venerdì 29 dicembre 2006

Giorgio Mustacchi!



Giorgio Mustacchi. No, non è uno scherzo, è proprio il vero nome e cognome di Georges Moustaki! Che dire di "Le métèque" (lo straniero, come ce lo proposero in italiano, sul finire degli anni sessanta!)? Del suo modo accattivante di cantare, quasi in punta di piedi? Solo che mi piace. Non ha una gran voce, certo, ma mi piace. Mi piacciono i suoi testi. A partire da "Les amis de Georges", in cui il "Georges" in questione è Brassens, e non Moustaki! E diciamo che Brassens ne esce come merita.

Les amis de Georges étaient un peu anars
Ils marchaient au gros rouge et grattaient leurs guitares
Ils semblaient tous issus de la même famille
Timides et paillards et tendres avec les filles
Ils avaient vu la guerre ou étaient nés après
Et s'étaient retrouvés à Saint-Germain-des-Prés
Et s'il leur arrivait parfois de travailler
Personne n'aurait perdu sa vie pour la gagner

Les amis de Georges avaient les cheveux longs
A l'époque ce n'était pas encore de saison
Ils connaissaient Verlaine, Hugo, François Villon
Avant qu'on les enferme dans des microsillons
Ils juraient, ils sacraient, insultaient les bourgeois
Mais savaient offrir des fleurs aux filles de joie
Quitte à les braconner dans les jardins publics
En jouant à cache-cache avec l'ombre des flics

Les amis de Georges, on les reconnaissait
A leur manière de n'être pas trop pressés
De rentrer dans le rang pour devenir quelqu'un
Ils traversaient la vie comme des arlequins
Certains le sont restés, d'autres ont disparu
Certains ont même la Légion d'honneur - qui l'eût cru?
Mais la plupart d'entre eux n'ont pas bougé d'un poil
Ils se baladent encore la tête dans les étoiles

Les amis de Georges n'ont pas beaucoup vieilli
A les voir on dirait qu'ils auraient rajeuni
Le cheveu est plus long, la guitare toujours là
C'est toujours l'ami Georges qui donne le la
Mais tout comme lui ils ne savent toujours pas
Rejoindre le troupeau ou bien marcher au pas
Dans les rues de Paris, sur les routes de province
Ils mendient quelquefois avec des airs de prince
En chantant des chansons du dénommé Brassens

Altre canzoni, come "Le facteur", possono, a mio avviso, essere considerate "deandreiane". E con questo intendo dire che se Fabrizio De André ne avesse fatto una "cover", con la sua voce, le avrebbe reso immortali; perlomeno nell'ambito delle combriccole di vedove, più o meno allegre.


Le jeune facteur est mort
Il n'avait que dix-sept ans
L'amour ne peut voyager
Il a perdu son messager

C'est lui qui venait chaque jour
Les bras chargés de tous mes mots d'amour
C'est lui qui portait dans ses mains
La fleur d'amour cueillie dans ton jardin

Il est parti dans le ciel bleu
Comme un oiseau enfin libre et heureux
Et quand son âme l'a quitté
Un rossignol quelque part a chanté

Je t'aime autant que je t'aimais
Mais je ne peux le dire désormais
Il a emporté avec lui
Les derniers mots que je t'avais écrits
Il n'ira plus sur les chemins

Fleuris de roses et de jasmins
Qui mènent jusqu'à ta maison
L'amour ne peut plus voyager
Il a perdu son messager
Et mon coeur est comme en prison...

Il est parti l'adolescent
Qui t'apportait mes joies et mes tourments
L'hiver a tué le printemps
Tout est fini pour nous deux maintenant

E poi come potrei non amare un cantautore che fuma, e parla di gitanes?

"Tu portes ma chemise
Et je mets tes colliers
Je fume tes gitanes
Tu bois mon café noir
............................"
(Je ne sais pas où tu commences)

Ancora contatti con De André? Si, almeno con il De André de "La buona novella"!. Li possiamo trovare in "Joseph".

"Tu aurais pu, mon vieux Joseph
Prendre Sarah
Ou Deborah
Et rien ne serait arrivé
Mais tu as preféré Marie"

E deandreiana è, nell'incedere, anche "Votre fille a vingt ans", scritta a quattro mani insieme a Serge Reggiani (un altro "cantante" da riscoprire!). Si proprio lui. Reggiani: quello che muore alla fine del film "Tutti a casa" di Comencini, il miglior saggio mai realizzato sulla liberazione italiana.
Si. Mi piace Moustaki. Mi piace perchè dice che è tempo di vivere!

"Nous prendrons le temps de vivre
D'être libres, mon amour
Sans projets et sans habitudes
Nous pourrons rêver notre vie "

giovedì 28 dicembre 2006

partigiani



Una bella foto, in copertina. Talmente bella che è giocoforza prenderlo in mano, il libro. "Cantalo Forte" edito per "Stampa Alternativa". L'autore è tale Gioachino Lanotte, e il sottotitolo recita "La resistenza raccontata dalle canzoni". Così, è andata a finire che me lo sono portato a casa. E ho fatto bene! E' intrigante, e se lo gioca bene il suo presupposto, raccontando, in qualche modo, la resistenza attraverso le canzoni. Ma riesce a fare anche di meglio! Racconta la lotta partigiana attraverso le canzoni che sono state scritte dal dopoguerra in poi, ascrivendo alla "canzone partigiana" autori come Bubola, Della Mea, Fossati, Gang, e via di seguito. Una scelta coraggiosa che vuole sottintendere come non siano mai venuti meno, del tutto, le motivazioni alla base della lotta di liberazione. Come se fosse rimasta una di quelle rivoluzioni fatte a metà. Una rivoluzione fallita, come tante altre. Con il suo carico di contraddizioni e di generosità, di nefandezze e di eroismi, e di assurde rinuncie. Ma anche di canzoni. E ancora se ne fanno. Qualcosa vorrà pur dire.

mercoledì 27 dicembre 2006

natale!



Anche quest'anno, grazie al cielo (ogni tanto è un piacere citare Bunuel che, grazie a dio, era ateo!), natale è passato, Passato, col suo carico di ipocrisie e falsità. Passato, così che i "prigionieri delle famiglie" possono tornare in "libertà". Non so perché, ma ad ogni natale, mi torna in mente una canzone di Adelmo e i suoi Serapis (un gruppo costituito da, fra gli altri, "Zucchero" Fornaciari e Maurizio Bandelli). Una canzone non proprio celebrativa. C'è stato perfino il "miracolo", questo natale. E non sto parlando del fatto che il "reverendo soul" James Brown è andato a vedere com'è fatto quello che ha illuminato di un raggio di luce John Belushi. Parlo del ragazzo morto soffocato in seguito all'incendio dell'albero di natale. Un miracolo? Sì, somiglia parecchio a quello raccontato da Portelli, in "Taccuini Americani": "nel santuario di Vallepietra, Lazio meridionale, una roccia staccatisi dal picco che sovrasta il santuario, era caduta addosso ad un venditore ambulante, il quale, anziché salvarsi come sarebbe stato naturale in un luogo tanto speciale, morì schiacciato. Il miracolo consisteva nel normale funzionamento delle leggi naturali, prodigiosamente ripristinate (per punire un peccatore, presumibilmente) al posto della normalità miracolosa di un luogo dove i massi ti cadono in testa senza farti male. Il verificarsi della normalità, anziché smontarla, confermava l'eccezionalità del luogo."

giovedì 21 dicembre 2006

le spine del deserto



La mente ha i suoi propri percorsi. E li segue, annodando e sciogliendo nodi. Così che, a volte, non rimane altro da fare che restare a guardare, mentre lo fa. Magari prendendo appunti, mentalmente. In attesa di poter stendere, su un foglio o su uno schermo, le parole che cercano e provano a ... raccontare.
Ho preso un libro che sto leggendo e ho visto un film. Anzi, nell'ordine, prima ho visto il film e poi, qualche settimana dopo, ho cominciato a leggere un libro. Del libro ne ho già parlato, ed è quello di Maurice Bignami. Del film non era mia intenzione parlarne. Non è un bel film, a mio avviso. Manca di una storia, di una sceneggiatura. E cade nel solito trito schema dei tedeschi cattivi e degli italiani buoni, anzi di più. Degli italiani buoni, nobili e generosi. Il film è "Le rose del deserto" di Monicelli, che ha qualche anno in meno di quanti ne avrebbe Torquato Bignami, se fosse vivo. E qualche anno in più di quanti ne avrebbe mio padre, se fosse vivo. Il film si svolge in Libia, durante l'ultima guerra. E mio padre, l'ultima guerra l'ha fatta in Libia. Il libro, Maurice Bignami, lo ha scritto perché ha letto la bozza di "memorie" che il padre aveva lasciato, morendo. E mio padre ha lasciato, morendo, fra le altre cose, anche un pacco di fogli scritti a mano che cercano di raccontare la "sua" guerra. Credo di essere l'unico ad aver letto quei fogli. Ed è stato giocoforza raffrontare il contenuto di quelle pagine, e le parole dei racconti orali, con il film. Sperando, in cuor mio, di ritrovarci qualcosa da poter riconoscere. Un po' di verità ... romanzesca. La odiava la guerra, mio padre. La odiava di quell'odio feroce che può provare solo chi la guerra l'ha fatta. Chi ne conosce la futilità e l'inutilità. Ma dentro la guerra c'era anche la sua giovinezza e la sua ... libertà. La sua incoscienza. I chilometri infiniti percorsi, in autocolonna, nel deserto della Sirte, di notte; ché di giorno fa troppo caldo. I bussolotti pieni di sigarette. Il fiammifero per accendere la prima, poi le altre a seguire, una via l'altra. Le bombe a piovere. Anche un parto, nel cassone del camion. Nascono facile i bambini, se ne infischiano loro. Un bersagliere, sopra una motocicletta, matto più di un cavallo. Uomo-gallina, lo chiamavano gli "alleati" tedeschi! Un pazzo scatenato che rapinava le scorte teutoniche. Da Tripoli a Bengasi, incrociando i tedeschi in fuga. A piedi. Vuoi un passaggio? Sì, ma dove vai? A Bengasi. Fossi matto! La fame. Un pacco di pasta, finalmente. Sì, ma dove cuocerlo? Dove far bollire l'acqua? Solo un vecchio fusto di nafta. Vuoto. Pasta condita con la nafta. Non è poi così male! E poi ancora le bombe dal cielo. E l'officina prende fuoco. Un operaio è un operaio, anche in guerra. E se muore, gli tocca di morire in officina. Ma no, solo l'80% di ustioni, sul corpo. Forse non si muore, poi. Si "limitano" a farti delle spennellature con la cera fusa. E niente cibo. Ché si rischia l'avvelenamento! Non erano né buoni, né nobili, né generosi, gli italiani. Non più di quanto lo fossero i tedeschi, o gli inglesi, o gli americani. Pazzi, stronzi, generosi, vigliacchi. Come tutti quelli che sono sopravvissuti a quella guerra. Non c'è altro, di lui. Solo quei fogli. Niente film.

mercoledì 20 dicembre 2006

emozioni



Non è che propriamente non mi piaccia, Lucio Battisti, Del resto, in qualche modo, era talmente presente in quegli anni, sul finire dei '60, che non poteva non segnare la mia adolescenza. Sarebbe ingeneroso dire che non mi piace, tout court, ed assimilarlo, così dicendo, ai vari ed eventuali che mi procurano il mal di stomaco e mi fanno accapponare la pelle. Dai Battiato ai Ramazzotti, per finire con Carmen Consoli. Senza dimenticare nessuno, pur concedendo loro il sollievo del silenzio. Non è che non mi piaccia, Battisti. Gli è che lo trovo banale. Agghiacciante nei testi infami di Mogol, già massacratore e coverista massacratore di cover (che a far le cover si riscuotevano le royalties anche sul venduto dell'originale in Italia!), e costituzionalmente incapace di un pensiero “alto”. Ma banale (e qui è Battisti e non Mogol) anche nel tessuto musicale, con quel suo strisciare semi-rauco in attesa del salvifico ritornello che lo traesse d'impaccio. Schiavo del ritornello, questo era, a mio avviso, Battisti Lucio. Nessuna sorpresa, tuttavia, a sentirlo celebrare, nello speciale del tg1 della domenica sera. Tutti concordi, a venerare il morto. Il più grande di tutti, rivoluzionario, e via a sprecare aggettivi. Gli stessi che gli Zucchero e le Mannoia sono pronti a sprecare alla prossima puntata. Che sia su De André o su Modugno, che importa? La nota divertente, però, c'è stata. Baglioni, direttamente dalla garbatella (*mi correggono: centocelle!), non fa a tempo ad informarci circa le simpatie fasciste, portate con una certa arroganza, del caro estinto, che subito il Capanna Mario, dalla statale di Milano ci rende partecipi del fatto che lui, vispo come un volpino, non ha mai dato credito alle “voci” che volevano di destra il canta-semi-autore nazional-popolare. Aveva capito tutto, fin da allora.

martedì 19 dicembre 2006

uomini



La foto in copertina è bella. Un uomo e un bambino, presumibilmente il padre e il figlio, che mimano un incontro di boxe. Sembra essere proprio questa, la cifra del libro su cui ho messo le mani e gli occhi, e che sto leggendo! “Gli uomini eguali”, edizioni Bietti. L'autore è Maurice Bignami. Solo che, stavolta, non si tratta del “solito” libro di memorie dell'ex-”lottarmatista” di turno. Mi verrebbe da definirlo come il tentativo di pagare un debito. Il debito che il Bignami (Maurice) figlio ha, o crede di avere, con il Bignami (Torquato) padre. Già, Torquato Bignami. Nato nel 1910, e morto nel 2000; e in mezzo l'iscrizione al partito comunista, nel 1926, a 16 anni, e la tessera strappata pubblicamente nel 1977, fino alla condanna per 'partecipazione a banda armata', comminatagli nel 1980. Partecipazione alla banda armata del figlio! E forse, quella “partecipazione”, era un modo in cui il padre pagava il debito che aveva, o credeva di avere, col figlio. Chissà se è riusto a farcela, prima di morire? E chissà se il figlio è riuscito a “riportare a terra” quel 'cotanto' padre? A riportarlo all'altezza dei suoi propri occhi.
Per farlo, ha messo mano al manoscritto di memorie, lasciato incompleto dal padre, e ha scritto la storia di un uomo fra le due guerre.
No, non credo. Non credo sia possibile, quando si ha bisogno di scrivere al libro un'appendice in cui definirsi, descriversi. Per dire le differenze. Quali differenze?
“Le idee erano buone, gli uomini sbagliano” - sintetizza il padre.
“Le idee erano pessime, anche se alcuni uomini hanno dato comunque il meglio” - obietta il figlio.
Maurice, per dirla con una metafora che andava di moda in quegli anni, è uno che ha buttato via il bambino insiema all'acqua sporca. L'abiura, dalla lotta armata, si è estesa anche al “comunismo”. E' arrivato, perfino, a co-dirigere il periodico fascista “Area” , nel tentativo di legittimare il diritto di tutti a esprimere le proprie idee, sposato al tentativo di dimostrare che tutti gli “estremismi” si equivalgono. Eterno divenire ed eterno ritorno, una volta astratti dal contesto della lotta di classe, si equivalgono. E il gioco è fatto. E infatti il peggior epitteto, l'insulto più terribile, diventa “amico dei sionisti", nella querelle col padre, e col comunismo. Già, amico dei sionisti. E non già amico dei padroni. Ché, dei padroni, nemici sembrano non essercene più.

lunedì 18 dicembre 2006

enigmistica



Non ho mai amato troppo la voce di Lucio Dalla, e neppure lui e il suo personaggio, ma "Anidride Solforosa", al tempo, mi colpì. E non poco. Mi colpirono i testi di Roberto Roversi.E mi capitò di pensare che Dalla, a conti fatti, non la meritasse una canzone così bella. Ma tant'è!


Le parole incrociate
[Roversi-Dalla]

Chi era Bava il beccaio? Bombardava Milano;
correva il Novantotto, oggi è un anno lontano.
I cavalli alla Scala, gli alpini in piazza Dom.
Attenzione:
cavalleria piemontese, gli alpini di Val di Non.

Chi era Humbert le Roi? Comandava da Roma;
folgore della guerra, con al vento la chioma.
La fanteria stava a Mantova, i bersaglieri sul Po.
Attenzione:
fanteria calabrese, i bersaglieri di Rho.

E chi era Nicotera, ministro dell'interno?
Sole di sette croci e fuoco dell'inferno.
All'Opera il Barbiere, cannoni a Margellina.
Attenzione:
spari capestri e mazze da sera a la mattina.

Di pietra non è l'uomo
l'uomo non è un limone
e se non è di pietra
non è carne per un cannone.

Cavallo di re
la figlia di un re
l'ombra di un re
e la voglia di un re.
Soltanto chi è re
può contrastare un re.

Il gioco dei potenti
è di cambiare se vogliono
anche la corsa dei venti.

E i limoni a Palermo? Pendevano dai rami,
coprendo d'ombra il sangue di poveri cristiani.
Chi era Pinna? Un questore, a Garibaldi amico.
Attenzione:
fucilazioni in massa, dentro al castello antico.

E la tassa sul grano? Tutta l'Emilia rossa
s'incendia di furore, brucia nella sommossa.
Stato d'assedio, spari, la truppa bivacca.
Attenzione:
lento scorreva il fiume da Cremona a Ferrara.

Che nome aveva l'acqua trasformata in pantano?
Macello a sangue caldo di popolo italiano.
Un'intera brigata decimata sul posto.
Attenzione:
i soldati legati agli alberi, agli alberi del bosco.

L'uomo non è di pietra
l'uomo non è un limone
poichè non è di pietra
neppure è carne da cannone.

Quando la vecchia
carne voleva
il macellaio
fu presto impiccato;
e un re da cavallo
è anche sbalzato
e in mezzo al salnitro
precipitato,
come al tempo
del grande furore
quando il vecchio imperatore
a morte condannava
chi faceva l'amore.

Sei le colonne in fila, il gioco è terminato.
Nel bel prato d'Italia c'è odore di bruciato.
Un filo rosso lega tutte, tutte queste vicende.
Attenzione:
dentro ci siamo tutti, è il potere che offende.

venerdì 15 dicembre 2006

una frase, un rigo appena ...



"La conoscenza è legata alla lotta. Conosce veramente chi veramente odia. Ecco perché la classe operaia può sapere e possedere tutto del capitale: perché è nemica persino di sé stessa in quanto capitale."

Così si leggeva a pagina 14 di "Operai e Capitale", di Mario Tronti. Almeno nell'edizione di cui sono in possesso io. Per la ripubblicazione del libro, DeriveApprodi ha fatto confezionare una maglietta che reca in calce, sul dorso, la prima parte della frase.
Sul davanti un bellissimo gatto stilizzato, rosso.

giovedì 14 dicembre 2006

gangster



Thomas Sterne Eliot:: "I poeti immaturi imitano; i poeti maturi rubano."

Gilles Deleuze: "Il furto di un concetto è tutt'altra cosa dal plagio, perché finisce con l'essere un atto creativo: rubare un concetto, estrapolandolo dal suo contesto, significa trasformarlo, ricrearlo."

mercoledì 13 dicembre 2006

storie di lotta continua



L'ho letto, il libro di Ico Gattai. "Mamma dormo fuori". L'ho letto quasi tutto d'un fiato. Mi sono divertito, ed ho riconosciuto chi doveva essere riconosciuto. Civetterie d'autore, forse. No, forse no. Forse semplicemente un qualcosa di ineludibile, la figura del "maestro". Lo era a pisa, e doveva per forza esserlo anche nel romanzo. Ricordo, a proposito del "maestro", come rimettedendo in ordine, all'archivio "il 68", i faldoni del fondo dell'avvocato Sorbi, ero incappato in una gustosissima cronaca giudiziaria del 1966 e 1967, a base di parà e capelloni, e di chitarre sfasciate sul capo. Anche lì imperversava la figura del "maestro". Ma questa è un'altra storia, anche se forse no. Non del tutto. Comunque ho ritrovato nel libro di Gattai, quel ritmo, quell'aria che non riesco a trovare nelle ricostruzioni serie di quella - Lotta Continua - che rimane una realtà che ci ha investito e pervaso un po' tutti, noi di quel paio, o tre, di generazioni. Anche, ma vi verrebbe da dire "soprattutto", coloro che non ne facevano parte! Mi è sembrato il modo migliore di raccontarla, la storia. O meglio, le storie. Perché di storie si tratta, più che di una storia monolitica. E quella di Gattai è, a pieno titolo, una storia di lotta continua. Una delle tante! Non sfigurerebbe affatto, anzi, accanto a quelle che conosco io. Direttamente, o che mi hanno raccontato altri. Quella di "pasquino", a Piombino, ad uno dei tanti processi contro il potere operaio pisano che, all'ennnesimo invito a togliersi la papalina di lana, risponde facendo notare al carabiniere che anche lui ha un berretto in testa. E quando quello ribatte dicendo di essere in servizio, sbotta con un "... e perché, io sare qui a divertirmi?". Quelle che giravano intorno alla più variopinta delle sezioni di elleci: quella di Siracusa, composta dalla più variegata provenienza di sinistra che si fosse mai vista. E una sede, in via Resalibera, nel ventre di Ortigia, che assomigliava a tutto - da un mercato ad un asilo nido - meno che ad una "sede politica". Praticamente, in essa era confluito tutto: dagli operai della montedison alla fuci. Dagli stalinisti agli anarchici. Alla prima uscita di piazza, vennero massacrati dalla polizia! Chissà dove sono adesso i miei amici. Aldo Taranto e Alfredo Di Pasquale. Storie. Come quella di Lotta Continua di Firenze, che venne "oltraggiata" da Adriano Sofri, quando per organizzare il comizio a Pisa, per la morte di Serantini, prese direttamente contatto con gli anarchici del "Gruppo Durruti". Ma a Firenze c'era anche il babbo di Moreno - che era di LC, non il babbo, Moreno - che aveva una friggitoria in Santa Croce. Quante volte ci ha sfamato, gratis, quando non avevamo una lira per mangiare. Adesso c'è una pizzeria di lusso, al suo posto, proprio di fronte al Cibreo. Che è del Picchi, che non era di Lotta Continua, ma avrebbe potuto esserlo, considerato che lo è stato uno come Pietrostefani! E la faccia trionfante di Maurizio Lampronti, quando sul quotidiano uscì un articolo di fondo a proposito di Trozkismo e Stalinismo, di mano del gran capo in persona, che argomentava dicendo il trozkismo non esistere e, rincarando la dose, defineva lo stalinismo parte costituente del nemico di classe. Era il 1972. Già, la faccia di Maurizio era il reciproco della faccia di Andrea "formaggino" Montagni.Storie di lotta continua. Non so se quella di Ico sia una storia buona, o una storia "giusta", ma è una storia. Giusto una storia. Di lotta continua.

martedì 12 dicembre 2006

la barca ... della vita



"Black and Blue America", di Chip Taylor, è un capolavoro. Un "concept-disk" che è un viaggio. Un viaggio attraverso gli anni a cavallo fra il 1950 e il 1960, i fatti, la musica e le idee. Prima di ogni pezzo, una breve "intro" per dare respiro all'album. Sono molti i "duetti". Fra tutti, e sopra tutti, quello giocato con la voce di Lucinda Williams, in "the ship". La voce di un angelo, caduto, quella di Lucinda. Graffia, commuove, fa rabbrividire. Come la vita!

La barca
di Chip Taylor

Nella luce del mattino
nel cuore della notte
piccola mia, giusto o sbagliato,
sono con te, sei parte di me
lo sarai sempre
nel mare aperto della vita
sei la barca con cui salpare

Prenderai questo anello
accoglierai il mio nome
abbraccerai i miei sogni
li farai tuoi
prenderò questo anello
si adatta alla mia mano
e quando lasceremo questa terra
tu sarai la barca con cui salpare

Portami verso l'acqua
guidami sulla spiaggia
dove sempre vuol dire per sempre
e tutti i giorni prima
se i fulmini sono la passione
ed il tuono è il risveglio
lascia che le tempeste infurino sul mare ventoso della vita

Nella luce del mattino
nel cuore della notte
piccola, giusto o sbagliato
sono con te sei parte di me,
lo sarai sempre, nel mare aperto della vita
sei la barca su cui navigare

giovedì 7 dicembre 2006

I loro ragazzi, così eroici...



Trovo molto divertente, ogni qual volta si assiste ad un confronto televisivo fra "destri" e "sinistri" (quelli che abbiamo), lo scambio di accuse e scuse che, a vario titolo, gli intervenuti si scambiano. Molto divertente, davvero, che l'incomprensione, e la diffidenza, fra gli opposti schieramenti, nasca da un solo semplice fatto: nessuno crede a quello che l'altro dice di essere! Per i sinistri, i destri non sono democratici. E per i destri, i sinistri non sono democratici. Tutto qui!! Gli uni accusano gli altri di millantato credito, e gli altri si profondono in giustificazioni e spiegazioni sul loro vero sentire e sul loro vero essere. Reciprocamente. Avanti al centro, contro gli opposti estremismi. Era un vecchio slogan democristiano, o era berlingueriano? ( non ricordo più!), ancora molto attuale: No, non moriremo democristiani! Moriremo tutti ... democratici. Magari a Nassiriya. O a Genova.

Body Bags
di Wu Ming 1

0. E che s'aspettavano? D'essere accolti a Refosco e polenta? Ce n'est qu'un debut.
1. I "nostri" soldati"? I "nostri" carabinieri? I *loro* carabinieri ce li ricordiamo molto bene in via Tolemaide, a Genova. Dei *loro* soldati ricordiamo le torture in Somalia, la morte di Emanuele Scieri e lo "zibaldone" del generale Enrico Celentano.
2. I *loro* soldati sono in Iraq per difendere gli yacht e le Ferrari dei petrolieri, il cancro ai polmoni, il caldo da schiattare e, non ultimo, il crocifisso sul muro della scuola. Nobili cause per le quali paghiamo le tasse.
3. I *loro* soldati continueranno a morire anche quando torneranno a casa. Quelli utilizzati in Kosovo stanno morendo come mosche. Zirconio e altri metalli pesanti nel loro sangue. I proiettili a uranio impoverito che la commissione Mandelli aveva giudicato innocui, e che in Iraq erano pioggia quotidiana. Non c'è da attendersi che questi morituri si ribellino, sono programmati per obbedire. Comunque salutant. Bye bye.

Bologna, Novembre 12, 2003

un altro genere di canzone



Sarò la tua Rosa di San Antonio

Se suonano un'altra canzone d'amore
E se quella pubblicità della birra miller che rende felici rimane accesa
E se tu continui a riempirmi di whiskey il bicchiere
Ti sussurrerò parole che vorrei dire a lui.

Chiedimi solo di ballare tutti i lenti
Tienimi vicina e portami attraverso la pista da ballo
Io appoggerò piano la mia testa sulla tua spalla
E farò finta di credere che prima di ora non mi è mai successo niente di tutto questo.

Non voglio ascoltare una triste storia
Sappiamo già entrambi come va a finire
Ma se tu, stanotte, sarai il mio bel straniero tenebroso
Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

Bene, potrei dirti che ti amo
Vorrei che lui non fosse sempre nella mia mente
Se ci fossero treni veloci per il texas
Oh, lo prenderei e lo prenderei; come lo prenderei!

Non voglio ascoltare una triste storia
Sappiamo già entrambi come va a finire
Ma se tu, stanotte, sarai il mio bel straniero tenebroso
Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

mercoledì 6 dicembre 2006

domande



Dici: a noi va male.
Il buio cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi più potente che mai.
Sembra che gli siano cresciute le forze.
Ha preso una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può mentire.
Siamo sempre di meno.
Le nostre parole d'ordine sono confuse.
Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è ora falso di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto?
Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprender più nessuno e da nessuno compresi?

O dobbiamo sperare soltanto
in un colpo di fortuna?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua

Bertolt Brecht

martedì 5 dicembre 2006

tifoserie



Ci si può permettere di tutto nel "regno della democrazia" (no, non è un ossimoro)! Perfino una collana politica, intitolata "le radici del presente", varata della Sperling & Kupfer e diretta da Luca Telese (sì, proprio quello dei "cuori neri"!). Una collana per scrutare il passato, alla ricerca delle radici del presente, e sancire che gli anni sessanta e settanta sono stati una sorta di "guerra fra opposte tifoserie" (nessuna lotta di classe, non lo sapevate?). A dargli man forte, interviene Aldo Cazzullo (troppo facile ironizzare sul suo cognome!) che ci (ri)scrive una bella "storia critica di Lotta continua", ad uso e consumo della conferma di tale paradigma. "I ragazzi volevano fare la rivoluzione" - guarda un po' - e invece hanno finito per sposare la "democrazia", come un'ovvietà che non ha più bisogno di essere spiegata. Così la democrazia avrebbe vinto: quello che è, e rimane, un "dispositivo di governo" è riuscito a fare identificare le pratiche di lotta della classe operaia con la pratica politica e, a sua volta, la pratica politica con la pratica parlamentare. Fino a ridurre il tutto ad un mero problema di ... amministrazione.
Così, alla fine, i Telese e i Cazzullo, insieme a politici e giornalisti, coadiuvati dai "rivoluzionari in disarmo", possono venire a riscrivere la storia, per raccontarci che in fondo eravamo solo ... tifoserie.

lunedì 4 dicembre 2006

brindisi



Uno a Victor Jara (nella foto), e l'altro alla faccia del porco macellaio che sta morendo, a Santiago, in Cile. Sì, lo so che è ancora vivo, ma io comincio a brindare lo stesso!

orfani



"Quando ero piccolo" - ha dichiarato Tom Waits - "pensavo che gli autori di canzoni si sedessero al pianoforte, in qualche piccola e fumosa stanza con una bottiglia e un posacenere, ed ogni cosa sarebbe arrivata, come da un soffio dalla finestra, e ne sarebbe uscita dal piano in forma di canzone."
"...Ed in qualche modo, questo è esattamente quel che succede." - si è subito premurato di aggiungere.
E come non credergli, ascoltando le 54 canzoni che, a vario titolo, fanno parte del suo ultimo triplo CD appena uscito?
Orphans è una sorta di miracolo, sgangherato e prodigioso. Non ci sono parole. E' Tom Waits!

venerdì 1 dicembre 2006

scritture



"Scrivere è semplice ... come aprirsi una vena."

Il filosofo e critico tedesco Walter Benjamin aveva concepito un libro, costituito solamente di citazioni di altri autori.

Nel Dicembre 1957, Guy-Ernest Debord ... pubblica un libro, cui ha dato il titolo di "Memorie". Ma non lo ha scritto, ha solo ritagliato pezzi di paragrafi, aforismi, frasi, a volte singole parole, traendoli da libri, riviste, e giornali. Da subito, il libro era apparso come una metafora ricercata e preziosa. Infatti, raccontava una storia molto particolare, e per di più recava in sé la dichiarazione solenne che quella fosse l'unica storia che valesse la pena raccontare.