venerdì 13 aprile 2007

Le storie della storia ...



Le mie storie, non sono solo storie mie. Così, allo stesso modo, i nomi di alcune delle persone che compaiono in queste storie, non sono per me solo nomi. Sono anche i miei ricordi, o meglio sono i ricordi di un ragazzo di diciassette anni che, allora, si affacciava al mondo. In un mondo che - non ho esitazioni ad ammetterlo - gli sembrava molto più grande e molto più puro di quanto in realte non fosse, e non fosse stato. Avevo cominciato ad abbeverarmi a queste storie, qualche anno prima, in una città alla periferia dell'impero, anche se tanto tempo prima, dell'impero, era stata anche capitale. E ho continuato a farlo, negli anni a venire, per quanto mi è stato possibile, e ascoltando in silenzio quello che mi veniva elargito. Attiene alla mia fortuna, essere nato ed essere stato, quando è venuto il momento, nei posti giusti (o sbagliati, secondo i vari punti di vista), ed avere conosciuto le persone giuste. Persino il mio professore di filosofia (che sfiorava il "gossip"), al liceo, che mi ha dato un approccio di ""storie" alla storia della filosofia, e alla storia. L'ho mantenuto. Anzi, l'ho coltivato. Il mio rimpianto è uno solo, quello di avere appreso storie e conosciuto persone (sì, proprio persone, non personaggi!), in quest'ambito, alla fine della traiettoria, quando i fatti erano ormai già stati scritti, praticamente del tutto. Le storie sussurrate, e le persone invecchiate, tranne che nei loro occhi. Quelli no. Mai.
Questa è una storia delle tante, e dentro, a sua volta, sembra contenere altri nomi ed altre storie. Quelle accennate e quelle sottaciute. Alcune edificanti, altre meno. C'è la grandezza e la piccolezza. Degli uni e degli altri. Molti li ho conosciuti, quelli che la mia epoca mi ha pemesso di conoscere personalmente. Di altri, ne ho solo sentito parlare. Di chi bene, di chi male. Ma credo che, oramai, facciano parte, tutti i nomi e tutte le storie, in qualche modo, del mio "album di famiglia"!

Gino Bibbi nasce ad Avenza, Carrara, nel febbraio del 1899, figlio di un imprenditore del legname. Già sottotenente di fanteria, studia da ingegnere al politecnico di Milano, dove conosce, nel 1922, Camillo Berneri. Nel '23 viene pestato a sangue dai fascisti, dopo aver lanciato in faccia al gerarca Renato Ricci, nel centro di Carrara, volantini che definivano Mussolini "tragico pagliaccio". In seguito, durante un'altra aggressione fascista, viene ridotto in modo tale che sua madre, al solo vederlo, ne morrà di crepacuore. Nel 1926, con la complicità di altri anarchici (la sorella Maria, il triestino Umberto Tommasini, il bresciano Leandro Sorio e il carrarino Stefano Vatteroni), fornisce la bomba SIPE che il cugino Gino Lucetti lancerà a Roma, l'11 settembre 1926, contro l'auto del duce. La bomba esploderà, ma Mussolini rimarrà illeso. Gino Bibbi e la sorella Maria vengono arrestati 24 ore dopo l'attentato. La mancanza di prove lo farà passare dal carcere al confino, prima ad Ustica e poi a Lipari. Viene torchiato ad ogni occasione, ogni qual volta la polizia segreta fascista si trova ad indagare su episodi come l'attentato alla Fiera di Milano del 1928. Di lui si occupa il commissario Rizzo, lo stesso che "curava" l'espropriatore anarchico Sante Pollastri (già, il "bravo poliziotto che conosce il suo mestiere e che sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere"!) e l'anarchico indivisualista Giuseppe Mariani, autore della strage al teatro Diana di Milano, nel 1922.
Con il pretesto di completare gli studi di ingegneria, riesce a farsi trasferire all'Ucciardone di Palermo, da dove evade imbarcandosi per Tunisi su una nave argentina, grazie alla complicità di marinai anarchici. Da Tunisi, raggiunge Parigi dove impara a pilotare un aereo, insieme al fratello di Francisco Franco, Ramon, esule repubblicano in Francia. Passa in Spagna, dove, insieme a Gigi Damiani, prepara un piano per far evadere Errico Malatesta, sequestrato dal regime fascista nel sua casa nel quartiere Trionfale a Roma. Alcune soffiate allertano l'OVRA, e il progetto abortisce. Nel 1934 apre un'officina a Valencia e viene accusato dal console italiano di produrre armi per gli anarchici. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile, diviene pilota da caccia dell'aviazione repubblicana che, però, si sta trasformando rapidamente in un feudo stalinista. Bibbi sperimenta nuove armi per il Comitato Centrale delle Milizie di Catalogna, fra cui un lanciarazzi teleguidato con un raggio d'azione di 10 km. Gli viene commissionato un progetto di siluro teleguidato per attaccare le navi fasciste che bloccano i porti spagnoli.
Nel dicembre del 1936 viene arrestato dalla polizia repubblicana e accusato di essere "una spia di Mussolini". L'intervento del comitato regionale della CNT di Valencia gli salva la vita. Il 20 febbraio del 1937, ad Alicante, viene nuovamente arrestato dalla Guardia de Asalto (stalinista) insieme a Tommasini e ad altri tre compagni, nonostante avessero un'autorizzazione del Ministero della Marina e dell'Aviazione per compiere atti di sabotaggio nel porto franchista di Ceuta, in Marocco, utilizzando mine subacquee. Rinchiusi in una ceka (prigione privata comunista) vengono detenuti per settimane, interrogati, minacciati, malmenati. Tommasini riesce ad evadere. Solo l'intervento di Garcia Oliver, ministro della Giustizia, presso il ministro degli Interni, il socialista Galarza che ne aveva disposto l'arresto, riuscirà a salvarlo. Dopo questa esperienza, Bibbi lascia la Spagna, pur continuando ad interessarsi, da Parigi, di altre azioni contro il fascismo e contro lo stalinismo. Fonda un gruppo anarchico indipendente. Con Tommasini, nel 1937, progetta un nuovo attentato al duce, che non verrà però portato a termine. L'anno dopo si rifugia in Brasile, con la moglie, dove i comunisti italiani lo accusano di collaborazionismo con i fascisti. Tornerà a Carrara nel 1948 e prenderà alloggio nelle case popolari, insieme alla moglie e a due figli. Le stesse case popolari di Avenza, dove rimarrà fino alla fine anche Alfonso Failla. Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana, da cui si ritira a metà degli anni cinquanta, "perché troppo subalterna al Partito Comunista Italiano". Nel convegno dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche del settembre 1968 a Carrara - quello cui intervenne Daniel Cohn-Bendit - è parte attiva nella rottura con i giovani del maggio francese.
"Sono venuti a proporre il fronte unito delle sinistre! Roba di cinquant'anni fa. Un suicidio!"
Il pericolo stalinista è diventato una tale ossessione per lui che all'inizio degli anni settanta si dirà che era arrivato a simpatizzare per "Nuova Repubblica", movimento fondato da Randolfo Pacciardi, vecchio amico ed ex-comandante della Brigata Garibaldi in Spagna. Fatto sta che si estranea del tutto dal movimento anarchico. Alla fine della sua vita si dichiarerà anarchico individualista: Muore a Carrara l'8 agosto 1999, a più di cento anni. Un secolo. Si è fatto cremare, il fazzoletto rosso e nero annodato al collo.

Nessun commento: