martedì 22 luglio 2008

fotografie



"Guardare una vecchia fotografia di se stessi, o di una persona che si conosce, o di un personaggio pubblico molto fotografato, significa per prima cosa pensare: quanto più giovane ero (o era) allora"

Susan Sontag, "Sulla fotografia"


"L’osservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nell’immagine quella scintilla magari minima di caso, di hic et nunc, con cui la realtà ha folgorato il carattere dell’immagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui, nell’essere in un certo modo in quell’attimo lontano si annida ancora oggi il futuro, e con tanta eloquenza che noi, guardandoci indietro siamo ancora in grado di scoprirlo"

Walter Benjamin

6 commenti:

giorgio olmoti ha detto...

caro franco, me ne vengo a girellare spesso su questo blog e mai che mi sia venuto in mente di aggrapparmi al commento. ci avevo provato nel blog del venturi e ne ero stato ostracizzato da un meccanismo informatico per me ingestibile. a dire il vero anche ora scrivo senza sapere se arriverò all'approdo ma come diceva mutis nell'addio del gabbiere "ma soprattutto non importa". ma su memoria e fotografia tu mi tenti oltre misura e ci infili susan e walter e pare che salti roland solo per vezzo. e allora ti voglio svelare che in questi giorni, scrivendo di musica e non di foto mi son reso conto che la memoria vale solo per come insiste sul presente, ce la inventiamo ogni volta e le foto e le canzoni non sono veicoli di memoria, sono agenti del presente. magari a te non te ne fotte un cazzo ma a me pensare così è una rivoluzione copernicana, uno sfaldarsi dei criteri interpretativi del reale. giusto per darti notizia di me in 'sti giorni miei di confuso incedere.

giorgio

BlackBlog francosenia ha detto...

A dire il vero, ne ho saltati parecchi, e non per vezzo. Magari proprio per difetto di ... memoria!
Certo le foto, quelle di robert capa e di walker evans e di ben shan. Poi le nostre, quelle di tanto tempo fa e quelle di ora. Certo, hai ragione, non è il ricordo (che non è affatto sinonimo di memoria). E' la realtà. La nostra, non quella delle foto. La reaaltà, il bisogno di farsi cogliere dalla realtà, anche per mezzo di vecchie foto. Azzardo. Con questo moncherino di risposta, accolgo il tuo confuso incedere quaggiù dentro, e ti/mi domando: ma il ritratto di dorian gray? Avrebbe potuto essere una fotografia? :-)

salud

Anonimo ha detto...

Più che il bisogno di farsi cogliere della realtà credo sia il piacere di rivedersi raccontati da quello che qualcuno che ti vuol bene ha voluto dire di te. Le foto personali sono, infatti, quasi sempre fatte da chi ti vuol bene, più, a volte, un passante a cui si chiede il favore.
Riguardo Dorian Gray, se fosse scritto oggi sarebbe un video, se fosse stato scritto 20 anni fa sarebbe probabilmente stato una fotografia.

Giulia

BlackBlog francosenia ha detto...

Non so, non credo che il ritratto di dorian gray potesse essere una fotografia. Anche perchè non era solo l'invecchiamento del soggetto, nel ritratto, ma anche l'invecchiamento dei colori, il loro esplodere quasi e poi il loro raggrumarsi sulla tela. Tutte cose che una foto per quanto ingialliata - e forse proprio per questo - non avrebbe mai potuto attuare.

salud

p.s. A volte, se sei messo male, sono quelli che non ti vogliono bene a farti la foto, per inchiodarti alle tue responsabilità! O per rubarti l'anima. :-)

giorgio olmoti ha detto...

già, il ritratto di dorian gray non può essere una foto perchè il ritratto è in tutto e per tutto un processo intenzionale, se c'è una merda di cane ai piedi della persona ritratta è perchè qualcuno ce l'ha voluta quella benedetta merda in quel posto, inchiodata tra la trama e l'ordito della tela. la fotografia è invece portatrice di tutta una serie di elementi non intenzionalmente gestiti e questo la fa diventare un contenitore di piani d'attenzione diversa. il ritratto di dorian gray è prima di tutto il progetto DG, un ritratto che interagisce sul palpito temporale del suo utente esattamente con misura opposta alla fotografia. essa, la fotografia, è un contenitore affettivo solo se la si concepisce in una dimensione specifica della certificazione di proprietà per cui si ritiene che una foto "personale" afferisce esclusivamente alla gestione domestica e intima della memoria. io questo criterio del limite delle pertinenze proprio non so applicarlo a niente e la foto tua del passaporto, che tu lo voglia o no, è anche mia, come una canzone, come un quadro, come un èiatto di spaghetti, nella misura in cui io interagisco con l'oggetto medesiomo che, come dicevo nel'altro commento, insiste nel presente e non è il passato per il semplice fatto che il passato non è. e allora le foto tua da piccolo a me interessano per la pubblicità alle tue spalle e a un altro per quel mobile della casa di tua nonna che gli ricorda un bordello filippino che ebbe a frequentare. esperienza, nodi di informazioni, la rete, la matrice. tutto in divenire, pure le rughe sulla faccia, pure i muscoli che rallentano il loro guizzo. le foto sono dei motori emotivi che servono a farci sorridere o a farci disperare mentre ci rivediamo migliori o peggiori ma siamo noi a scegliere come rivederci. alla faccia di dorian gray, possiamo ben dirlo. le foto sono la celebrazione massima del nostro morire sempre. senza tristezza ma con piena consapevolezza. la nostalgia è il baco subdolo che s'aggira in questo riguardare.

giorgio

BlackBlog francosenia ha detto...

Processi intenzionali, come discrimine. Eppure, Giorgio, nell'era digitale (che cazzo poi vorrà dire!?!) anche la foto può essere ed è progetto. Avevano cominciato anche prima, levando dalle foto quel che non si coniugava con i tempi. Figurati oggi! La merda di cane? La si leva. (che bell0!, con questa storia delle merde mi hai fatto ri/pensare ad elliott gould fotografo di merde (non solo di cane) nello splendido "piccoli omicidi" tratto da una piece di jules feiffer (che poi era uyn fumettaro: quello de "la corsa del topo"). Tutto torna, sempre!
Ma il mio discorso sul materiale voleva essere altro. Tela e colori attengono ad altro che pellicola o pixel. Mutatis mutandis è la differenza fra dare una buona coltellata (sempre e solo dal basso verso l'alto) e sparare con un fucile mirino superteconologico dall'alto di un campanile). Un quadro significa sporcarsi le mani, addirittura farsi il colore in certi casi. AL fotografo la ilford, al più, vendeva il rullino da misurare secondo le esigenze proprie!!
Ad ogni modo, lo so, di personale non c'è niente e quel trenino ricamato che adorna le bretelline dei miei pantaloni corti mentre imparo a camminare, guardato da una mamma ammirata della precocità del figlio, sono anche tuoi!
Non sono, e non siamo, né migliori né peggiori. SIamo solo unici, nostr malgrado. E anche la nostalgia, come diceva simone, non è più quella di un tempo!

salud