martedì 24 ottobre 2006

"mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa"



Una scritta sul muro della bologna di Paz, che ogni tanto torna alla mente. Una delle tante scritte majakovskjiane dell'anno 1977. Tutte a base di rincorse da prendere per poter volare, e di barche dell'amore infrante.
Probabilmente hanno ragione "i gang", a cantare che ad andarserne, poco dopo quell'anno, è capitato di non perdersi niente. Solo questa lunga, infinita "vita quotidiana"!

L'ho scritta tempo fa, questa cosa, e oggi mi è capitata di rileggerla e di sentirla ancora mia. Così la sbatto quaggiù dentro, in questo contenitore. Mio, in qualche modo.
La sbatto qui dentro, e nel mentre me la rileggo. E rileggendola, la cambio.
Leggo che parlavo di lotte quotidiane con server "sco unix" e database oracle. Sono rimasti, solo che adesso si sono aggiunti altri server, windows 2003. Stavolta!
Almeno fossero mulini a vento!
Dalla mia stanza si vede la cupola di santa maria del fiore. E si vede anche, tutt'intera, via delle ruote. Che è una bella strada che finisce a "T" proprio su via santa caterina. Così mi guardo Firenze, e mi tranquillizzo. E pensare che c'è stato un periodo in cui l'ho odiata questa città. Di un odio nero, la odiavo! Non ricordo nemmeno bene di cosa la accusassi, ai tempi. So solo che volevo andarmene; e me ne andavo spesso. Ma poi ritornavo. E' continuato così fino al preciso momento in cui, per qualche strana ragione, ho smesso di considerare Siracusa come fosse la "mia città". Quando ha smesso di essere, nella mia mente, un rifugio cui tornare. Anche per leccarsi le ferite.
C'è gente che per emanciparsi ha dovuto uccidere, simbolicamente, il padre. A me è toccato dover ammazzare una città intera! Fino a trasformarla, a ricondurla ad essere una fiaba per bambini. Fantasmi e luoghi per accedere all'oltretomba! Vicoli, dove "bande" di cani randagi si aggirano nelle notti senza luna, incutendo paura agli sprovveduti che non sanno affatto quanto sia pericolosa Ortigia quando è scuro. L'ho fatta a pezzi, scientemente. Siracusa.
Brandello dopo brandello, pietra dopo pietra. Trasformandola in nient'altro che ricordo. Ricordo di quel che era lei, mischiato al ricordo di quel che ero io. Ora, invece, mi guardo Firenze e mi tranquillizzo. Mi calmo. Respiro piano e penso ai treni. Quelli senza fiori sui sedili! Ne ho preso qualcuno, di quei treni! E viaggiano tutti in una direzione sola. Indietro non si torna, Indietro non torni. E quando sei così caparbio da voler tornare comunque al posto da cui sei ripartito, ti accorgi che sei arrivato in un altro posto. Somiglia a quel romanzetto di Fredric Brown. Un romanzo di fantascienza "pulp"! Come si chiamava? Assurdo Universo. Rileggo quel che ho scritto, per l'ennesima volta, e mi rendo conto di averci già infilato, dentro a questa cosa, due canzoni e un libro. Come se la vita fosse davvero una fottuta canzone, o un libro; o, ancora, un film! O tutte queste cose insieme. Come se davvero bastasse canticchiare una strofa, citare un passo, riportare agli occhi una scena e far sì che, per incanto, passi la paura. Cessi il dolore, svanisca la sofferenza. La nostra e quella degli altri. Spalancare i cieli e vedere fioccare le stelle. No! Non succede niente di tutto questo. La paura continua ad imperversare, il dolore si propaga e la sofferenza non smette. E il tutto assomiglia, comicamente, ad un film di Max Ernst (era lui o qualche altro surrealista: meglio controllare su google!), con Buster keaton.Un film che si sviluppava lungo una sequenza infinita. Buster ed un cane, da mettere fuori dalla stanza. Solo che, appena aperta la porta e messo fuori il cane, entrava subito il gatto. La scena si ripeteva, con il gatto da mettere fuori e conseguente rientro del cane. E così via. All'infinito. Rompere la sequenza diventa l'imperativo! In ogni modo, Con uno sberleffo, una risata, un singhiozzo. Qualsiasi cosa che ci consenta di "dare un nome" ai cani e ai gatti. Alla paura, alla sofferenza e al dolore. E all'abitudine.

5 commenti:

BlackBlog francosenia ha detto...

Strana cosa la memoria. Quello con Buster Keaton, dal titolo "Film", per l'appunto, non era né di Ernst né di alcun "surrealista". Era scritto da Samuel Beckett, per Keaton, e diretto nel 1956 da ALan Schneider.

Anonimo ha detto...

"sprovveduti che non sanno affatto quanto sia pericolosa Ortigia quando è scuro"
ci hai pensato che "quando è scuro" è la perfetta traduzione della locuzione siciliana?
L'hai ucciso davvero questo padre e questa città? O te li porti dentro comunque, anche se oggi parli fiorentino e siracusa non è più la città del mito greco (o forse è solo la città del mito...)?
"é inutile cercare le parole, la pietra antica non emette suono, o parla come il mondo e come il sole, parole troppo grandi per un uomo. E te li senti dentro quei legami, quei riti antichi e i miti del passato, e te li senti dentro come mani, ma non capisci più il significato".
Davvero quel sole, l'odore del mare, la pietra di ortigia, quei suoni che sanno tanto degli antichi dori colonizzatori, non sono più dentro di te?
Anch'io so cosa significa cercare le radici come rifugio. Poi cresci e non sono più nè rifugio nè prigione, sono solo radici e continuano a parlarti dentro, ad esserti dentro perchè in parte è da lì che sei venuto, anche quando sei semplicemente fuggito per inseguire un sogno.
danielamore

BlackBlog francosenia ha detto...

Non so se li ho "uccisi", o se li ho visti morire. Ma è proprio perché sono morti, assassinati o meno, che me li porto dentro. Non si potrebbe vivere...senza i morti!

salud

Anonimo ha detto...

"non si potrebbe vivere senza i morti"
Non so se è tua o una citazione, ma è una delle cose più belle e vere che io abbia mai letto :)

BlackBlog francosenia ha detto...

No, non è una citazione. E' venuta da sola, scrivendo. Ti ringrazio per l'apprezzamento.

salud