venerdì 7 marzo 2008

Confessioni di un sobillatore


Un racconto breve, anzi brevissimo.
Stando a quanto scritto da Anne Dick, nella sua biografia di Philip Dick, il racconto venne spedito a Daniel Gilbert nel Settembre del 1978. Gilbert aveva mandato a Dick un manoscritto lungo sei pagine intitolato "Confessioni di un sobillatore". La storia era molto piaciuta a Dick, il quale, in una lettera a Gilbert, scrisse in risposta questo pezzo, senza titolo.

In fondo all'autobus, un vecchio alcolizzato, vestito di stracci, se ne stava appollaiato su un sedile con in mano una bottiglia di vino malamente nascosta in una busta di carta marrone. Avevo l'impressione che mi stesse fissando - in una qualche maniera disattenta e depressa allo stesso tempo - e mi sorpresi a fissarlo, a mia volta.
"Non mi riconosci?" proruppe bruscamente il vecchio.
"No." Risposi, sperando in questo modo di riuscire a sviare da me il suo limitato interesse.
Ma il vecchio si alzò, malfermo sui suoi piedi, e barcollando venne a sedere accanto a me.
"Sono Phil Dick."disse con voce roca."Alla fine dei mie giorni. Sono cambiato, non trovi?" Ridacchiò, ma senza allegria.

"E sarebbe questo il modo in cui un grande campione esce di scena?" Dissi, sbalordito e colmo d'angoscia.
"La mia vita è stata un fallimento infinito" rispose, ed io solo ora mi accorsi che era davvero Phil Dick: ne riconobbi gli occhi, lo sguardo pieno di dolore, eppure fiero, di una persona che ha conosciuto il tormento senza rassegnarvisi. "Matrimonio dopo matrimonio ho dissipato tutto ... i soldi sono finiti ... i miei figli e i miei amici mi hanno abbandonato ... tutte le mie speranze di avere una famiglia ed una stabilità, distrutte." Tracannò un sorso dalla bottiglia, di nascosto.

"Avrei potuto, avrei potuto avere successo come scrittore" continuò " ma avrebbe avuto davvero importanza? Vivevo da solo, anno dopo anno, in una stanza in affitto, pagando le tasse e il sostentamento infinito ai miei figli, aspettando invano la ragazza giusta, quando sarebbe apparsa, sorridente" Le lacrime gli riempirono gli occhi
"Essere un gigante della fantascienza non è poi questa gran cosa" rantolò.
"E come ha detto Goethe: il bifolco con il suo focolare domestico e la moglie e i figli è più felice del più grande dei filosofi."

Da dietro risuonò una risata improvvisa.
"Me la sto spassando" una voce pungente si intromise.
Girandomi, vidi che si trattava di Harlan Ellison, indossava un vestito alla moda e la sua faccia esprimeva soddisfazione. "Sculo, Phil, ma ciascuno di noi ottiene quello che si merita. C'è una logica nell'Universo."
"Okay, Harlan" mormorò Phil, stringendo la sua bottiglia di vino."Piantala."
"Tu sei finito sul marciapiede" continuava Harlan, sfrontatamente "ma io ho la mia grande casa a Sherman Oaks; ho una libreria piena di tutte le mie migliaia di ..."

"Ti ho conosciuto quando eri uno stupido fan" prorruppe Phil " Tanto tempo fa, nel 1954. Ti regalai una storia per la tua fanzine."
"Ed era una storia scadente" disse Harlan, sorridendo furbescamente.
Esitando, Phil mormorò "Ma mi avevi detto che ti era piaciuta."
"Mi era piaciuto il nome del protagonista" lo corresse Harlan. "Waldo. Ricordo esattamente cosa dissi; dissi che ho sempre ammirato le persone che si chiamano Waldo. La storia la buttai via."

Sopraffatto dal tormento, Phil tacque. L'autobus proseguì; ed io, ripensando alla faccia maligna e divertita di Harlan Ellison e alla persona infelice e sconfitta seduta accanto, mi domandavo cosa significasse tutto ciò e a cosa servisse. Per quale dei due provavo pietà? Crudeltà maligna e successo, oppure sventurata disperazione. Era difficile da decidere.

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