martedì 28 ottobre 2008

Porto di Mare



Non sempre il giovedì sera ti vien voglia di uscire di casa. Alle dieci, undici di sera, quando di solito comincia il concerto, l'ora è un po' tarda. Specialmente se la sveglia ti aspetta alle sei e mezza del mattino successivo. Così a volte la pigrizia, e la preoccupazione del giorno dopo, vince sulla voglia di rivedere qualche faccia amica e sul giocarsi la possibilità di ascoltare qualcosa che valga di essere ascoltato, sentito. Come giovedì scorso.
Forse non lo diresti mai, ma Romi Mayes non ci perde affatto nel confronto che qualcuno ha voluto fare con personaggi del calibro di Lucinda Williams e Mary Gauthier. Canadese di Winnipeg, e Winnipeg nei miei ricordi "meteo" compare come una delle città più fredde del mondo, non ha niente del freddo polare che mi verrebbe da associarle. Chitarrista di gran vaglia, oltre che song-writer di razza, per più di un momento mi ha fato sentire come se stessi ascoltando una versione femminile di Kris Kristofferson. Canzoni da farti sognare, nuove e antiche allo stesso tempo. Perfette nel loro incedere e nella loro struttura. Ma poi sa anche stupirti. Abbraccia i generi e li fa suoi. Il blues, come se fosse Janis Joplin e il rock'n'roll che fa battere le mani, a tempo. Un disco nuovo, impilato, sul tavolo, in vendita. Un disco prodotto con tutti i crismi da Gurf Morlix, e con gli arrangiamenti giusti. Poi, un altro disco, otto canzoni live. Li ho comprati entrambi. E il ricordo del concerto, più tardi, quando li ho ascoltati, ha sovrastato la perfezione di "Sweet Somethin' Steady". Poi sono passato al secondo, dove in fondo ho trovato la canzone che mi aveva stregato. "Drink Until Four". La voce e la musica, il cuore e la semplicità.

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