martedì 24 aprile 2007

Libri di testo per un corso di educazione alle lacrime!



E' scirocco: non asciuga niente!
Già, non asciuga niente quando c'è scirocco. Lo sa bene la madre di Girolamo De Michele. Non asciuga niente. Tantomeno le ferite. Non s'asciugano nemmeno i ricordi. I ricordi, quelli che si portano dietro le parole, gli avvenimenti e le facce. Facce come quella di De Michele, sbirciata su un numero di "Panorama” che parlava di Wu Ming e dei Quindici, e poi conosciuta a Perugia, ad un concerto di Lolli. E' una faccia giusta, la sua. Serve a "confermare". Semmai ce n'era bisogno.
"Tre uomini paradossali", già lo aveva sussurrato alle orecchie, con voce sommessa e sicura. Ma le seicento (600!) pagine di "scirocco" non lasciano adito a dubbi. Ci si può specchiare in quella faccia, e in quelle pagine. Scivolano via, mentre ci parlano di noi.
"Non parlarle di te, parlale di lei!", era il consiglio prezioso che un amico "sgamato" regalava a mio figlio diretto verso il suo primo appuntamento. E di "noi" ci parla De Michele. Con semplicità.
Dall'inizio alla fine.
Siamo fuori, ci sono rimasti solo i territori della cosiddetta illegalità dove continuare a muoverci per poter dire. Hanno ragione gli Evangelisti, i Genna, i Quadruppani, i Battisti. Ormai solo il "polar", il "noir", può essere la cifra del nostro raccontarci. Alla faccia degli sceriffi-sindaci, svezzatisi a misurare i tempi alla catena di montaggio. Caporali! E non siamo più nemmeno i Richard Dreyfuss/Moses Wine detective, "private eyes" che si commuovono fino alle lacrime a rivedere i filmati d'epoca di quando eravamo giovani.
No. Noi (ho detto noi!!??) siamo giovani, e lo rimarremo per sempre! Tale è la condanna,o la maledizione, e i libri come questi servono a ricordarcelo.
Così, Per meglio riuscirci, si muovono su territori neutri e si contaminano con tutto quel che è rimasto vivo. C'è di tutto, dal parlamento dei corvi della "swamp thing" di Alan Moore alle "falangi dell'ordine nero" di Enki Bilal, senza trascurare la elektra di Frankie Miller, e tutto Neil Gaiman. Ma anche Alan Ford. Fino a Will Eisner, per restare sul territorio dei "fumetti".
Un elenco di canzoni occhieggia, alla fine del libro. Original Soundtrack. Anche se non esaustiva di tutta la musica, e i versi, che risuona dentro le pagine. Donald Fagen e Fabrizio De André. Bob Dylan e la sua Hard rain che gonna fall. I Waterboys e Claudio Lolli, per una storia che passa per le strade di Bologna e arriva fino a Taranto.
Improbabili commissari di polizia e partigiani dai "nicknames" altrettanto improbabili. Barboni che si fanno di chinotto. Hacker e puttane d'alto bordo che escono da una generazione per entrare in un'altra. Parroci che, nella cantina insieme al sangiovese, conservano sten ben oliati. E il tempo, il tempo che non passa. Il tempo che resta, dal 1945 al 1969, al 1977. Vecchi conti da riscuotere, il sud forse inesistente di "mo' che il tempo si avvicina" e dei treni di Reggio Calabria. La tequila e il caffé. Una disanima della risata, breve e fulminante come la risata che avrebbe dovuto seppellirli e il conforto che la mia fissazione sulla libertà al singolare, qui allargata anche alle "ingiustizie", non è solo mia, da quando mandai in culo il professor Sartori, durante l'esame di scienza della politica, negandogli il diritto di poter affettare la libertà, come il salame, per riporla dentro la vaschetta della cosiddetta democrazia.
Ma si sa, ora il professor Sartori è un "compagno" nello schieramento dello sceriffo di cui parlavo più sopra. Dovrebbero salvarci dai Berlusconi e dai Fini. Sembra di stare dentro quel racconto di Sheckley, dove si costruiscono dei robot volanti predatori per distruggere gli "uccelli da guardia" che sono stati incautamente creati per salvaguardare gli esseri umani, e che si sono trasformati da protettori in carnefici. Chi ci salverà dai salvatori?
Ma forse è davvero tutto solo e sempre un western. Solo che ora non è più quello visto con gli occhi un componente della "colonna John Wayne". Non siamo più "estranei e forti", come riassume Cesare Battisti in "Cargo sentimental" con una felice espressione (ma questa è un'altra storia, e un altro libro di cui ho potuto leggere solo qualche frammento tradotto in "L'arte della fuga", a cura di Alberto Prunetti, Stampa Alternativa, 10 euri). Ora è la "colonna Clint Eastwood" alla regia. Niente più "Tore" che, a Reggio Calabria, entra nel vicolo da dove provenivano le provocazioni dei fascisti, dopo aver sfondato il cordone del sindacato, e torna fuori pulendosi le mani, applaudito dagli operai dell'Italsider. Niente più sfide, ad attendere la macchina della polizia, a gambe larghe, piantati in mezzo a Piazza Oberdan, con il tascapane a tracolla e le bottiglie in mano e la pantera che fa marcia indietro e si dilegua. Niente più "Mustaki" che si precipita fuori dalla sede di Lotta Continua, armato di piccone, e insegue il ceffo che era venuto a minacciarlo armato di pistola e gli conficca il piccone nel cofano della macchina dove il malcapitato si era rifugiato. Niente più.
Un mondo meraviglioso, se solo non ci fosse la sofferenza. O se, forse, si smettesse di dare tutta questa importanza alla sofferenza.
Ce lo ripetono, alla fine del libro, le voci di Shane McGowan e di Nick Cave, mentre il libro finisce come un fumetto di Corto Maltese, come un libro di Neil Gaiman. E il vento continua a soffiare. E non asciuga niente.

Girolamo De Michele
"Scirocco"
Einaudi Stile Libero Noir - pp.594 - Euri 14,50
Finito di stampare nel giugno 2005

L'amore degli Insorti

Succede, succede che non te lo aspetti. Perlomeno, non te lo aspetti così. Leggi una breve recensione su un giornale, e il libro ti incusiosisce. Cerchi, allora, una scheda dell'editore su internet che ti conferma a proposito della storia di un probabile scampato alla polizia e ai pentiti, uno dei tanti a contare oltre il numero dei seimila finiti in carcere in quegli anni. Uno di quelli che "l'ha fatta franca"! Poi, sulla scheda, vedi, e segui, il rimando ad un "url". Un link che porta a leggere le parole di Pino Cacucci a proposito di una storia il cui titolo è preso da una frase in un racconto di Erri De Luca.
Leggi tutto, avidamente, fino a toccare quasi con mano la "volontà di possesso" del libro in questione. Così esci e lo compri, il libro, e cominci a leggerlo. E non ti riesce di non continuare a leggerlo, fino alla fine. Ogni pagina, ogni frase come un colpo di lametta sulla carne. Tagli che fanno sanguinare, e il sangue scorre per dare colore e visibilità al nostro oramai invisibile.
Ma è l'unico modo che ci è rimasto per farci raccontare la nostra storia! Per raccontarla, di modo che anche gli altri sappiano, senza che per questo "si debba pretendere che un'intera generazione si umilii al punto di gettare via il proprio passato, per vederlo scorrere nelle fognature dei salotti televisivi".
Tagli nella carne, fino alla domanda finale, formulata a chiare lettere - "potevate imboccare un'altra strada?". Senza risposta, forse.
E in mezzo tutto il resto. Tutto. Tutto quanto. Da Carrero Blanco ai brindisi alla morte di Calabresi. "Le scelte condivise, e quelle non" .Tutte.
La musica, anche: gli Stormy Six che suonano e cantano la morte del presidente Mao, indigeribile per che era abituato ai re-la-sol di Guccini e Masi (testuale); il Banco del Mutuo Soccorso in piazza Navona, il primo maggio de 1975, per festeggiare la vittoria vietnamita. Lolli e radio Alice, con quel pianoforte che suonava sulle barricate.
La voglia, il bisogno di dire e quello di difendersi. Lo so bene chi è la compagna a pagina ventidue, lo ricordo bene il sorriso beffardo del funzionario capo, mentre la bara di zinco usciva dal portone. No, non era Clara il suo vero nome.
Le scelte condivise e quelle non. Il comizio, e la cacciata, di Lama dalla "Sapienza" di Roma.
Poteva essere imboccata un'altra strada? Forse. Ma i morti - dice Paolo Emilio Calvesi, il protagonista - sono morti, i nostri e i loro, e per di più non siamo stati noi a cominciare! La morte di Angela, nel libro, è una coltellata. Senza lacrime e senza rabbia. Segna, in qualche modo la fine del percorso. Le scelte condivise e quelle non! Qualcosa di diverso poteva essere fatta, se solo ci si fosse sentiti dalla stessa parte. Come quel giorno, a Firenze, con i Rodolfo Boschi, di cui nessuno ha mai più parlato. Meglio parlare di "poveri untorelli", vero?
Il libro "L'amore degli insorti" finisce con una rivelazione che non ha alcun sapore di colpo di scena, come è giusto che sia. Finisce, soprattutto, una ventina di pagine prima della parola fine, con una lunga poesia di otto pagine, quasi un poema a verso libero che riassume e sintetizza tutto, col suo romanticismo che eravamo noi.

"E mi rimane, infine, la certezza che si possa sbagliare dalla parte giusta schierati a protezione di un'intesa tra l'utopia di chi insegue gli orizzonti e gli orizzonti stessi che si spostano per noi come se fossero le guide di un cammino in fondo al quale scavalcare il mare per ritrovare lì l'amore degli insorti che solo noi sappiamo pronunciare".

Dopo "Scirocco", di Girolamo De Michele, "L'amore degli insorti" di Stefano Tassinari è un'altra lezione nel corso di "educazione alle lacrime". Grazie Stefano!

Stefano Tassinari
"L'amore degli insorti"
Marco Tropea Editore - Pag 175- Euro 12,00
Finito di stampare nel novembre 2005

radici



In moto, dalle parti di Baton Rouge, Kris Kristofferson aveva in mente il ritmo di una canzone di Mickey Newbury, quando cominciò a lavorare a "Me and Bobby McGee"!
E questo basterebbe, da solo, a decretare l'importanza di un'artista come Newbury. Se non bastasse, sempre lo stesso Kristofferson, ebbe a dichiarare - "Ho imparato di più da Mickey, sull'arte di scrivere canzoni, che da qualsiasi altro essere vivente. Sa coniugare versi stupefacenti e musica...Sono sicuro che non sarei mai stato in grado di scrivere Bobby McGee, Sunday Morning Comin Down...se non avessi mai conosciuto Mickey. Era il mio eroe, e lo è ancora."
Dal genio di Ray Charles fino al metal di Manowar, centinaia e centinaia di artisti hanno preso a cuore l'arte di Mickey Newbury. Dal 1965, qualcosa come 1058 covers! 807 artisti hanno preso 122 composizioni di Newbury e le hanno tradotte in musica pop, folk, funk, jazz, rock, soul, steel, blues, disco, polka, gospel, reggae, country, bluegrass, Rhythm&Blues, BigBand, western swing, canzoni per bambini e easy listening. E non solo, perfino in musica celtica, opera, musica bandistica, punk, metal e musica psichedelica.


Lo Scalo Ferroviario di San Francisco
di Mickey Newbury

San Francisco è ad un miglio da qui
Puoi arrivarci in un attimo
Ma per quanto ne so potrebbe essere sulla luna
Signore, quando uno è a pezzi come me

Sto qui seduto,la mai testa fra le mie mani
E guardo i treni che se ne vanno via rotolando
Signore, l'uomo dell'esercito di salvezza mi aveva avvisato
Che qui la notte fa freddo.

Quando hai freddo non c'è niente di meglio del calore del sole
Quando hai sete non c'è niente di meglio della pioggia
Quando sei solo non c'è niente più lento del tempo che passa
Quando sei a piedi Signore non c'è niente più veloce di un treno.

La vecchia San Francisco è una grande ricca città
Non dico bugie
Beh, loro hanno edifici
Che si alzano per quasi un miglio verso il cielo

Sono tutti quanti così indaffarati da non potermi spiegare il motivo per cui
In questo mondo così pieno di gente ci sono persone condannate ad essere sole
Quando sei solo ti sembra che la vita non valga la pena di essere vissuta
Dal momento che quello che impari mentre sei vivo è il dolore

E' passato così tanto tempo
Non c'è nessuno che potrà perdonarti
Ti scopri a frugare nella tua mente
Cercando di mettere in ordine gli anelli della catena

Quando hai freddo non c'è niente di meglio del calore del sole
Quando hai sete non c'è niente di meglio della pioggia
Quando sei solo non c'è niente più lento del tempo che passa
Quando sei a piedi Signore non c'è niente più veloce di un treno.

lunedì 23 aprile 2007

la mia vita in un istante rubato...



Ottavo epitaffio abbozzato (da 11 epitaffi abbozzati)
da "The times they are a-changin'"
di Bob Dylan (1964)

Sì, sono un ladro di pensieri
per favore, non un ladro d'anime
Ho costruito e ricostruito
a partire da tutto ciò che era in attesa,
come la sabbia delle spiagge
da cui si costruiscono molti castelli,
a partire da quello cui era stato dato inizio
ben prima del mio tempo
Una parola, una melodia, una storia, un verso
Chiavi nel vento per aprire la mia mente
e permettere ai miei pensieri in cella di respirare l'aria del cortile
Non è da me sedermi e riflettere
farmi domande e sprecare il mio tempo
pensare pensieri che non sono mai stati pensati
pensare sogni che non sono mai stati sognati
e a nuove idee mai scritte prima
e a parole nuove che possano far rima
(se fa rima, fa rima
se non la fa, non la fa
se viene, viene
se non viene, non viene)

No, devo reagire e sparacchiare velocemente
con armi di parole
avvolte di melodie
che hanno rorolato fino a noi da epoche più semplici
e mi sfidano a trattarle bene
a dare loro nuova forma e a riarrangiarle
per proteggere questo mio mondo
da tutte le bocche di coloro
che se lo mangerebbero
impedendogli di nutrirsi del cibo che gli spetta
(influenze?
centinaia di migliaia
milioni, forse
perchè tutte le canzoni ti riportano al mare
e, al tempo stesso, non c'è mai stato
il canto di una voce in grado di imitarlo)
Creare nuovi suoni tirandoli fuori dai vecchi suoni
e parole nuove da vecchie parole
senza preoccuparsi di creare nuove regole
dal momento che nessuno le ha ancora create
e la mia mente canora grida
perché sa che sono io, e quelli come me,
che potrò fare quelle regole . . .
quand'anche la gente di domani
avesse davvero bisogno delle regole di oggi
allora si radunerà intorno voi, pubblici ministeri
tutto il mondo è solo un grande tribunale

ma io conosco gli imputati meglio di voi
e mentre voi siete impegnati a processare
non siamo impegnati a fischiare
mentre puliamo l'aula
a spazzare a spazzare
e ad ascoltare ed ascoltare
strizzandoci l'occhio l'un l'altro
attenti attenti
arriva subito il vostro turno

- Bob Dylan -

venerdì 20 aprile 2007

madama televisione



Bisognava che guardassi "Anno Zero", la trasmissione rai del "resistente" Santoro, per poter scoprire le inestimabili "perle" che sono state profuse dai convitati dell'ineffabile tele-anfitrione. Ho potuto così apprendere da Brunetta, forzitaliota e sedicente economista, e dalla sua altezza da un cazzo e un barattolo, che è stato Marx in persona a coniare il fortunato slogan che recita "non solo pane, ma anche rose". Lasciate perdere le operaie americane di Lawrence, Massachussetts, nel 1912.Quegli striscioni erano solo la citazione di un Marx (magari un po' buco!) inedito, letto solo da Brunetta. L'ha detto lui, e nessuno di tutti i colti marxisti e marxologi presenti l'ha smentito. Così come nessuno ha smentito Sgarbi che ha inteso rendere partecipe la platea dell'esistenza di un'opera perduta di Brecht (che, però, lui ha senz'altro letto!). Si tratta de "Il Proletario". Non ho capito bene se sia un poema, un pezzo teatrale o un saggio, ma se l'ha detto la televisione deve senz'altro esistere!!! Dovrei mettermi a cercarlo questo testo. Che è l'unico di Brecht che mi manca!
Ma forse farei meglio a smettere di guardare in televisione simili kermesse e limitarmi a "Lost!"...

giovedì 19 aprile 2007

Abbiamo bevuto ...



A volte, ai tempi del vinile, mi è capitato di essere attratto a tal punto da una copertina, da comprarlo, il disco, senza nemmeno sapere di che genere di musica si trattasse! Da quando i cd hanno soppiantato i vecchi 33 giri, è diventato quasi impossibile ripetere simili esperienze, date le dimensioni della copertina. Ma il disco di Gill Landry ce l'ha fatta a sortire questo effetto che credevo oramai dimenticato. Con la sua copertina, in rigoroso bianco e nero, che sembra illustrare un episodio di "Ai confini della realtà, o di "Hitchcock presenta". Con sopra, a colori, degli strani inserti; un prezzo di 25 centesimi, la proclamazione di una notte al chiaro di luna. E gli strilli "pubblicitari": "Tradimento in alto mare", "Brutale omicidio in camera da letto". "Un uomo e una donna - Soli con un pericolo invisibile": è la copertina di una pubblicazione pulp!
E il disco, l'ho divorato, quasi come fosse un antologia di racconti di Cornell Wollrich. Anzi, meglio.
"The Ballad of Lawless Soirez", fin dal titolo del disco, è una sapida miscela dei vari generi che a New Orleans, città natale di Gill Landry, hanno cittadinanza e che qui vengono offerti in varie commistioni, in ciascuna delle dodici canzoni che si dipanano. Un nocciolo folk, costituisce l'anima del disco, che di volta in volta si impreziosisce di altri apporti. Country, Jazz, tex-mex, soul e rhytm and blues. Senza, ovviamente, dimenticare il blues.
"Poor boy" apre il disco, un folk blues "acquitrinoso". Le chitarre eletrriche ballano, tenendosi strette per la mano, insieme ad un organo, che sussurra le sue note in modo sinistro, e ad un violino. La voce ci aggiunge la sua, di disperazione. "The Ballad of Lawless Soirez", la canzone (ascoltatela!!!! su myspace), impreziosita dallo squillo di un paio di trombe mariachi, racconta i pensieri di un vagabondo ormai stanco e della sua nottata di un sabato in una città di frontiera. Una splendida ballata, polverosa e desertica. E ancora, "Dixie", una canzone ubriaca, che prende il nome da una famosa bevanda di New Orleans, giocata tutta, e solo, su chitarra, mandolino e violino. Non romanticizza affatto su come ci si sente...il giorno dopo!

"Abbiamo bevuto al futuro/abbiamo bevuto al passato/abbiamo bevuto ai momenti che sapevamo non sarebbero durati/Piegati sotto il peso delle strade che avevano approfittato della nostra amicizia/Abbiamo preso quei treni come si prende una malattia/con le nostre teste nelle nuvole e i nostri cuori in ginocchio/In cerca di qualcosa che non avremmo mai trovato"

Si torna ai tempi del proibizionismo, con "Loneliness". Quasi sospesa fra soul e rag. E poi al rhythm and blues di "Ugly Town". E ancora, "Desiree", liquida e pianistica. Morbida. Un tessuto perfetto per una canzone che, nel testo, vuole trasmettere disgusto e desiderio, allo stesso tempo.
"Anjolie", chitarre spagnole in bell'evidenza che, d'un tratto, esplodono , sorrette da una tempesta di percussioni, in un tango che fino all'ultimo resta indeciso se essere un ritratto o una caricatura. E ancora avanti e avanti.In "Coal Black Heaven" c'è perfino una viola che suona. Una misteriosa viola che accompagna Landry mentre prega per una salvezza di cui lui è il primo a dubitare! In "Mexico", una chitarra quasi funerea si accompagna ad un clarinetto - come in un classico - ad un ritmo piacevolmente asimmetrico su cui si stendono parole sconnesse.
No, non starò a dirle tutte. Chè vanno bevute, alcune centellinate, altre tracannate, senza risparmio.
Fino all'ultima, "Mutiny" che ci riporta indietro, alla vita di tutti i giorni, e che chiude il disco con le parole: "Don't worry love, everything's gonna be all right."

mercoledì 18 aprile 2007

Le armi della felicità e la felicità delle armi



Il diritto di portare armi è il diritto di essere liberi. Così recita un emendamento alla costituzione americana, quella stessa costituzione che sottolinea, fra le altre cose, il diritto...alla felicità! Ne ha avuto di conseguenze, questo emendamento! E non sto parlando dell'associazione che fino a poco tempo fa era presieduta da Charlton Heston (magari "Ben Hur" sognava un Jesus Christ Superstar, armato di Uzi). Sto parlando, ad esempio, dello splendido ciclo di fantascienza de "I mercanti d'armi di Isher" di Alfred Van Vogt. Sto parlando, ad esempio, dell'utilizzo che, dell'emendamento, ne fece - a suo tempo - il Black Panther Party, facendo girare i propri militanti armati di fucili a pompa. Non so perché (oppure, forse, lo so benissimo, ma non importa) ma sono queste le cose cui penso quando, a fronte di un avvenimento, come quello di ieri, che ha portato alla morte di 33 persone in un campus americano, si comincia ad invocare l'intervento dello stato americano perché vanifichi l'emendamento sulle armi, allineando così gli Stati Uniti al resto del "mondo democratico", circa le modalità di armarsi. C'è anche da dire, ad onor del vero, che alcuni stati americani hanno già provveduto in tal senso. Non so se quell'emendamento sia stato pensato, o abbia dimostrato di essere un numero sufficiente di volte, come un argine al monopolio della violenza, e delle armi, da parte dello stato - potrebbe anch'essere, i padri fondatori in fondo erano un po' dei burloni - ma mi piace immaginarlo.

martedì 17 aprile 2007

Arriviamo con la polvere e ce ne andiamo via col vento



Il 28 gennaio del 1948, in un incidente aereo in California, vicino al confine con il Messico, persero la vita 28 "deportati", ovvero 28 lavoratori messicani che stavano per essere forzatamente rimpatriati.
Il loro permesso di soggiorno era scaduto, insieme col contratto di lavoro, pertanto venivano rispediti in Messico da dove avrebbero cercato con ogni mezzo di tornare negli States. Era questa la vita dei lavoratori stagionali, impiegati soprattutto nella raccolta della frutta, nei campi della ricca California. Il giorno dell'incidente aereo la radio locale diede subito la notizia precisando che erano morti "soltanto" dei deportati.
Woody Guthrie scrisse il testo di questa canzone, che fu poi musicata, dieci anni dopo, da Martin Hoffman, e cantata per la prima volta da Pete Seeger nel 1958.
La canzone, forse l'ultima di Woody, non nasce solo da una notizia di cronaca sentita alla radio, o da un titolo di giornale. Nasce, soprattutto, dalla comunanza e dalla sintonia con chi subisce la sciagura. Rimanendone attonito, colpito, messo a terra. Nasce dal condividere le apirazioni e le frustrazioni e i sogni. Espressioni e linguaggio. In una parola, voce per chi voce non ha.


Deportati
Testo: Woody Guthrie
Musica: Martin Hoffman

La raccolta è terminata e le pesche stanno già marcendo
Le arance sonostipate nei loro depositi sotto conservante
Stanno per essere riportati in aereo oltre il confine col Messico
Dove spenderanno di nuovo tutti i loro soldi per poterlo riattraversare

Addio Juan addio Rosalita
Addio amici miei Jesus e Maria
Sarete privati perfino dei vostri nomi quando salirete sull'aereo
Vi chiameranno soltanto deportati

Mio nonno, lui guadò a fatica il il fiume
Gli portarono via i risparmi di tutta una vita
I miei fratelli e le mie sorelle arrivarono per lavoravare nei frutteti
Continuarono a tirare la carretta finché non caddero e morirono

Alcuni di noi vengono chiamati clandestini altri indesiderati
Il nostro contratto di lavoro è scaduto e ce ne dobbiamo andare
Seicento miglia fino al confine messicano
Ci danno la caccia come se fossimo banditi, fuorilegge, ladri

Siamo morti sulle vostre colline, morti nei vostri deserti
Siamo morti nelle vostre valli, morti nelle vostre pianure
Siamo morti ai piedi dei vostri alberi, morti nelle vostre foreste
Lungo le due sponde del fiume, siamo morti alla stessa maniera

Il motore dell'areo si incendiò sopra il canyon di los gatos
Balenò come una meteora e fece tremare le colline
Chi sono tutti questi amici, sparsi tutt'intorno come foglie secche?
La radio ha detto che erano solo dei deportati

E' questo il modo migliore di coltivare i nostri orti?
E' questo il modo migliore di coltivare i nostri frutteti?
Cadere come foglie secche per concimare il terreno?
E non essere chiamati con nessun nome eccetto deportati?

Addio Juan addio Rosalita
Addio amici miei Jesus e Maria
Sarete privati perfino dei vostri nomi quando salirete sull'aereo
Vi chiameranno soltanto deportati

lunedì 16 aprile 2007

solitudini e fortezze




"Come un fiammifero acceso in una stanza buia.
Due bambine bianche in camicia da notte di flanella e pattini a rotelle in similpelle rossa con stringhe bianche che tracciano cerchi esitanti su un marciapiede blu ardesia pieno di crepe alle sette di una sera di luglio.
Le bimbe sussurravano rime, erano rime sussurrate, con i loro capelli diafani rosa cielo che ondeggiavano come se non fossero mai stati tagliati. I genitori avevano dato loro il permesso di uscire dopo cena, purché in camicia da notte e con i denti lavati, a godersi il crepuscolo estivo rosa-arancio, la luce e l'aria che sovrastavano la via, tutta Gowanus, come il palmo di una mano o l'interno di una conchiglia I portoricani seduti sulle casse del latte davanti alla bodega all'angolo rumoreggiavano, vedendole, incerti sulla vera natura di quell'apparizione. Divaricarono le labbra, mostrandosi l'un l'altro i denti; una smorfia che significava pazienza, silente sopportazione. La via cosparsa di tappi di bottiglia mezzi calcati nell'asfalto rammollito: Yoo-Hoo, Rheingold, Manhattan Special.
Le bambine, Thea e Ana Solver, splendevano come fiamma appena accesa."

Così, l'incipit di "La fortezza della solitudine", capolavoro assoluto scritto nel 2003 da Jonathan Lethem. Un libro doloroso e bellissimo, ricolmo di quella che lo stesso Lethem, altrove, ha definito "rabbia ferita". E magari non parlava di sé. C'è rabbia in Jonathan Lethem, e nei suoi libri. Rabbia a trecentosessanta gradi. Anche se lui la chiama ... delusione. E venerdì, finalmente, ci ho potuto mettere le mani, e buttarci gli occhi, sopra le "Memorie di un'artista della delusione", appena uscito per i tipi di Minimum Fax. E anche qui, come nella "fortezza", il protagonista è un bambino che non vede l'ora di diventare adulto. Più adulto dei genitori. Sì, perché la "rabbia ferita", per l'appunto, attiene soprattutto ai bambini. E al loro voler essere migliori! Una serie di romanzi, in forma di saggio; o un saggio in forma di una serie di piccoli romanzi. Ciascuno sgelga quale Lethem preferisce. Tanto lui ha già scelto. Ha scelto l'amore. L'amore per i libri di Dick, per i film di Cassavetes, per i fumetti di Jack Kirby, per le canzoni dei Talking Heads, e l'amore per New York. Una New York come in un libro, come in un film. Meglio che in un libro, meglio che in un film. Oppure forse quello che ho fra le mani, e che sto leggendo e rileggendo, non è un libro. E' un disco! C'è perfino una "bonus track": su James Brown! Un disco che parla di amore, e di morte. Già, perché sono tutti morti. Dick e Cassavetes, Brown e Kirby. Come è morta l'illusione di Lethem, di poter e dover scrivere tutti i libri che Philip Kindred Dick non fece in tempo a scrivere, finché era vivo. Per il semplice motivo che ciascuno ha fatto nella sua vita, per quanto sia durata, tutto quello che aveva da fare. Non ci sono libri che Dick avrebbe dovuto scrivere, nemmeno quelli che giacciono dentro le carte di Paul Williams, e che ogni tanto fanno gridare il mercato all'inedito. I libri da scrivere, per Lethem, sono i libri che Lethem scrive, e scriverà. Uno in meno da scrivere, ogni volta che lo avrà fatto. Ma per arrivare a questa conclusione. bisogna diventare adulti, fino ad accorgersi che "il fatto di dichiarare uno scrittore, un musicista o un regista il mio preferito, a quanto pare, implicava una specie di patto suicida con il mio entusiasmo."
Johnatan Lethem, nato nel febbraio del 1964, undici anni esatti prima di me, ha scoperto Dick all'età di quindici anni. Anno più anno meno di quando l'ho scoperto io. Era il suo "scrittore preferito" già dieci anni (vent'anni prima, per quanto mi riguarda) prima del suo boom editoriale. La sua "top ten" di Dick non coincide con la mia!

venerdì 13 aprile 2007

Le storie della storia ...



Le mie storie, non sono solo storie mie. Così, allo stesso modo, i nomi di alcune delle persone che compaiono in queste storie, non sono per me solo nomi. Sono anche i miei ricordi, o meglio sono i ricordi di un ragazzo di diciassette anni che, allora, si affacciava al mondo. In un mondo che - non ho esitazioni ad ammetterlo - gli sembrava molto più grande e molto più puro di quanto in realte non fosse, e non fosse stato. Avevo cominciato ad abbeverarmi a queste storie, qualche anno prima, in una città alla periferia dell'impero, anche se tanto tempo prima, dell'impero, era stata anche capitale. E ho continuato a farlo, negli anni a venire, per quanto mi è stato possibile, e ascoltando in silenzio quello che mi veniva elargito. Attiene alla mia fortuna, essere nato ed essere stato, quando è venuto il momento, nei posti giusti (o sbagliati, secondo i vari punti di vista), ed avere conosciuto le persone giuste. Persino il mio professore di filosofia (che sfiorava il "gossip"), al liceo, che mi ha dato un approccio di ""storie" alla storia della filosofia, e alla storia. L'ho mantenuto. Anzi, l'ho coltivato. Il mio rimpianto è uno solo, quello di avere appreso storie e conosciuto persone (sì, proprio persone, non personaggi!), in quest'ambito, alla fine della traiettoria, quando i fatti erano ormai già stati scritti, praticamente del tutto. Le storie sussurrate, e le persone invecchiate, tranne che nei loro occhi. Quelli no. Mai.
Questa è una storia delle tante, e dentro, a sua volta, sembra contenere altri nomi ed altre storie. Quelle accennate e quelle sottaciute. Alcune edificanti, altre meno. C'è la grandezza e la piccolezza. Degli uni e degli altri. Molti li ho conosciuti, quelli che la mia epoca mi ha pemesso di conoscere personalmente. Di altri, ne ho solo sentito parlare. Di chi bene, di chi male. Ma credo che, oramai, facciano parte, tutti i nomi e tutte le storie, in qualche modo, del mio "album di famiglia"!

Gino Bibbi nasce ad Avenza, Carrara, nel febbraio del 1899, figlio di un imprenditore del legname. Già sottotenente di fanteria, studia da ingegnere al politecnico di Milano, dove conosce, nel 1922, Camillo Berneri. Nel '23 viene pestato a sangue dai fascisti, dopo aver lanciato in faccia al gerarca Renato Ricci, nel centro di Carrara, volantini che definivano Mussolini "tragico pagliaccio". In seguito, durante un'altra aggressione fascista, viene ridotto in modo tale che sua madre, al solo vederlo, ne morrà di crepacuore. Nel 1926, con la complicità di altri anarchici (la sorella Maria, il triestino Umberto Tommasini, il bresciano Leandro Sorio e il carrarino Stefano Vatteroni), fornisce la bomba SIPE che il cugino Gino Lucetti lancerà a Roma, l'11 settembre 1926, contro l'auto del duce. La bomba esploderà, ma Mussolini rimarrà illeso. Gino Bibbi e la sorella Maria vengono arrestati 24 ore dopo l'attentato. La mancanza di prove lo farà passare dal carcere al confino, prima ad Ustica e poi a Lipari. Viene torchiato ad ogni occasione, ogni qual volta la polizia segreta fascista si trova ad indagare su episodi come l'attentato alla Fiera di Milano del 1928. Di lui si occupa il commissario Rizzo, lo stesso che "curava" l'espropriatore anarchico Sante Pollastri (già, il "bravo poliziotto che conosce il suo mestiere e che sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere"!) e l'anarchico indivisualista Giuseppe Mariani, autore della strage al teatro Diana di Milano, nel 1922.
Con il pretesto di completare gli studi di ingegneria, riesce a farsi trasferire all'Ucciardone di Palermo, da dove evade imbarcandosi per Tunisi su una nave argentina, grazie alla complicità di marinai anarchici. Da Tunisi, raggiunge Parigi dove impara a pilotare un aereo, insieme al fratello di Francisco Franco, Ramon, esule repubblicano in Francia. Passa in Spagna, dove, insieme a Gigi Damiani, prepara un piano per far evadere Errico Malatesta, sequestrato dal regime fascista nel sua casa nel quartiere Trionfale a Roma. Alcune soffiate allertano l'OVRA, e il progetto abortisce. Nel 1934 apre un'officina a Valencia e viene accusato dal console italiano di produrre armi per gli anarchici. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile, diviene pilota da caccia dell'aviazione repubblicana che, però, si sta trasformando rapidamente in un feudo stalinista. Bibbi sperimenta nuove armi per il Comitato Centrale delle Milizie di Catalogna, fra cui un lanciarazzi teleguidato con un raggio d'azione di 10 km. Gli viene commissionato un progetto di siluro teleguidato per attaccare le navi fasciste che bloccano i porti spagnoli.
Nel dicembre del 1936 viene arrestato dalla polizia repubblicana e accusato di essere "una spia di Mussolini". L'intervento del comitato regionale della CNT di Valencia gli salva la vita. Il 20 febbraio del 1937, ad Alicante, viene nuovamente arrestato dalla Guardia de Asalto (stalinista) insieme a Tommasini e ad altri tre compagni, nonostante avessero un'autorizzazione del Ministero della Marina e dell'Aviazione per compiere atti di sabotaggio nel porto franchista di Ceuta, in Marocco, utilizzando mine subacquee. Rinchiusi in una ceka (prigione privata comunista) vengono detenuti per settimane, interrogati, minacciati, malmenati. Tommasini riesce ad evadere. Solo l'intervento di Garcia Oliver, ministro della Giustizia, presso il ministro degli Interni, il socialista Galarza che ne aveva disposto l'arresto, riuscirà a salvarlo. Dopo questa esperienza, Bibbi lascia la Spagna, pur continuando ad interessarsi, da Parigi, di altre azioni contro il fascismo e contro lo stalinismo. Fonda un gruppo anarchico indipendente. Con Tommasini, nel 1937, progetta un nuovo attentato al duce, che non verrà però portato a termine. L'anno dopo si rifugia in Brasile, con la moglie, dove i comunisti italiani lo accusano di collaborazionismo con i fascisti. Tornerà a Carrara nel 1948 e prenderà alloggio nelle case popolari, insieme alla moglie e a due figli. Le stesse case popolari di Avenza, dove rimarrà fino alla fine anche Alfonso Failla. Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana, da cui si ritira a metà degli anni cinquanta, "perché troppo subalterna al Partito Comunista Italiano". Nel convegno dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche del settembre 1968 a Carrara - quello cui intervenne Daniel Cohn-Bendit - è parte attiva nella rottura con i giovani del maggio francese.
"Sono venuti a proporre il fronte unito delle sinistre! Roba di cinquant'anni fa. Un suicidio!"
Il pericolo stalinista è diventato una tale ossessione per lui che all'inizio degli anni settanta si dirà che era arrivato a simpatizzare per "Nuova Repubblica", movimento fondato da Randolfo Pacciardi, vecchio amico ed ex-comandante della Brigata Garibaldi in Spagna. Fatto sta che si estranea del tutto dal movimento anarchico. Alla fine della sua vita si dichiarerà anarchico individualista: Muore a Carrara l'8 agosto 1999, a più di cento anni. Un secolo. Si è fatto cremare, il fazzoletto rosso e nero annodato al collo.

giovedì 12 aprile 2007

Grazie per tutto quanto!





KURT VONNEGUT
(Kilgore Trout)
11 Novembre 1922 - 11 Aprile 2007

Quando è scuro ...



Ci sono cose di cui si parla poco, molto poco, o punto. Periodi su cui sembra esercitarsi l'arte della smemoratezza selettiva, l'amnesia. Interi periodi storici consegnati all'oblio. Insieme ai nomi degli uomini che hanno lottato e sofferto, mettendo in gioco un'energia sovrumana. Tanto più disperata quanto avvolta dal silenzio di tutti, compresi coloro che lottavano - in modo diverso - sullo stesso fronte. Niente romanzi di successo, o film, niente celebrazioni. Sulla Spagna dopo il 1939, e sugli uomini che - da fuoriusciti - hanno continuato a battersi contro il fascismo si continua ad ignorare tutto. Solo un film di Fred Zinneman - Behold a Pale Horse (...e venne il giorno della vendetta) - interpretato da un Gregory Peck stanco e fuori parte che persegue una vendetta personale oltre la frontiera dei Pirenei, fino alla logica conclusione auto-distruttiva. C'è ben poco del Francisco Sabaté Llopart, cui il film si sarebbe ispirato. Forse, solo gli "amici" che continuano a dire a Manuel Artiguez di fermarsi, ché la guerra è finita!
Ma la guerra non era finita. Non era finita affatto. E non solo per i Sabaté, i Quico, i Caracremada e i Ramon Vila e tutti gli altri che andavano avanti e indietro, oltre la frontiera. Sembra quasi di vederlo il maquis spagnolo, immortalato ne "La grande fuga", quando accompagna "l'australiano" James Coburn fuggito dal campo di prigionia, ed arrivato a Parigi in sella ad una bicicletta rubata e recante un enorme valigione. Il maquis si ferma sul confine, e a Coburn che chiede "Espana?" risponde, secco ed emozionato, "Espana!". Sembra suggerire che senza i fuoriusciti spagnoli, la resistenza francese, durante la seconda guerra mondiale, forse sarebbe andata poco lontano. E la rete, messa su durante la resistenza, doveva servire anche dopo. Agli spagnoli.
Laureano Cerrada Santos ricopre negli anni 1944 e 1945 la carica di Segretario della CNT della regione parigina. Ma chi è, e chi era, Laureano Cerrada, destinato ad essere l'unico espulso all'unanimità dalla CNT (il sindacato anarchico spagnolo maggioratario)? Per alcuni un idealista, per molti altri un semplice delinquente!
Nasce nel 1902 a Miede de Arienza (prov. di Gadalajara). Ferroviere, si affilia alla CNT fin dal 1920. Prende parte ai combattimenti che porteranno, il 19 e il 20 luglio del 1936, alla presa della caserma Atarazanas e all'occupazione della stazione di Francia. Costiuisce il Comitato di Controllo Ferroviario e diventa responsabile della Cassa Centrale dell'Amministrazione Ferroviaria. Nel 1939, dopo la disfatta, si esilia in Francia e partecipa attivamente alla resistenza anti-nazista, organizzando e rifornendo i partigiani, fornendo loro armi e materiale di propaganda. Dopo la fine della guerra, fornisce aiuto economico al "Movimento Libertario in Esilio" e alla sua stampa. Allo stesso tempo, fornisce documenti falsi a numerosi compagni. Finanzia e partecipa all'organizzazione, insieme a Primitivo Gomez, José Pérez e Antonio Ortiz, dell'attentato aereo contro Francisco Franco: ‎12 settembre 1948, seconda giornata della regata di pescherecci a San Sebastian, alla presenza del generalissimo Franco. Un aereo da turismo avrebbe dovuto scaricare, sulla baia di La Concha, bombe incendiare e shrapnel! Ma viene denunciato prima. Ed è arrestato, in seguito alla scoperta di una tipografia clandestina, dove si fabbricavano soldi e documenti falsi. In seguito sarà ancora arrestato nel maggio del 1970, a Boulogne-Billancourt, all'età di 67 anni, per fabbricazione di documenti falsi. Resterà in prigione fino al 1974. Il 18 ottobre del 1976, a Belleville (Parigi), viene ucciso a revolverate da un fascista.
Fin qui la storia, secca. Quasi ufficiale. Ma come rendere, a parole, la sensazione di tutto un mondo. Tutta la storia delle storie degli anni cinquanta. Quanto è complicato. Sì, va bene. Le reti di falsificazioni di documenti e di denaro falso. Sì, va bene, gli attentati contro il dittatore; falliti. E poi, i furti di casseforti, le frodi multimilionarie, le falsificazioni di buoni del tesoro e di assegni bancari. I contatti con la malavita - giocoforza - con gli algerini. E i rivoluzionari portoghesi? Aveva dato loro una mano per rubare ... un transatlantico! E i mafiosi? Volevano usare le sue doti di falsario e avevano corrotto molti dei suoi amici. E poi, ladri e ladruncoli di poco conto. Qualcuno di molto conto. Uomini da due o tre lingue e dalla doppia e tripla faccia che alla fine non sapevano nemmeno chi erano i loro veri padroni. Se erano padroni di sé stessi, oppure no. E, nel mentre, in mezzo a tutto questo, bisognava anche sfuggire alla polizia francese, che non stava certo a guardare. Ma anche lì c'erano degli amici. Sì, anche lì. Il padre del commissario era sfuggito al campo di concentramento, grazie ai documenti falsi di Laureano. E con lui altri seicentocinquanta ebrei. Però, bisognava stare attenti dell'altro. C'erano anche i servizi segreti spagnoli. E quelli volevano la sua testa, a tutti i costi. E magari, alla fine, ce l'hanno anche fatta! No, non era, non è mai, un pranzo di gala. Un gioco d'ombre, piuttosto, fatto di trattative ambigue, di scambi; anche di giochi, a volte. I soldi passati per le mani di Laureano Cerrada, avrebbero potuto fare invidia all'Aga Khan; ma lui beveva beaujolais di terza categoria, e le sue scarpe, spesso, erano bucate. Un lusso: dormiva su una branda ricoperta da una pelliccia d'orso. Ma era tutta spelacchiata, oramai. Era il trofeo conquistato nel 1944 all'Hotel Maurice, sede del comando tedesco a Parigi. E come raccontarlo tutto quanto? Come spiegare, anche ai compagni, che aveva falsificato duecento milioni di franchi, in fiches del casinò di Montecarlo. E cosa ne aveva fatto di tutto quel denaro? Non era facile spiegare che era servito a corrompere i doganieri francesi, per lasciar passare una tonnellata di gelignite, e che una bella parte del denaro se l'era presa uno dei suoi "collaboratori". Gli era servita per andare a raccontare com'era la resistenza antifranchista; solo che era andato a raccontarlo mentre si abbronzava in qualche spiaggia turistica dalle parti del Venezuela! E i soldi, che per suo sfizio, aveva usato per pagare una banda di ragazzini ad Angouleme, affinché lanciassero pacchi pieni di merda contro la legazione commerciale spagnola! No, non sono cose serie. Non ci stanno in un libro serio, o in un film serio, uno di quei film che ti faccia piangere per la sorte dei rivoluzionari sconfitti. Sconfitti, una sega! No, non sconfitti. Personaggi meravigliosi, truffatori umanitari, cinici, avventurieri, viveur, eroi senza causa, militanti ossessionati e irriducibili, anche nella sconfitta, ma non sconfitti.
E i loro passaporti falsi erano passati tutti per le mani di Laureano Cerrada Santos.
Quando capita, qualcuno che legge beva un bicchiere alla sua salute.
Se lo merita!

mercoledì 11 aprile 2007

Visioni



Leggo sul Blog Galileo che "ll Ministero della Difesa inglese ha pubblicato un rapporto (consultabile qui) in cui sono delineati gli scenari probabili per il mondo che verrà fra trent'anni, e le minacce future che le istituzioni dovranno fronteggiare."

Si può leggere, fra gli altri scenari, che:

"I ceti medi potrebbero diventare una classe rivoluzionaria, assumendo il ruolo immaginato per il proletariato da Marx. La globalizzazione del mercato del lavoro e la riduzione dei livelli di protezione sociale e dell'occupazione potrebbero ridurre l'affezione delle persone per determinate condizioni. Il crescente divario tra loro e un piccolo numero di super-ricchi molto visibili potrebbe alimentare la disillusione nei confronti della meritocrazia, mentre le sempre più ampie classi subalterne urbane costituiranno probabilmente una minaccia sempre maggiore all'ordine e alla stabilità sociale, con l'aumento del peso del debito contratto e la fine del sistema pensionistico. Di fronte a queste due prospettive congiunte, le classi medie potrebbero unirsi, utilizzando l'accesso alla conoscenza, alle risorse e alle competenze per modificare i processi transnazionali nel loro interesse di classe".

Singolare come tutto questo assomigli a "Millennium People" di James Graham Ballard!


fiction



Cos'è il passato? A volte vien da chiederselo. Soprattutto quando somiglia, il passato, sempre più ad una sorta di presente nebuloso. Una specie di spazio alterno che convive, con una continuità che per fortuna varia, insieme ad un presente non nebuloso. Non è che impedisca di viverlo normalmente, il presente. Solo che a volte comincia a scorrere, il passato. Come una possibilità. La possibilità di immense combinazioni. Luoghi, facce, sensazioni. Situazioni. Arrivano improvvisamente, da altri tempi e si sedimentano.
Dev'essere stato così, per Stoyan Vasilev. Un uomo che la storia tradizionale vorrebbe aver condannato ad essere stato nei posti giusti al momento sbagliato. Ma sono convinto che lui abbia avuto un approccio diverso alla storia, da quello ufficiale. Un approccio non dal punto di vista della "Storia", ma da quello delle storie. Spesso, piccole storie. Da cosa si misura un uomo? La sua importanza? Forse dalla quantità di ore di gloria e paura che ha vissuto. Dalle donne che ha amato, corrisposto e non. Dal numero di stanze d'albergo, pensioni, appartamenti clandestini, case di amici in cui ha dormito. Dai libri letti. Da tutti questi punti di vista, Stoyan Vasilev è stato un personaggio notevole del secolo scorso. Ad esempio, poteva dire di aver bevuto tè con P'eng P'ai ad Hai Lu-feng, caffé con Ernesto Guevara de la Serna nell'areoporto di Sofia e vino rosso con Buenaventura Durruti di fronte alla Casa de Campo a Madrid. Poteva, addirittura, sostenere che Stalin gli aveva detto -"Non mi piaci come la pensi, Stoyan. Ti avvicini alle cose sempre dall'angolazione sbagliata", ed era sopravvissuto per ricordarsene! Ma ricordava anche molte altre cose, tipo il rumore che fa il percussore di uno Sten, quando non trova la cartuccia. Cose semplici, a volte.
Ma, sempre, senza alcun ordine cronologico. Nessuna sequenza temporale. Solo chi non lo ha vissuto, un passato, può avere interesse a metterlo in ordine. Per chi c'è stato, si fanno i conti con brandelli di ricordi che a volte si amano evocare, altre volte non si possono dimenticare, a volte si perdono da qualche parte, nella memoria, altre ancora sono talmente presenti che si continuano a piangere. Nella memoria di Stoyan Vasilev, gli addestramenti militari dei contadini cinesi, nel 1923, con le loro lance di tre metri dalle punte adornate di nastri colorati, potevano venire anche dopo i pomeriggi terrificanti di bombe, nel 1937 a Madrid, e poco prima dell'insurrezione del Montenegro nel '41. E abbastanza dopo il confino nella zona montagnosa del Turnovo, nel 1952. Inutile tentare un abbozzo di biografia. Si trovano solo strane informazioni, a volte quasi sorprendenti.
Un giovane studente, nel 1926, si iscrive al Partito Comunista Bulgaro. E' il periodo del "terrore bianco". Il governo ha imprigionato 1500 rivoluzionari, di cui 124 sono stati giustiziati. Il PCB è entrato in clandestinità.
Al funerale di Fridman, nel 1927, lo studente Stoyan Vasilev suona al pianoforte la marcia funebre.
Un tale Stoyan Vasilev risulta aver tradotto, in spagnolo e in inglese, "Sotto il giogo", opera classica del bulgaro Vazov, rispettivamente per l'editrice argentina "Claridad" e la "Little, Brown & Co." di Boston. Nell'introduzione, dello stesso traduttore, ci sono dei riferimenti indiretti che permettono di ubicarlo nella città di New York.
Un omonimo, passaporto bulgaro, passa 16 giorni nela prigione del Castillo del Principe, a L'Avana nel 1934, per ingresso illegale nel paese. Imbarcato sulla Covadonga che dovrebbe sbarcarlo a Vigo, in Spagna, sparisce poche ore prima che il battello attracchi a Cadice.
Un attore chiamato Stoyan Vasilev lavora con Humprey Bogart nel film "La chiave di vetro".
La polizia bulgara emette un mandato di cattura contro Stoyan Vasilev, che ha sparato su due gendarmi che cercavano di impedire una riunione in una fabbrica tessile a Sofia. E' il 16 giugno del 1935.
Quello stesso giorno, a Flandes, un omonimo vince la terza tappa del giro ciclistico, protagonista di una fuga solitaria di 112 chilometri. Sviene dopo aver tagliato il traguardo.
Stoyan Vasilev partecipa al reclutamento e alla formazione del gruppo bulgaro che andrà a combattere nella guerra di Spagna. Organizza il contingente, pescando fra i lavoratori del legname di Sofia e alcuni quadri studenteschi del PCB. Il gruppo si riunisce in Francia, a Parigi - distretto 19 - prima di penetrare in Spagna.
Nel marzo 1937, sembra fosse capitano del Battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale, durante la battaglia di Guadalajara.
Nel racconto di Hemingway, "Sotto la collina", facente parte dell'antologia "La quinta colonna", l'autore nordamericano parla di un bulgaro che descrive nel seguente modo: "di statura media, molto robusto, con mani da pianista; non ho mai capito se era un tipo serio o no. Le labbra serrate, ma gli occhi brillanti e molto aperti, i capelli crespi e ribelli di color paglierino, zoppicava leggermente."
Una foto, pubblicata sull'Isvestia, il 2 maggio del 1939, lo mostra in tribuna nella Piazza Rossa durante la sfilata del 1° Maggio. Si trova a sei posti da Stalin, da sinistra a destra. Non c'è il suo nome.
Nelle due storie di Milovan DJilas, dove viene raccontata l'insurrezione del Montenegro nel 1941, viene menzionato con un certo rilievo l'inviato dell'Internazionale Comunista, il bulgaro Vasilev, conosciuto da molti quadri del PC Jugoslavo ai quali era unito da relazioni di amicizia intrecciati durante la guerra di Spagna. Si cita solo il suo cognome.
Un calciatore bulgaro chiamato Stoyan Vasilev risulta nella squadra del Liverpool. Per tutto il campionato non giocherà una sola partita. In una nota, pubblicata sul Times il 16 giugno 1942, il difensore Kerry lodava Vasilev, anche se segnalava che gli era stato difficile riprendersi da una lesione al ginocchio.
Nel giugno del 1943, il commerciante di bestiame Stoyan Vasilev diventa vedovo e padre di una bambina, che viene chiamata Maria. La madre, che muore di parto nell'ospedale di Sofia per una setticemia, si chiamava Ana Martinez, nativa di Logrono, Spagna.
Secondo una denuncia, pubblicata a Parigi dalla quarta internazionale, il 25 novembre 1952, Stoyan Vasilev, veterano delle brigate internazionali in Spagna e uno dei quadri dirigenti della guerriglia comunista bulgars contro i nazisti, è uno dei 154 detenuti a causa delle purghe in seno al PCB.
Nell'edizione del giornale dell'Avana, Revolucion del 5 giungo 1961, si riporta che un tale Stoyan Vasilev fa parte della delegazione bulgara che si incontra con Fidel Castro. Nell'edizione del giorno seguente, sotto il titolo "Guerriglieri di due generazioni collaborano alla costruzione di una scuola" si pubblica il testo seguente: "Vasilev, con i suoi 55 anni, non ha avuto paura della pala ed ha partecipato, in una giornata di lavoro volontario, con il ministro dell'Industria, Ernesto Che Guevara, alla costruzione di una scuola." Sotto il testo, si nota una fotografia dove si possono vedere il Che e Vasilev che riempiono una carriola a badilate, entrambi molto sudati. Il cubano-argentino a torso nudo e il bulgaro in maglietta e con un fazzoletto legato in testa.
Vari reportage, firmati Stoyan Vasilev, appaiono in riviste bulgare di ampia diffusione, fra il 1961 e il 1967. Riguardano avvenimenti come l'insurrezione congolese, le elezioni in Venezuela, la vita quotidiana in Portogallo sotto la dittatura di Salazar, la morte di Ben Barka, etc.
La prefazione all'edizione bulgaradel diario del Che in Bolivia, pubblicata all'inizio del 1969, è firmata da Stoyan Vasilev.
Storie, forse solo storie. Come il progetto di elaborare un libro nero sulla guerra di Spagna. La lista dei pistoleri che avevano agito contro gli internazionalisti su ordine di Yezhov e Stalin. Un elenco con nomi, indirizzi e dati che avrebbero dovuto permettere di mandarli tutti all'inferno con una pallottola nella tempia! Un libro che avrebbe reso giustizia ai comunisti che erano morti in Spagna per mano dei carnefici del loro stesso partito. No, non era una decisione avventata. Era una riflessione logica che si era formata lentamente nella testa di Vasilev, maturata in cinque anni di carcere e due di esilio. Era un regolamento di conti in famiglia. Non ne fece mai di nulla.
Storie, forse solo storie, come quella che raccontava che fosse diventato amico intimo di Raul Sendic, e che quando viaggiava su aerei della KLM e dell'Air France tracciasse la stella tupamara sulle pareti dei bagni.
Storie, le ultime, come quella che racconta di una foto scattata a Managua, dove Stoyan è sottobraccio a Carlos Machado, in cima ad un blindato, e stanno gridando qualcosa, raccontandosi a urla una storia, per potersi sentire fra le grida di giubilo della popolazione che si è riversata nelle strade. Forse cercava di spiegare come si fa a vivere con in testa una popolazione di fantasmi. Ad esserne, addirittura, innamorato dei fantasmi. E, alla fine, i fantasmi lo avranno portato via. Via dalla realtà. Una realtà sempre più bulgara.

martedì 10 aprile 2007

Analogie!



Passando davanti ad un'edicola, mi è caduto l'occhio su un dvd del "national geographic". Sono anche stato tentato di comprarlo, e non è detto che non lo faccia. L'argomento? parla di tutte quelle religioni, culti dimenticati - così si chiama, che hanno perso, e che sono finite nel dimenticatoio. Da Apollonio di Tiana a Mitra a Simon Mago. Tutti personaggi che si erano auto-proclamati "figli di dio" e che si dilettavano a fare ... miracoli. Poi è arrivato (se davvero è arrivato!) chi sappiamo e si è imposto, da oramai più di duemila anni. Mi ha fatto tornare in mente la cosiddetta "guerra degli standard", quella che negli ultimi anni dello scorso secolo ha interessato vari mercati. Dai computer, ai sistemi operativi, alla video-registrazione (da tavolo e portatile). Mi ha fatto tornare in mente tutti i "formati" spazzati via, e caduti nel dimenticatoio. Computer dimenticati, come l'Archimedes, sistemi operativi come il BeOs, microprocessori come il motorola, e, nella video-registrazione, il betamax e il video2000. E mi sono ricordato che gli standard che si sono imposti, come la piattaforma "wintel" (processore intel e sistema operativo windows) e il video VHS, erano i peggiori del mazzo. Per analogia .....

venerdì 6 aprile 2007

Buonanotte Luigi!

Luigi Comencini: 1916 - 2007

Reinventare la Ruota



E' quasi una settimana che lo sto ascoltando e riascoltando. Senza sosta, senza che mi venga in mente di suonare un altro disco! C'è della magia in "LLANO AVE." di Darryl Lee Rush. Questo misconosciuto texano si misura per la prima volta con un disco fatto a suo nome, e compie il miracolo aiutandosi con qualche "cover". Comincia alla grande, con "Truale" di Sam Baker (un pazzo scatenato che ha impreziosito l'ultimo tributo a Townes Van Zandt, tenutosi a Milano). Il disco è prodotto da Gurf Morlix, e Gurf ha messo Joel Guzman a suonare la fisarmonica nella canzone di Baker. E fa la differenza! Un'altra cover, splendida. "Miles to Memphis" di Chris Knight. Poi una canzone ti sorprende, quasi ti prende alle spalle. "Town too Tough to die", un piccolo capolavoro sospeso fra la polvere del deserto (sembra di sentirlo aleggiare, il vento caldo di Matagorda) e la tequila da bere nelle cantinas. La prima canzone di Darryl Lee Rush che io abbia mai sentito, ed è una lieta sorpresa. Come tutte le altre da lui scritte, che suonano nel disco. Dall'ispirata "White Trash Paradise", dove l'armonica di Don Gallia fa da padrona, alla canzone che dà il titolo al disco. Chiude con altre tre cover, da Hank Riddle a Guy Clark, fino a "Life in the fast lane" degli Eagles, riarrangiata quasi a diventare un bluegrass.
Un disco da suonare, da ascoltare ad occhi chiusi e ad occhi aperti.
Per gioire e per commuoversi.
Musica!

giovedì 5 aprile 2007

L'arte della Fuga



La canzone, tirata e veloce, allegra e messicaneggiante il giusto, con tanto di trombe, scorre come un western di 3 minuti e mezzo.
La voce giusta è quella di Kris Kristofferson, nel suo album "Shake Hands With the Devil" del 1979.

MICHOACAN
(Atweed Allen - Kim Fowley)

Mi sono svegliato stamani e la frontiera mi bruciava il cervello
Le cose che ho visto e che non posso lasciarmi dietro
Dentro questo buco scavato nel terreno non c'è niente da vedere
Ma laggiù nel Michoacan mi sta aspettando il paradiso
A nord del confine le guardie sono state corrotte e si sono vendute
Eravamo stati presi, io ed un compagno, mentre trasformavamo la marijuana in denaro
Pagherò per il mio crimine fino al giorno in cui sarò libero
Ma laggiù nel Michoacan mi sta aspettando il paradiso
Un'auto arrugginita ha attraversato il confine, dentro c'ero io
Con due cani, la mia chitarra rossa e la mia sposa bambina
Il tempo di sentire uno sparo nel buio ed abbiamo trovato una casa
Là dove sbocciano i fiori, nel Michoacan
Un'auto arrugginita ha attraversato il confine, dentro c'ero io
Con due cani, la mia chitarra rossa e la mia sposa bambina
La mia fedina penale sarà ripulita e tornerò ai luoghi cui appartengo
Là dove sbocciano i fiori, nel Michoacan

mercoledì 4 aprile 2007

Il Rumore del Tuono



La canzone è del 1958, e l'autore del testo, nonché il cantante, è niente di meno che Robert Mitchum, il quale in passato, da vivo, si è dilettato anche ad incidere qualche disco.
La canzone la scrisse, per l'appunto, per il film "Thunder Road" (diretto da Arthur Ripley su sceneggiatura dello stesso Mitchum - in italiano "Il Contrabbandiere").
C'è ragione di credere che la "Thunder Road" più famosa oggi, quella di Bruce Springsteen (click qui, per leggere testo e traduzione), abbia un debito non piccolo verso questa, di "Thunder Road".

BALLAD OF THUNDER ROAD
(Don Raye - Robert Mitchum)

Lasciami raccontare una storia, ora, lascia che te la racconti tutta
Parla di un ragazzo delle montagne che contrabbandava alcool
Suo padre distillava l'whiskey e lui trasportava il carico
E quando il motore della sua auto ruggiva, lo chiamavano Strada di Tuono

A volte ad Ashville o nella città di Memphis
La stradale gli dava la caccia ma non riuscivano mai a raggiungerlo
Proprio quando pensavano che il motore stava per esplodergli
Allora lui scompariva, lasciandoli fermi sulla strada del tuono

E c'erano tuoni su quella Strada del Tuono
Tuono era il suo motore e Fulmine Bianco il suo carico
C'era whiskey per spegnere la sete del vecchio diavolo
I poliziotti giuravano che l'avrebbero preso ma lo raggiunse prima il diavolo

Sgommando mentre lasciava Harlan cominciarono i guai
Fece uno scontro a fuoco a Cumberland e fece fischiare i pneumatici per tutta Maynardsville
Con i poliziotti alle calcagna e posti di blocco dappertutto
Quel ragazzo di montagna prese strade che perfino gli angeli temevano di percorrere

Con il motore in fiamme entrò a Knoxville percorrendo Kingston Pike
Era appena fuori Bearden quando ci fu lo scontro fatale
Uscì di strada a novanta miglia all'ora, ed è tutto quello che c'è da dire
Il diavolo spedì l'whiskey e il guidatore dritti all'inferno
E c'erano tuoni ...
Sì, i poliziotti giuravano che lo avrebbero preso, ma il diavolo arrivò per primo.

martedì 3 aprile 2007

il vento



Una ballata, interpretata fra l'altro da Mark Collie e dagli Highwaymen


Nati e Cresciuti in Bianco e Nero
di Don Cook e John B.Jarvis

Per le pianure del Texas il vento soffia talmente forte che qualcuno impazzisce
Altri pregano sommessamente per quella pioggia, che poi è il posto da cui proveniamo
Due ragazzi giocavano sotto il sole cocente, uno con i libri, l'altro con le pistole
Mamma chiamò ma solo uno tornò a casa, l'altro corse via
Siamo nati e cresciuti in bianco&nero, con un senso cristiano del bene e del male
Uno imparò a pregare, l'altro preferì battersi. Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero

Quello dei due fratelli che aveva preso la strada del vangelo passò la sua vita intera a salvare anime
Quando mi vide gli si ghiacciò il sangue come non gli era mai successo prima
Io non avevo sogni, e non avevo progetti, mi bastava avere solo un pistola nella mano destra
Il poliziotto mi chiese come mai avessi ucciso quell'uomo, io risposi che non lo sapevo
Un caldo chiaro di luna mi diede il benvenuto a casa. Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero
Uno viveva per pregare, l'altro aspettava di morire. Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero
Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero

Qualcuno mi offrì una sigaretta per esaudire il mio ultimo desiderio
Domandai che la mia anima mortale venisse benedetta da qualcuno che mi era vicino
Così lui arrivò con le sue mani tremanti e giurò che non aveva mai capito
Risposi che tutto quanto era solamente quel che il destino aveva deciso
"Non sprecare le tue lacrime per me, stanotte." Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero
"Io ho scelto il buio, e tu la luce." Eravamo nati e cresciuti in bianco&nero
Per le pianure del Texas il vento soffia talmente forte che qualcuno impazzisce
Mentre altri pregano sommessamente per la pioggia

lunedì 2 aprile 2007

Uomini



Da bambino, a 11 anni, era già ossessionato dai numeri, dalle somme, dalle divisioni. Ed era anche un minatore, con già quattro anni di esperienza. Lavorava dodici ore al giorno, sei giorni la settimana. I numeri, dicevo. Aveva imparato a contare da solo, usando pezzi di carbone sull'impiantito di cemento di una pista da ballo. E, per contare, aveva creato un proprio sistema numerico, in base cinque (quando qualche anno dopo, cercò di mostrarlo ad un maestro di scuola, mandato dal sindacato, questi gli disse che era pazzo; e Tomàs Fernandez dovette imparare di nuovo, con gli altri, in base dieci!).
A 17 anni, quando erà già il minatore, in tutte le Asturie, più veloce a fare una moltiplicazione, si sposò. E, sempre nello stesso anno, partecipò allo sciopero generale, così passò tre mesi in prigione. In carcere lesse molto: I Miserabili di Victor Hugo (sei volte), Germinal di Emile Zola e Le dodici prove dell'inesistenza di Dio di Sebastian Faure (sei volte). Ne usci convinto che bisognava organizzarli meglio, gli sioperi, e che doveva pur esistere qualcosa che andava oltre la divisione a undici cifre.
Tomàs era nato col secolo, e questo gli causava un solo rammarico: l'essere quasi sicuro di non poter vedere l'anno 2000, quando gli uomini sarebbero arrivati sulla luna, ed il socialismo avrebbe dominato sul pianeta.
Nel 1925, all'uscita di un'assemblea sindacale, gli sgherri del marchese di Gomillas gli spararono. Tomàs reagì, sparando a sua volta, e colpì ad un occhio uno degli aggressori, col risultato che a quest'ultimo l'impresa diede una medaglia, e lui venne rinchiuso in carcere per sette mesi.
Quandò uscì era finito nella lista nera dei padroni, e dopo tre mesi non aveva ancora trovato lavoro, così il sindacato lo mandò a dirigere un piccolo giacimento che era stato abbandonato dal proprietario, dopo uno sciopero di due anni. Rimasto in mano di ventiquattro lavoratori, era stato da questi affidato al sindacato, per amministrarlo. La miniera diventò una delle più fruttifere della regione, oltre ad essere quella che pagava i salari più alti.
Il giorno in cui venne proclamata la Repubblica, Tomàs si scolò una dozzina di bottiglie di sidro, tirò fuori la quantità di dinamite che aveva conservato, al di là delle necessità della miniera (ché non si sa mai ...), e si comprò una Star calibro 9.
Quando il sindacato dei minatori decise di avere un giornale, Tomàs ne venne nominato amministratore.
"Avance" fu un giornale di buona qualità tecnica, con un'eccellente rete distributiva, stampato con una rotativa rapida che si guastava raramente. Poi, in agosto, il sindacato lo mise di fronte ad un nuovo progetto: l'acquisto di armi per la futura insurrezione.
La situazione venne affrontata con l'abituale serietà e venne messa in piedi un'operazione che, ancora dopo tanti anni, non è del tutto chiarita: comprò a Cadice armi che dovevano essere rivendute in Etiopia. Ma dal momento che questi invii erano imbarcati dalla Società delle Nazioni, mise in piedi un'operazione di "distrazione" sulla prima operazione fantasma. Fece sì che il misterioso carico, invece di dirigersi verso l'Africa, circumnavigasse la Spagna diretto alle coste asturiane, dentro una nave comprata dal sindacato e ribattezzata con nome di una pietra portafortuna: Turchese.
La disfatta della rivoluzione lo obbligò ad un primo esilio in Francia, dove venne subito incaricato di una nuova operazione: il recupero dei soldi sottratti dai rivoltosi alla banca di Spagna e ad altre banche, e dispersi durante la fuga. Riuscì a rimettere insieme l'89% del denaro e a stabilire che il rimanente 9% era diviso fra un uomo fuggito in Argentina e la polizia e la guardia civile che avevano scoperto tre depositi. Il non riuscire a ricostruire dove fosse finito il 2% che mancava, lo lascio per molti mesi indignato.

Con la vittoria elettorale del 1936, Fernandez venne nominato vice-ministro delle finanze nelle Asturie. Nella regione isolata dalle truppe di Franco che controllava Galizia e parte del territorio basco, tutte le qualità di Tomàs vennero a galla.
Nel settemmbre del '36 comprò in Belgio ottomila stivali per il solo piede sinistro, risultato di uno scarto industriale. Li assicurò ai Lloyds di Londra, per sei volte il loro valore, registrandoli semplicemente come "stivali". Affondò il carico nel Cantàbrico. Con il denaro dell'assicurazione comprò mitragliatrici cecoslovacche destinate al Portogallo, le trasformò in "ferrovecchio" con un'operazione fantasma in Francia, poi le comprò dai Francesi (che si erano compromessi con un patto che impediva loro di far passare armi verso la Spagna) e le fece arrivare in Spagna non come armi, ma - appunto - come ferro vecchio!
Dal momento che non amava utilizzare intermediari, Fernandez creò una sua propria compagnia di esportazioni a Tolosa, il cui prestanome era uno zingaro di 90 anni che aveva reclutato per la "Rete della Follia Rossa".
Usando dell'oro ottenuto dalle chiese e dalla borghesia asturiana, frodò avventurieri olandesi e pirati dell'industria bellica belga, truffò armatori panamensi e banchieri greci. Comprò cannoni e teloni impermeabili, migliaia di pistole e, perfino, un aereo. Noleggiò mercantili fantasma che cambiavano di bandiera e di nome, li auto-piratò, sequestrò carichi, vendette gli stessi imbarchi di carbone, sei volte in una settimana, a compratori diversi. Simulò di essere greco, rubò sigari cubani e carote portoghesi, li cambiò con autocarri Ford e in Asturia li fece blindare. Un paio di settimane prima che finisse la guerra civile, stava cercando di organizzare una falsificazione massiccia della lotteria del Venezuela, per venderla in territorio franchista tramite una banda di truffatori portoghesi.
La moglie, Elisa, morì sotto un bombardamento e, nel 1939, Tomàs attraversò la frontiera a Le Perthus, tenendo per mano un figlio di sei anni e una bambina di quattro. Il passaporto diplomatico gli evitò il campo di concentramento e potè nascondersi in Normandia.
Quando i nazisti, qualche mese dopo, dichiararono guerra alla Francia prese di nuovo i figli per mano e partì per Parigi. Lì, all'entrata di un metrò parigino, conobbe Longoria. E quello che non aveva potuto fare in Spagna, per mancanza di tempo, cominciò a farlo a Parigi, col suo amico Longoria, un anarchico di 39 anni che, quando ne aveva tredici, aveva falsificato il proprio certificato di nascita per entrare nei cinema per adulti.
La "Rete Sacramento" era formata da soli due uomini e due bambini. I bambini aiutavano ad asciugare i biglietti falsi nel bagno. Arrivarono a falsificare i biglietti per la partita di calcio fra la squadra di Parigi e quella delle forze armate tedesche, immettendo sul mercato il triplo dei biglietti e costringendo i tedeschi a sospendere l'incontro. Avvelenarono due camion di bottiglie di champagne destinate ai campi di aviazione della Luftwaffe e crearono una rete di fuga, per i piloti inglesi abbattuti, che passava per Andorra. Nel maggio del 1942 i tedeschi riuscirono a individuarli. Solo due minuti, per Tomàs e Langoria, per abbracciarsi in un bosco fuori Lione. Poi, con un passaporto falso e due bambini per mano Tomàs attraversò Spagna e Portogallo, spacciandosi per un ebreo greco, e si imbarcò per l'America. Arrivò in Messico, sfinito, mentalmente distrutto. Scoprì di essersi dimenticato di come si ricavava la radice quadrata. Un medico repubblicano, a Mazatlàn, gli diagnosticò un'anemia perniciosa.
Sopportò per poco più di una settimana le discussioni fra esiliati. Poi, col denaro che aveva accumulato in Francia, scambiando con ufficiali tedeschi falsi di Toulouse-Lautrec in cambio di oro (oro che considerava una riserva personale), si comprò un piccolo albergo sul mare di Cortès, nel porto di La Paz.
Là si dispose ad aspettare, crescendo i suoi figli e meditando come fare a pubblicare un giornale in centinaia di migliaia di copie, e lanciarlo da vari aerei sulla Spagna franchista.
Nel 1947 sarebbe morto, investito da un'automobile.
Aveva 47 anni. Gli stessi anni che aveva il secolo.