martedì 4 novembre 2008

la lotta ... continuerà



Si fuma molto, oltre il reale, assai più di quanto si fumasse a quell'epoca. E c'è molto fumo, nell'ultimo film tedesco che parla della Baader-Meinhof. Curiosamente, ma mica tanto, l'unico a non fumare è il poliziotto magistralmemte interpretato da Bruno Ganz. Lo accusano quasi di simpatizzare per le ragioni dei guerriglieri, gli altri - tutti fumatori - mentre lui cerca di spiegare, e di capire, le ragioni che hanno mosso parte di una generazione ad impugnare le armi.
Ed è proprio su quelle ragioni, misconosciute e bistrattate, che si apre il lungo film che si accinge a raccontare la storia di un pugno di uomini e donne costretti a muoversi nell'inferno di uno stato di polizia. Dagli scontri succeduti alla visita dello scià di Persia, all'attentato a Rudi Dutsche, una delle menti migliori di quella generazione che sfiderà, in un fotogramma successivo, le conseguenze della sua quasi-morte per salutare il compagno Holger Meins. Un'apparizione improvvisa, una palata di terra sulla bara, "la lotta continuerà" e un saluto a pugno chiuso. Quanto basta, per strappare all'accusa di terrorismo, se non di follia, quanti si battevano fianco a fianco con gli oppressi di tutto il mondo. E con le loro ragioni.
Troppo tagliati con l'accetta, i personaggi. Il linguaggio assurdo ed improbabile, a trasporre proclami e comunicati nella vita di tutti i giorni. E così risultano assai più credibili e profondi, rispetto ai "capi", i personaggi "minori". Così come risultano credibili e coinvolgenti le scene vissute, rispetto a quelle parlate. Un accendino che passa da una mano all'altra, mentre si è assediati in un garage, che prima non si accende e poi si accende e riesce a strappare un sorriso.
Malgrado tutto.
Il personaggio di Ulrike Meinhof, troppo inchiodata ad un ruolo di intellettuale da cui sembra non sapersi, e non volersi riscattare. Le spacconerie e la situazione caricaturale del gruppo durante il soggiorno in Giordania. L'avvocato Mahler che supera la prova del borseggio, ai danni di una turista, a Roma. La kommune di Francoforte e la "kommune" di Stammheim, dove i personaggi assumono tutto il loro spessore tragico, giocato fino in fondo. Alla morte. Chi ha ucciso chi? E' la domanda che chiude il film, e le risposte sono contraddittorie. Come le armi dentro alle celle di un supercarcere di sicurezza.
Fino all'ultima sfida, per dire, per affermare di non voler essere vittime. Dove ciascuno è chiamato a costruirsi il proprio destino, e a scegliere. Non importa cosa perdi e cosa lasci. C'è una finestra aperta, da scavalcare. Oltre quella finestra ci sei tu - lo sa bene Ulrike, mentre cerca di decidere cosa fare - c'è la tua vita e c'è la tua morte.
"Ci sono persone che lottano e muoiono, altre che, semplicemente, muoiono." - sono le ultime parole di Holger Meins.
E la lotta deve continuare, in qualche modo!

LA BANDA BAADER MEINHOF
(DER BAADER MEINHOF KOMPLEX)
Regia: Uli Edel
Interpreti: Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Johanna Wokalek, Alexandra Maria Lara, Jan Josef Liefers, Heino Ferch, Nadja Uhl, Hannah Herzsprung, Niels Bruno Schmidt, Stipe Erceg, Hans-Werner Meyer
Durata: h 2.29
Nazionalità: Germania 2007

3 commenti:

Anonimo ha detto...

un film che afferma molte cose importanti e ne tralascia forse molte di più.
Troppo buttata via l'affermazione del poliziotto su "1 giovane su 4 concorda con le RAF", nel film sembra che tutta la rabbia nasca quasi dal niente, che sia il narcisismo il motore principale del loro combattere.
Vale anche per "l'intellettuale", mostrata mentre si accoda alla lotta a causa di una squallida storia di corna, per poi condannare a morte il nuovo uomo senza battere ciglio e, sempre senza un fremito, accettare di non vedere più le sue figlie.
Troppo disumani questi terroristi, che diventano umani solo in cattività.
Più che un film sulle RAF è un film sul carcere e sulla cattività. Non è poco.

BlackBlog francosenia ha detto...

Non so se siano molto di più le cose tralasciate, ma ritengo che la parte iniziale del film, la manifrstazione contro la scià, le cariche, prima dei fascisti e poi della polizia, l'omicidio di ohnesorg, così come l'attentato a dutscke, siano assolutamente le cose migliori. E non mi pare che tutto ciò si possa definire un "niente da cui nasce la rabbia".

salud

Anonimo ha detto...

certo che sono le migliori, proprio per questo mi è mancato la stesso taglio anche nella parte successiva, quella che racconta (o dovrei dire non racconta) l'inizio delle azioni, la scelta degli obiettivi, le reazioni nella paese, la stretta della polizia.
Il racconto, nel senso proprio, si interrompe per diventare solo una lente sui singoli componenti del gruppo, con l'aggravante, come dicevo, di tagliare con l'accetta i caratteri e focalizzarsi troppo sul narcisismo personale.
Il racconto ricomincia in carcere e pone indirettamente le domande più difficili.