mercoledì 2 gennaio 2008

Redford per Sartori


Se non ricordo male, il cinema nel giorno di capodanno è sempre stato una sorta di rito. Ci andavo con mio padre, io e lui da soli, quand'ero bambino, a vedere un western o un horror, che allora non si chiamavano horror ed in famiglia piacevano solo a me e a lui, e riusciva a farmi entrare anche se era vietato, il film in questione.
A quanto pare, e a giudicare dalla quantità di persone, è ancora un rito! E ieri, a Roma dalle parti di piazza Barberini, c'era un mucchio di persone, a svolgerlo il rito. Addirittura in coda per fare il biglietto per accedere ad una delle tre sale, poi in piedi ad aspettare di entrare e ciucciarsi tre quarti d'ora di pubblicità varia, prima dell'inizio della pellicola. E va bene, l'ho fatto anch'io, senza risparmiare le mie solite lamentele ad alta voce. La fine del piacere e del godimento, laddove anche andare a vedere uno spettacolo diventa - è diventato - governato dalle regole di mercato. Tempo di lavoro, anche questo. Come tutto, oramai. Niente sfugge al tempo imposto. E anche il film, alla fine, si è rivelato esser parte del gioco. Un film inutile, non sto nemmeno a definirlo un brutto film. Ché forse non è nemmeno un film! Certo, c'è una regola, nella narrativa filmica e ci sarebbe da aggiungere che - diversamente dai libri - non dovrebbe essere dato ad un film di sfuggire dalla narrazione ed entrare nel saggio o, peggio, nel pamphlet. Se - come dice Sbancor - il romanzo (soprattutto noir) è rimasto l'unico modo di descrivere la realtà, dovrebbe essere così a maggior ragione per il film. Ma, purtroppo, abbiamo avuto Moore, nel cinema, negli ultimi tempi, e il "successo" tende ad ... arruolare. E così Redford ha voluto girare questo "Leone per Agnelli". E viene da chiedersi solo perché abbia voluto farlo. La storia si ripete - avrebbero potuto dire insieme Robert Redford e Meryl Streep - la prima volta in tragedia, la seconda in farsa, ripensando al Vietnam e pensando al presente. E Tom Cruise potrebbe anche rendere bene i termini della farsa. E, invece, tutto sembra risolversi in una sorta di chiamata alla realtà e ad un impegno che ha il suono fesso di una lezione di politologia dove - per più di un attimo - ho visto che le sembianze di Redford diventavano quelle di Sartori!

5 commenti:

Anonimo ha detto...

L'età del resto è quella e le vanità, seppur indirizzate in differenti campi, non ne parliamo.A Venezia 2007 non c'era regista,produttore,diva o starlet che non facesse la fila davanti ai microfoni per sparare a zero sull'amministrazione Bush.Ancora un po' e si sarebbe sentita l'esigenza di rivedere "Berretti verdi" per stemperare l'eccesso di conformistico dissenso. Tutto questo empito lo ha spiegato molto bene lo stesso Redford all'incontro col pubblico di Romafilmfest : adesso che le cose vanno male è facile dire peste e corna della politica di Bush.E infatti lui,in ordine di tempo è l'ultimo arrivato. (ammesso che quello di "Leoni per agnelli" sia dir male).Buon anno
Tiziana

BlackBlog francosenia ha detto...

Ed era questo dir male e non dirlo a lasciare perplessi. Come quel "Roma sta bruciando" ed il voler spiegare la democrazia americana per mezzo di quella greca, come se dovesse essere la scimmia a spiegare l'uomo, e non viceversa. Non so se sia l'ultimo arrivato, Redford, ma ho conosciuto dei musicisti americani che lo volevano per presidente. No, non Robert Redford. Ma il sundance kid di Butch Cassidy, quello che sparava bene solo quando poteva muoversi!!!

salud

Anonimo ha detto...

Intendevo ultimo arrivato come uscita sale.Lui no, è un " antagonista" di lungo corso ma il suo lavoro è tale da non lasciar spazio nemmeno all'apprezzamento per la buona volontà.Il cinema è già un'operazione ambigua di suo, se a quello ci aggiungi altre ambiguità e stili narrativi che ammiccano a generi ritenuti più colti ed europeizzanti e divi clamorosi,il risultato è quel che hai visto : un pasticciaccio che comunque salva "i nostri ragazzi" ( e questo fa a cazzotti con l'"antagonismo" )molto elogiato dalla critica.
Tiziana

Anonimo ha detto...

questo commento lo potrei intitolare "come guardare lo stesso film, a dieci centimetri di distanza, e vederne un altro.

Non posso dire che il film mi sia piaciuto, perche', come giustamente hai detto, soffre di non essere un film, bensi' quello strano genere di film-denuncia un po' noioso che ora e' di moda. Altri tempi quando la "denuncia" si faceva con pellicole che ti tenevano incollato allo schermo e di cui ancora si ricordano i dialoghi!

Ma torniamo a Redford. Ho molto apprezzato la passione con cui ha voluto criticare se stesso e quelli come lui, la classe bianca bene americana, meglio ancora quella medio-alta. Ha detto a se stesso ed ai suoi che, per distinguersi dalle iene come il Tom Cruise del film, non basta avere tanti scrupoli di coscienza davanti alle bare (Meryl Streep) oppure rinchiudersi nel proprio privato e mantenersi puro (il personaggio che ha tenuto per se). Ha detto anche ai figli bene dell'america bianca che il loro sentirsi "superiori" a quello che accade non e' dovuto al loro essere piu' svegli dei padri, ma alla loro incapacita' di capire e parlare con le classi piu' basse, le uniche che, pur maltrattate dal sistema americano, si sentono "coinvolte" fino a morirne.
E' un film moralistico, che per questo fa spesso sospirare di fastidio soprattutto nei dialoghi studente-professore, ma e' un film fatto con cuore, da un regista che evidentemente, quando si sente coinvolto, non riesce piu' ad essere regista ma solo un reduce un po' noioso ed eccessivamente speranzoso (il ragazzino e' l'unico sulle cui scelte non e' dato sapere e quindi sul quale e' lecito sperare).

Peccato per il risultato artistico, ma il giudizio di Tiziana mi sembra eccessivamente impietoso, perche', a mio avviso, il film non critica per nulla Bush e la sua amministrazione, il film e' rivolto da questa parte, dala parte di quelli "contro con garbo".

BlackBlog francosenia ha detto...

si diceva una volta, con le pantere nere, o si è parte del problema o si è parte della soluzione. Non ho dubbi nel ritenere la media borghesia americana (bianca o nera o a pallini che sia) parte del problema. E credo che siano proprio le classi più basse (quelle, per inciso, mitragliate come talebani nella palude di new orleans) a non aver niente da dire loro!
Film come quello che abbiamo visto insieme, mi fanno lo stesso effetto che mi facevano i film di Bergman, su matrimoni e affini. Una classe mortifera, a tutti gli effetti, quella cui si riferisce redford. Capace, nel suo immaginario, solo di far morire chi si avvicina alle cazzate che propugna. Così leggo la morte dei due sedicenti proletari che vanno a morire sulle montagne dell'afghanistan. Morti stronze, per dirla con Julian Beck! Parlando di questo film, me n'è tornato alla mente un altro. Quel capolavoro che è "Cancelli del cielo", capace di affermarte il tradimento di classe come unica politica possibile. E capace, economicamente, di far fallire una casa cinematografica!

salud