giovedì 31 maggio 2007

definizioni



"Il gatto simboleggia la luna argentea che scruta negli angoli e prepara
lindo il cielo per il giorno a venire.
Il gatto è "il pulitore" o "l'animale che pulisce sé stesso", definito
dalla parola sanscrita "Marjara", che significa "il cacciatore che segue la
pista; l'indagatore; l'esattore del dovuto".
Il gatto è il cacciatore e l'assassino, il suo sentiero è illuminato dalla
luna argentea. Sotto quell'inesorabile luce delicata, ogni recesso buio e
ogni essere vengono disvelati. Non puoi scuoterti di dosso il tuo gatto
perchè il tuo gatto sei tu. Non puoi nasconderti dal tuo gatto perchè il
tuo gatto si nasconde con te".

mercoledì 30 maggio 2007

Raccontare Storie



Raccontare storie.
E' il titolo di una bella "graphic novel" di Warren Ellis, protagonista quel John Costantine dai cui fumetti è stato tratto anche un film. "Costantine", per l'appunto.
Raccontare storie. Ho sempre ritenuto che tutte le fortune, e tutte le sfortune, della razza umana abbiano avuto origine dal desiderio e dal piacere di raccontare storie. E di sentirle raccontare.
E' cominciata così. Erano bei tempi.Intorno al fuoco,dopo la caccia, e qualcuno cominciava a raccontare una storia. Vera o presunta. Tempo per confezionarne ce n'era, e di molto. Sembra che, per far girare l'economia, all'epoca, bastasse cacciare solo un paio di giorni la settimana. Così c'era tempo. Tempo per inventare, costruire e mettere a punto quel linguaggio che doveva servire a poter raccontare storie. Tempo per poterle imparare a memoria, in modo da poterle ri-raccontare. E far circolare, così, il linguaggio. E le storie!
Nient'altro. Di editori, e diritti d'autore nemmeno l'ombra, ai tempi. E neppure case discografiche. Del resto, anche di canzoni, libri e film non se ne parlava. E tantomeno c'era Internet! Ma sono convinto che le storie venissero raccontate arricchendole di una sorta di colonna sonora ed effetti audio, al fine di sottolinearne i passaggi salienti.
Ne abbiamo fatto tanta di strada, da allora. Forse. Adesso abbiamo cinema, letteratura e "canzone d'autore" per soddisfare la nostra bramosia di storie. E anche Internet, certo.
Non nascondo affatto che il mio interesse principale è rivolto alle storie. Scritte, cantate, proiettate. Consulto riviste e siti internet, al fine di poter scegliere quelle storie che ritengo possano interessarmi. E, ogni tanto, quando capita, mi punge vaghezza anche di raccontarla, una storia. Quando ritengo, a torto o a ragione, che ne possa valere la pena. Per me, piùcchealtro. Non per chi, eventualmente, legge!
Questa è una storia che, temporalmente, si colloca nell'agosto del 2005. Ma che importa!


Non è il mese peggiore agosto, per passare in ufficio poco più di sette ore al giorno, cinque giorni la settimana. L'ho scoperto da qualche anno a questa parte. Il tempo scorre veloce nello stabile di cui sono ospite da ventisette anni, quando la più parte dei rompicoglioni è altrove. Ferie. Nel mare oleoso della Versilia o da qualche parte in montagna. Pochi problemi alla rete locale, pochi computer accesi. E anche oggi, venerdì 5 agosto, la giornata è quasi finita. Sono le 13 e 15 quando il custode mi fa squillare il telefono per invitarmi ad un piatto di spaghetti. La moglie ungherese è a Budapest e in compagnia si mangia meglio. Il tempo di fare quattro chiacchere, raccontarsi qualche storia ed è già ora di timbrare il cartellino. La cronaca parla del cosiddetto atto di vandalismo ai danni del biancone. Quell'orrore scolpito dall'Ammannati, allievo di Michelangelo, il quale vista l'opera si rivolse al discepolo con le seguenti parole: " o ammannato, ammannato, che bel pezzo di marmo t'ha rovinato!!". Ma sui giornali la statua è assurta alla dignità di capolavoro, mentre è stata messa in atto una campagna volta ad ottenere una condanna ad "almeno" tre anni di galera per il povero cuoco empolese che ha messo inopinatamente il piede sul polso del nettuno in piazza Signoria. Campagne estive, fra opere d'arte e blocchi dei traghetti per il campionato di calcio! Chiacchere estive. Poi, quando ci alziamo per il caffè, si è quasi fatta l'ora, per me, di uscire all'aria aperta. Ma notiamo uno strano capannello fuori dalle porte, sulla strada. Non è il solito rito del fumo (alla faccia del ex-ministro Sirchia!). Sembra, invece, che ci sia il solito scocciatore che vuole fare il codice fiscale quando l'ufficio è chiuso. Qualcuno brontola, rientrando, a proposito del fatto che c'è uno che parlerebbe solo tedesco e non capisce un cazzo. Faccio per dirigermi verso il distributore di caffé, quando qualcuno mi chiama dicendo "tu lo parli l'inglese, vero?". Il mio inglese parlato è, usando di un eufemismo, terribile. Ma è senz'altro migliore di quello di Gino che sta in qualche modo interloquendo con una persona sui settant'anni dall'aria evidentemente confusa. Non è tedesco, è americano. E uno strano senso di sgomento mi assale quando mi rendo conto che le parole che mormora, ripetendole, dicono "i'm lost". Mi sono perduto. La fantasia galoppa, in certi casi. Qualcuno del "pubblico" si butta a pesce sul caso dello smemorato. Un americano che ha perso la memoria e che si aggira per Firenze, fra Hitchcock e Wollrich? Niente di tutto questo! L'uomo è in evidente stato confusionale ma qualcosa comincia a trapelare. Com'è arrivato qui? Ship. Una nave? A Firenze? No. By bus. E l'autobus riparte alle cinque. Sì, ma per dove? Hai amici, famiglia. No, è solo. D'accordo, stai calmo ora. Calmati che tutto s'aggiusta. Lo invito a entrare e lo faccio mettere a sedere. Vuoi bere qualcosa. Una fanta!!??!! D'accordo, bevi la fanta e parliamo con calma. Si chiama Redmond Largay, di Phoenix, Arizona. E' in crociera sulla "Crystal Serenity" che viaggia da Barcellona a Senezia, passando per Santorini e dalla Croazia. Pure! La nave è arrivata stamattina a Livorno, e lui, insieme ad altri trenta passeggeri, ha preso un autobus per fare un giro a Firenze. Ha visto Michelangelo (suppongo il davide, al museo dell'accademia), poi ha perso il gruppo. Il bus riparte alle cinque per Livorno, insieme al gruppo che ha perso. E la nave riparte stanotte, alle 11, per Civitavecchia! Ha girato, ha ri-girato e, disperato, è finito in un ufficio dell'agenzia delle entrate. Dimmi tu! A questo punto ci sono due possibilità, dopo aver messo in moto la "squadra di salvataggio": o metterlo su un treno per livorno, o ritrovare autobus e gruppo e farlo venire a prendere. Intanto si è tranquillizzato ed ha cominciato ad uscire dal suo stato confusionale. 112 e 113 glissano. Ci invitano a telefonare al 118. Inutile fare loro notare che la persona sta bene e deve solo ritrovare il suo gruppo. Niente da fare. Tremo al pensiero che sono le stesse persone che, alla stazione di Firenze, hanno fatto brillare una valigia che era stata rubata, senza nemmeno curarsi di sentire i loro colleghi se avessero ricevuto una denuncia per furto. Meglio fare da soli. Marcella è un ottima "telefonista", estroversa e spigliata al punto giusto. E' lei che cura i collegamenti. Prima telefona alla capitaneria del porto di livorno per sincerarsi dell'esistenza e sull'orario della partenza della "crystal serenity" (cazzo! sembra il nome di un'agenzia di pompe funebri!!!) e si fa dare un numero di telefono per risalire all'accompagnatore del tour. Il numero è romano ed è dell'agenzia che cura in italia crociere e tour per la compagnia di navigazione sulla cui nave viaggia il nostro amico Red che nel frattempo si è rilassato. Gino non sa una parola di inglese ma è un pazzo scatenato, amico di infanzia di Alessandro Benvenuti, a Pontassieve, ed avere a che fare con lui è come stare in un film con Alberto Sordi. Per un'ora, un'ora e mezzo si può sopravvivere! La signora dell'agenzia è abbastanza efficiente, e dopo dieci minuti ci ritelefona dicendo che è riuscita ad identificare il tour e ci comunica che di lì a poco verremo contattati da certo De Paolis, l'accompagnatore. "Five minutes, Red. Just five minutes. Ok?" Red sorride e da quasi l'impressione che ci rimarrebbe anche volentieri in questo posto. Chissà! Alla fine, De Paolis telefona. Chiede dove deve venire. Arriva con un taxi. Ci ringrazia e viene a portar via Red. Qualcuno gli dice che lo abbiamo fatto volentieri, per Red. E' dolce. E' anziano, Lui ci dice che forse è il più giovane ed io riconsidero quel nome. Crystal Serenity. Che pezzi di merda!!! Il nostro amico americano va via. Ci saluta, gli occhi traboccanti di gratitudine, fino a lasciarsi scappare qualche lacrima. Marcella non si risparmia una considerazione su Bush, mentre lo saluta. Io gli stringo la mano e gli auguro "good luck". Ecco. Questa è la storia. L'ho raccontata. E così ho potuto scrivere il suo nome. Redmond Largay di Phoenix, Arizona. Buona fortuna. Non ci rivredemo mai più. Ma, insieme, abbiamo imparato che non servono poliziotti né carabinieri, come non servono carceri. Servono solo esseri umani. Sperduti e ritrovati. Un'ora di utopia. Brechtiana. Dove nessuno ci rimette. Tutti ci guadagnano. Buona fortuna a tutti noi.

martedì 29 maggio 2007

Notte Maledetta



Non amo particolarmente il cinema di Gus Van Sant, ragion per cui quando ho posato gli occhi sulla copertina del libro, ed ho visto evidenziato che la prefazione era a firma del regista americano, sono rimasto un attimo perplesso. Poi la curiosita l'ha avuta vinta ed ho preso il libro in mano. Ben me ne incolse!
Sfogliandolo, mi accorgo che l'edizione reca, subito dopo il titolo interno, la copertina così come è stata pensata dall'autore in un suo disegno. "Mala Noche & other "Illegal" Adventures".
E la dedica: "A Johnny, Pepper e Raul e a tutti gli altri ragazzi messicani che hanno avuto il coraggio di passare dall'altra parte".
La polvere del confine fra Stati Uniti e Messico si respira per tutto il libro, per tutti i venti "pezzi" che compongono il libro; gli altri disegni sparsi qua e la sono altrettante bonus-track.
Racconti, come quello che dà il titolo alla raccolta, poesie, confessioni, diari. Tutto scritto sempre, e rigorosamente, in prima persona. Come se davvero tutto gli fosse accaduto. E tutto gli è davvero accaduto. Traspare la sincerità, e la realtà, dalle sue parole, dalle sue righe, dal suo periodare. Secco e asciutto, appunto, come la polvere. E sincero, come dev'essere il Messico! Eppure vive da qualche parte in Oregon, a Portland, Walt Curtis. Il poeta della strada.
E bisogna leggerlo, questo libro. Duecentoottanta pagine, aspettando la prossima rivoluzione messicana!


Walt Curtis - Notte maledetta - Newton Compton 8, 90 euri!

lunedì 28 maggio 2007

Altre Generazioni ...



"I giovani francesi e belgi dei miei vent'anni hanno tutti finito per soccombere; i miei compagni sindacalisti di Barcellona nel 1917 sono quasi tutti stati massacrati; i miei compagni e amici della rivoluzione russa sono quasi tutti periti - senza eccezioni, salvo miracoli...
Tutti furono coraggiosi, tutti si cercarono una regola di vita più alta e più giusta che la sottomissione all'ordine borghese. Confesso che il sentimento di avere tante morti dietro di me, e molti di essi valevano più di me per energia, ingegno, formazione storica, mi ha spesso accasciato; e che questo sentimento è stato per me la fonte di un certo coraggio a cui forse converrebbe dare un altro nome.
(...)
Quel che c'è di terribile quando si cerca la verità - diceva un saggista francese - è che la si trova ... La si trova, e non si è più liberi di seguire l'indicazione dei propri vicini né di accettare i luoghi comuni correnti."

Victor Serge - Città del Messico - 1943

venerdì 25 maggio 2007

la volontà del popolo...

L'Assemblea Costituente venne convocata il 5 Gennaio del 1918 e, nonostante tutti gli sforzi del partito bolscevico che era al potere da tre mesi, la maggioranza che ne risultò era antibolscevica.
I lavori dell'assemblea si svolgevano in un'atmosfera di indifferenza generale e di assolutà inutilità, eppure il partito bolscevico esitava a scioglierla.
Fu l'intervento, quasi fortuito, di un anarchico a deciderne lo scioglimento.
Anatol Jeleznakoff, marinaio di Cronstadt, era stato nominato, dal governo bolscevico, comandante del distaccamento di guardia alla sede dell'assemblea. Era il 19 Gennaio 1918 e da giorni i discorsi dei capi dei partiti politici dell'assemblea si prolungavano, inutili, fino a tarda notte. Il corpo di guardia, costretto ad aspettare la fine dei discorsi del giorno prima, era stanco ed esasperato. I bolscevichi ed i socialisti-rivoluzionari di sinistra avevano abbandonato la seduta. Jeleznakoff entrò nella sala alla testa del suo distaccamento. Si avvicinò al presidente, il socialista-rivoluzionario di destra Tchernoff, e disse: "Togliete la seduta, prego: i miei uomini sono stanchi!". Il presidente, sbalordito, protestò. E Jeleznakoff, minaccioso: "Ho detto che il corpo di guardia è stanco. Ne abbiamo abbastanza di queste chiacchiere inconcludenti. Avete ciarlato abbastanza. Uscite!".
L'assemblea obbedì.
L'indomani il governo bolscevico pubblicò il decreto di scioglimento.
Il paese rimase indifferente.

(fonte: Volin - La rivoluzione sconosciuta)

giovedì 24 maggio 2007

Bellezza A Buon Mercato



David Rodriguez. Il suo primo disco, "The True Cross", uscì nel 1992 per una piccola etichetta. Alle spalle aveva due audiocassette autoprodotte. Sempre nel 1992, la Brambus (una casa discografica svizzera) fece uscire un cd simile al primo, "Landing 92" che aveva in più delle tracce extra. Fra le altre una canzone destinata a rivelarsi profetica: un piccolo classico dal titolo "Days of Constant War".
Fin da subito Rodriguez si è dimostrato un musicista con una voce unica e un preciso punto di vista sul mondo.
I recensori si entusiamarono, al tempo, per il suo primo cd e David venne votato come il miglior cantautore del Texas per ben tre anni consecutivi a partire da quel 1992. Cosa non facile in uno stato come il Texas che ha quasi tanti cantautori quanto automobili, ed i migliori di tutti gli Stati Uniti provengono proprio da lì.
Così David Rodriguez decide di rinunciare ad una carriera politica per dedicarsi completamente alla musica. Le sue canzoni hanno sempre avuto un'impronta politico-sociale nel più ampio significato del termine. In un certo modo si può dire che hanno continuato la linea del movimento di protesta degli anni sessanta, e i suoi testi si collegano direttamente, ed idealmente, ai testi di Phil Ochs, Pete Seeger e Woody Guthrie.
Singolare il fatto che i suoi dischi sono tutti fuori catalogo e, tuttavia, ogni anno che passa guadagna sempre più estimatori di sposti a pagarli a partire da un minimo di 50 dollari, su Ebay. David Rodriguez, adesso vive in Olanda.
"Lonesome Drover" (Il mandriano solitario) è il suo nuovo disco, l'ottavo. Ed esce subito dopo uno splendido "Live", "A Winter Moon", pubblicato questo stesso anno. Undici tracce, di cui quasi la metà suonate insieme al suo gruppo, ed il resto registrato con solo Rodriguez, la sua voce e la sua chitarra. Il suono è decisamente folk, anche se insiste qualche influenza rock ed anche un ritmo reggae in "Perfect Love". Tutte le canzoni nel disco, a cominciare da "Visions of Europe", e sebbene la seconda canzone si intitoli "Cuba Libre", parlano nei testi di Olanda, Belgio, Praga. Canzoni d'amore, di protesta e di povertà.
In "Song for Prague" canta:

Canzone per Praga
di David Rodriguez

"C'è un posto
dove si vende bellezza a buon mercato
Una sigaretta nella sua mano
Nessun diritto, nessuna tassa
Sorride sempre
Una ragazza senza un posto dove andare

Qualche bicchiere di vino
Uno o spinello o due, forse
I giorni passano come le notizie
in televisione
Come fai a vivere
Quando sei ferita
e pretendi di non esserlo?"

Hanno dato un'occhiata a questo mondo
Che ha ferito le loro anime
Ed ora si sentono invecchiate dentro
Ma non era cosi che doveva essere
No, loro erano quelle che
Noi speravamo avrebbero estratto i chicchi d'uva dal vino

C'è un posto
dove si vende bellezza a buon mercato
Nessun diritto, nessun programma
Adesso che succede tutto quanto insieme
Mi rendo conto di quanto poco abbiamo dato
Quello di cui avevano più bisogno era amore.


Canzoni, imparate dalla vita e dal suo significato, che cantano il loro proprio tempo e camminano attraverso gli anni per diventare senza tempo. La voce e la musica che sale da dentro. Da David Rodriguez.

http://www.davidrodriguez.nl/
http://davidrodriguezmusic.blogspot.com/
http://www.myspace.com/davidrodriguezmusic

mercoledì 23 maggio 2007

Beam up, Scotty!



Questo "ritratto" di Oreste Scalzone, scritto da Erri De Luca nel 2000 e rimasto inedito salvo che per la pubblicazione su un libretto a bassa tiratura per una piccola casa editrice, "Lettere da una città bruciata", riesce appieno, a mio modo di vedere, a dare una "descrizione" a tutto tondo di Oreste. Contro luoghi comuni, anche da parte dei compagni, e facili "complicazioni", emerge da queste righe la figura semplice e pulita di Oreste. Una cosa mi ha fatto sorridere. Quando ho letto del suo "materializzarsi ovunque", ho ripensato alla discussione fatta più di un mese fa, all'una di notte sotto l'obelisco dell'Eur, a parlare con Piperno a proposito del "trasferimento di materia". Ho pensato ad Oreste Scalzone....a Star Trek!


Anagrammi
di Erri De Luca (2000)

Gli anagrammi sono apparizioni. Dentro una parola ne spunta un'altra che utilizza le medesime lettere. Lettere? Le rette. Parole? L'opera. L'anagramma contiene un segreto e irrita chi non lo vede.
Mi aggiro intorno al nome Oreste perché contiene destino. Oreste? E' sorte.

Il nome già costringeva al viaggio. Oreste/estero. Così è stato. Dopo la prigione gli è toccato l'espatrio clandestino in una terra di civiltà che ancora sa distinguere un rigugiato politico da un bandito. Senza lo scippo delle sue quattr'ossa dai carceri speciali starebbe ancora imbalsamato vivo in un penitenziario dei nostri. Oppure il suo corpo di uccello appiedato avrebbe preferito la libertà di morire. Oreste all'estero: questa radice quadrata lo ha scaraventato su una tribuna traballante dalla quale non è sceso più. Onore alla Francia che nell'ora di Schengen, quando per legge unificata di polizia i rfugiati italiani dovevano essere spediti automaticamente alla celle nazionali, decise il suo sovrano no. E si tenne per citoyens i profughi politici italiani. Onore alla Francia per essersi tenuto Oreste, inesorabile prezzemolo e portavoce di tutti i casi malcapitati, dai suoi a quelli degli immigrati senza documenti.
Nessun politico italiano di passaggio a Parigi ha potuto tenere un incontro pubblico senza essere intercettato e interpellato da lui. E' apparso loro ovunque come l'ombra di Banquo a Macbeth, ma a differenza di quella, non zitta. E' apparso alle presentazioni dei miei libri a Parigi, ovunque ci fosse un'occasione corale d'incontro. L'ultima volta al Beaubourg mi toccava parlare di alcuni indizi circa la biografia di Dio. E' venuto e ha spiegato sotto forma di domanda il valore rivoluzionario del verso del libro Levitico/Vaikrà che avevo appena accennato: "E amerai il tuo vicino come te stesso". Ho aggiunto dopo di lui che l'ebraico del verso stabilisce una giusta precedenza: amare prima il vicino e solo così poter amare anche se stesso. Si ama la propria vita tanto quanto si è capaci di amare le persone intorno. Ha approvato sorridendo. Fischia e sorride volentieri.

Non ha schiena. E' frontale come un bassorilievo. Ne aveva una sana e la sfilò ammaccata da sotto la rovina di un banco scagliato dalla finestra di un'università di Roma, facoltà di Legge. Da nessuna parte è scritto di fare con il proprio unico dorso quello che è raccomandato per le guancie, di offrire la seconda. Non disponendo di una schiena di scorta gli resta solo il lato anteriore e porge quello. Non si è arricchito: "scelte senza oro" è l'anagramma del suo nome e cognome.
Ha una voce di fili di rame, una trachea sfondata di gridi. L'ho sentito cantare Addio Lugano bella nell'omonimo film di Francesca Solari e ho saputo che poteva materializzarsi ovunque. La sua voce era diventata un impianto: stereo, altro anagramma di Oreste.
Stereos in greco significa forte, vigoroso: il suo corpo ha concentrato tutta l'energia nelle corde vocali. Le sue onde sonore passano spesso i confini e circolano da noi con sgomento di pubblici ufficiali. Arrivano sue frasi battute dai giornali, registrazioni e altre incarnazioni. Un suo braccio è apparso a Pisa, il suo colbacco a Terni, un suo mutandone era appeso in una casa di ringhiera nel quartiere Ticinese di Milano, il suo fischio canterino zufola talvolta per nostalgia davanti a una porta arruginita dell'Alfa Romeo di Arese, dove distribuiva volantini di Potere Operaio trent'anni fa.

L'ultimo anagramma è meridionale. Oreste è 'o rest'. E' il resto di una folla di ammutoliti. Con lui termina la specie di chi non ha sconfessato niente, addossandosi responsabilità personale e plurale di ogni atto politico della sinistra rivoluzionaria italiana. Anch'io risento questa specie di lealtà, ma a me non costa nulla, io resto un illeso, uno che non ha scontato. Di tutti noialtri di quegli anni è la maschera finale che ci riassume tutti. Ricordo una poesia d'infanzia dove un Pulcinella buffo ed eroico dice a ogni fine di strofa:" 'O cunto purtatelo a me". A lui, ai rifugiati eterni, ai detenuti a vita ogni giorno, come fosse il primo, è presentato 'o cunto.

- Erri De Luca -

martedì 22 maggio 2007

Quando solo il meglio sarà sufficiente...



"...ma guarda che la vita
non è la prima porta aperta
in fretta senza bussare
è il balcone più grande che
guarda sul mare!"

R. Vecchioni - Speranza

Badlands



Letteralmente, Badlands dovrebbe significare qualcosa come "territori sottoposti al fenomeno di erosione", ma nell'immaginario riportano ad altro. Al film di Terence Malick, con Martin Sheen e Sissy Spaceck, per esempio. Oppure all'area che, nell'universo di Star Trek, è situata nel Quadrante Alfa ed è caretterizzata da ... tempeste di plasma! Badlands è anche la canzone che da il titolo al primo album di Bill Chinnock, di cui ho già parlato. Ed è anche il pretesto per pubblicare questa sua bella foto che ho scannerizzato .....

Badlands
di Bill Chinnock

Sulle ali spezzate di un Harley scassata
In un giorno scassato e pieno di rabbia
Mi fermerò e morrò come un uomo
A modo mio
Dentro un cerchio vuoto di facce anonime, per strada
Sarò un marinaio
Cristo! Sono un marinaio
E navigo l'asfalto

CORO:
Viaggia con me
Viaggia con me
Mi fermerò
E morirò come un uomo
nelle badlands

Hanno costruito un'autostrada nuova di zecca
Dove ho eletto la mia dimora
Ed un diluvio di luce al neon
di tuoni e fulmini
che urlano come sul mare
E bettole ed un bisca
Senza il becco di un quattrino, sulla strada
La mia Harley guaisce come un leone ferito
E danza follemente sull'asfalto

CORO

Non voglio essere un numero
Dentro un classificatore
Li farò tremare al suono del tuono e del lampo
Quando la mia Harley ferita
Li prenderà alle spalle con un ruggito

CORO

Soldato nella città, abbracciato dalle strade
L'asfalto è la tua casa
Come un dinosauro di un film di serie B degli anni 50
Affronto il diluvio da solo
E tutti i ragazzini
nella strada in cui giocano
Raccolgono l'orecchino di un angelo caduto
In un giorno scassato e pieno di rabbia

CORO

lunedì 21 maggio 2007

Il Suicidio Per Paura Della Morte!



La "vignetta" è terribile, oltre che geniale! Ma cominciamo dal principio, e anche oltre.
A Francoforte non c'è stato modo di rimediare una copia del manifesto del concerto di Christy Moore! Ne ho visto solo uno, in città, che annunciava l'intera tourné: due concerti in Germania, uno ad Amburgo il giovedì, ed uno il venerdì a Francoforte. Già, Christy Moore, il menestrello irlandese. Il concerto è stato superbo, qualcosa di speciale, e non solo per l'acustica perfetta e per la partecipazione del pubblico. Sono state perfette anche le esecuzioni, da "Viva la Quinta Brigada" fino a "Nancy Spain". Senza dimenticare, soprattutto, un inedito blues, scritto per un amico da poco scomparso, Rory! Rory che - dice la canzone - sarà senz'altro andato a suonare i blues in cielo. Una canzone stupenda, dove accanto all'amico vengono evocati i nomi dei bluesmen; da Muddy Waters a Sleepy John Eyes.
Quest'altro manifesto, quello della vignetta, invece, si trovava in una libreria frugata poco prima del concerto. Era in una strada di questa città non brutta, ma decisamente priva di un carattere, persa com'è fra duomi e grattacieli, senza saper riuscire a scegliere, senza mai saper decidere del tutto da che parte volere andare. Quasi volesse rimanere ferma, sospesa in quel verde lungo le rive del suo Main, volgendosi a guardare ora il duomo, di giorno, cangiante colore al variare della luce in intensità e calore; ora volgendosi, di notte, a farsi rubare gli occhi dallo skyline infuocato dettato dalla presunzione dei grattacieli illuminati di varia forma e prestanza.
Francoforte. E il manifesto stava là, a guardare chi lo guardava. A ricordare i controlli subiti, e a preannunciare quelli futuri. Areoporti, ma non solo!
A me, ha fatto tornare alla mente, da lontano, qualcosa ormai passato. Quasi a voler rimettere sui piedi parola e significato, dove terrorismo e terrorista vengono restituiti a chi lo merita. E riporta, così, ad una di quelle canzoni che tanto amo e che l'altra sera Crhisty Moore non ha cantato. "No time for love".
Mi ha ricordato perquisizioni e fermi di polizia, e mi ha ricordato di quando erano all'ordine del giorno. Prepotenza e arroganza, quella dettata dalla sicumera di essere e restare impuniti. L'unica!
Mi ha ricordato la violenza compiaciuta di chi frugava fra le tue cose, fra la tua vita, alla ricerca di ... prove.
Già, prove! E nella dimensione della paura che ti stringe lo stomaco, molte cose diventavano pian piano prove. A tuo carico! E distruggere le prove (anche quando non proverebbero altro che ciò che sei e quello che già sanno) diventa un dovere, come la sopravvivenza. Un grosso pacco di lettere. La mia corrispondenza con chi era costretto a scrivere dalla prigione! Lettere d'amore, come lo sono tutte le lettere. Erano quelle le prove da distruggere! Qualcuno poteva trovarle, sfogliarle, leggerle, soffermarsi sulle firme che recavano in fondo. Lo stesso qualcuno che, dopo averti svegliato alle cinque del mattino, ti contava le stoviglie rimaste sul tavolo non sparecchiato della sera prima e immaginava i commensali. Così distruggi le lettere, mentre aspetti i colpi alla porta. Distruggi le lettere, e continui a pensarci per gli anni a venire. Non conta il fatto che ti sei rifiutato, come hanno fatto molti, di liberarti di giornali, riviste, ciclostilati, manifesti, volantini. Ripensi sempre a quelle lettere. Come se anche tu, per vincere il loro terrorismo, avessi pagato un prezzo troppo alto, alla fine.

giovedì 17 maggio 2007

"Il ragno è nero"



Sono passati ormai tre anni, da quella primavera del 2004, da quando Giorgio se n'è andato. Tre anni e non è trascorso un solo giorno in cui - per qualsiasi motivo - non mi sia capitato di rammentarlo, almeno una volta, per una battuta, un commento, una chiosa che lui avrebbe senz'altro fatto.
I suoi "tormentoni" - quelli che riuscivano sempre ad inchiodare al ridicolo, la realtà delle situazioni - sono da tempo diventati anche mio patrimonio.
Un modo di averlo accanto, naturalmente, preceduto da ... "come diceva il Santarelli".
Giorgio Santarelli. Girando in rete, ho trovato la pagina web che, su di lui, ha fatto l'Anpi, Sezione Oltrarno, di Firenze. E mi sono ricordato del drappo con cui è stato seppellito. E mi è anche tornato in mente di come si rideva, insieme alla moglie Laura, ricordando episodi del Giorgio Santarelli vivo. Ché quello morto, disteso a pochi metri, non era certamente lui! Non poteva essere lui! No, lui è quello nella foto. E' stato ed è rimasto sempre quello. Vent'anni, il mitra. E, sul viso, quel misto di espressione seria e l'aria di chi sta per pigliarti per il culo...
Alla tua salute, Giorgio!

mercoledì 16 maggio 2007

A Sud di Delia



Si può fare un disco di sole cover che riesca a rasentare il capolavoro? Una domanda cui Richard Shindell tenta di dare una risposta. La sua risposta. E la risposta sono 12 canzoni che luccicano come cristalli, illuminati dall'estro e dall'amore del cantautore americano.
Dodici tracce:

1 - Acadian Driftwood
2 - Senor (Tales of Yankee Power)
3 - The Humpback Wale
4 - Born in the USA
5 - Mercy Street
6 - The Storm Are on the Ocean
7 - Northbound 35
8 - Sitting on Top of the World
9 - Texas Rangers
10 - Deportee
11 - Solo le Pido a Dios
12 - Lawrence, KS

South of Delia, questo il titolo del disco. E così, finalmente, le canzoni che spesso Shindell ha incluso nelle sue esibizioni dal vivo trovano la strada della registrazione, sorrette da una strumentazione di tutto rispetto. Ci sono tracce memorabili, come "The storm are on the ocean" di A.P. Carter, c'è una rilettura di "Born in the USA" di Springsteen che riflette l'amarezza e la sofferenza che emana dal testo. Le canzoni scorrono naturali, quasi con leggerezza, ma appare ovvio, d'altra parte, che la costruzione del disco ha richiesto tempo ed uno sforzo considerevole, per come si è realizzato in una produzione, ed un arrangiamento, che fossero all'altezza delle canzoni.
Essenziale, e da non perdere!


Il prossimo confine
di Richard Shindell

E' notte fonda vicno al confine con l'Indiana
Mi sto trascinando fino ad un centro di accoglienza cristiano
Il sermone risuona chiaro come il cristallo
Ma io non sono in grado di ascoltare
Cosa il prete stia raccontando a proposito della rivelazione
Sto da schifo e sono stanco
Ma il predicatore è pieno di entusiasmo
E mi piacerebbe poter credere
Chiunque veglia su tutti questi camionisti
Abbia misericordia per un peccatore a pezzi
E mi guidi
Signore guidami fino al prossimo confine
Tu che mi hai fatto così ingenuo
Fai tremare la mano
Che si allunga per sottrarmi ciò che è mio
Io lo guardo dentro gli occhi
E non c'è più tempo
Rimane solo abbastanza tempo per pagare
L'autostrada prende il suo pedaggio
Il semaforo diventa verde
E ti dà il benvenuto in Ohio
Chiunque veglia su tutti questi camionisti
Abbia misericordia per un peccatore a pezzi
E mi guidi
Signore guidami fino al prossimo confine

Ci vogliono anni luce di niente prima che arrivi la luce delle stelle
E c'è una strada vuota che mi riporta indietro fino a te

Sono le 4 del mattino sulla 80 Est
E' nella natura animale
Chiedersi se ci si è sbagliati in qualcosa
Ma il predicatore è pieno di entusiasmo
E mi piacerebbe poter credere
Chiunque veglia su tutti questi camionisti
Abbia misericordia per un peccatore a pezzi
E mi guidi
Signore guidami fino al prossimo confine

martedì 15 maggio 2007

Dos Amigos por Texas



Quest'anno si può leggere solo on-line, il diaro del viaggio musicale di Andrea e Massimiliano!
Basta clicckare qui!

Famiglie, preti e giudici!



A pensarla la famiglia, oltre a Norman Bates in Psycho ed alla storia di Caino e Abele, mi torna in mente il villaggio di Spoon River, con le sue famiglie e con i suoi preti. Inverto l'ordine dei due "epitaffi", per tentare di giocare una maggior comprensione.


90 - Il Reverendo Lemuel Wiley

Ho predicato facendo quattromila sermoni,
Ho condotto quaranta meeting
Ed ho battezzato molti convertiti
Eppure niente di tutto quel che ho fatto
Riluce più brillante nella memoria del mondo,
E niente mi è più caro nel ricordo:
Guardate come ho salvato i coniugi Blisses dal divorzio
E come ho evitato una vergogna così grande ai figli
Facendoli così crescere fino a diventare uomini e donne di spiccata moralità
Felici loro stessi, e un attestato per il villaggio.

88 - La Signora Charles Bliss

Il Reverendo Wiley mi raccomandò di non divorziare
Per amore dei figli
E il giudice Somers raccomandò la stessa cosa a mio marito
Così ci fermammo subito prima
Ma due dei nostri figli pensavano che lui avesse ragione
E gli altri due pensavano che fossi io nel giusto
E i due che si erano schierati con lui mi diedero la colpa
E i due schierati con me diedero la colpa a lui
E ciascuno di loro si affliggeva per quello di cui aveva preso le parti
Ed erano dilaniati dal senso di colpa derivante dal giudicare
E si torturavano l'anima poiché non potevano ammirare me e lui allo stesso modo
Ora, ogni giardinere sa che le piante cresciute in un sotterraneo,
o sotto una pietra, sono contorte, gialle e poco resistenti.
E nessuna madre darebbe da suggere al proprio figlio
latte avariato dal proprio seno.
Eppure preti e giudici raccomandano di far crescere le anime
dove non c'è luce del sole, ma solo crepuscolo.
Dove non c'è calore, ma solo umidità e freddo.
Preti e giudici!

da Edgar Lee Masters (1868–1950). Antologia di Spoon River.

Buttare via il bambino con l'acqua sporca!



Una frase sicuramente "sessantottina", quella posta a titolo! Niente di meglio per sintetizzare quello che mi passa per la testa, dopo aver letto la seconda parte dell'introduzione di Marco Philopat al libro di Bertante, "Contro il '68". E poteva dirlo subito, Philopat, che per lui il problema era "Lotta Continua" e la sua parabola! Curioso, però, che tale parabola, Philopat, pretenda di farla risalire solo a partire dal 1975, quando avrebbe rallentato la sua "spinta creativa", inesorabilmente, fino allo stop del 1976. Parole di Philopat. Ma credo che siano parole piùcchealtro ... generazionali. FORSE chi non c'era, non può ricordarsi che la spinta creativa cessò ben prima, ai tempi di "liberare tutti". E lo voglio sottolineare quel forse! Perché, a mio avviso, sta proprio là, la questione. Nel fatto che solo chi c'era sembra dover poter ricordare. No, non credo che funzioni così. Non ho bisogno di esserci stato per ricordarmi che lo stop definitivo del partito comunista italiano è avvenuto nel 1926, a fronte di una fine precedente della "spinta creativa". Non so, Philopat parla del 1977 - e di come, in quell'occasione, sia stato ucciso il padre (pci), e poi - a sugello - continua a citare e ri-citare il risibile libro dell'Annunziata! Come mi diceva, sabato, Salvatore Ricciardi, l'Annunziata ha scritto un libro su quando, da ragazzina, tirava sassi. Tutti i ragazzini hanno tirato sassi. E se tutti i ragazzini ci dovessero scrivere un libro.....
Ah, dimenticavo, mi ricordo anche del fatto che Mussolini proveniva dalle file del socialismo rivoluzionario, e alle stesse file fasciste approdarono molti (assai di più, in proporzione, dello sparuto drappello ex-sessantottino che ci "allieta le serate televisive"), molti socialisti, molti sindacalisti, anche molti anarchici. Non mi pare che i "nostri" padri la facessero così ... pallottolosa!

lunedì 14 maggio 2007

Un altro 12 maggio ... di meno



Devo smetterla di continuare a leggere "il manifesto", pur se saltuarmente!
Non vale la scusa del treno, ché ci sono tanti buoni libri rimasti da leggere, che aspettano di esser letti per poterne poi parlare in qualche modo. Servirebbe!
Magari, per i giornali, potrei limitarmi ad "Alias", e alle pagine culturali da leggere sul Web.
E invece va' a finire che ci ricasco sempre. E poi mi incazzo.
Come mi sta succedendo sul finire di questa domenica, mentre leggo a pagina 4 un trafiletto che definire "vergognoso" sarebbe troppo poco.
Aprire una cronaca miserabile scrivendo - "Dopo 30 anni nessuna verità", parlando dell'uccisione di Giorgiana Masi, per poi voler far capire - a chi legge - che, alla manifestazione di sabato pomeriggio a Ponte Garibaldi, ci sarebbe stato anche il sindaco Veltroni (anche lui "un ragazzo degli anni 70 che voleva cambiare il mondo"!), e che la manifestazione stessa, leggendo, sembra essere stata organizzata dal Partito Radicale; beh, allora delle due l'una, o chi l'ha scritto è dotato di un diabolico senso dell'umorismo oppure manca assolutamente di qualsiasi senso del ridicolo.
No, davvero, non dovrei leggerla certa cartaccia stampata, la cui falsità programmata rischia di soverchiare il ricordo e il piacere di due belle giornate. Il ricordo delle persone, e il piacere del tempo trascorso insieme. La tavolata enorme, la sera prima, alla trattoria di Luciana a Primavalle. Lo spiegare senza fine, il precisare di Oreste, l'urlare di Ettore, le battute gentili, da siciliano...antico, di Tano. E Salvatore che deve rientrare ... obbligatoriamente... a casa per le ventitre. E la notte che non vuole finire, non la si vuol far finire, a parlare per strada, e Oreste che deve essere portato a dormire, fuori Boccea, a casa della mamma di Paolo.
E poi ritrovarsi il giorno dopo, su un ponte. E per molti è un ritrovarsi anche trent'anni dopo, e per alcuni parecchi di quei trent'anni sono passati dentro celle anguste. E il gioco è a riconoscersi, e ci si riconosce. Sempre. In modo da poter camminare insieme, sottobraccio, facendo il percorso all'inverso, da Ponte Garibaldi a Campo dei Fiori. Tenendo il passo, sull'acciottolato. Tenendolo insieme, mentre si parla anche di domani. Camminando....

venerdì 11 maggio 2007

La strategia del risentimento



Alla fine ci sono arrivati! Il saggio-pamphlet di Alessandro Bertante, "Contro il 68" (di cui si possono leggere il primo capitolo e un'altra parte del testo), ha messo in atto, a nome della generazione che non so (sembra essere, ad occhio, quella della "pantera", così tanto per inquadrarla anagraficamente)), la rivolta contro il padre che tanto le mancava. Ma è una rivolta un po' gretta che sembra trarre linfa e sostentamento dal punto di vista che vorrebbe fossero i cosiddetti garantiti, i veri nemici dei cosiddetti lavoratori del precariato diffuso. Un misto di psicoanalisi d'avanspettacolo e di transfert del risentimento dove si battono i piedi per terra, e si agitano i pugni, alla ricerca del riconoscimento di quel rispetto, che si dimentica non può essere richiesto, per possederlo.
Si punta il dito contro quei presunti "privilegi", dimentichi del fatto che è stato pagato un duro prezzo perché fossero diritti. Si rimescolano le carte e si tenta di azzerare la partita, cercando di rimettere in gioco tutte quelle ideologie, dal lavoro al merito, la cui sostanza evidentemente fa dimenticare di che materiale sono fatte. Non credo valga a niente la "risposta di Evangelisti". Il problema sta altrove. La disonestà di cui accusano un'intera generazione, prendendo a pretesto la disonestà di pochi (peraltro evidente da ancor prima che "diventassero" disonesti), è proprio la loro.La disonestà di chi non ha niente da "contestare", tranne la scarsezza di un'eredità che non sanno assumere, e a cui hanno rinunciato da subito. Singolare, ed indicativo, è il fatto che si sostiene essere stata la riforma Moratti, e non già la Berlinguer, a "disinnescare la liberalizzione dei piani di studio", visti come baluardo dell'innovazione (sic). Vedono il precariato come il sintomo di una crisi etica ed esistenziale (la loro), incapaci di pensarsi per quello che realmente sono: una classe media allo sbando, senza alcuna cosienza di sé stessa! Nonostante la "formazione scolastica dignitosa"!!!

Mentre scrivo, la discussione continua e il sito di "carmilla" si è arricchito della prima parte dell'introduzione al libro scritta da Marco Philopat, e preceduta da una lettera.

giovedì 10 maggio 2007



Questa cosa l'ho scritta tempo fa, su una mailing list.
Una mailing list è un po' come una chitarra. E' una cosa inanimata che prende vita grazie alle dita di qualcuno. E se ne può trarre qualsiasi cosa. Suoni strazianti o affascinanti melodie. La mailing non ne ha colpa, o merito. Sta lì, e aspetta di essere ... suonata! Poi ci sono quelli che vorrebbero metterla in una bella teca, per appiccicarci sopra qualche annuncio, magari ufficiale, magari solo di qualche fondazione che non sto a rammentare!



Da qualche parte, Venerdì 29 Dicembre 2000

Buonasera,
scusate se mi rivolgo a voi, ma proprio non sapevo a chi altri avrei
potuto scrivere queste mie povere righe. Si dice in giro che da queste
parti ci abita gente che coltiva un grande amore per quella persona
speciale che di tanto in tanto mi prendeva fra le braccia e mi lasciava
parlare. Una volta ha scritto anche che gli piaceva pensare che dove
finivano le sue dita cominciassi io, oppure un'altra come me; che è lo stesso!
Non sono brava a scrivere. Anzi, non è che poi sia brava in molte cose.
Diciamo che sono brava a "farmi suonare", ed anche quello, a ben vedere,
non è che sia proprio merito mio. Sì, qualcuno dice che ho un bel suono; ma
credo, onestamente, che se non fosse stato per quel signore dalle lunghe
dita delicate, di me non si sarebbe accorto proprio nessuno! Né io sarei
qui a cercare di comunicare con voi.
Bisogna che vi dica alcune cose: ce l'ho nelle corde!
Innanzitutto non sono affatto quella che credete, quella che si vuol far
credere che io sia. Fra quel signore e me non c'era affatto un rapporto
monogamico. "Mutatis mutandis", possiamo dire che ero la preferita. In un
harem di concubine. Niente di più, niente di meno. Certo l'amavo. Questo è
sicuro. Ma, se devo essere sincera, devo dire che amavo più la sua voce,
che sapeva farmi vibrare all'unisono, di quanto amassi le sue mani che pure
sapevano muoversi con maestria sul mio unico braccio. E la cosa va ad onore
della voce, non certo a disdoro delle mani!
Ora ho saputo che sono stata messa all'asta. Ho saputo che esiste gente
disposta a sborsare un cifra che s'aggira intorno ai quaranta milioni! C'è
chi mi vuole per potermi appendere come un trofeo - una testa di cinghiale! - alla
parete del salotto di casa sua. Altri mi vorrebbero per chiudermi fra due
pareti di vetro, in uno stretto fondo di via del campo, ricolmo di effigi
di quel signore cui è intitolato questo spazio che mi sono permessa di
invadere. A dirla tutta, non mi pare che, comunque, mi aspetti un bel
destino! Se posso dire la mia, da strumento qual sono, non mi piace! Mi
verrebbe voglia di strapparmi tutte le corde, all'idea!
In fondo sono solo una chitarra, e sono nata per essere suonata. E non ho
avuto in sorte di essere la chitarra - chessoio - di mauro lusini (quello
che "non vivrei, senza questa mia chitarra non vivrei...."), e il signore
che mi suonava, di tanto in tanto, ha sempre ritenuto che io fossi nata per
essere suonata. Finchè mi restavan corde!
Ora lui non mi può più suonare. E' un fatto! Ma credo, per quella
conoscenza che ho avuto di lui, attraverso le sue dita, che avrebbe
preferito che fossi data in regalo ad un ragazzino brufoloso che, forse,
avrebbe potuto imparare a muoversi sui mie tasti, piuttosto che essere
infilzata con uno spillone per farmi esporre, come simulacro, in quella
caricatura di museo, come un investimento per far entrare soldi nelle
tasche di quel simpatico maneggione che lo gestisce!
Ho poco altro da aggiungere. So già che il mio destino è segnato e,
difficilmente, verrò ancora suonata da qualcuno, con amore.
Solo una mesta riflessione, alla fine di questa mia unica "opera" fatta
solo di parole: Il cantore è morto! Ucciso (tutti moriamo uccisi, in
qualche modo!). La strada gliel'hanno intitolata! La "sua" chitarra sta per
essere messa in un "museo". Quando anche le sue canzoni saranno prese e
attaccate con un spillo al passato, voi tutti sarete ancora più poveri e
soli e derelitti!

con affetto

la chitarra di fabrizio de andré

una frase, un rigo appena ...



Ti coglie come uno sparo, nel silenzio dei pensieri. E ti sa riportare a te stesso. Leggi una frase e capisci. A volte è difficile saperci arrivare da solo. Con parole tue, non la trovi quell'essenza che si chiama - sbagliando, probabilmente - con un nome semplice e terribile. Verità. Una verità che devi sopportare e portare, è tua. E la frase scatta fuori dal contesto e te la racconta, la tua verità. Grazie, vien da dire. Semplicemente. La frase è di Erri De Luca. E' stata scritta/pronunciata nel contesto del racconto della morte di Piero Bruno. La guardo - la frase - la leggo, l'accarezzo, me la stringo al petto. Ne traggo forza, e anche coraggio. Per andare avanti. Per capirmi. Per capire. Aiuta. Ad ascoltarti e a continuare ad ascoltare.

"Se non so perdonare nessuno è perché non sopporto di essere perdonato".

mercoledì 9 maggio 2007

Nessun posto dove andare ...



Difficile inquadrare Steve Young in un genere musicale! Ha seguito sempre la sua strada, mischiando radici del sud con esperienze di vita e traendone fuori una sorta di nuova tradizione musicale americana.
Nato in Georgia e cresciuto in Alabama e Texas, in una famiglia che si muoveva frequentemente in cerca di lavoro. Al tempo in cui aveva finito il liceo a Beaumont, Texas, sapeva già suonare la chitarra e aveva scritto canzoni che tradivano l'influenza di vari generi musicali come il folk, il country, il gospel e il blues; e di artisti come Hank Williams, Elvis Presley e Carl Perkins. Perfino di un chitarrista di flamenco come Carlos Montoya!
Tornato in Alabama, si fece una reputazione suonando in vari locali, ma lo spirito vagabondo lo riprese, portandolo per qualche tempo sulla scena folk del Greenwich Village, proprio nel periodo in cui Bob Dylan ed altri cominciano a venire notati.
Tornato ancora in Alabama, si rese conto che le sue canzoni di protesta newyorkesi non trovavano troppo riscontro; ragion per cui si diresse verso la costa occidentale. Era il 1964.
In California suonò con musicisti come Steve Stills e Van Dyke Parks, lavorando allo stesso tempo come postino, e facendosi un nome nel movimento che andò a definire il "country-folk della California": nel suo primo album, "Rock, Salt & Nails", ospitò personaggi come Gene Clark e Gram Parsons.
Una musica fresca ed aggressiva, intrisa di una qualche spiritualità (il padre era un indiano Cherokee), che si è espressa attraverso una dozzina di album. E, sebbene Steve abbia vissuto ad Austin e Nashville, e le sue canzoni abbiano avuto un enorme impatto sulla direzione presa da certa musica country (come quella degli "Outlaws"), ha sempre respinto l'etichettà "country".
Serve ricordare, a proposito della canzone che provo a tradurre, che Steve Young ha raccontato
di aver provato a raccogliere cotone, prima di decidersi a diventare un musicista. E parlando proprio di "White Trash Song", ha detto essere stata ispirata da uno dei suoi cugini, in Georgia. Sembra proprio che si definiscano in questo modo, "White Trash". Spazzatura bianca. Anche se il termine ha via via assunto un significato differente.


La canzone del bianco povero
di Steve Young

Mi sveglio ogni mattina, Sul fare dell'alba
Ascolto il gallo cantare, non si sente nessuno
C'è un rampicante fuori dalla mia finestra
La rugiada luccica sulle foglie ...
Piccoli scoiattoli che squittiscono
Quasi avvertissero la presenza di un puma ...
Comincio a pensare alla strada
e a tutte le volte che sono tornato indietro
Ci sono nato su queste strade fangose
E morirò qui, solo come il vento
Perché ho sfasciato tutte le automobili
E sono rimasto davnti all'uscio di casa
Dovrei continuare a guidare
Ma non ne ho più la forza
Stamani è arrivato un tale
Ed ha voluto dipingere il mio fienile
Ci ha scritto sopra:
"Visitate Rock City - US Autostrada 41"

Stavo con una donna di chiesa
Non poteva essere più graziosa di quanto fosse
Ma se n'è andata via col vecchio Jimmy Swaggart *
A Nashville, Tennessee
Così ho cominciato a bere
Bevo un bel po'
E la notte me ne vado in giro
Non ho niente da perdere

Perciò quando dovranno scrivermi la lapide, tesoro,
non preoccuparti per il nome
Dì solo che sono arrivato col vento della Georgia
E me ne sono andato con la pioggia del mattino
Però sapevo suonare il violino
Fare un giro armonico col dobro
Far scintillare la chitarra
Come quella pioggia mattutina
Sì, oggi è passato di qui un tizio
Ed ha voluto dipingermi il fienile
Ci ha scritto sopra:
"Visitate Rock City - US Autostrada 41"

Nota:
*Un predicatore televisivo

martedì 8 maggio 2007

Homenaje



Non so se sia, o sia stato così, per tutti, ma il mio gusto di leggere ha da sempre attraversato come dei "periodi". Ne ricordo molti, di questi periodi. Joseph Roth, per esempio. Da "il profeta disarmato" in poi, mi ritrovai a leggere tutta la sua opera omnia. Era facile, era già morto al momento in cui cominciai a leggerlo. E anch'io, credo come molti, ho avuto un "periodo russo". E così per molti altri. Spesso, mi è anche successo di accumularli, i libri dello scrittore che in quel momento mi attrae (una "fittonata", la chiamano a Firenze), per poi scordarmi di leggerne qualcuno. Assomiglia a quando, mentre indossi una vecchia giacca che non mettevi da tempo, infili la mano in tasca e ne tiri fuori una bancanota spiegazzata. Magari di grosso taglio! E così è stato, settimane fà, quando mi sono ritrovato in mano il corposo "Te li do io i Tropici" (stupido titolo "grillesco" per la traduzione italiana di "Asì es la vida en los pinches Tròpicos") di Paco Ignacio Taibo II.
Non è un romanzo (per lo meno, non è solo un romanzo), bensì una serie di scritti difficilmente classificabili, fra cui anche romanzi, o abbozzi di essi. Taibo. Ricordo che divorai almeno due suoi libri, leggendoli d'un sol fiato, senza mai richiudere le pagine prima di essere arrivato alla parola fine. Ricordo anche che rifiutai la proposta di un mio amico - in quello stesso periodo - di farmelo incontrare a cena, ad uno stand del festival dell'Unità di Firenze, dove aveva tenuto una sorta di "conferenza", a cui io ovviamente non ero andato. Ne conoscevo le "passioni", e devo confessare che alcune mi trovavano in ... disaccordo. Come quella per la coca-cola, e quella per la musica di Santana! Altresì, ero affascinato dalla sua capacità di raccontare storie, in margine alla storia principale. Frammenti, quasi, che rilucevano di un fulgore quasi accecante. Uomini, più che pezzi di letteratura, che si muovevano sulla pagina. E realizzavano quella massima che Taibo dice non sapere se essere sua, o se averla letta in un libro di Salgari:

"Non è la letteratura che deve imitare la vita, è la vita che deve imitare la letteratura".

Così fra le tante cose che ci sono dentro questo libro, scelgo e ricopio questa storia. Per la voglia di imitarla che mi fa venire!
Ah, dimenticavo, Paco Ignacio ha sempre dichiarato di essere diventato ateo, quando ha scoperto che in chiesa era proibito fumare. E io non vedo l'ora di poter leggere la biografia di Pancho Villa che dovrebbe uscire a breve per Marco Tropea!
Ah, ridimenticavo, mi è successa una cosa simile, riguardo una carta verde, transitando per l'Austria.

La Guerra Contro l'Olanda

...fui trattenuto dai doganieri dell'areoporto di Schiphol che pretendevano di farmi pagare le tasse su quattro stecche di sigarette spagnole di tabacco nero che portavo con me.
Facendo appello al buon senso, li informai che le sigarette erano spagnole e che la Spagna, come l'Olanda, si suppone essere un paese della Comunità Europea. Mi spiegarono che, dato che le avevo acquistate in Messico in un negozio duty free, non c'era niente da fare, dovevo pagare.
Feci notare che nel loro paese ero solo di passaggio, e che, anzi, nel loro paese non c'ero nemmeno entrato ma che mi trovavo nei corridoi di "transito" dell'areoporto, diretto in Italia, che le sigarette me le sarei fumate in Italia, in misura di tre pacchetti al giorno durante ventisei giorni di conferenze, che non mi piacevano le sigarette italiane e quindi mi portavo dietro quelle spagnole. Che per dimostrare che erano per uso personale e non volevo specularci sopra ero disposto a scartare tutti i pacchetti.
Niente.
Domandai quanto devessi pagare. Mi dissero sessanta dollari. Dato che le sigarette mi erano costate cinquantadue dollari, mi parve un'esagerazione. Risposero che le tariffe erano quelle. Pretesi di vedere il tariffario, me lo mostrarono. Ogni stecca, venti dollari, una poteva passare esentasse, le altre tre ...
In quei momenti mi sentivo vittima di un'estorsione legalizzata, una rapina legalizzata su scala internazionale.
Dissi allora che non avevo alcun problema a pagare le tasse ma che mi rifiutavo di farlo in Olanda, che avrei pagato la somma alle autorità italiane, che siccome avrei fumato le sigarette in Italia...Niente. Impiegati pubblici che fanno orecchie da mercante.
Le due doganiere bionde che avevo di fronte erano come un muro di gomma. Le parole entravano da un orecchio e uscivano dall'altro.
Domandai dunque quale legge internazionale permettesse loro di imporre tasse su qualcosa che non sarebbe transitato per il loro paese, dissi che esigevo un documento che certificasse che i sessanta dollari sarebbero stati versati al fisco italiano.
A quest'ultimo attacco non si degnarono nemmeno di rispondere.
Dissi che allora mollavo le sigarette, le avrei buttate in un cestino dell'immondizia sotto gli occhi dei doganieri. Mi obiettarono che non potevo farlo. Che loro potevano requisirle se non pagavo le tasse.
Fu il mio turno di dichiarare che non se ne parlava nemmeno. Che se non le lasciavo di fronte al posto di dogana, non le avrei certo consegnate a loro, che le avrei fumate una dopo l'altra, avrei perso un giorno e l'aereo, oppure le avrei distrutte. Vendetta apache.
Le amabili doganiere bionde chiamarono un poliziotto.
Pensai di chiamare qualcuno anch'io. Ma saranno dodici anni che non ho un avvocato e pensare di parlare con l'ambasciata messicana mi sembrava ancora peggio che lasciarmi turlupinare dallo stato olandese. L'ambasciata messicana poteva pretendere parte del bottino e scucirmi altri venti dollari, secondo la migliore tradizione del governo PRI messicano che dice: prima intasca e poi domanda.
Così, pur protestando, pagai i sessanta dollari e me ne andai a prendere la coincidenza per l'Italia, con in mano la ricevuta che allego a queste righe.
Di conseguenza, signor ambasciatore, voglio dirle che ruminando il sentimento di odio che mi aveva invaso, ho preso le seguenti decisioni, le stesse che vado a comunicarle per rendere pubblico questo atto.
Di fronte all'azione di pirateria statale subita in Olanda, e per far sì che l'impotenza del cittadino nei confronti dello stato non diventi sottomissione e poi costume, dichiaro guerra allo Stato olandese con le seguenti conseguenze:
a) non prenderò mai più un areo della linea KLM per tutto il resto della mia vita, non transiterò per alcun aereoporto olandese fintanto che non mi saranno restituiti i miei sessanta dollari;
b) tiferò contro tutte le squadre di calcio olandesi, ovunque giochino, e contro chiunque giochino, Aiax incluso;
c)ruberò saponi, fiammiferi e salviette in tutti i bagni di istituzioni olandesi, musei, ambasciate, rappresentanze commerciali ecc., in cui mi capiti di incappare per tutti i giorni a venire;
d) infine, nei miei prossimi romanzi, i burocrati più figli di puttana che i miei personaggi dovranno affrontare saranno di nazionalità olandese;
e) va da sé che escludo da questa dichiarazione di guerra il degno popolo olandese, della cui amabilità, solidarietà e senso dell'umorismo ho avuto prova in molte altre occasioni, e che sospetto angariato come me dalla burocrazia del proprio paese.

Distinti saluti
José Daniel Fierro,
Città del Messico

lunedì 7 maggio 2007

Salvador



No, non è il nome di un paese del Centroamerica! Vorrebbe essere il nome di Puig Antich. Salvador Puig Antich, militante rivoluzionario spagnolo, assassinato con la garrota il 2 marzo del 1974.
Vorrebbe anche essere un film di quasi due ore, ma non è un film su Salvador Puig Antich. Piuttosto una telenovela (e, infatti, il regista Manuel Huerga è specializzato in "soap opera") tratta da un libro, "Cuento Atras", scritto da Francesc Escribano, direttore dell'emittente televisiva spagnola TV3.
La storia procede per flashback, dopo il confuso arresto dell'inizio. Salvador racconta la sua storia all'avvocato che dovrà impedire la condanna a morte e l'esecuzione del ragazzo accusato dell'omicidio di un poliziotto. Le rapine, il "gioco delle armi", i viaggi a Tolosa, la psicologia di chi ha una pistola in mano. Naturalmente (sic!), sarà l'infatuazione per una donna a perderlo: una borsa dimenticata in un bar, a causa della rabbia da pene d'amore che distrae dai compiti superiori, e il gioco è fatto. La polizia mette il gruppo in trappola e arresta tutti. Salvador tenta la fuga, disperata. Acchiappato, riesce ad estrarre la pistola. Spara! E gli sparano. Lui viene gravemente ferito, ma il poliziotto muore.
E fin qui ...
Poi avviene l'irreparabile, ma solo nel film (ché ancora si poteva salvare). Da questo momento, per qualche strano motivo, il militante rivoluzionario si dimentica di sé. Diventa solo un uomo che cerca di evitare la condanna a morte e l'esecuzione.
E fin qui ... 2
Purtroppo, però, Salvador ha quattro esuberanti sorelle ed un padre spezzato dalla guerra civile, combattuta dalla parte giusta. Sarà proprio una lettera al padre (che un po' di Kafka non fa mai male!), letta abusivamente, che trasformerà il capo delle guardie, Jesus Irrure, da perfido aguzzino (entra in scena colpendo uno "scopino" che si era attardato ad eseguire il suo ordine di levarsi di mezzo, per poi prenderlo a calci mentre è in terra) in sostenitore democratico di Puig! Fino ad urlare di assassino e figlio di puttana all'indirizzo del generalissimo. Senza che peraltro venga sanzionato in alcun modo!
Quando è troppo è troppo...
Così il film si avvia alla faticosa ed estenuante fine, mentre l'avvocato briga con tutta la crema politica internazionale per salvare il "poveretto". Ma nulla possono né il papa né Willy Brandt! Non una parola sul silenzio dell'opposizione democratica spagnola che si rifiutò di promuovere qualunque mobilitazione. E, naturalmente, non una parola a proposito dello sciopero di migliaia di lavoratori delle più grandi fabbriche di Barcellona, e delle centinaia di arresti che ne seguirono, nel tentativo di fermare l'esecuzione. In compenso, ci mostrano - quasi a monito - la disperazione impotente dei compagni ancora liberi, in francia, che scaricano i loro mitra contro le finestre del consolato spagnolo di Tolosa.
Niente da fare, bisognava aspettare la transazione. Era la sola strada, e ce la indica il capo-secondino!
Perfino il volo che l'Eta fece spiccare al macellaio Carrero Blanco, diventa solo la definitiva conferma della morte prossima.
Il tutto in un gran turbinio di ....sorelle, e di partite a basket nel cortile della prigione.
Ah, leggo che la famiglia ha approvato il film.
Qualcuno dovrebbe difendere gli esseri umani dalle famiglie!

venerdì 4 maggio 2007

I due Billy: fuorilegge e "colletti blu"



Bill Chinnock se n'è andato. E Billy Joe Shaver è ricercato dalla polizia perché ha sparato a uno, dalle parti di Lorena - Texas, che lo minacciava con un coltello!

Bill Chinnock, uno dei fondatori di quel "blue collar rock", dalle parti del New Jersey, che avrebbe - ma solo più tardi - sancito il trionfo di Bruce Springsteen. "Badlands", il suo primo disco. Bill Chinnock sulla copertina. Baffi, pizzetto e Ray-Ban. Sullo sfondo lo skyline di Manhattan. Il rock'n'roll dei perdenti, dei proletari, la musica come un mezzo per combattere la realtà, dura e grigia, ai margini della "grande mela", ai margini della metropoli! La classe operaia, e Bill Chinnock uno dei suoi eroi, misconosciuti. Sincerità ed onestà. Outsider, forse si nasce. Ne conosco qualcuno anche da queste parti. E Bill Chinnock, quando il cosiddetto "Asbury Sound" fu pronto a mietere quei riconoscimenti che gli erano dovuti, se ne andò, altrove. A nord, nel Maine, come ... un cavaliere errante. E per una piccola etichetta del Maine, incise il suo disco migliore. "Dime Store Heroes", un disco pieno di canzoni i cui titoli e testi continuavano a tradire un'ambientazione che ormai veniva definita ... springsteeniana. Anche questo disco, di cui conservo con orgoglio il vinile, non vendette un cazzo! L'anno scorso, il suo nome è stato inciso in un monumento eretto sulla "broadwalk" di Asbury Park. Ma lui se n'è andato via, a 59 anni si è ucciso, per sfuggire ad una strana malattia che in America miete quasi tante vittime quanto l'Aids, il morbo di Lyne.

Doveva essere pazzo, o ubriaco, il tipo che ha minacciato Billy Joe Shaver con un coltello, fuori da una birreria. Anche senza pistola, è bene lasciarlo in pace! Ne ha viste di tutti i colori nella sua vita, fino alla perdita del figlio Eddy che suonava e cantava con lui. Hanno fatto due o tre dischi insieme, si chiamavano "Shaver"! Un vero "outlaw", Billy. Come Waylon Jennings, come Kris Kristofferson, come Johnny Cash. "Gli Outlaws", così hanno chiamato il movimento che ha rivoluzionato la musica country negli anni settanta. E Billy Joe Shaver era uno di loro. E c'è ancora, nonostante le indescrivibili tragedie che ha dovuto sopportate. C'è ancora, ad affrontare ogni nuovo giorno e a scrivere un'altra canzone meravigliosa. Così come ha sempre fatto, cercando di capire il mondo in cui si è via via venuto a trovare. Provando, mischiando. Le lacrime disperate di Hank Williams e la poetica nuda di Bob Dylan, il rock'n'roll degli anni cinquanta e l'honky tonk di Lefty Frizzell. Chitarre elettriche, violini e fisarmoniche. E coraggio. Il coraggio di andare avanti.
No, non si tira fuori un coltello in faccia a Billy Joe Shaver!
E ti va di molto bene se vieni colpito solo ad una guancia!

giovedì 3 maggio 2007

di lavoro nessuno deve più ... vivere!



Sistemare la macchina, che senza di te non lavori
Migliorarla, che tu solamente la soddisfi
Prestarle una segreta debolezza,
che tu soltanto possa riparare.
Sistemarla così che la distrugga
chi senza te s’azzardi ad azionarla,
questo vuol dire la macchina adattare.
La tua macchina adatta, sabotaggio!

(Dottrina del sabotaggio, Bertolt Brecht)

mercoledì 2 maggio 2007

L'Invenzione della Tradizione



Da "Vitti 'na crozza"" di Franco Li Causi, a Matteo Salvatore che compone quattro ballate, poi telefona a De Santis (che aveva chiesto antiche ballate da usare in un film) e gliele spaccia per canzoni popolari. A Modugno che nel 1976 scrive insieme a Loffredo una canzone in finto siciliano, "Malarazza", che ha tutti i crismi per spacciarsi per canzone popolare. Del resto, lo stesso Modugno ha quasi sempre acconsentito, lui pugliese, a lasciarsi spacciare per siciliano.
Solo che adesso, fra giornali e televisione, hanno definitivamente sancito l'invenzione della tradizione: ieri, al concerto del primo maggio, a Roma, Carmen Consoli ha cantato "un'antica canzone siciliana di lavoro e di protesta"!!!
Come dice un mio amico, su una mailing list che frequento, questa è l'ennesima garza lasciata nella pancia della storia.
Io, per quello che posso, scrivo quel che posso, e quel che so, su questo misero strumento che viene chiamato "blog". Lo legge, questo blog, una cinquantina di persone, credo. Più o meno lo stesso numero di persone che facevano parte di un altro misero strumento che ricordo. Veniva chiamato, impropriamente, "servizio d'ordine".
Non ho cambiato il mondo allora, non lo cambierò certo adesso. Non importa.


Malarazza
Modugno - Loffredo - Modugno - 1976

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...

Un servo tempu fa rinta 'na chiazza,
pregava Cristu in cruce e ci ricia:
"Cristu, lu me patrune mi strapazza,
mi tratta comu un cane pi la via,
si pigghia tuttu cu la so' manazza,
mancu la vita mia rici ch'è mia...
Distruggila, Gesù, sta Malarazza!
Distruggila, Gesù, fallo pi mmia! Sì..fallo pi mmia!"

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...

Cristo me rispunne dalla croci:
"Forse si so spezzate li to vrazza?
Cu vole la giustizia si la fazza!
Nisciun'ormai 'cchiù la farà pi ttia!
Si tu si 'n'uomo e nun si testa pazza,
ascolta bene sta sintenzia mia,
ca iu 'nchiudatu in cruce nun saria
s'avissi fattu ciò ca ricu a ttia...
ca iu 'nchiudatu in cruce nun saria!"

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...

"Se 'nna stu munnu c'è la Malarazza,
cu voli la giustizia si la fazza!
Se 'nna stu munnu c'è la Malarazza,
cu voli la giustizia si la fazza!"

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...
Tu ti lamenti, ma che ti lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti...