domenica 11 maggio 2008

operai



Lavorare uccide. Così recita il bel titolo del libro di Marco Rovelli, alla cui presentazione ho assistito, l'altra sera, al cpa firenzesud. Lavorare uccide. Giocoforza è, a questo punto, dedurre che bisogna smettere di lavorare, o quantomeno ridurre la quota di lavoro, se non si vuol morire. L'analogia con quanto scritto sui pacchetti di sigarette dovrebbe apparire evidente a chi, come Marco, non fuma. Non credo possano servire a nulla - e nulla significano - le geremiadi a proposito della solidarietà perduta degli operai. Già, gli operai. Come se la loro solidarietà fosse un dato biologico e non, piuttosto, un codice comportamentale che viene messo in atto in quanto paga, nel fuoco del conflitto?
La "cultura del lavoro" e la sua presunta mancanza, di cui si lamentava, con tono altrettanto mortifero, un sindacalista slai-cobas, è fatta della stessa sostanza del fumo delle ciminiere. E reca la morte.
Per poter vivere bisogna tornare a "volere tutto", anche la vita.


"Gli anni ’70 del secolo sono stati i più soddisfacenti dal punto di vista operaio di tutta la storia industriale d’occidente. Come se la sono passata bene e di lusso gli operai nel settimo decennio del 1900, mai fu prima e mai sarà dopo. Per gli operai il settimo decennio è stato sabbatico, festivo. Hanno ribaltato la tirannia di fabbrica, hanno fermato il tempo delle macchine, hanno fatto scorrere il loro contrattempo dentro le grandi fabbriche. Hanno prodotto pausa, sollievo, assemblea, blocco delle linee, quando nelle officine si fermava il frastuono delle turbine e partiva il rimbombo dei cortei interni, battito di martelli sui bidoni. È stata un’altra, tutt’un’altra musica, altro che Battisti, Mogòl e festivàl. Trasformava il presente in un tempo d’avvento.
Agli operai andava di lusso pure l’amore e il sesso. Era abolito il censo, l’origine, contava solo il valore pubblico di militante politico, di avanguardia nelle lotte. Mai gli operai hanno avuto così tanta fortuna con gli approcci e gli abbracci."

Erri De Luca

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Hai ragione, Franco. Lavorare con lentezza, come diceva la compagna l'altra sera, sarebbe la prima cosa. Il lavoro deve essere attraversato e superato. Questo quanto all'orizzonte. Ma qui ed ora, poi, occorre anche misurarsi con un modello di sviluppo specificatamente italiano che più di altri destruttura organizzazione del lavoro e mercato del lavoro - e crea una cultura individualista. Questo è il problema, Franco, e forse qui non ci siamo capiti: "cultura" lo si dice in senso antropologico - un insieme di pratiche sociali che danno luogo a un pensiero che da quelle pratiche nasce. E questo sistema di sviluppo produce una cultura atomistica, egoistica, insolidale (che non è stagione di lotte e movimenti, del resto, mi pare evidente). Si tratta allora di lottare: per un altro orizzonte, ma insieme anche per cambiare questo modello di sviluppo del capitalismo italiano.

BlackBlog francosenia ha detto...

Un modello di sviluppo è un modello di sviluppo (più o meno come una rosa è ....), e non credo valga lottare per uno piuttosto che per un altro. A meno di non essere un sindacalista ;-) La solidarietà operaia - intendevo dire -non è un dato antropologico (ché l'operaio non è una figura antropologica!). E' un'arma per lottare, e senza lotta ...

salud

Anonimo ha detto...

Non sto dicendo che l'operaio è una figura antropologica... Sto dicendo che la parola "cultura" va intesa in senso antropologico (di cui sopra). Insomma accade che oggi una pressa non funziona e ti dicono lavora e tu non protesti perchè non vuoi perdere il lavoro e tantomeno, per lo stesso motivo, nessuno ti dà un sostegno. Trent'anni fa, non sarebbe stato così: protestavi, e la fabbrica si fermava, ecc... Punto due: se è vero che in Italia le morti sul lavoro sono di più che in ogni altro paese d'Europa ed è a causa della specificità del sistema produttivo italiano - allora è vero che porsi il problema della distorsione di questo sistema produttivo ha senso, nella misura in cui mi interessa ridurre il numero dei morti (ovvero, nella misura in cui mi interessano le vite delle persone, e non le astrazioni di numeri e teorie).
un abbraccio

BlackBlog francosenia ha detto...

Cultura è senz'altro un termine antropologico, ma "solidarietà operaia" non è un dato culturale. Questo ho inteso dire. La solidarietà si crea in determinati ambiti e in determinate situazioni, a meno che non si voglia fare del moralismo, per cui gli operai - come categoria sociale - sarebbero, in sé, più solidali di altre categorie. Al momento in cui torneranno sul terreno del conflitto, dovranno tornare ad essere solidali. Non se ne esce. E quelli che non saranno solidali, verranno "persuasi" ad esserlo. Credo che funzioni così, più o meno. Se invece, continuerà a venire loro agitato davanti il ricatto del licenziamento, da una parte, e agevolazioni e mutui e scalata sociale, dall'altra, continueranno ad essere ... indivisualisti, nell'accezione peggiore del termine.
Tu dici che il modello italiano sarebbe più mortifero di altri, e magari è vero. Però non posso fare a meno di giudicare suicida una lotta, e una logica, che si accontenta di chiedere meno morti. Spero di essere più chiaro, ma il "meno morti" può essere solo una conseguenza del lottare, non un obiettivo della lotta. Poi, magari, sono io ad essere schematico e legato a vecchi modelli (sempre modelli ...)...

un abbraccio a te

Anonimo ha detto...

condivido pienamente la citazione di Erri De Luca, al presente però non c'è più quel tipo di operai e di classe operaia, si riparte dentro un nuovo livello di contraddizioni (che poi sono le stesse, ma con nuovi travestimenti), con una consapevolezza più oscura e tortuosa...ma l'Autunno Caldo non ci sarebbe stato senza il lungo travaglio degli anni '60, dopo la normalizzazione degli anni '50...per dire, non è che la mitica "lotta" piova dal cielo...

ciao

BlackBlog francosenia ha detto...

Sicuramente, senza Piazza Statuto non ci sarebbe stato Corso Traiano, si può dire, semplificando. E la lotta non piove dal cielo, ma si fonda su interventi fuori e dentro la fabbrica, fatti giorno per giorno, capillarmente. C'è l'inchiesta operaia e ci sono molte altre cose. Ma, soprattutto, c'è la fabbrica, ed il quartiere come estensione della fabbrica. Tutte cose che hanno smesso di esserci. Ma, in questi anno, di una cosa l'operaio si era liberato, faticosamente. Della "mistica" del lavoro. E adesso ho come l'impressione che tocchi ricominciare, anche se ... cominciare d'accapo non significa tornare indietro!

salud