martedì 27 maggio 2008

Limiti



Non è mai mancata l'ironia, ad Hans Magnuz Enzensberger. E quale argomento migliore dell'intelligenza per giocare la propria ironia? E così Enzensberger da il meglio di sé, a partire dall'analisi dell'ambiguità semantica che disloca l'intelligenza in un territorio che parte dalla "ragione" per arrivare fino alla capziosità e al machiavellismo, in questo agile libretto edito da Einaudi con il titolo "Nel labirinto dell'intelligenza".
Ci prova in tutti i modi, a definirla quest'accidenti di intelligenza (manco fosse il "tempo" di Sant'Agostino!), perfino cercando di aggredirla "al contrario": ché le definizioni e le espressioni della "stupidità" sono ben più numerose e varie, e recano in sé il dato divertente dell'insulto!
Ma il punto nodale del saggio breve è l'argomento principe, e maledetto, della misurazione dell'intelligenza. Introdotto da un certo Alfred Binet, alla fine dell'800, questo presunto metodo scientifico non ha smesso mai di ridicolizzare lo stuolo di sapienti misuratori psicometrici. Sempre pronti a scivolare nell'eugenetica e, assai più facilmente e disinvoltamente, nel razzismo. Enzensberger immagina che ci siano, a scelta, un inuit della Groenlandia, un indio dell'Amazzonia e un navigatore della Polinesia, a testare l'intelligenza di un qualsiasi ricercatore di Londra, di Stanford o di Berlino. Provare a valutarne le capacità intellettive, usando come metro la capacità di distinguere, e fare uso, di piante, identificare impronte e seguire tracce di animali, oppure captare le correnti sottomarine. Se ne vedrebbero delle belle!
La conclusione? Più che ovvia!
Non siamo abbastanza intelligenti per sapere cosa sia l'intelligenza, e men che meno per misurarla.
Dopo Musil, un altro inno alla stupidità.

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