte e miele, terra dove non si ha paura, costruita sull'amore e non sui soldi, terra aperta a tutti".

martedì 14 ottobre 2008

Fra Burgos e Mosca



da SociAlismo LibertArio


Tra Stalin e Durruti. I comunisti dissidenti
di Marco Novarino


Nel sanguinoso scontro tra comunisti e servizi segreti sovietici da una parte e anarchici e poumisti dall'altra, una tragica sorte subirono i militanti di quelle organizzazioni rivoluzionarie che pur essendo molto critiche nei confronti della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) e del Partido Obrero de Unificación Marxista (POUM) furono il bersaglio preferito, non solo ideologicamente ma soprattutto fisicamente, della repressione staliniana. Ci riferiamo in
particolare ai gruppi trotskisti e bordighisti di cui la storiografia ha sempre omesso l'esistenza e che, seppur numericamente esigui, svolsero la loro parte all'interno del movimento rivoluzionario
spagnolo. Vorremo fornire in questo intervento un breve profilo dei gruppi comunisti che si collocarono a sinistra del POUM ripromettendoci di ritornare sull'argomento per puntualizzare il
dibattito ideologico e l'atteggiamento critico assunto nei confronti del movimento anarchico spagnolo. A torto il POUM è sempre stato ritenuto un partito trotskista o, come scrisse Hugh Thomas, semi-trotskista malgrado fossero noti i pessimi rapporti con Trotsky e la IV Internazionale. In Spagna tra il luglio 1936 e la fine del 1937 agirono distintamente due gruppi
autenticamente trotskisti. Il primo, denominato Sección Bolchevique-Leninista de España, venne fondato nel novembre 1936 a Barcellona da Manuel Fernández Grandizo, conosciuto con lo pseudonimo di G. Munis. Il gruppo di Munis, che era considerato la sezione ufficiale del movimento trotskista internazionale, tentò inutilmente di entrare come frazione nel POUM per modificarne la linea politica. Nel gennaio 1937 iniziò a pubblicare un «Boletín» che venne sostituito tre mesi dopo dalla rivista «La Voz Leninista», dalle cui colonne propugnava la
formazione di un fronte operaio rivoluzionario in netto contrasto con la politica di collaborazione con il governo catalano portata avanti dalla CNT e dal POUM.
Nei tragici fatti del maggio 1937 a Barcellona i trotskisti della Sección Bolchevique-Leninista si trovarono a fianco del gruppo anarchico «Los Amigos de Durruti» e furono gli unici raggruppamenti che cercarono di dare una direzione rivoluzionaria agli eventi opponendosi al cessate il fuoco e alla resa della dirigenza cenetista.
La persecuzione stalinista colpì naturalmente e principalmente i trotskisti che combattevano in Spagna. Freund, Erwin Wolf, ex-segretario di Trotsky, e Carrasco furono assassinati. La maggior parte dei militanti del gruppo furono incarcerati all'inizio del 1938 e dopo un giudizio sommario vennero condannati a morte. Rinchiusi nella fortezza del Montjuic riuscirono ad evadere, durante le concitate fasi della caduta di Barcellona nelle mani delle truppe franchiste, e si rifugiarono in
Francia. La seconda formazione, denominata «Grupo (o Célula) Le Soviet» venne fondata dall'italiano Nicola Di Bartolomeo, conosciuto con lo pseudonimo di Fosco. Emigrato a Barcellona nell'aprile 1936 Fosco fu nominato, allo scoppio della guerra civile, delegato italiano nella commissione di ricezione e controllo degli stranieri che volevano combattere nelle milizie del POUM. Principale artefice della creazione del primo gruppo bolscevico-leninista di Barcellona, fu
accusato dalla IV Internazionale di voler dissolvere il gruppo trotskista nel POUM e per questo venne espulso nel gennaio 1937 dalla Sección B-L. Legato al Parti Communiste Internationaliste di Raymond Molinier e Pierre Frank, il gruppo dissidente pubblicò la rivista in lingua francese «Le Soviet», sottotitolata «Organe des Bolcheviks-Léninistes d'Espagne pour la IVe Internationale».
Per quanto riguarda il movimento bordighista , che nel 1935 aveva assunto il nome di Frazione Internazionale della Sinistra Comunista, la sollevazione del 19 luglio provocò una spaccatura
tra la maggioranza guidata da Ottorino Perrone e la minoranza rappresentata da Enrico Russo. La maggioranza considerava gli eventi spagnoli una guerra imperialista in cui la frazione fascista della borghesia si scontrava con la frazione democratica di quella stessa borghesia e pertanto si opponeva a un sostegno della parte repubblicana e all'invio di volontari, mentre la minoranza, che considerava la guerra un atto rivoluzionario, partecipò generosamente agli eventi bellici combattendo nella Colonna internazionale Lenin del POUM, resa famosa dal film di Ken Loach, Terra e libertà. L'analisi della maggioranza durante la guerra civile, estremamente critica nei
confronti della CNT, e il dibattito con il POUM e il militante anarchico Camillo Berneri instaurato dalla minoranza, si snodò principalmente attraverso le riviste della Frazione, «Prometeo» e «Bilan». Soprattutto il dibattito con Camillo Berneri, che rispose attraverso le colonne di «Guerra di classe», mise in rilievo, al di là di divergenze ideologiche insuperabili, una serie di convergenze tattiche significative come il ritenere Barcellona «assediata da Burgos e Mosca» e il giudizio totalmente negativo sulla partecipazione ministeriale della CNT nel governo repubblicano.
Una pagina questa delle relazioni tra anarchici e comunisti non stalinisti che meriterebbe una più profonda analisi storica.

Bibliografia essenziale
The Spanish civil war. The view from the left, numero monografico della rivista «Revolutionary History», n. 4, 1991;
MINTZ Frank / PECIÑA Miguel, Los amigos de Durruti, los trotsquistas y los sucesos de mayo, Campo Abierto, Madrid, 1978;
PÉLAI Pagès, Le mouvement trotskyste pendant la guerre civile d'Espagne, in «Cahiers Léon Trotsky», 1982, n. 10, pp. 47-65;
CAVIGNAC Jean, Les trotskystes espagnols dans la tourmente, in «Cahiers Léon Trotsky», 1982, n. 10, pp. 67-74;
DURGAN Andy, Les trotskystes espagnols et la fondation du POUM, in «Cahiers Léon Trotsky», 1993, n. 50, pp.15-5;
GUILLAMON IBORRA Agustin, G.Munis, un révolutionnaire méconnu, in «Cahiers Léon Trotsky», 1993, n. 50, pp. 85-98;
GERVASINI Virginia, Gli insegnamenti della sconfitta della rivoluzione spagnola (1937-1939), Centro Studi Pietro Tresso, Foligno, 1993;
GUILLAMON IBORRA Agustin, I bordighisti nella guerra civile spagnola, Centro Studi Pietro Tresso, Foligno, 199

lunedì 13 ottobre 2008

Pagheremo caro, pagheremo tutto! In libreria!!



Non c'è che dire! La casa editrice DeriveApprodi svolge un bel ruolo nell'ambito dell'editoria, rendendo disponibili tutta una serie di documenti e pubblicazioni dei "tempi andati"( che, diversamente, sarebbe assai difficile consultare) che si premura di allegare, su supporto digitale, ai libri che da tempo immette sul mercato. Operaismo, autonomia operaia, Rosso. Bene!
Solo che presumevo, il materiale, proprio in quanto prodotto e portato di un'ampia stagione di lotte, fosse - come dire - di pubblico dominio. Un po' come certe canzoni di Woody Guthrie, quello che andava in giro con una chitarra che ammazzava i fascisti. E invece, girando per la rete, sono incappato in un blog (o un sito) e così sono venuto a sapere che tutto quel materiale sarebbe oggetto di copyright. Ragion per cui il "blogghista" che aveva messo in rete i contenuti dei vari cd e dvd, venduti in allegato ai libri, si è visto invitato a togliere di mezzo tutto quel materiale inopinatamente condiviso. Almeno così c'è scritto, e non ho motivo di dubitare circa la veridicità di quanto affermato.
L'amaro in bocca che sento, si accompagna al ricordo di una "leggenda": si dice che quando la polizia credette di aver messo le mani sull'oro della "prima internazionale", apri il forziere che avrebbe dovuto contenerlo e, invece, lo trovò pieno di ... carbone.
Magari è vero!

Da che parte stare



Con ogni probabilità, non è certo questa l'immagine che colpì Orwell al punto da fargli scrivere la frase, in "Omaggio alla Catalogna", a proposito del fatto che
"Quando vedo un vero operaio in carne ed ossa che lotta contro il suo nemico naturale, il poliziotto, allora non ho più da chiedermi da che parte devo schierarmi".
La foto è precedente alle giornate del maggio 1937, quando gli operai armati, dopo l'ennesima provocazione, decisero di rispondere alle provocazioni staliniste.
La fotografia, secondo la didascalia, è stata scattata nel febbraio del 1936, probabilmente prima delle elezioni che, in quel mese, di lì a poco sanciranno la vittoria del fronte popolare. L'operaio non è armato, evidentemente, al contrario dei poliziotti che si è risolto ad affrontare, con i pugni alzati, in guardia, ben fermo sulle gambe. Non è particolarmente atletico, basso e tracagnotto, le gambe corte. Sicuramente qualcuno che preferirei non trovarmi di fronte, contro. Se dovessi scommettere, mi giocherei tutto su di lui, disarmato, piuttosto che sui poliziotti armati e infagottati nei loro cappotti. Sì, mi ci gioco tutto. Continuo a farlo. Ché non si sa mai!

venerdì 10 ottobre 2008

1, 4. 5




Ancora tre accordi, tre fottuti accordi (three fuckin' chords). E 1, 4, 5 è il rapporto fra il primo, il secondo e il terzo accordo. Sembra niente. Poi, ascolti una canzone come questa, su cui c'è disteso questo testo, e ascolti la voce "vecchia" che la canta, quasi la stesse intagliando in un pezzo di legno, con colpi sapienti e decisi, semplici e allo stesso tempo "saputi".
Già, la canzone. Una vecchia canzone, un'antica ballata senza autore - si trova nell'antologia
curata da Aln Lomax, "Folk Songs of North America", la sezione di cui fa parte e quella dei "contadini della prateria" (prairie farmers) - quasi che Bob Dylan ci voglia dimostrare che, come affermò una volta , "Il mondo non ha bisogno di nuove canzoni. A meno che non spunti fuori
qualcuno con un cuore puro e qualcosa da dire. Allora è tutta un'altra storia". E dal momento che di cuori puri, forse, in giro ce ne sono pochi ...
La canzone, giocata in uno stile antico che va dal blues al tex-mex, cresce e affascina via via che entrano in scena organo e dobro, percussioni e fisarmonica. Questo "Tell Tale Signs" ci regala delle gemme inestimabili, in grado di "guarirci".
Perché, forse, è proprio Dylan quello che nella canzone viene descritto come "Un uomo pieno di dolore e di contraddizioni / Se qualcuno intorno a lui moriva / Lui sapeva come faro a riportarlo alla vita / Non so che tipo di linguaggio usasse / O se accadono ancora cose di questo tipo / A volte penso che dopotutto nessuno mi abbia mai visto / Eccetto la ragazza della riva del Red River".

La Riva del Fiume Rosso

Qualcuno spegne le luci e vive
sotto un lancinante chiaro di luna
Qualcuno è spaventato a morte dal buio
per stare dove volano gli angeli
Graziose cameriere allineate, in fila
Fuori dalla porta della mia capanna
Non ho mai desiderato nessuno di loro
tranne la ragazza della riva del fiume Rosso

Ebbene, le stavo accanto e per un po 'di tempo ho provato
a sposare quella ragazza.
Lei mi ha dato il suo consiglio migliore e ha detto
"Vai a casa e conduci una vita tranquilla".
Ebbene, io sono stato ad est e sono stato ad ovest
E io sono stato dove infuriano i neri venti
In qualche modo, però, non sono andato mai così lontano come
Con la ragazza della riva del fiume Rosso

Beh, ho saputo fin da quando posai gli occhi su di lei
Che non avrei mai più potuto essere libero
Uno sguardo su di lei e seppi subito che
Lei dove stare sempre con me
Ebbene, il sogno si è seccato molto tempo fa
Non so dove sia andato a finire ormai
Ma vera alla vita e vera a me
Era la bambina della riva del fiume Rosso

Ora sto indossando il mantello della miseria
E ho assaggiato l'abbandono dell'amore
Ed il sorriso congelato sul mio viso
Mi si adatta come un guanto
Ma non posso sfuggire al ricordo
Di quello che adorerò sempre
Tutti le notti passate fra le braccia
Della ragazza della riva del fiume Rosso

Beh, viviamo all'ombra di un passato che si dissolve
Intrappolati nel fuoco del0 tempo
Ho sempre cercato di non ferire mai nessuno
E di rimanere fuori da una vita disonesta
E quando tutto è stato detto e fatto
Non ho mai saputo il punteggio
Un altro giorno è solo un altro giorno di distanza
Dalla ragazza della riva del fiume Rosso

Ebbene, io sono uno straniero qui, in terra straniera
Ma so che questo è il posto a cui appartengo
Me ne andrò in giro a giocare nei bar nsando alla persona che amo
E le colline mi regaleranno una canzone
Anche se niente mi sembra familiare
So che ho già dormito qui prima
Una volta, un migliaio di notti fa
Con la ragazza della riva del fiume Rosso

Beh, sono tornato a vedere com'era una volta
Sono tornato per sistemare le cose
A chiunque ho chiesto se ci avesse mai visto lì insieme
Hanno risposto di non sapere di cosa io stessi parlando
Beh, il sole è tramontato su di me molto tempo fa
Ho dovuto appoggiarmi all porta
Vorrei poter avere speso ogni ora della mia vita
Insieme alla ragazza della riva del fiume Rosso

Ora, ho sentito parlare di un tipo vissuto molto tempo fa
Un uomo pieno di dolore e di contraddizioni
Ogni volta che qualcuno attorno a lui moriva ed era morto
Egli sapeva come fare a riportarlo in vita
Beh, non so che tipo di linguaggio parlasse
O se fanno ancora questo genere di cose
A volte penso che nessuno mai mi abbia visto qui dopo tutto
tranne la ragazza della riva del fiume Rosso

giovedì 9 ottobre 2008

Banlieues, Palermo



Un volantino con la foto di Peppe e Pasquale circola per le stradine dell´Albergheria, quartiere di Palermo. Lasciato nelle cassette della posta, sotto i portoni delle case. Un volantino che salda la sassaiola dell´altra notte contro la polizia e la manifestazione dei centri sociali in programma sabato pomeriggio.

«Noi lo sappiamo di chi è la colpa. È di uno Stato che se ne frega dei bisogni della gente, che tutela i potenti e i ricchi e discrimina chi viene dai quartieri popolari, fino a condannare a morte due ragazzini di 17 anni solo perché hanno la faccia di chi ha dovuto faticare e lottare per vivere. Noi sappiamo che la colpa è di quei poliziotti che con il coraggio della divisa pensano di poter decidere della vita delle persone ma che dovranno fare i conti con la rabbia dei fratelli di Pasquale e Giuseppe, di questo quartiere e di tutti i palermitani che vogliono la verità».

E poi un invito a tutto il quartiere a prendere parte alla manifestazione dell´11 ottobre.

«Dobbiamo partecipare tutti per non dimenticare Pasquale e Giuseppe e perché tutti sappiano chi sono i loro assassini».

«Pagherete caro, pagherete tutti».

lavoro



«Dove c’è una costruzione, di solito ci sono tre pali corti che combaciano alla punta e da cui pende una sbarra di ferro: è la sirena dei muratori. Un badilante colpisce la sbarra con ciò che gli capita tra le mani. Alle cinque d’inverno e alle sette d’estate, il suo rintocco li fa “staccare”. Discendono dai ponti contando ogni giorno meno scalini, e danno un’occhiata al cielo: vorrebbero vederlo rosso tutte le sere Una nuvola appena, e imprecano. Alzando la voce per via del lavoro, spesso gli scappa di bestemmiare, “ma c’è da credere che Dio non se n’abbia a male”. Piuttosto che bestemmie sono cori. L’inno, quello vero, dice:

Noi vivremo
del lavoro
o pugnando
si morrà.»

Vasco Pratolini - Metello

mercoledì 8 ottobre 2008

chitarristi



L'anno in cui Clayton Delaney morì
di Tom T. Hall

Mi ricordo l'anno in cui morì Clayton Delaney
Si dice che per le ultime due settimane abbia sofferto e pianto
Mi fece una grande impressione
Anche se ero un bambino che andava a piedi nudi
Dicono che alla fine abbia ritrovato dio
Sono contento che lo abbia fatto

Clayton era il miglior chitarrista nella nostra città
Pensavo che fosse un eroe ed ero solito andargli dietro
Mi diceva sempre "Ragazzo, è meglio che tu butti via quella vecchia chitarra
Non ci si fanno i soldi
E ti condurrà ad una morte precoce "

Immagino che dovrei ammettere che Clayton età mi ha insegnato a bere
Riesco a vederlo, mezzo ubriaco, mentre suona "Lovesick Blues"
Quando morì gli feci una promessa
Mi sono esercitato in qualche modo
Mi danno un centinaio di dollari
Se solo potesse sentirmi ora

Hey mi ricordo l'anno in cui morì Clayton Delaney
Nessuno sse lo aspettava, me ne andai nei boschi a piangere
So che c'è un intero lotto di predicatori
Essi ne sanno molto più di me
Ma potrebbe essere che all buon dio piaccia un po di pickin'
Mi ricordo l'anno
in cui è morto Clayton Delaney

martedì 7 ottobre 2008

Una frase infelice





Ieri, su La7, durante "L'infedele" condotto da Gad Lerner, in collegamento da Parigi, Toni Negri, a proposito di capitale finanziario e manager, si è lasciato sfuggire un augurio, forse di cattivo gusto: "Devono andare in galera" - ha sentenziato. Come sarebbe stato meglio se si fosse "limitato" a dire che se ne devono andare, tutti!
Come si diceva in quell'Argentina in preda ad una crisi cui questa in corso somiglia assai di più di quanto assomigli alla crisi del 1929, forse un po' troppo evocata.

una canzone, ancora



Dilemma
di Robbie Robertson

Non sono un cowboy
Gli assomiglio soltanto
E non sono un carcerato
Ma sono in fuga da queste catene
E non so cosa fare

Non sono un solitario
Lavoro da solo e basta
Non c'è nessun posto
Che io possa chiamare casa
E non so ancora cosa fare
Ancora cosa fare

CORO:
Ho lasciato che tutto andasse a rotoli
Ho lasciato che tutto acccadesse
Io non potrà mai spiegare
Cosa succede dentro di me
Sono troppo giovane per imparare
Oppure troppo vecchio per cambiare
Immagino che avrò sempre questo dilemma

Non sono unoldato
Ma ho combattuto una guerra
Ho fatto qualche morto
Tutto quello che uccide più sono questi dolori
E sono solo tra treni

Spostandomi in continuazione
Non sono mai stato troppo a lungo in un posto
E una volta che me ne sono andato rimangono solo i miei avanzi
Da qualche parte tra treni
Da qualche parte tra treni

CORO

lunedì 6 ottobre 2008

morti ed ex




E intanto Benigni legge la bibbia, "in presenza dell'autore", come ha detto. E, curiosamente, legge proprio il brano su Caino e Abele, quello che una volta era un suo cavallo di battaglia quando era politicamente scorretto e sottintendeva una presunta ambiguità sessuale di Abele, dovuta a quella inspiegabile "e", in fondo al nome.
Ad ogni modo, il nuovo giullare del pensiero unico, ha precuduto, fra gli altri, Cossiga, Sgarbi, Bondi e - udite udite - l'esorcista padre Gabiele Amort! Un bel cognome, non c'è che dire!
Magari sarà stato lui a esorcizzare l'ex-piccolo diavolo....
Magari se moriva Benigni, al posto di Walter Matthau sarebbe stato un .... male!

Una canzone per Canèpa



"quando la Sicilia sarà indipendente gli agrari dovranno darci le loro
terre o ci daranno le loro teste".
- Antonio Canèpa -

Ricordo quando - ero solo un ragazzino - ancora all'inizio degli anni sessanta, era ancora forte in Sicilia un sentimento "independentista". Credo che almeno due siciliani su tre ne fossero convinti; il terzo era indeciso! Certo, l'indipendentismo, in Sicilia, viene da lontano. E la fine della seconda guerra mondiale non ha certo servito ad abolirlo. Piuttosto il contrario.
Eugenio Montale, in un suo scritto, lamentava che la Sicilia non ha potuto prendere parte alla guerra partigiana. A mio avviso, invece il nodo è stato un altro: il fatto che, mentre a nord si svolgeva la guerra di liberazione, al sud, la Sicilia già "liberata", doveva fare i conti con i governi nazionali appoggiati dal CLN. Doveva fare i conti con quel genere di oppressione. Non era affatto nuova a questo genere di situazioni. Nino Bixio e Bronte. Il generale Montgomery e Comiso.
La storia si ripete.
Forse, per questo motivo è stato steso un velo di silenzio "storico" su certi personaggi che meriterebbero qualcosa di più. Un libro, un film, una canzone.
Antonio Canépa è una di queste figure. Tanto più pericoloso, dal momento che la sua limpidezza non permette a nessuno di poterlo arruolare ad un qualche genere di fascismo, più o meno ambiguo o più o meno compromesso. A rendergli un po' del dovuto, ci ha pensato Camilleri, il quale nel volume "corale", "La Storia siamo noi" pubblicato da "Neri Pozza", dedica al partigiano siciliano una delle sue storie.
Camilleri racconta, a modo suo, il fallimento dell'impresa che Antonio Canèpa concepi nel 1933, insieme al fratello e ad altri antifascisti: l'insurrezione della Repubblica di San Marino per sollevare l'attenzione mondiale contro i pericoli del totalitarismo fascista!

Dal sito Andrea Camilleri:

"Della sò sigreta 'ntinzioni nni parlò la prima vota con sò frati Luigi, 'na sira che erano nisciuti a passiare al lungomari che era diserto pirchì faciva friddo. Quella matina 'Ntonio era tornato a Catania da un viaggio di qualichi jorno in continenti. «Mentri ero a Bologna fici 'na pinsata» - dissi all´improviso. Luigi lo taliò tanticchia prioccupato. Sò frati 'Ntonio spisso e volanteri aviva alzate d´ingegno che s´arrivilavano perigliose assà. Ma siccome che gli voliva un beni dell´arma, con lui sarebbi scinnuto macari allo 'nferno.
«Abbisogna che annamo a conquistari San Marino! Un colpo di mano! E da lì facemo sapiri al munno sano che gli italiani non sunno tutti fascisti! Un gesto accussì farà un danno grosso al fascismo! Tutti ne parleranno!». Luigi strammò, completamenti pigliato dai turchi. Quelle parole ebbiro supra di lui l´effetto di un cazzotto 'n facci. Si sintì la testa 'ntronata e pinsò di non aviri capito bono. «Stai parlanno della repubbrica di San Marino?!». «Sissignore!». «Ma,
a parti che ci voli un esercito». «Ma quali esercito! Dudici picciotti risoluti e coraggiosi abbastano e avanzano. Mi studiai la guida turistica. E da Bologna sono annato macari a farci un sopralloco, a San Marino». «E le armi?». «Ci abbisognano sulo quattro revorbari. Dù ce li ha nostro patre nel tettomorto, se ce li pigliamo manco sinn´adduna. Ce ne ammancano dù ma non sunno difficili ad attrovare». «Ma non sunno picca quattro revorbari?» «Non contano l´armi, Luì, ma la sorprisa. Davanti alla caserma, di notti, ci sta 'na sula sentinella. Tutto s´aspetta quello meno che un passanti gli punta un revorbaro nella panza e gli ordina di tuppiari al portoni. Quanno quelli del corpo di guardia raprono, allura allura arrisbigliati dal sonno, s´attrovano quattro revorbari puntati. Cridimi: pinsiranno di stari sugnanno. A 'sto punto, abbiamo tutte l´armi che vogliamo. E
casa pi casa, arristamo al capo del governo, ai ministri, alle pirsone 'mportanti. Sugno certo che non ci sarà bisogno di sparari manco un colpo, basterà la sorprisa».
«E quanno pensi di fari 'sta cosa?». «Appena attroviamo all´autri deci picciotti. Io già ho sottomano a Ciccio, a Filippo e a Totò, tutti studenti universitari e tutti antifascisti come a mia e come a tia». «Io ci avrei a Nino e a Paolo». «Lo vidi? Ne ammancano sulo tri». 'Na simanata doppo il gruppo al completo s´arriunì nella casa di campagna di Nino. Si portaro appresso robba di mangiari, chitarra e mandolino, dicenno a tutti che annavano a fari 'na scampagnata. Doppo
che ebbiro mangiato, Canepa stinnì la carta turistica supra al tavolo, divisi la compagnia in quattro gruppi di tri pirsone e a ogni gruppo spiegò quello che dovivano fari. Avivano stabilito di partiri per Bologna, che era la cità indove si sarebbiro arritrovati tutti, alla spicciolata, un gruppo a distanza di un jorno dall´autro. Ma Canepa sinni partì prima e da sulo, voliva dari ancora un´occhiata a com´era la situazioni a San Marino.
Arrivato a Messina, scinnì dal treno per annare a pedi fino al ferribotto. Non fici a tempo a fari dù passi che quattro pirsone, che fitivano di sbirro luntano un miglio, se lo misiro 'n mezzo.
«Antonio Canepa?» spiò uno. In un vidiri e svidiri accapì du cose: che qualichiduno l´aviva traditi e che la partita era persa. E in un lampo, il sò ciriveddro che in quel momento marciava a grannissima vilocità, gli suggerì macari 'na possibili strata di scampo. 'Nveci d´arrispunniri, dissi:
«Hop!». Isò le vrazza ed eseguì tri aliganti rote una appresso all´autra.
«Che fate?» spiò 'ngiarmato il capo dei sbirri. «Non vedete? La ruota. Perché io sono n´automobile!». E si misi a firriare torno torno ai quattro imitanno con la vucca tutte le rumorate di 'n´automobili, il cangio di marcia, il ron ron del motori, il pèpè della trombetta, il rauco sono del clacchisi. Po´ si ghittò 'n terra facenno voci: «M´è finita la benzina! Pi carità! Tanticchia di benzina!». Fu accussì che 'nveci che 'n carzaro, lo portaro al manicomio.
L´autri vinniro arristati e mannati 'n galera."

Ad ogni modo, dopo quest'esperienza, nel 1937 pubblica l'opera in tre volumi "Sistema di dottrina del fascismo", un lavoro storico scientifico sulla teoria del sistema fascista che gli varrà la cattedra universitaria di docente di storia e dottrina del fascismo e storia delle dottrine politiche. Una mossa incredibile che lascia stupefatti, per freddezza e calcolo, che permetterà a Canepa di impostare tutta la sua attività negli anni seguenti. Intraprende la doppia attività: da un lato severo docente universitario, dall'altro, con lo pseudonimo di Mario Turri, o anche prof. Bianchi, comincia ad organizzare l'opposizione al regime fascista ed al colonialismo. E' a capo del movimento clandestino indipendentista dei gruppi di "Giustizia e libertà", ai quali si devono le uniche azioni di guerra partigiana nell'Isola dall'inizio del 1941 al giugno 1943. E' in contatto con i servizi segreti inglesi, con cui mette in atto un sabotaggio il 10 giugno del 1943 contro l'aeroporto di Gerbini, vicino Catania, che veniva usato dalle forze armate naziste.Nel 1944 è a Firenze, dove partecipa alla lotta di liberazione, ma la stessa notte in cui Pertini e i suoi giungonoin città, Canèpa in silenzio tornerà in Sicilia, a Catania dove, nell'autunno del '44 si pose ad organizzare una forza armata indipendentista. Nei suoi rari contatti con i leaders del movimento separatista, egli sosteneva che l'indipendenza si sarebbe dovuta conquistare con la forza. Durante la sua permanenza al nord, fra il 1943 e i primi mesi del 1944, aveva preso contatto con la direzione del Partito Comunista, esponendo con estrema precisione la situazione siciliana, prospettando cioè
l'intenzione della classe agraria di fare della Sicilia una repubblica clerico-aristocratica, oppure - se la corrente capeggiata dal duca di Carcaci di Catania avesse prevalso - una monarchia retta da una famiglia regnante siciliana. Canepa aveva anche fornito particolari sui contatti privati intercorsi tra i dirigenti di destra del movimento e rappresentanti conservatori inglesi e americani. Tornato a Catania, aveva stretto i suoi legami con i comunisti siciliani, pur
restando fedele ai suoi ideali separatisti. Riteneva che l'idea indipendentista avesse una base popolare che si sarebbe immancabilmente rivelata in seguito, e sosteneva la necessità di
essere presenti all'interno del separatismo per indirizzarlo positivamente.
L'organizzazione del gruppo armato di Canepa era ancora in una fase preliminare quando, a Palermo, la direzione del movimento separatista decise di dar vita ad un "esercito di liberazione" (l'E.V.I.S.), e Antonino Vàrvaro propose subito che si utilizzasse il lavoro già svolto da Canepa a Catania, nominandolo capo militare. Lucio Tasta, i latifondisti e i nobili, d'altro canto, che speravano di poter controllare l'iniziativa di Canepa, accettarono una soluzione di
compromesso: Guglielmo Paternò Carcaci avrebbe assunto il ruolo di comandante supremo con l'ausilio di Concetto Gallo, e Antonio Canepa quello di comandante di una brigata che si sarebbe subito formata in montagna, armata e organizzata con criteri simili a quelli messi in pratica dai partigiani jugoslavi. Canepa passò quindi alla pratica. Era un uomo energico. Raramente partecipava a riunioni politiche pubbliche. Molti, a Catania, non sapevano neppure che egli fosse indipendentista. Anche coloro che avevano inteso parlare dell'esercito separatista e del suo capo "Mario Turri", non avevano la più vaga idea che alla testa dei guerriglieri ci fosse quel professore dall'apparenza così calma e innocua. Canepa, che aveva anche collaborato con i servizi segreti inglesi per realizzare dei sabotaggi, aveva assimilato una mentalità cospirativa.
Agiva prendendo tutte le precauzioni. Dava appuntamento ai volontari e poi si nascondeva per osservare le loro reazioni e in genere li riceveva in una soffitta dell'Università, oppure in mezzo alle macerie di un vecchio palazzo di via San giuliano a Catania. Riuniva i giovani a piccoli gruppi, dando a ciascuno un nome di battaglia, l'unico che fossero autorizzati a usare, e li muniva di carte d'identità false di cui aveva una riserva praticamente inesauribile. Cambiava ogni volta il luogo dell'appuntamento e una volta che ebbe bisogno di riunire un gruppo più numeroso del solito, una quarantina di volontari, li convocò nella sagrestia di una chiesa, con la complicità di un prete
separatista. Non appena l'E.V.I.S. avesse raggiunto un organico di cinquecento o mille uomini, sarebbe scoccata l'ora della guerriglia urbana e della sollevazione generale, e la lotta di liberazione dei Siciliani sarebbe entrata nella fase d'irreversibilità. Questo era il preciso e classico piano strategico di Antonio Canèpa.
Serve denaro per mettere in piedi un esercito, sia pure formato solo da avanguardie d´assalto. Da Catania arriva a Canepa un elenco di proprietari terrieri che avrebbero l´obbligo di contribuire e, con l´elenco, gli arriva anche l´ordine di far rispettare quell´obbligo.
Tutti i proprietari, volenti o nolenti, s´assoggettano, fatta eccezione di uno.
Canepa decide di andarlo a trovare e a costringerlo con la forza a pagare. Il 16 giugno parte con un motofurgone, e un gruppo dei suoi, verso Randazzo, nei cui dintorni abita il possidente riottoso. Nessuno indossa la divisa, ma tutti portano al collo il vistoso fazzoletto giallo-rosso dell´Esercito d'Indipendenza Siciliana. Mentre ancora si trovano sulla stretta strada di Randazzo, e precisamente in localita «Murazzu ruttu», alle otto del mattino vedono da lontano un posto di
blocco dei carabinieri. Ma i separatisti non se ne preoccupano più di tanto, sanno che quelli dell´Arma lasceranno passare il conosciutissimo furgoncino come altre volte è accaduto e del resto Canepa ha dato precisi ordini: i suoi non devono aprire il fuoco contro i carabinieri. Non li ritiene ancora all´altezza di poter sostenere uno scontro con gli addestratissimi militari dell´Arma. Ma le cose stavolta vanno diversamente.
Sulla morte di Canepa esistono almeno tre versioni. Quella dei carabinieri dice che intimarono l´alt al furgoncino e che il conducente obbedì all´ordine. Che appena si avvicinarono, vennero
fatti segno a colpi di pistola mitragliatrice e di lanci di bombe a mano. Che naturalmente reagirono uccidendo quattro dei sei passeggeri, mentre due si davano alla fuga. Che una bomba a mano in tasca a uno degli occupanti il furgoncino esplose all´interno del mezzo.
L´altra versione che convince assai di più, è quella fornita dai superstiti. Com´era prevedibile, il furgoncino viene lasciato passare. Ma appena oltrepassato il posto di blocco si apre il fuoco sui
separatisti, chiaramente riconoscibili dal fazzoletto al collo. I quali, tra l´altro, non sono in condizioni di reagire perché le loro armi sono nascoste in un doppio fondo.
C´è ancora un´altra versione, sui mandanti. E cioè che sia stato il servizio segreto militare italiano a dare l´ordine d´eliminare Canepa per impedirgli di portare a termine l´organizzazione dell´esercito separatista.

venerdì 3 ottobre 2008

Ottobre, fughe.



«Quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (…) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga spesso, quando si è lontani dalla costa, è il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.» Così esordisce Henry Laborit, biologo francese, nel suo "Elogio della fuga".

“E’ possibile che io fugga, ma durante la mia fuga cercherò un’arma”, chiosa George Jackson dalla prigione.

E Francis Scott Fitzgerald riassume: “Ciò mi portò all’idea che coloro i quali erano sopravvissuti se l’erano probabilmente cavata tagliando la corda. Questa è un’espressione particolare, non applicabile a chi evade da un carcere con la prospettiva di andare a finire in un nuovo carcere o di essere costretto a viva forza a tornare nel vecchio. La famosa “Evasione” o “il piantar baracca e burattini” è un’escursione in una trappola anche se la trappola include i mari del Sud, che sono solo per coloro che vogliono dipingerli o navigarli. Tagliare la corda è qualcosa da cui non si torna indietro, qualcosa di irrimediabile perché fa sì che il passato cessi di esistere”.

Non so, perché mi sia venuto di ricostruire, mettere insieme, questa sorta di discorso.
Un discorso, ovviamente, fuori dal tempo.
Fuori dal tempo, come l'isola della fotografia. Un'isola diventata, forse suo malgrado, a causa di un film, "l'isola dei fuggiaschi" (lo preferisco, fuggiasco, come termine, a fuggitivo).
Un posto in cui scappare. Finché sarà possibile, e finché ci saranno posti in cui scappare.

giovedì 2 ottobre 2008

Pellegrinaggi Accidentali




Dritta in piedi nella tua memoria (per Phil Ochs)
(di Jen Cass)

Ho fatto un pellegrinaggio accidentale
Per le strade della città che ti sei lasciato alle spalle
Mi sono ritrovata in piedi nella tua memoria
Quasi quaranta anni prima di questo tempo

Quando camminavi con orgoglio
Per le strade della città che hai amato,
Questi edifici che svettano
Ti guidavano per la tua strada
Forse sono solo una straniera in una città leggendaria
Ma cammino su un territorio sacro
E oggi sento che sei ancora qui

Ho preso la metropolitana fino a Bleecker Street
SOno rimasta fuori dal "Bitter End"
Tu hai cominciato dentro queste pareti di mattoni rossi
Ma non ci ritornerai mai più

Troppi martiri e
Troppi morti,
Non è che forse ciò che hai detto?
In qualche modo hai lasciato che accadesse di nuovo
Sei diventato un'altra tragedia, un incidente di guerra
Per cosa stiamo combattendo, se tu
Non marcerai più?

Durante le prove per il tuo congedo
Hai detto di essere morto nel '68
Il raduno di Chicago ti ha portato via l'anima
Per prenderti la vita hanno dovuto aspettare

Gli anni di silenzio quando
La follia impazzava
E non riuscivi a riempire nemmeno una pagina
Ma hai pensato che non avevi più niente da dire,
E nessuno nutre interesse per un ribelle cui le parole sono morte
Ma sei sempre stato ascoltato
E ancora oggi siamo in ascolto.

Sentiamo la tua voce in ogni vicolo
Fuoriesce da ogni auto che passa
I nuovi discepoli degli anni di Broadside
Gli "Accordi della Fama" in ogni bar

Il tempo alla fine piega
anche il più alto sulle sue ginocchia,
Ma tu vivi nel tuo nome
Ed ogni cantastorie che osa la propria rabbia,
Una potente protesta con la bellezza che ancora rimane
In questi brutti tempi di cambiamento,
Racconta la verità da ogni palcosenico

mercoledì 1 ottobre 2008

il monopolio della violenza



Adesso che anche il cinema americano si occupa delle stragi naziste nell'Italia in "corso di liberazione", non evitando di suscitare le immancabili polemiche (che un pizzico di "revisionismo storico" non fa mai male, e attizza anche il mercato), dovrebbe essere giocoforza, magari, rispondere a Spike Lee ricordandogli le stragi compiute dagli alleati americani, rimaste avvolte dal silenzio diplomatico. Certo è che da Biscari a Comiso, fino a Piano Stella non è che i nostri
liberatori (di qualunque colore avessero la pelle) si siano comportati meglio, non dico dei nazisti, ma di quei partigiani che il cineasta americano accusa di aver abbandonato la popolazione del paesino di S.Anna.
Ma i silenzi - se non le menzogne - colpevoli non attengono solo agli "stranieri", amici o nemici che fossero. Esiste anche un bel silenzio su quanto riguarda invece l'attività dell'esercito italiano
nell'Italia liberata dagli americani!
Nel 1944, è già tornato Palmiro Togliatti, anche il partito comunista è entrato a far parte dei governi presieduti dal generale Badoglio, prima, e da Bonomi dopo.
Ed è in quest'Italia che il 19 Ottobre del 1944, a Palermo, scendono in piazza i dipendenti del comune, decisi ad ottenere un aumento salariale che li equipari ai dipendenti statali. Il corteo, da piazza Pretoria, intende muovere verso la prefettura per far incontrare una sua rappresentanza con il prefetto e con l'alto commissario per la Sicilia.
Alla notizia che nessuna delle due alte cariche si trova in città, la rabbia dei manifestanti comincia a crescere, e al corteo di tremila persone si unisce una piccola folla di disoccupati e di ragazzi,
giovanissimi, sbucati dai vicoli del centro.
Il viceprefetto, non sapendo cosa fare, allarmato, chiede l'intervento dell'esercito. Cinquantatre militari armati di moschetti '91 e bombe a mano Breda, agli ordini del sottotenente Lo Sardo, raggiungono Via Maqueda.
Si schierano in posizione di combattimento e aprono il fuoco, senza alcun preavviso, completando l'operazione con un fitto lancio di bombe a mano. Una carneficina, compiuta ai danni di persone armati di qualche pezzo di legno e di qualche latta vuota.
Il computo delle vittime, per lo più i "ragazzi dei Quattro Canti", è approssimativo.
Dopo giorni, la lista dei caduti - senz'altro parziale - arriva a comprendere ventiquattro nomi:

Giuseppe Balistreri - 16 anni
Vincenzo Cacciatore - 38 anni
Domenico Cordone - 16 anni
Rosario Corsaro - 30 anni
Michele Damiano - 12 anni
Natale D'Atria - 28 anni
Andrea Di Gregorio - 16 anni
Giuseppe Ferrante - 12 anni
Vincenzo Galatà - 19 anni
Carmelo Gandolfo - 25 anni
Francesco Giannotta - 22 anni
Salvatore Grifati - 9 anni
Eugenio Lanzarone - 20 anni
Gioacchino La Spia - 17 anni
Rosario Lo Verde - 17 anni
Giuseppe Maligno - 22 anni
Erasmo Midolo - 19 anni
Andrea Oliveri - 16 anni
Salvatore Orlando - 17 anni
Cristina Parrinello - 61 anni
Anna Pecoraro - 37 anni
Vincenzo Puccio - 22 anni
Giacomo Venturelli - 70 anni
Aldo Volpes - 23 anni

Le due donne, estranee alla manifestazione, vennero dilaniate da una bomba a mano lanciata nei locali della stireria dove lavoravano.
Il giorno dopo, in un manifesto firmato da tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), si stigmatizzava "l'angoscioso travaglio del popolo smarrito che non ritrova la sua via nella ripresa del fecondo lavoro"!
Senza dimenticare di evidenziare che "le folle tumultuanti, per quanto degni di considerazione siano i motivi che le agitano, potrebbero, in questo delicato momento, inconsciamente, servire a fini anche diversi dal pubblico bene.".
Ma, del resto, l'uso legale della forza, nella Sicilia post-bellica, è regolato dalle disposizioni precise di una circolare del 31 Agosto 1944 che invita ad usare reparti dell'esercito per servizio di ordine
pubblico e ad agire contro il popolo senza esitazione.
E "ad aprire il fuoco, anche a distanza, con mortai e artiglieria, senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche".
Il generale Taddeo Orlando, firmatario della circolare, è cresciuto alla scuola dei criminali fascisti all'opera in Slovenia. Dopo la fine del conflitto, viene amnistiato e ricompensato con la carica di
comandante generale dell'Arma dei Carabinieri. In tale veste, fra le altre cose, favorirà la fuga di Mario Roatta che era stato condannato all'ergastolo per l'omicidio dei fratelli Rosselli.
Inutile aggiungere che tutti i militari colpevoli dell'eccidio di Via Maqueda verranno assolti da qualsiasi accusa (che poi si ridurrà al solo "eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi"), in un processo farsa che si concluderà con un riconoscimento di colpevolezza, da parte della corte, e da un contemporaneo non luogo a procedere per sopraggiunta amnistia.
Solo cinquant'anni dopo, nel 1994, l'ex-fante Giovanni Pala, roso dal rimorso, intervistato da un giornalista, dirà tutta la verità.
All'interno di Palazzo Comitini, oggi, al riparo degli occhi indiscreti degli ignari passanti, una lapide ricorda i caduti di Via Maqueda.