martedì 11 luglio 2006

il linguaggio dell'amore


E' un piccolo racconto, di Robert Sheckley (scrittore di fantascienza, e morto). Credo di ricordare che ha per titolo “Il linguaggio dell'amore”. La fantascienza è solo un grande pretesto, per dire. Parla di un uomo perdutamente innamorato di una donna. L'unico scopo nella vita di quest'uomo è di poter riuscire a dire, con parole perfette, quale sia la reale portata del proprio amore nei confronti della donna. In un bar, mentre beve per trarre da sé, grazie all'alcool, le parole giuste, viene a sapere che in un pianeta lontanissimo, oltre i bordi della galassia conosciuta, esiste una razza aliena che ha creato un linguaggio in grado di poter esprimere ogni reale sfumatura dei sentimenti, umani o simil-umani. E' la loro unica creazione, la loro unica arte. Ed è perfetta. L'uomo si mette in viaggio, e dopo innumerevoli peripezie, riesce a raggiungere lo sperduto pianeta, dove rimane per mesi e mesi a studiare il linguaggio dell'amore, di modo che poi possa riuscire a renderlo con pari intensità anche nella propria lingua. Ora sa. Ora conosce le parole perfette per poter esprimere, senza tema di fraintendimenti, quello che prova nel profondo del proprio cuore. Ripercorre la distanza, con un po' meno peripezie, che lo separa dal coronamento del proprio sogno, e quando si trova al cospetto della donna amata, alla fine, pronuncia le parole:
Ti sono sinceramente affezionato!

E cosa vorrà dire questa storia? Me lo sono sempre chiesto, e continuo a chiedermelo. Vuole essere una banalizzazione del “grande amore”, negandone l'esistenza? Oppure vuole solo essere una condanna di quel gran coglione del protagonista, che invece di viverselo, l'amore, lo pianta in asso per andare ad inseguire il proprio egoismo e la propria vanità?
Sarei portato a propendere per la seconda ipotesi!
Ah, come al solito, chissà poi perché, la donna non c’è mai in questo genere di storie!

1 commento:

Dr. Robert ha detto...

Forse il significato è un po' più complesso di quanto apparentemente sembri.
Io lo accosterei a La pietra filosofale di Robert Luis Stevenson, Certo con ben differente profondità